ALESSANDRA DI PILLA
La rondine nella letteratura cristiana greca e latina di epoca patristica
La rondine (gr. xelidw//n, lat. hirundo), uccello familiare a tutta la civiltà mediterranea e di facile
osservazione, è ben presente nella cultura letteraria greca e latina, sia a livello descrittivo sia a
livello allegorico: i tratti del suo comportamento, infatti, compaiono annotati dai naturalisti, cantati
dai poeti, trasposti nel mito, nel sentimento religioso, nella riflessione filosofica. Quando fa il suo
ingresso nel mondo cristiano, la rondine ha già dunque alle spalle una storia in cui si intrecciano
scienza e leggenda, osservazione e interpretazione, destinata a modularsi e a svilupparsi in nuove
declinazioni attraverso il contatto fecondo con la Scrittura e con il suo centro generatore, il mistero
di Cristo assunto come chiave ermeneutica dell’intera realtà. Ci proponiamo di ricostruire a grandi
linee le valenze che questo uccello ricopre nella letteratura cristiana di epoca patristica, esaminata
nel suo complesso e considerata nella sua accezione più ampia che giunge a comprendere Beda,
senza tuttavia escludere opere e autori successivi quando, per averla riassunta, permettono una
migliore comprensione della tradizione1. Dopo aver rivisitato i tratti salienti della fortuna della
rondine nella cultura antica, e vagliato la sua presenza nella Scrittura, passeremo dunque all’analisi
delle testimonianze offerte dagli autori cristiani greci e latini2, organizzate attorno ad alcuni nuclei
tematici risultati emergenti.
Gli antichi e la rondine: ombre e luci
1
E’ il caso ad es. del De rerum naturis (De universo) di Rabano Mauro, che unisce descrizione della natura e sua
interpretazione allegorica, affiancando sistematicamente alle notizie attinte da Isidoro di Siviglia la ‘spiegazione’
ricavata da autori quali Agostino, Girolamo, Eucherio di Lione, Cassiodoro, Gregorio Magno, in gran parte conosciuti
tramite compilazioni come quelle di Alcuino o Beda (cfr. G. ORLANDI, La tradizione del ‘Physiologus’ e i prodromi del
bestiario latino, in L’uomo di fronte al mondo animale nell’Alto Medio Evo. Atti della XXXI Settimana di studio del
Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo [Spoleto, 7-13 aprile 1983], Spoleto 1985, t. II, p. 1063), e del più tardo De
bestiis et aliis rebus (PL CLXXVII, coll. 9-164), trasmesso tra le opere di Ugo da San Vittore ma attribuibile - almeno
per il libro I che più ci interessa - a Hugo de Folieto (cfr. F. J. CARMODY, De bestiis et aliis rebus and the Latin
Physiologus, in Speculum XIII (1938), pp. 153-159), testimonianza della fortuna del Physiologus latino nell’ambito
dell’allegorismo mistico del XII secolo, nutrito di curiosità per il mondo naturale.
2
Per il reperimento delle fonti abbiamo utilizzato principalmente il Thesaurus Linguae Graecae e il Thesaurus Linguae
Latinae; lessici e dizionari quali A. BLAISE, Dictionnaire Latin-Français des auteurs chrétiens, Turnhout 1954 e G. W.
H. LAMPE, A patristic Greek Lexicon, Oxford 1961; l’edizione su CD-ROM della Patrologia latina (Patrologia Latina
Database, Alexandria VA 1996). La traduzione italiana dei testi, ove non indicato diversamente, è nostra.
Di valido orientamento nella ricerca sono stati i repertori di D. W. THOMPSON, A glossary of Greek birds,
Oxford 1895 e F. CAPPONI, Ornithologia Latina, Genova 1979 (Pubblicazioni dell’Istituto di Filologia classica e
medievale dell’Università di Genova 58), nonché H. GOSSEN, Schwalben und Segler, in RE II A,1 (1921), coll. 768-777
(unica trattazione d’insieme sulla rondine in età classica); per il mito: P. GRIMAL, Dizionario di mitologia greca e
romana, ed. italiana a cura di C. Cordié, Brescia 1987; per la simbologia: L. CHARBONNEAU-LASSAY, Le bestiaire du
Christ, Bruges 1940 (trad. it. Roma 1994); X. R. Mariño Ferro, Symboles animaux, Bruges 1996; F. MASPERO,
Bestiario antico. Gli animali-simbolo e il loro significato nell’immaginario dei popoli antichi, Casale Monferrato 1997.
Desideriamo rivolgere un particolare ringraziamento al prof. José M. Guirau OSA del Pontificio Istituto Patristico
‘Augustinianum’ di Roma per i suoi preziosi consigli bibliografici.
Tra le caratteristiche del comportamento della rondine che hanno colpito l’immaginazione degli
antichi spiccano da un lato il particolare tipo di canto, stridulo e quasi assillante nella sua fissità
ripetitiva, dall’altro la frequentazione, allo stesso tempo confidente e restìa, delle dimore degli
uomini. Il canto è in larga parte inteso come lamento di dolore, e in tal senso la rondine è caricata di
un significato negativo, malinconico, quasi lugubre. E’ l’accezione che troviamo suggellata nel
famoso mito di Tereo, Procne e Filomela, nella sua versione principale, quella attica: Filomela
viene segregata e violentata da Tereo, marito della sorella Procne, e mutilata della lingua perché
non possa denunciare il misfatto, ma riesce a comunicare con Procne ricamando una tela; dopo che
Procne si è vendicata di Tereo imbandendogli le carni del figlioletto Iti, le due sorelle fuggono,
inseguite da Tereo; sul punto di essere raggiunte e uccise, implorano salvezza dagli dei, i quali
trasformano Procne in usignolo, Filomela in rondine e Tereo stesso in upupa3. Eminentemente alla
triste storia di Filomela è dovuta la duratura fama della rondine quale uccello ominoso, ben
riassunta, ancora nel II secolo d.C., nel Libro dell’interpretazione dei sogni di Artemidoro: «Dicono
che questo uccello preannunzi morti immature, sofferenza e dolore, poiché il mito narra che da tali
sciagure esso abbia avuto origine»4. L’associazione fissa, nel sentimento comune, tra la rondine e il
dolore è ribadita in età tarda anche da Claudio Donato, a commento della similitudine virgiliana tra
una rondine nera che stride e si aggira inquieta di luogo in luogo e la rutula Giuturna, che volteggia
affannosamente nella mischia per evitare lo scontro con Enea5. Nell’ottica principale del mito, il
pianto della rondine si configura come il lamento di una vittima; in tal senso, è inteso anche come
lamento di una supplice che invoca scampo e protezione. Il fatto che la rondine si spinga a costruire
il nido a ridosso delle case umane reca memoria della metamorfosi salvifica concessa dagli dei alla
sventurata fanciulla, destinata a vivere al sicuro presso gli uomini per volontà di Artemide, che
3
Cfr. Paus. 1,41,8 sg. e 10,4,8 sg; Apollod. 3,14,8. Nei poeti latini troviamo attestata una diversa versione del mito, che
inverte i nomi delle due sorelle: con Philomela si indica la madre di Iti, che lo va piangendo senza sosta per le selve
mutata in usignolo, uccello notoriamente canoro al quale il suo nome meglio si addice dal punto di vista etimologico
(cfr. Catull. 65,13-14; Verg., georg. 4,511); Procne (o Progne) indica di conseguenza la rondine: essa si rifugia sotto i
tetti ed è caratterizzata da una macchia rossa sulla gola, a ricordo delle mani insanguinate per la compartecipazione al
crimine (cfr. Verg., georg. 4,15: manibus Procne pectus signata cruentis; Ov., met. 6,669-670: altera (Cecropidum)
tecta subit neque adhuc de pectore caedis Excessere notae signataque sanguine pluma est). Tuttavia Ovidio mostra di
conoscere anche un’identificazione tra la madre di Iti e la rondine, menzionandola fra gli esempi di mogli sconvolte dal
tradimento del marito in ars 2,384: Altera dira parens haec est, quam cernis, hirundo; Adspice, signatum sanguine
pectus habet. La rondine con la traccia sanguinante sul petto è identificabile con l’Hirundo rustica (rondine comune),
dalla gola color rosso bruno (cfr. J. ANDRÉ, Les noms d’oiseaux en latin, Paris 1967, p. 133). Sull’inversione dei nomi
dei due uccelli nella letteratura latina classica, ancora di non chiara motivazione, cfr. in dettaglio F. BÖMER, P. Ovidius
Naso. Metamorphosen: Kommentar, Buch VI-VII, Heidelberg 1976, pp. 177-178.
4
Artemid. II,66 (trad. di D. Del Corno, in ARTEMIDORO, Il libro dei sogni, a c. di D. Del Corno, Milano 1975, p. 162).
5
Claud. Don., Aen. 12,473-477: nigram hirundinem pro dolentis persona, etiam lugentis, posuit. Lutto e pianto sono
associati alla rondine anche nella saga egiziana di Iside-Astarte: la dea, alla ricerca del corpo dell’amato Osiride, si
muta in rondine e volteggia lamentandosi attorno al pilastro ove esso è occultato (cfr. Plut., Is. et Os. 357 C). Una
testimonianza del legame della rondine con il culto isiaco si trova anche in Min. Fel. 21,1 p. 30 ed. M. Pellegrino
(Torino 1963).
aveva invocato nel momento in cui perdeva la sua verginità6. A tale statuto di supplice e di ospite si
può in parte collegare il divieto di danneggiare la rondine7, rispettato dagli uomini ma anche iscritto
nel comportamento degli uccelli rapaci, i quali sanno che le rondini sono ‘sacre’8. La frequentazione
del tetto degli uomini è tuttavia segnata dal timore e da un perenne senso di allarme; la rondine non
solo è assente del tutto dalle regioni o dalle città connesse a Tereo9, ma è anche estremamente
guardinga rispetto a ogni situazione che metta in pericolo la sua libertà: non è addomesticabile10, si
ciba soltanto in volo senza mai toccare terra11 e possiede una sorta di prescienza, in virtù della quale
rifugge dai luoghi destinati ad essere conquistati (come Tebe, notoriamente caduta a più riprese in
mano al nemico12) e, più in generale, le dimore votate alla rovina e alla desolazione13. Questa
connotazione ‘profetica’, mirabile nell’animale ma ovviamente inquietante per l’uomo, va a
completare il quadro della rondine come uccello foriero di sventura14. In altre testimonianze - come
nel filone favolistico - il tema della prescienza della rondine, cioè della sua intelligenza previdente
che le permette di sfuggire ai pericoli, compare invece come ai)/tion della familiarità stessa
dell’uccello con l’uomo: in Esopo la rondine, prevedendo il pericolo di essere catturata con il
vischio, è l’unica tra gli uccelli a presentarsi come supplice agli uomini, ottenendo in tal modo di
divenire loro coinquilina, immune da ogni rischio di caccia15.
Se la fama triste della fanciulla-rondine è senz’altro legata al suo penoso status di vittima, va
tuttavia tenuto presente che in alcune versioni del mito essa è dipinta con altrettanta chiarezza quale
complice della sorella nell’uccisione del piccolo Iti, e che dunque i connotati nefasti le giungono
anche dalla taccia di crudeltà e colpevolezza: Ovidio la ritrae spietata comprimaria nell’esecuzione
6
Secondo la versione del mito conservataci da Ant. Lib. II,11.
La rondine, ad es., è paragonata da Filone, che probabilmente attingeva ad epitomi diffuse in ambiente alessandrino, a
una supplice che si rifugia nel tempio: A damno fortiorum fuga accepta, suppliciter (hoc animal) ad homines profugum
in domos velut in templa refugit (De animalibus 22: trad. latina di B. Aucher in PHILONIS ALEXANDRINI De animalibus.
The Armenian text with an introduction, translation and commentary by A. Terian, Chico Ca. 1981, p. 223).
8
Cfr. Sol. 10,19: minime certe a diris avibus impetuuntur nec umquam praeda sunt ut sacrae. I Collectanea di Solino
corrispondono al dato ‘scientifico’ di Plinio, secondo cui la rondine, unico tra gli uccelli, sfugge ai rapaci a motivo del
suo volo rapidissimo e sinuoso: Volucrum soli hirundini flexuosi volatus velox celeritas, quibus ex causis neque rapinae
ceterarum alitum obnoxia est (Plin. 10,73).
9
Si afferma ad es. che le rondini non nidificano a Bizyes, città della Tracia (Sol. 10,19 = Plin. 10,70).
10
Cfr. Plin. 10, 128: e volucribus hirundines indociles esse.
11
Cfr. Sol. 10,19: cibos non sumunt resistentes, sed in aëre capiunt escas et hauriunt. L’osservazione, che nel passo di
Solino assume i connotati di un sintomo di paura e diffidenza, viene da Plin., 10,73: sola avium non nisi in volatu
pascitur, e forse è connessa al fatto che, ancora secondo Plinio (10,113), alla specie delle rondini appartengono uccelli
che non si posano mai se non dentro al nido, poiché privi dell’uso delle zampe.
12
Thebarum tecta subire negantur, quoniam urbs illa saepius capta sit (Plin.10,71; anche Sol., loc. cit.).
13
Inter cetera habere illas quiddam praescium inde noscitur, quod lapsura non petunt culmina et aspernantur peritura
quoquo modo tecta (Sol. 10,19 e poi Isid., orig.. 12,7,70).
14
Gli esempi delle fonti sembrano riconoscere quale presagio funesto soprattutto l’apparizione della rondine, più che la
sua assenza o fuga: Dione Cassio (5015,2), tra i prodigi allarmanti che precedettero la sconfitta di Cleopatra ad Azio,
narra che le rondini avevano fatto il nido presso la tenda della regina e sulla sua nave ammiraglia; in Eliano (nat. anim.
X,34), un nido di rondine nelle rispettive tende preannunzia la sconfitta in guerra di Alessandro II re di Epiro e di
Antioco III re di Siria. Eliano (ibid.) annota anche che la rondine è ritenuta sacra agli dei della casa e ad Afrodite.
15
Cfr. Aesop., 39a ed. A. Hausrat; un adattamento latino della favoletta compare nel Romulus (I,19 t. II, p. 203 ed. L.
Hervieux2).
7
della vendetta16, ed Eliano, riferendosi ad Esiodo, ravvisa nella inquietante insonnia dell’usignolo e
della rondine - totale per l’uno e dimezzata per l’altra - la punizione divina per i crimini commessi
dalle due figlie di Pandione17.
Nel complesso, dunque, le ombre che nell’antichità gravano sulla rondine derivano principalmente
dalle vicende del mito. L’interpretazione negativa trasse tuttavia alimento - con sfumature destinate
a duratura fortuna in virtù della loro natura moraleggiante - anche dalla riflessione filosofica, come
ci è testimoniato dal dibattito che si sviluppò in ambito pitagorico attorno alla massima, attribuita a
Pitagora stesso, xelido/na e)n oi)ki/a mh\ e)/xein
18
. Come tutti gli a)kou/smata, designanti in origine
precisi precetti alimentari e rituali interni alla setta, con il passare del tempo anche il divieto di
«tenere (o accogliere) in casa una rondine» perse la sua intelligibilità e divenne un ‘enigma’ da
sottoporre all’interpretazione, che fu soprattutto, anche se non esclusivamente, di tipo morale19. La
testimonianza più ricca e articolata in tal senso è quella offerta da Plutarco nelle Quaestiones
convivales20 . Durante una cena a casa di Silla, il pitagorico Lucio elenca i precetti del maestro, tra
cui figurano il divieto relativo alla rondine e quello di «nutrire presso di sé uccelli rapaci». I
convitati rimangono colpiti proprio dal fatto che alla rondine, «essere inoffensivo e amico degli
uomini», venga riservato lo stesso trattamento che ai rapaci, «i più selvaggi e sanguinosi tra gli
uccelli». Si sviluppa allora una discussione che, passando in rassegna le diverse interpretazioni del
precetto, non solo ci offre una ricca panoramica delle nozioni e degli esiti allegorici allora correnti
in merito alla rondine, ma ci testimonia anche una compresenza di interpretazioni nei due sensi,
positivo e negativo, e un significativo imbarazzo nei confronti dell’interpretazione negativa,
avvertita come contradditoria ed estranea rispetto a un più immediato ed universale apprezzamento,
voce del senso comune. In primo luogo viene citata l’allusione all’allontanamento degli amici
chiacchieroni e maldicenti21, giudicata però insoddisfacente dallo stesso Lucio in quanto il tratto
della mormorazione non è affatto specifico della sola rondine, che invero non ciarla più di altri
uccelli quali ad esempio la gazza, la pernice e la gallina. Si passa allora a considerare il legame tra
la rondine e il mito: proscrivere la rondine corrisponderebbe in tal caso all’esortazione a bandire le
passioni che condussero Tereo e le due figlie di Pandione a compiere e a subire atti criminosi, ma
Silla non ha chiaro il motivo per cui il su/mbolon pitagorico non stigmatizzi allora anche l’usignolo.
16
Cfr. Ov., met. 6, 643 sg.
Cfr. Ael., VH 12,20 (= Hes., fr. 312 edd. R. Merkelbach - M. L. West).
18
Symbola Pythagorica 7 ed. F. G. A. Mullach (Fragmenta Philosophorum Graecorum I, p. 505).
19
Sui ‘simboli’ pitagorici e la loro trasformazione in ‘enigmi’ cfr. W. BURKERT, Love and science in ancient
Pythagoreanism, Cambridge Mass. 1972, p. 166 sg.
20
VIII,7,2-3.
21
Interpretazione che si ritrova anche in Porph., VP 42. La rondine come esempio di loquacità eccessiva e importuna è
ben presente nella letteratura, in connessione alla vicenda di Filomela: cfr. l’immagine dell’uccello dedito senza ritegno
a ciarlare le proprie sciagure nelle favole esopiche della rondine e della cornacchia (416 ed. C. Halm) e delle rondini e i
cigni (416 b ed. C. Halm).
17
Plutarco, intervenendo da ultimo, fornisce ancora un’altra chiave di lettura, articolata in tre punti,
nei quali si mescolano aspetti salienti della sensibilità pitagorica ed osservazioni naturalistiche di
matrice aristotelica. In primo luogo, alla base dell’associazione tra rondine e rapaci ci sarebbe il
rifiuto dei pitagorici per la sarcofagia: la rondine, infatti, come i rapaci, è carnivora22, poiché si
nutre di cicale. La sua preferenza per le cicale, notoriamente sacre alle Muse e simbolo
dell’ispirazione poetica, aggrava la situazione, assieme al fatto che essa va a caccia di esseri deboli
e minuscoli volando raso terra23. In secondo luogo, la rondine è l’unico animale che, vivendo sotto
lo stesso tetto dell’uomo e godendo in tal modo di sicurezza e protezione, non gli è di alcuna utilità
e, una volta raggiunto il suo scopo - crescere i piccoli - se ne va via, senza dar segno di gratitudine o
di fedeltà. Infine, la caratteristica più sconcertante: pur coabitando con l’uomo, la rondine è, insieme
alla mosca, la sola a non intrattenere con lui alcuna relazione di familiarità; non si avvicina, non si
lascia accarezzare, non gli si fa compagna né di lavoro né di gioco, in virtù di un’avversione e di
una diffidenza congenite che la mantengono sempre selvatica e in atteggiamento di difesa. Tirando
le somme, per Plutarco il precetto, sorta di «immagine di una realtà riflessa in un’altra», utilizza la
rondine come modello di incostanza24 e di ingratitudine, per ammonire l’uomo a non entrare in
intimità e condividere i beni più cari con persone che si avvicinano a lui solo perché attratte dalla
convenienza del momento.
Nel sentimento degli antichi è altrettanto ben radicata la connotazione positiva e luminosa della
rondine, i cui tratti inducono l’osservatore allo stupore e all’ammirazione, prima ancora che
all’angoscia o al biasimo25. Alcune caratteristiche, che abbiamo visto portatrici di senso negativo,
ricorrono parimenti in una chiave positiva. E’ il caso soprattutto della comunanza con gli uomini e
della disinvoltura nel giungere e nel partire, che fanno di questo uccello un emblema di ‘filantropia’
e di libertà26.
Assai diffuso nell’antichità è l’abbinamento della rondine con la primavera, sulla scorta
dell’osservazione che la rondine è un uccello migratore e non stanziale, che giunge con la bella
stagione e scompare con l’arrivo dell’inverno. L’associazione è così popolare da divenire un to/poj,
che troviamo isolato oppure in unione con altri elementi emblematici del ritorno della primavera
22
L’associazione tra rapaci - o, più in generale, uccelli dotati di artigli ricurvi - e la rondine, che pur non possedendo
artigli ricurvi è anch’essa carnivora, figura in Arist., HA VIII,3, 592 a 29 - b 17.
23
Cfr. Arist., fr. 353 ed. V. Rose.
24
Similmente in Giamblico (Protr. 25) la rondine è immagine di noncuranza (r(#?qumi/a) e discontinuità (e)gkoph/) in
quanto uccello migratore: il precetto è inteso come un’esortazione ad escludere dalle lezioni della setta, sempre più
impegnative in ragione della crescente complessità delle scienze implicate, gli adepti incostanti e instabili nello studio.
25
La coesistenza di opposte valenze è un tratto assai diffuso nella struttura dei simboli e delle metafore che gli antichi
coniarono osservando il mondo degli animali: cfr. le considerazioni di M. P. CICCARESE, Il simbolismo antropologico
degli animali nell’esegesi cristiana antica: criteri e contenuti ermeneutici, in Annali di Storia dell’Esegesi VII/2 (1990),
pp. 529-567.
(soffio dello Zefiro, verdeggiare dei prati e sbocciare dei fiori, ripresa delle attività umane dopo la
pausa invernale)27. La rondine segnala che la primavera è ormai alle porte28, e nella sua doppia
veste di araldo del bel tempo e di questuante che chiede ospitalità per il nido era festeggiata e
imitata dai fanciulli di Rodi, che al giungere della primavera giravano di casa in casa a mendicare
leccornie, portando in mano una rondine finta e cantando un’apposita canzone detta appunto «della
rondine» (xelido/nisma)29. La rondine è considerata in qualche modo messaggera della vita che
ricomincia anche nell’arco della singola giornata, poiché canta sul far del giorno e segna la fine
della notte, risvegliando gli uomini dal sonno ed esortandoli a mettersi all’opera30: in tal senso, il
suo canto possiede una connotazione lieta e positiva.
La scomparsa delle rondini durante l’inverno veniva collegata non solo alla migrazione verso luoghi
più caldi, ma anche al letargo, o ibernazione. Secondo Aristotele31 le rondini che sono troppo
lontane dalle zone calde non emigrano, ma si nascondono sul posto e perdono il loro piumaggio. Il
letargo della rondine e il suo annuale risveglio sono assimilati a un ciclo di morte e resurrezione
entro i confini delle potenzialità della natura, secondo quanto troviamo, ad esempio, in Proclo.
Commentando la storia di Er narrata da Platone, Proclo32 indaga sul perché il corpo del soldato,
raccolto sul campo dopo ben dieci giorni dalla battaglia, non fosse ancora putrefatto, e conclude che
Er non era veramente morto, ma che il suo corpo, pur ridotto quasi allo stato di cadavere per lo
stordimento e il dolore dei colpi ricevuti, conservava nella regione del cuore qualche scintilla di vita
che più tardi, diffondendosi per tutto il corpo, avrebbe trasmesso ad esso la facoltà di rianimarsi. Per
dimostrare che non si tratta di un’ipotesi assurda, Proclo si appella appunto al fatto che, in natura,
accade la stessa cosa alle rondini e ai serpenti33.
Gli antichi elogiano la rondine soprattutto per due caratteristiche, che la rendono esemplare: l’abilità
con cui costruisce il nido e la condotta verso i piccoli, che ne fa una sorta di madre ideale. La
sollecitudine e la perfezione con cui essa esegue i suoi compiti sono ritenute mirabili: l’esempio
della rondine è canonico, assieme a quelli di formica, ape e ragno, nelle discussioni a favore o
26
Cfr. Ael., HA I,52: «la rondine è amica degli uomini (fila/nqrwpoj) ed è contenta di condividere con loro lo stesso tetto.
Giunge senza essere invitata, e quando le pare e piace se ne va. Gli uomini la accolgono secondo la legge dell’ospitalità
dettata da Omero, che prescrive di compiacere l’ospite finchè è con noi e di non trattenerlo quando desidera partire».
27
Molti gli esempi nella poesia: cfr. almeno Hes., op. 568: to\n de\ met’o)rqrogo/h Pandioni\j w)=rto xelidw/n / e)j fa/oj
a)nqrw/poij, e)/aroj ne/on i(stame/noio; Hor., epist. I,7,13, ove il poeta comunica a Mecenate che tornerà a Roma cum
Zephiris (...) et hirundine prima; e le descrizioni dell’esordio della primavera nell’Anthologia Palatina (X,1; 2; 4; 5; 6;
14; 15;16). Per l’epistolografia, cfr. gli esempi in K. THRAEDE, Grundzüge griechisch-römischer Brieftopik, München
1970 («Zetemata» 48), p. 88 sg.
28
Cfr. Ael., HA I,52: Xelidw\n de\ a)/ra th=j w(/raj th=j a)ri/sthj u(poshmai/nei th\n e)pidhmi/an.
29
Il xelido/nisma di Rodi è conservato da Athen. VIII, 360c.
30
Cfr. Artemid. II,66: «quando sopraggiunge la primavera, (la rondine) per prima esce in pubblico, per così dire, a
mostrare uno ad uno i lavori da fare. E quando si presenta, non canta mai di sera, bensì di mattina al sorgere del sole,
richiamando al lavoro tutti i viventi in cui si imbatte» (trad. di D. Del Corno, cit.)
31
HA, VIII,16, 600 a 13-16; cfr. Plin. 10, 70.
32
Cfr. Procl., in r. 614 B 4-7 vol. II, p. 116,19 sg. ed. W. Kroll.
33
Ibid., ed. cit. p. 117,12-19.
contro la razionalità degli animali che animarono le scuole filosofiche dell’antichità34, per le quali il
tema costituiva un aspetto non secondario della basilare polemica sulla provvidenza35. In analogo
contesto, la rondine ricorre anche nel De animalibus di Filone, in cui l’Alessandrino, confutando la
tesi della razionalità degli animali difesa dal nipote Alessandro e di origine neo-accademica, unisce
al provvidenzialismo e all’antropocentrismo di marca stoica il concetto biblico della signoria
dell’uomo sulla creazione36. Nel descrivere la fabbricazione del nido e il comportamento materno
della rondine, Aristotele37 e i suoi epigoni, come Plinio38 e Eliano39, fissano i seguenti aspetti: la
rondine costruisce mescolando paglia e fango, e se il fango manca lo produce, rotolandosi con le ali
bagnate nella polvere; tappezza il nido con piume o fiocchi di lana, per custodire prima le uova al
caldo e poi nella comodità i nuovi nati; i piccoli vengono nutriti sia dal maschio che dalla femmina;
la distribuzione del cibo avviene con perfetta equità e a cominciare dal primo nato40; la rondine,
assai pulita, insegna ai piccoli ad evacuare fuori del nido. Su un piano tutto particolare, infine, a
metà tra natura e leggenda, sta la caratteristica che collega la rondine alla guarigione dalla cecità: da
una parte, si osserva che se ai rondinotti ancora piccoli vengono strappati gli occhi, essi col tempo
ricrescono41; dall’altra, la regressione della cecità è presentata come opera della rondine madre, che
la ottiene ponendo sugli occhi dei piccoli un’erba da essa stessa raccolta, detta appunto ‘erba della
rondine’ (‘chelidonia’)42. La rondine si configura dunque anche come un uccello-medico, che
possiede la capacità di riconoscere e utilizzare i rimedi offerti dalla natura ai propri mali43.
34
Basti pensare all’encomio della rondine in Plut., soll. anim. 966d.
Cfr. S.O. DICKERMAN, Some stock illustrations of animal intelligence in Greek psychology, in Transactions and
proceedings of the American Philological Association XLII (1911), pp. 123-130. E’ interessante osservare che Porfirio,
nel difendere la razionalità degli animali, nomina la rondine in virtù del mito di metamorfosi che la caratterizza: «anche
il mito fa intendere che gli animali hanno la nostra medesima anima: nella loro collera, gli dei li mutano da uomini in
animali, ma pur trasformandoli conservano pietà e amicizia nei loro confronti. Tali infatti sono le storie che si narrano
sui delfini, gli alcioni, gli usignoli e le rondini» (cfr. Porph., abst. III,16,7).
36
Cfr. le osservazioni di A. Terian in PHILONIS ALEXANDRINI De animalibus, cit., pp. 46-53.
37
HA IX, 7, 612 b 21-31.
38
X, 92.
39
HA III,24-25.
40
Per la sua generosità ed equità nei confronti dei piccoli, in Egitto la rondine simboleggiava il lascito del patrimonio ai
figli (cfr. Horap., Hieroglyphica 31).
41
In Aristotele troviamo una spiegazione tutta fisiologica del fatto: come altri uccelli che generano un cospicuo numero
di piccoli senza avere un corpo molto grosso, la rondine genera piccoli incompiuti e ciechi, che si perfezionano con la
crescita, a somiglianza dei bambini nati prematuramente. «Ecco perché, se si strappano gli occhi alle rondini quando
sono ancora giovani, esse recuperano la vista: questa ferita interviene loro nel corso dello sviluppo, così esse
proseguono la loro crescita o la riprendono dall’inizio» (GA IV, 6, 774 b 31-34). La ricrescita degli occhi nei piccoli
della rondine è altrove paragonata a quella della coda nelle lucertole e nei serpenti (HA II,17 508 b 4-8). Il collegamento
tra la cecità dei rondinotti alla nascita e il loro numero elevato è ripreso da Plin. 10,165.
42
La notizia compare in Ael., HA III,25: «i piccoli (della rondine) sono lenti ad aprire gli occhi, come anche i cuccioli
dei cani. Ma la madre raccoglie e porta un’erba, ed essi cominciano a vedere»; in Plin. 25,89: Animalia quoque invenere
herbas, in primisque chelidoniam. Haec enim hirundines oculis pullorum in nido <...> restituuntque visum, ut quidam
volunt, etiam erutis oculis. L’herba chelidonia, pianta erbacea delle Papaveracee (Chelidonium maius), è citata nei testi
medici dell’antichità come ingrediente di farmaci per asciugare piaghe, ulcere e verruche, in virtù delle sue proprietà
caustiche (ibid. 8,98; 26,24 e 141). Il legame tra la rondine e la cura della cecità è testimoniato anche dall’uso
medicinale di parti dell’uccello stesso nella cura delle malattie degli occhi: ad esempio, la cenere ricavata dalle teste
bruciate dei rondinotti, mista a miele, era prescritta per rendere più chiara la vista e contro le blefariti e le contusioni
35
La rondine nella Scrittura
Nella Bibbia la rondine compare solo nell’Antico Testamento, e in maniera testualmente
problematica. Infatti i due termini ebraici che, secondo gli studiosi, la designano - ‘deror’,
dall’evidente connotato simbolico in quanto significa anche ‘libertà’, e ‘sus/sis’, onomatopeico, che
riprodurrebbe il grido acuto dell’uccello44 - non hanno ricevuto una traduzione greca univoca, e ciò
ovviamente ha creato divergenze anche nel latino. Un certo disorientamento coglie inoltre anche noi
come lettori moderni, che ci riferiamo alle versioni bibliche condotte ‘sui testi originali’ 45, allorché
scopriamo che i luoghi della Scrittura in cui ci siamo familiarizzati con la rondine non erano
esattamente gli stessi che per i cristiani di lingua greca o latina. Il termine ‘deror’, che compare in
Ps 84,4 («anche il passero trova una casa, / e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, / presso i
tuoi altari, Signore delle schiere») e in Prov 26,2 («come il passero svolazza, come la rondine vola
via, / così la maledizione senza motivo non ha effetto»), viene reso nella Septuaginta nel primo caso
con trugw/n (ma Aquila strouqo/j), Vulgata ‘turtur’, e nel secondo con strouqo/j, Vulg ‘passer’46. Il
greco xelidw//n, Vulg. ‘hirundo’ rende invece ‘sus/sis’, che figura in Is 38,14 («Pigolo come una
rondine, gemo come una colomba») e in Ier 8,7 («Perfino la cicogna nel cielo conosce i tempi suoi,
e la colomba, e la rondine e la gru osservano il tempo del loro ritorno; ma il popolo mio non
conosce il giudizio del Signore»)47. La rondine come xelidw//n /‘hirundo’ figura anche in Bar 6,21
(=Ep. Ier. 22-23): «sul loro corpo e sulla loro testa (scil. degli idoli babilonesi) svolazzano
pipistrelli, rondini, uccelli»; ricordiamo che il testo latino di Baruc presente nella Vulgata è in realtà
quello della Vetus latina48, poiché Gerolamo, non disponendo di un originale ebraico, non fece una
nuova traduzione di questo scritto deuterocanonico49. Infine, abbiamo ancora strouqo/j nel celebre
episodio dell’accecamento del vecchio Tobit in Tob 2,10 («sopra di me c’erano dei passeri; i loro
escrementi ancora caldi caddero sui miei occhi e mi produssero delle macchie bianche»): mentre la
degli occhi (ibid. 29,128; cfr. anche Marcell., med. 8,48; Diosc., II,56; Gal., XII, 359-360); il cervello della rondine
contro la cataratta (Plin. 29,118). Alla rondine gli antichi associavano anche una pietra, ugualmente detta ‘chelidonia’,
di colore bianco o purpureo a macchie nere come la rondine (ibid. 37,155), estratta dallo stomaco dell’uccello, che
veniva usata nelle arti magiche (ibid. 11,203; 30,91) e in medicina contro l’epilessia (ibid. 30,91). I ‘lapilli hirundinum’
sono citati anche da Sereno Samm., 1021 e 1024. La pietruzza, menzionata da Isid., orig. 16,9,6, figura anche nel Liber
lapidum di Marbodo di Rennes (cap. 17: de chelidonio, in PL CLXXI, coll. 1750-1751).
43
Cfr. Plin. 8,98, ove per tale caratteristica la rondine è associata ad altri animali, tra cui il cervo e la lucertola.
44
Cfr. E. BILLICK, Fauna in Enciclopedia della Bibbia, III, Torino 1970, col. 281.
45
Utilizziamo il testo italiano de La bibbia. Nuovissima versione dai testi originali, Cinisello Balsamo 1987.
46
In questi due loci, secondo le tavole compilate dal Billick, a ‘deror’ corrisponde il nome tassonomico di ‘Passer
domesticus’: it. ‘rondine’, ingl. ‘house sparrow’ (E. BILLICK, Fauna, cit. , col. 291: Tavole, n° 102).
47
Per Billick si tratterebbe in tali due casi dell’ ‘Apus apus’, it. ‘rondine’, ingl. ‘swift’ (ibid., col. 295, Tavole, n° 115).
48
Supra corpus eorum et supra caput volant noctuae et hirundines et aves.
49
Com’è noto, l’Epistula Ieremiae, che la Septuaginta colloca dopo Baruc e Lamentationes, diventa nella Vulgata il
cap. 6 di Baruc (cfr. A. ROBERT, Jérémie (la lettre de), in Dict. de la Bible, Suppl. IV, Paris 1949, col. 849).
Vetus latina rende con ‘passeres’50, Gerolamo traduce con ‘hirundines’. Come si può constatare, i
luoghi in cui la rondine risulta distintamente attestata col termine greco xelidw//n (corrispondente a
‘hirundo’ nella Vulgata) si riducono a tre (Isaia, Geremia e Baruc=Lettera di Geremia); per quanto
riguarda Tobia, ‘hirundo’ risulta essere un’innovazione di Gerolamo, che tradusse il libro da un
originale aramaico, vòlto in ebraico con l’aiuto di un interprete51. A Gerolamo dunque si deve un
significativo ampliamento della base scritturistica relativa alla rondine, che soltanto con lui entra nel
libro di Tobia, venendo così a condividere le alterne sorti di questo libro deuterocanonico
nell’occidente latino.
I cristiani e la rondine
1. Tra mortificazione e resurrezione
Nelle testimonianze cristiane la rondine compare a vario titolo legata al tema del pentimento e della
penitenza, in contesti in cui esso ricorre con modulazioni diverse a seconda delle specifiche
preoccupazioni degli autori: si va dal generale atteggiamento di dolore e rincrescimento per il
peccato alla più specifica accezione di penitenza come mortificazione in seno alla vita ascetica, a
valenze particolari quali il digiuno.
Direttamente sulla base delle parole che il re Ezechia, ancora giovane e in pericolo di morte perché
gravemente malato, rivolge a Dio in attitudine penitenziale (Is 38,14)52: «Pigolo come una rondine,
gemo come una colomba», si sviluppa l’associazione fra il lamento della rondine e il grido di dolore
e di supplica del peccatore pentito. Gerolamo, traducendo «pullus hirundinis»53 anziché ‘hirundo’
(Sept. xelidw/n)54, pare voler sfruttare anche la suggestione dell’immagine dei rondinotti che
invocano la madre. Come autore dell’unico commento patristico a Isaia che ci sia interamente
pervenuto55, egli si limita a parafrasare l’affermazione di Ezechia56. La similitudine stabilita dal
profeta ricorre, come esplicito richiamo penitenziale, nell’opera di autore incerto De xlii
50
Cfr. il commento di Ambr., Tob. 2,6 p. 520,21-22 ed. C. Schenkl (CSEL 32,2): cadenti de passerum nido albugine
caecitatem incidit.
51
Cfr. Hier., praef. Vulg. Tob. in PL XXIX, coll. 23-26.
52
La morte prematura era vista dagli Israeliti come castigo del peccato.
53
Sicut pullus hirundinis, sic clamabo; meditabor ut columba..
54
Agli occhi di Gerolamo filologo, tuttavia, le due soluzioni sono sostanzialmente equivalenti, almeno se paragonate a
più sensibili divergenze traduttive nate da una distorta comprensione dell’originale termine ebraico. Cfr. la discussione
in in Is.11,38 (PL XXIV, col. 394C), ove inoltre Gerolamo registra che anche Simmaco, correttamente, inserisce la
rondine, ma in una diversa soluzione del testo: sicut hirundo inclusa, sic cantabo.
55
I commentari su Isaia anteriori a Gerolamo sono infatti per la maggiorparte perduti o mal conservati: le conoscenze
odierne si riducono a frammenti da Origene, Teodoro di Eraclea, Apollinare di Laodicea, Didimo, Ambrogio, a
un’abbreviazione del commentario di Eusebio di Cesarea, all’opera parziale di Basilio e ad una versione armena, non
completa, dell’opera incompiuta di Giovanni Crisostomo (cfr. R. GRYSON-D. SZMATULA, Les commentaires
patristiques sur Isaïe d’Origène à Jérôme, in Revue des Études Augustiniennes XXXVI (1990), pp. 3-41). In questo
ambito, già di per sé così ristretto, scarsissimi sono stati i risultati della nostra ricerca in merito all’esegesi di Is 38,14.
56
Sed ego in similitudinem hirundinis et columbae, fletibus et gemitibus dies noctesque iungebam (Hier., in Is.11,38 in
PL XXIV, col. 394B).
mansionibus filiorum Israel, inserita tra gli spuria di Ambrogio e forse databile al sec. V57. Sulla
scia tracciata da Origene58, le 42 mansiones del viaggio di Israele nel deserto - dall’Egitto verso la
terra promessa - narrate dal libro dei Numeri ricevono una lettura allegorica, che le assimila alle
tappe dell’anima peregrinante in questa vita verso Dio. Il popolo, proveniente dalla prima tappa
(Ramesse, ovvero ‘commotio poenitentiae’), fa sosta a Socoth, che significa ‘tabernacula’: come
chi è pellegrino non ha stabile dimora, ma vive nelle ‘tende’, così l’uomo, finché è nel corpo, deve
respingere il possesso secondo il mondo, cioè la concupiscenza. A Socoth vengono conteggiati gli
anni trascorsi in Egitto, nella schiavitù, e ciò appunto simboleggia l’atteggiamento raccomandato al
penitente, che deve piangere sulla propria vita, secondo le parole del profeta: quia poenitenti dicitur
quod debeat sicut hirundo clamare, et sicut columba meditari annos eius in amaritudine animae
suae59. La rondine typus del penitente figura ancora in Rabano Mauro, che nel De universo
perfeziona l’allegoria innestando le une nelle altre le osservazioni tratte dalla Scrittura e le notizie
naturalistiche attinte da Isidoro di Siviglia, secondo il metodo che caratterizza il suo approccio al
mondo naturale: la rondine, che piange e geme anziché cantare melodiosamente, è tipo del penitente
che si duole dei propri peccati, come dice Ezechia; inoltre essa, che secondo Isidoro si ciba soltanto
in volo senza mai toccare terra, simboleggia il penitente che, innalzando il cuore a Dio, si nutre di
lacrime e invoca il cibo celeste60. Nell’esegesi posteriore, il grido della rondine, còlto nell’aspetto
della sua persistenza, diventerà il simbolo della preghiera assidua e sollecita61, forse anche per
suggestione dell’immagine tradizionale della rondine uccello questuante62.
57
PL XVII, coll. 9-42 (CPL 170a).
Cfr. soprattutto Or., hom. 27 in Num. 4 in PG XII, coll. 784-785.
59
Cfr. Ps. Ambr., mans. 2 in PL XVII, col. 15B. In Origene (loc. cit.) il richiamo a Is 38,14 è assente.
60
Raban.-M., univ. 6 in PL CXI, coll. 251D-252A: Hae autem aves per figuram sunt parabolae hominibus genere
discrepantes, sed consuetudinum qualitate consimiles. Hirundo dicta quod cibus non sumat residens, sed in aere
capiatescas et edat: garrula avis et per tortuosos orbes et flexuosos circuitus pervolans, et in nidis construendis
educandisque foetibus solertissima, habens etiam quoddam praescium, quod lapsura deserat, nec appetat culmina: ab
aliis quoque avibus non impetitur, nec umquam preda est. Maria transvolat, ibique hieme commoratur. Hirundo autem
poenitentium pro peccatis suis typum tenet, quae stridore vocis ploratum magis quam melodiam sonat, et pro cantu
gemitus edere solet, sicut et columba. Unde Ezechias in oratione sua ait: Sicut pullus hirundinis, sic clamabo:
meditabor ut columba. Lacrimis ergo suis poenitens pascitur, et ad superna cor elevans coelestis cibi pabulum sibi
quaerit. Unde et Propheta ait: Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie: ubi est Deus
tuus? Et iterum, Sicut cinerem, inquiens, manducabam panem meum: et potum cum fletu temperabam a facie irae et
indignationis tuae; quia elevans elisisti me. L’intera descrizione della rondine - hirundo dicta (...) hieme commoratur - è
ripresa alla lettera da Isid., orig. 12,70. Da Isidoro proviene anche la classificazione generale degli uccelli con cui
Rabano apre il capitolo ‘de avibus’ (PL CXI, col. 241A): le rondini sono aves che hominum conversatione delectantur;
adventitiae quae propriis temporibus revertuntur; e vocis strepunt.
61
Cfr. Allegoriae in universam sacram Scripturam in PL CXII, col. 954B: Hirundo, assiduitas orationis, ut in Isaia:
Sicut pullus hirundinis id est, iugiter, ad instar hirundinis, festinanter orabo. Le Allegoriae, attribuite a Rabano Mauro,
vanno in realtà collocate nel XII sec. (cfr. A. WILMART, Les allégories sur l’Écriture attribuées à Raban Maur, in
Revue bénédictine, XXXII (1920), pp. 47-56).
62
L’interpretazione penitenziale si fletterà ad esprimere il rapporto tra maestro e discepolo in Hugo-Fol., De bestiis et
aliis rebus, che all’interno del suo ricco cap. I,41 ‘De hirundinis natura, moraliter animae poenitenti addicta’ offre una
vera e propria summa dell’allegorismo cristiano e monastico sulla rondine, largamente basata su Is 38,14: Quod autem
per hirundinem contritio cordis intelligi debeat propheta demonstrat dicens: Sicut pullus hirundinis sic clamabo.
Intelligimus igitur per hirundinem quemlibet discretum doctorem, per hirundinis pullum clamantem discipulum, per
58
Nei testi in cui la tematica penitenziale è affrontata con più marcato ascendente ascetico, l’allegoria
della rondine trova ricche possibiltà: esemplare in tal senso è il Physiologus, che legge i dati di
origine aristotelica sull’uccello nell’ottica del richiamo alla continenza e alla metanoia, in funzione
del milieu ascetico in cui l’opera presumibilmente si colloca63. L’interpretazione della rondine
compare tre volte, se ci atteniamo al Physiologus nell’edizione dello Sbordone64. In due dei tre testi
il nostro tema è centrale: si tratta del cap. 33 della redactio antiquissima65 (Sbordone, pp. 107-108)
e del cap. 18 della redactio secunda o Byzantina66 (Sbordone, pp. 228-229). Nel primo caso la
rondine, che giunge in primavera lasciandosi ormai alle spalle l’inverno e che di primo mattino
scuote gli uomini dal sonno con il suo cinguettìo, è immagine del ‘perfetto asceta’:
«La rondine appare in primavera, quando è trascorso l’inverno, e sul far del giorno cinguetta
destando all’opera coloro che dormono. Anche i perfetti asceti, quando è trascorso l’inverno
del corpo, cioè quando si è estinta ogni brama, dal loro giaciglio ricordano il Signore;
all’alba si raccolgono in meditazione su di Lui, e destano coloro che sono oppressi dal sonno
a compiere il bene, gridando: «Svegliati, tu che dormi, e levati dai morti, e Cristo ti
illuminerà» (Eph 5,14). ‘Morti’ chiama i Giudei, perché dormono senza compiere il bene»67.
La rondine, in tale ottica, canta in primavera in quanto ha superato l’inverno: essa proviene
dall’inverno, è una sorta di primizia della natura rinnovata, cioè della vita ritrovata; una creatura
nuova che in virtù della sua condizione già vittoriosa ha il compito di sollecitare anche negli altri
esseri viventi la rinascita alle opere della luce. Suggestivo è il paragone tra il grido mattutino della
rondine, che risuona in un mondo ancora addormentato, e la preghiera degli asceti, che già vivono
nella primavera spirituale e pertanto sono ‘profezia’ nei confronti di chi ancora vive nelle tenebre68.
L’inverno da cui la rondine proviene allude all’ ‘inverno del corpo’, cioè la dura condizione della
mortificazione della carne che il cristiano alla ricerca della perfezione deve vittoriosamente
attraversare; come non c’è primavera senza inverno, così non c’è rinascita né fecondità spirituale
clamorem mentis contritionem. Clamat pullus hirundinis, dum quaerit a magistro verbum praedicationis. Clamat pullus
hirundinis, dum per confessionem magistro manifestat affectum contriti cordis. Si nosti clamorem hirundinis, nisi fallor,
questum designat animae poenitentis. Clamor enim hirundinis est dolor poenitentis» (PL CLXXVII, col. 42C-D).
63
Cfr. E. PETERSON, Die Spiritualität des griechischen Physiologus, in Byzantinische Zeitschrift, XLVII (1954), pp. 6072.
64
Physiologus, ed. F. Sbordone, Mediolani-Genuae- Romae-Neapoli 1936.
65
La redazione più antica dell’opera è databile secondo i più al III secolo anche se, com’è noto, vi sono tentativi di
anticiparla al II o di spostarla al IV (cfr. S. VOICU, Fisiologo, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, dir. da A.
Di Berardino, I, Casale Monferrato 1983, col. 1380).
66
Databile al V-VI secolo: cfr. U. TREU, Physiologus in Lexikon der antiken christlichen Literatur, Heraus. von S.
Döpp und W. Geerlings, Freiburg-Basel-Wien 1998, col. 508.
67
Trad. di F. Zambon in Il Fisiologo, a cura di F. Zambon, Milano 19934, p. 69.
68
Per un accostamento tra presenza mattutina della rondine e risveglio alla consapevolezza della vita cristiana cfr. anche
Chrys., hom. 24 in Rom.1 in PG LX, coll. 622,19-623,14: «La notte è già inoltrata, il giorno si avvicina. Se quella
finisce, questo invece inizia: compiamo dunque le opere del giorno, non quelle della notte. Così accade infatti anche
nelle cose del mondo: quando vediamo la notte appropinquarsi all’alba e udiamo la rondine cantare, ci destiamo l’un
l’altro; certo la notte non è ancora tutta trascorsa, ma è prossima alla fine, e quindi ci sproniamo a vicenda dicendo ‘E’
ormai giorno’ e diamo inizio alle opere del giorno (...). Ciò che facciamo lì, facciamolo dunque anche qui».
senza sacrificio69. Nel Physiologus dunque la connotazione penitenziale della rondine è
intimamente legata a un altro versante della simbologia dell’uccello, quello che lo collega alla
primavera, alla vita che rinasce, alla resurrezione. La vita della rondine si svolge tutta all’insegna
dell’alternanza e del passaggio: il Physiologus è colpito non soltanto dalla dinamica delle stagioni,
inverno e primavera, ma anche da quella degli ambiti che l’uccello frequenta, deserto e luoghi
abitati dagli uomini. La redactio secunda ci offre infatti un’allegoria del comportamento della
rondine in cui i luoghi giocano chiaramente un ruolo primario; un secondo elemento altrettanto
importante, che si intreccia col primo, è quello della cura della cecità dei piccoli per mezzo
dell’erba chelidonia:
«La rondine è un uccello temporaneo e dal rapido volo. Trascorre metà del tempo nel
deserto e metà nella piazza70, cioè vicino agli uomini, generando i piccoli sia nel deserto sia
nella piazza, e fa il nido nelle case degli uomini. Quando fanno i piccoli, ambedue (i
genitori) partono, procurano il cibo e li nutrono; spesso uno dei piccoli diventa cieco, allora
la femmina subito si reca nel deserto, ne riporta un’erba e la pone sugli occhi del cieco e
subito quello guarisce e riacquista la vista. Anche tu, dunque, o uomo spirituale, seguendo il
profeta che dice ‘me ne starei nel deserto’ (Ps 54,9), parti, così che sia nel tempo presente
sia in quello che verrà tu ottenga frutto per la remissione dei peccati, e se cadrai nei peccati e
la tua mente verrà accecata, rècati nel deserto, cioè nella città fortificata, prendi l’erba, cioè
la conversione, e ponila sulla lesione dell’empietà, e per opera della consustanziale Trinità
sarà sradicata in te la cecità del peccato» 71.
Anziché l’alternanza tra inverno e primavera, abbiamo qui la contrapposizione tra deserto e
‘piazza’, ambedue connotati dalla fecondità (generazione dei piccoli). Tale contrapposizione
implica un’accezione di deserto basata sul senso etimologico della parola greca e)rh=moj, cioè luogo
di solitudine, e quindi di nascondimento. Il deserto è luogo - fisico e spirituale insieme - di una
speciale fecondità: in esso, cioè nella fatica nascosta dell’ascesi, si ottiene ‘il frutto per la
remissione dei peccati’, ovvero si fa penitenza acquistando meriti che hanno valore per il presente e
per la vita eterna. La parte dell’anno trascorsa dalla rondine nella ‘piazza’ e il nido presso le case
degli uomini, pur non ricevendo dall’autore un’esplicita lettura allegorica, nella logica del discorso
potrebbero rappresentare le opere della vita attiva. La cecità che interviene è metafora
dell’offuscamento dovuto al peccato: come la rondine per trovare il rimedio deve ancora una volta
69
Nella versione etiopica del Physiologus, prodotta nel VI o anche VII sec. sulla base di uno stadio assai antico del testo
greco (cfr. C. CONTI ROSSINI, Il Fisiologo etiopico, in Rassegna di studi etiopici, X (1951), pp. 5-51), l’accostamento
tra inverno e mortificazione si giova anche dell’immagine della pioggia, e la permanenza invernale della rondine in un
solo luogo è figura della pazienza degli asceti: l’ uccello «chiamato kalidin», «immagine dei padri di Scete, perfetti nel
loro operare», «dorme finché non sia trascorsa la stagione delle piogge; e nella stagione asciutta sta sveglio. Quelli
invero, mentre trascorre l’inverno delle loro tribolazioni, sopportando pazientemente i flutti della sofferenze che
passano su di loro, si rammentano di stare al cospetto di Dio (...). L’uccello kalidin se ne sta pacifico in un sol luogo fin
che sia trascorsa la stagione invernale» (trad. di C. Conti Rossini, cit., p. 40). Sulla dominante connotazione ascetica del
capitolo 33 Sbordone cfr. anche M. ALEXANDRE, Bestiaire chrétien: mort, rénovation, résurection dans le Physiologus,
in Mort et fécondité dans les mythologies. Actes du Colloque de Poitiers (13-14 mai 1983), publ. par F. Jouan, Paris
1986, p. 133.
70
Oppure «in strada» : «e)n th= platei/#» è locuzione frequente nella Scrittura, con ambedue i sensi.
recarsi nel deserto, così l’uomo, se cade, deve essere disponibile a una via di conversione, per
ottenere il perdono di Dio. Il deserto dove si trova l’erba che porterà alla guarigione è chiamato, con
locuzione biblica, la ‘città fortificata’: allusione alla misericordia72 di Dio-Trinità, ma forse anche al
potere di remissione dei peccati affidato alla Chiesa.
Il terzo testo dedicato alla rondine nel Physiologus (cap. 33bis, Sbordone p. 108) appartiene
alla sua redazione più antica e coinvolge una prerogativa dell’uccello del tutto differente:
«Della rondine il Fisiologo dice che genera una volta sola (a(/pac) e poi non genera più. Il
mio Salvatore una volta sola è stato portato in seno, una volta sola è stato generato, una volta
sola è stato crocifisso, una volta sola è stato sepolto nella tomba, una volta sola è risorto dai
morti. ‘Un solo Dio, un solo battesimo, un solo padre di tutti’ (Eph 4,5-6)»73.
L’unicità della generazione nella rondine - notevole distorsione del dato aristotelico che, al
contrario, pone fra le caratteristiche distintive dell’uccello quella di generare due volte all’anno74pare addotta a difesa dell’unicità dell’incarnazione di Cristo o anche dell’evento della redenzione:
imperniata sull’idea di irripetibilità, ben espressa dall’uso, reiterato e martellante, dell’avverbio
a(/pac, l’immagine ci richiama l’Epistola agli Ebrei, ove il medesimo avverbio sottolinea con
insistenza l’unicità e la definitività del sacrificio di Cristo75. In tal senso, il testo del Physiologus
potrebbe avere come sfondo una polemica sul pensiero di Origene: stando alla testimonianza di
Gerolamo, infatti, fra gli errori attribuiti all’Alessandrino si annoverava la necessità di plurime
incarnazioni-redenzioni, implicata dalla teoria - esposta nel De principiis76- della pluralità di mondi,
precedenti e successivi a quello attuale77.
71
Cfr. Physiologus, ed. F. Sbordone, pp. 228-230.
In tal senso, la locuzione «ei)j po/lin perioxh=j», per la quale Sbordone cita come riferimento Ps 59,11-12, e Ps 107,11,
potrebbe anche intendersi come un’eco di Ps 30,22 »eu)loghto\j ku/rioj, o(/ti e)qauma/stwsen to\ e)/leoj au)tou= e)n po/lei
perioxh=j» (Vulg. Benedictus Dominus, quoniam mirificavit misericordiam suam mihi in civitate munita): l’intero salmo
30 infatti è la supplica di un afflitto che rende grazie a Dio per essere stato salvato, e di Dio si dice che, quando i suoi
gridano a Lui nell’afflizione, li porta al sicuro e li nasconde in luoghi segreti per salvarli dal male e mostrare loro la sua
misericordia.
73
Il capitolo 33bis permane, quale unico testo dedicato alla rondine, nella Versio Y del Physiologus latinus, la quale
copre quasi per intero la materia della redactio antiquissima greca: De hyrundine locutus est Phisiologus quoniam
semel generat, et iam non. Et Salvator meus natus est semel in utero; baiulatus est semel, crucifixus est semel, et
surrexit a mortuis semel: Unus Deus, una fides, unus baptisma (cfr. F. J. CARMODY, Physiologus Latinus versio Y, in
University of California Publications in Classical Philology, vol. XII, n° 7, Berkeley 1941, p. 131).
74
Secondo Aristotele, infatti, la rondine, come il merlo, si riproduce due volte all’anno, distinguendosi in questo dalla
maggioranza degli uccelli selvatici, che invece si accoppiano e generano annualmente una volta sola (HA V,13, 544 a
25-27); la duplice generazione è inoltre chiaramente ribadita anche come segno distintivo della rondine rispetto agli altri
uccelli carnivori (ibid.,VI,5, 563 a 12-14).
75
Cfr. soprattutto Hebr 9,26: «egli si è manifestato ora una volta per tutte - e)fa/pac - alla fine dei secoli, per abolire il
peccato col suo sacrificio», e anche 9,28; 10,10.
76
Cfr. Or., princ. 2,3,5 pp. 260-261 edd. H. Crouzel-M. Simonetti (SCh 252) e le osservazioni di M. Simonetti al passo
in ORIGENE, I principi, a cura di M. Simonetti, Torino 1989, p. 254.
77
Cfr. Hier., adv. Rufin. I,20 pp. 19-20 ed. P. Lardet (CCh 79): Origeni (...) licet (...) innumerabiles mundos introducere
et rationabiles creaturas aliis atque aliis vestire corporibus, Christumque dicere saepe passum et saepius passurum, ut
quod semel profuit, semper prosit adsumptum. Il cap. 33 bis del Physiologus ha suscitato raramente l’interesse degli
studiosi: Ch. Cahier, pubblicando il Physiologus armeno in traduzione francese, ipotizzava con molta riserva
un’allusione alla distinzione tra generazione eterna del Verbo e nascita temporale di Cristo (cfr. CH. CAHIER, Du
Bestiaires et de plusieurs questions qui s’y rattachent in Nouveau Mélanges d’archéologie, d’histoire et de littérature,
72
Pellegrina tra inverno e primavera, la rondine è coinvolta dagli autori cristiani anche nella
simbologia del ‘passaggio’ per eccellenza che è l’evento pasquale della morte e resurrezione di
Cristo. Com’è noto, i cristiani ereditano da Israele una concezione della Pasqua come nuova
creazione o ri-creazione. La Pasqua è vista come ricapitolazione e renovatio mundi: con un afflato
universalistico e cosmico «tutto il creato è visto fiorire dopo il lungo inverno, come se la natura
stessa, e non soltanto l’uomo, si ridestasse da un lungo sonno di morte nel momento in cui il
Salvatore spira, il venerdì santo, sulla croce o, secondo altri, nel momento in cui esce dalla
tomba»78. La coincidenza della Pasqua con l’equinozio di primavera permise lo sviluppo di un ricco
simbolismo sulla Pasqua ‘primavera del mondo’: l’elogio della primavera, spesso espresso nei
termini di una vera e propria lirica che ricalca i temi di analoghe celebrazioni ad opera dei poeti
ellenistici, compare in molti testi di natura omiletica e catechetica della Chiesa antica79. Uccello
della primavera, dunque partecipe a pieno titolo dell’atmosfera della resurrezione, la rondine è
tuttavia legata alla Pasqua non tanto quale generico segno della vita che rinasce, quanto piuttosto
come emblema della mortificazione connessa alla rinascita: essa infatti ricorre come simbolo del
digiuno. Il tema compare soprattutto nell’opera di Giovanni Crisostomo, e in testi compresi a vario
titolo nel corpus dei suoi spuria. Ecco ad esempio l’articolata metafora di un’omelia per l’inizio
della Quaresima, a commento di Gen 1,1 e sul tema del digiuno e dell’elemosina:
«Dolce è la primavera per i naviganti, dolce è per gli agricoltori: ma né per i naviganti né per
gli agricoltori la primavera è così dolce come, per coloro che desiderano riflettere, è dolce il
tempo del digiuno (nhstei/a), la primavera spirituale delle anime, la vera bonaccia dei
pensieri. Dolce è infatti la primavera per gli agricoltori, perché vedono la terra coronata di
fiori e, come un mantello colorato disteso ovunque su di lei, il germogliare delle piante;
dolce è la primavera per i naviganti perché, sedatesi le onde, possono solcare con sicurezza
il dorso marino (...) Ma per noi è dolce la primavera del digiuno, perché suole acquietare le
onde non delle acque, ma dei desideri irrazionali, e ci cinge di una corona non di fiori, ma di
grazie spirituali (...). Come la rondine con la sua apparizione suole scacciare l’inverno, ancor
più il digiuno, mostrandosi, respinge l’inverno delle passioni della nostra mente»80.
L’associazione tra rondine e digiuno si dispiega con dovizia di particolari - unica nel suo genere a
quanto ci risulta - in un testo in cui l’accostamento tra la primavera e la Pasqua raggiunge un
elevato grado di elaborazione retorica: si tratta dell’omelia pseudo-crisostomica In ver et in
resurrectionem81. L’omelia, poggiando su un’ampia descrizione della «primavera sensibile» come
Paris 1874, p. 136); l’interpretazione in senso anti-origeniano ci risulta recentissima: cfr. A. SCOTT, The date of the
Physiologus, in Vigiliae Christianae, LII,4 (1998), pp. 430-441: 441.
78
R. CANTALAMESSA, La Pasqua della nostra salvezza, Casale Monferrato 1971, p. 196.
79
A cominciare dall’omelia pseudo-ippolitea In sanctum Pascha; per un elenco di testimonianze analoghe fino al IV
secolo, cfr. R. CANTALAMESSA, I più antichi testi pasquali della Chiesa, Roma 1972, p. 113 e ID., La Pasqua della
nostra salvezza, cit., p. 197.
80
Chrys., serm. I in Gen.1 pp. 138-141 ed. L. Brottier (SChr 433).
81
Ps. Chrys., In ver et in resurrectionem, vol. I, pp. 21-25 ed. K.-H. Uthemann (Homiliae pseudo-chrysostomicae I). Su
questa omelia, che il codice Vat. gr. 455 assegna alla domenica dopo Pasqua (cfr. A. EHRHARD, Überlieferung und
metafora della «primavera intelligibile», si rivolge soprattutto ai neo-battezzati, alberi che nella
notte di Pasqua, «primavera della primavera», da secchi e spogli che erano hanno ricevuto in dono
«una chioma che non appassisce». Nell’elogio della nuova stagione che, «cortese, porta a
compimento la passione salvatrice, venendole incontro garrulamente», i topoi della poesia tardoellenistica si intrecciano alle immagini bibliche,
creando un'articolata metafora del percorso
pasquale e della liturgia battesimale appena compiuta. La teoria di protagonisti delle tipiche attività
stagionali (naviganti, agricoltori, pastori) è metafora del susseguirsi degli operai del Vangelo
(apostoli, evangelizzatori, sacerdoti che oggi «nutrono gli agnelli appena nati del fonte
battesimale»). Le creature del mondo naturale che festeggiano il bel tempo alludono all’assemblea
che inneggia a Cristo sul far del giorno (i passeri mattutini) e al predicatore che parla dall’alto del
pulpito (la cicala sull’albero); alla rondine è riservata la descrizione più lunga82:
«Ora la rondine ciarla il bel tempo, in semplicità non si vergogna degli estranei, senza
chiedere nulla a nessuno esplora le case, nei luoghi non suoi costruisce dimore, come se
volesse ciarlare così: ‘In nome dell’ospitalità ospitate la rondine: permettete che la senza
tetto generi; datemi un posto per covare i miei nati.
Non ho bisogno nel costruire di chi mi procuri il materiale, non grido quando ho il travaglio
del parto, io stessa sono medico del mio parto: quello che genero col ventre, lo aiuto ad
uscire con la bocca, tirando fuori i piccoli col (mio) forcipe»83.
La descrizione, che quanto alle parole messe in bocca all’uccello sembra consistere in una ripresa
della tradizionale ‘canzone della rondine’, a testimonianza dunque della popolarità di questo
ritornello anche presso i cristiani84, riceve la seguente interpretazione:
«Resta da scoprire chi sia la rondine: chi è il precursore della primavera della vita? Il
digiuno (nhstei/a): certamente questa nobile nutrice di figli, messaggera dell’inverno vorace,
trovando le gole come finestre aperte si è spiegata in volo quale esploratrice dei ventri,
volteggiando sulle furiose brame del ventre; ha fatto casa andando a condividere la dimora
della temperanza. «Accrescete la pazienza nei miei confronti, o amanti della continenza:
adornate il popolo con canti perseveranti. Io non amo gli inverni dell’ubriachezza; dico
addio alla brina del mangiar carne; nidifico negli stomaci morigerati; sono compagna di
Bestand der hagiographischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche, II, Leipzig 1938, p. 115), non si
possiedono a tuttoggi dati precisi.
82
L’associazione tra passeri (strouqoi/), cicala (te/ttic) e rondine (xelidw/n), oltre che avere un retroterra ellenistico,
potrebbe costituire un’eco di Ier 8,7, secondo una versione del testo diversa da quella della Septuaginta (cfr. nota 104).
83
In ver et in resurrectionem ed. cit., p. 22, ll. 47-58.
84
Se è plausibile la sopravvivenza del xelido/nisma nella cultura greca cristiana dell’epoca tardo-antica, in un’omelia del
Crisostomo abbiamo trovato chiara traccia anche del permanere, nell’Antiochia del IV secolo, dell’antica tradizione che
all’origine ne costituiva il contesto, secondo la quale al giungere della primavera cantori questuanti si recavano di casa
in casa a raccogliere doni, portando con sé simulacri di rondine che venivano fatti roteare: predicando sull’elemosina,
infatti, Crisostomo stigmatizza con ironia la durezza di cuore dei suoi fedeli, che mentre negano il necessario ai
bisognosi non esitano invece a colmare di regali gli importuni musicanti invernali «e quelli che, tinti di fuliggine,
portano in tondo le rondini dicendo male di tutti, riompensati per una simile meraviglia» (kai\ oi( xelido/naj perife/rontej,
kai\ h)sbolwme/noi, kai\ pa/ntaj kakhgorou=ntej, misqo\n th=j teratwdi/aj tau/thj lamba/nousin: Chrys., hom. 35 vel 36 in Mt 3 in
PG LVII, col. 409,22-24).
coloro che vivono in eterno; mi sono unita a Mosè per quaranta giorni; ho abitato con Elia il
medesimo tempo; mi ha accolto allo stesso modo anche Cristo nel deserto»85.
L’inverno gelido, da cui la rondine fugge perché non trova le condizioni adatte alla sua vita, è qui
l’immagine dell’intemperanza del ventre. Alla ricerca di una dimora adeguata, la rondine-digiuno
saggia i ventri sbirciando dalle bocche come da finestre, e si ferma a nidificare soltanto «negli
stomaci morigerati», come già furono quelli di Mosè, Elia e dello stesso Cristo. L’appello a
pazientare nell’accoglienza della rondine, cioè a non abbandonarsi invece all’intemperanza, va
inteso - ci sembra - come un richiamo, rivolto ai cristiani e ai neofiti, a mantenere una condotta
degna della festa di Pasqua: l’omelia, infatti, si conclude con l’esortazione a ‘onorare la Pasqua’
camminando «onestamente come in pieno giorno»86, anche per distinguersi polemicamente dai
modi dei Giudei87.
Il ritratto della rondine offerto da questa omelia presenta anche altri aspetti che, nel complesso, ci
paiono riconducibili a caratteristiche quali sobrietà, semplicità, adattamento alla precarietà e alla
difficoltà: essi, senza dubbio pensati come introduzione alla metafora particolare del digiunotemperanza, ci suggeriscono tuttavia anche un’immagine più generale, che - come vedremo - è ben
attestata nella tradizionale interpretazione cristiana della rondine: quella cioè di un’esistenza vissuta
con essenzialità, questuante ma dignitosa, dipendente ma libera da veri condizionamenti perché
affidata alla Provvidenza.
In questa ottica si possono ad esempio gustare le sfumature del suggestivo paragone tra i poveri e le
rondini collocato in un’omelia pseudo-crisostomica sulla parabola delle dieci vergini (Mt 25,1 sg.).
La notte volge al termine, lo sposo sta per arrivare e le vergini prudenti, che non possono concedere
del proprio olio alle stolte, giacché «nessuno può adornarsi delle buone opere altrui», le esortano ad
andare a comprarne presso i venditori, ma esse affermano di non conoscerli neppure:
«Ma chi sono mai, o prudenti, questi venditori? (...) Infatti li ignorano, poiché mai hanno
trafficato con loro. Chi sono dunque questi venditori? Sono i poveri che si accalcano sulle
porte delle chiese, le rondini spirituali (ai( logikai\ xelido/nej), che recano la buona novella
della primavera spirituale delle anime (ai( tw=n yuxw=n eu)aggelizo/menai logiko\n e)/ar),
mediatori venerandi presso Dio, invincibili oratori nel giorno del giudizio»88.
La rondine, che compare a conclusione dell’inverno quale nunzio della primavera, è povera e va
mendicando ospitalità: accogliendo la rondine, gli uomini accolgono la primizia della bella
stagione. Così il cristiano, beneficando i poveri, guadagna già il mondo nuovo, poiché essi sono i
85
In ver et in resurrectionem, p. 23, ll. 86-100.
Ibid., p. 25, ll. 164-165 (cfr. Rom 13,13).
87
Per un analogo invito cfr. Ps. Chrys.,. in resurrectionem Domini 2,7-12 p. 320 ed. M. Aubineau (SChr 187): si
esortano i fedeli a trascorrere il giorno del Signore non nelle osterie ma affrettandosi ai luoghi sacri; non
nell’ubriachezza ma nella moderazione; non esultando come i Giudei ma nell’allegria degli apostoli; non a giocare nelle
piazze ma a salmodiare nelle case.
86
veri precursori dello Sposo, che a chi non li avrà onorati dirà: «ciò che non avete fatto ad uno di
questi piccoli, non l’avete fatto a me»89.
Tornando al tema della fuga della rondine dall’inverno e del suo ritorno nelle case degli
uomini solo al sopraggiunge del tepore primaverile, secondo tutt’altra sensibilità esso si flette a
metafora del rapporto tra il Signore e l’anima in un sermone dello Pseudo-Macario, impostato sul
paragone tra primavera e presenza dello Spirito Santo:
«come le rondini nel tempo dell’inverno si ritirano in luogo appartato perché non possono
sopportare l’asprezza dei venti e la durezza del gelo, e ritornano nella stagione della
primavera, quando trovano l’aria mite e serena essendosi allora riscaldata la terra, e una
volta giunte vanno - come fossero le proprie - alle case degli uomini, vi irrompono e subito
vi edificano il nido e generano i loro piccoli e ciarlano con la voce della loro natura, così
anche il Signore, giungendo alle case delle anime nostre, si ferma a riposare nel nido del
nostro cuore e lì prende dimora, una volta che sono trascorsi i marosi, l’aspro inverno e
l’oscurità, e lì risplendono i pieni bagliori della sua dolcissima luce, essendo entrata in
quella casa una pace profonda»90.
La rondine primaverile come simbolo del rinnovarsi della creazione compare anche in contesti non
pasquali: ad esempio, nell’ Inno sulla Natività di Romano il Melode, Eva, stupita per il mistero
dell’incarnazione che si è compiuto nella vergine Maria, esorta Adamo con queste parole:
«Udendo la rondine che canta al sorgere del mattino, o Adamo, lascia il tuo sonno di morte e
àlzati (...) Le cose vecchie sono passate, e tutto è nuovo grazie al figlio di Maria, il Cristo.
Respira la sua rugiada e subito rifiorisci, drìzzati come una spiga: la primavera infatti è
giunta sino a te, Gesù Cristo spira come dolce brezza»91.
L’invito a vivere in maniera degna l’identità cristiana, che abbiamo incontrato nell’omiletica
pasquale, è in senso più lato il tema centrale anche delle catechesi battesimali, che illustrano e
approfondiscono il significato del battesimo dilatandolo a tutto l’orizzonte della vita dell’uomo. A
questo genere di opere si può accostare il trattato di Ildefonso di Toledo intitolato De itinere deserti
( o De progressu spiritalis deserti)92, che in dittico con il De cognitione baptismi93, di cui
costituisce il diretto completamento, rappresenta una preziosa testimonianza della pastorale
dell’iniziazione cristiana nella Spagna di epoca visigotica. Alla base delle due opere di Ildefonso c’è
88
Cfr. Ps. Chrys., virg. parab. in PG LIX, col. 529,50-57.
Mt 25,45, cit. in virg. parab., col. 530,23-25.
90
Cfr. Makarios/Symeon, serm. 18,6,9 collectio B, pp. 205,20-206,1 ed. H. Berthold (GCS Makarios/Symeon, Reden
und Briefe II). La lontananza della rondine nella stagione fredda e il suo ritorno in primavera permangono come
metafora del rapporto tra Dio e l’uomo peccatore e poi penitente anche in testimonanze pienamente medievali. Cfr.
Alan.-Ins., Distinctiones dictionum theologicarum in PL CCX, col. 915B: ‘Pullus’ (...) Dicitur poenitens, unde
Ezechias: Sicut pusillus hirundinis, sic clamabo. Hirundo tempore hiemis recedit, tempore caloris accedit; unde per
hirundinem eleganter figuratur Deus, qui in gelicidio infidelitatis recedit ab homine, in fervore charitatis accedit ad
hominem; unde per pullum hirundinis figuratur poenitens, qui per gratiae renovationem Dei filius fit, et est quasi
hirundinis filius, et non clamat ad alium pro remissione peccatorum nisi ad Deum.
91
Rom. Mel., cantica XI (II), str. 4,1-3; 6,3-7 pp. 92-96 ed. J. Grosdidier De Matons (SChr 110).
92
PL XCVI, coll. 171-192.
93
Ibid., coll. 111-172.
89
la tradizionale tipologia che ravvisava nel passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei il simbolo
del battesimo cristiano, e nelle loro peregrinazioni nel deserto il simbolo del viaggio spirituale che
attraverso svariate prove conduce alla terra promessa, cioè alla vita eterna. Sulla scorta dei suoi
autori prediletti - Agostino, Isidoro, Gregorio Magno - che compila abbondantemente, l’autore fa un
largo uso di immagini, simboli e allegorie, molti dei quali erano familiari perché si incontravano
nella sinossi biblica della Veglia pasquale, mentre altri erano ispirati all’ambito stesso della
catechesi battesimale94. Nel Liber de itinere deserti, in particolare, largo spazio è dato al
simbolismo del mondo naturale: Ildefonso anche qui riassume una tradizione anteriore, sebbene non
sia sempre facile segnalare con precisione le sue fonti di ispirazione95. Al cristiano che, rigenerato
dal battesimo e impegnatosi con le rinunzie che esso comporta, intraprende il viaggio nel deserto di
questo mondo, Ildefonso illustra le numerose presenze che incontrerà lungo il cammino. Dopo gli
alberi e i frutti, simboli del refrigerio spirituale che Cristo dona al viandante e delle virtù che la
grazia realizza nelle anime, compaiono una serie di uccelli, «aves spirituales» deputate a offrire
all’uomo che le contempla sollievo e compagnia, con il loro canto o con la loro forza e bellezza 96.
Accanto ad allegorie del Cristo (pellicano, gufo, passero, folaga, gallina, aquila), dello Spirito Santo
(colomba), della Chiesa (tortora), troviamo proprio la nostra rondine:
Hirundo illa perspicax, linguaque nitenti sono opportune importune praedicans, pigros
excitat, quae libertate contemplationis vividae volans nulli rapacissimae daemoniosae avi
praeda cognoscitur; industria sancti operis nidum construens mentis, ubi dum cogitationum
pullos in proximorum amabili societate, velut in hominum domo fovet post ad volatum
perfectae virtutis opus dirigit actionis.97
Nel complesso, l’allegoria ci sembra indicare, a conforto del viaggiatore nel deserto, l’esempio del
cristiano particolarmente vigilante o - ancor meglio - il predicatore o l’apostolo (la rondine
opportune importune praedicans è chiara eco di 2 Tim 4,298), che in virtù di un’accurata custodia
della propria mente, favorita dalla vita di fraternità, non cade in preda alle tentazioni e può così
dedicarsi alla contemplazione della verità e ad incitare all’opera cristiana chi si è intorpidito.
Perfettamente giustificata nel contesto se teniamo presente la connessione della rondine con il
deserto e dunque con la simbologia dell’Esodo, l’allegoria offre però problemi circa le fonti, non
ancora individuate99. Almeno per quanto riguarda i dati che fungono da base, il punto di partenza
94
Cfr. L. ROBLES, Anotaciones a la obra de San Hildefonso «De cognitione baptismi», in Teología Espiritual, XIII
(1969), pp. 379-457.
95
Cfr. A. ROBLES SIERRA, El tratado «De progressu spiritalis deserti» de Ildefonso de Toledo (notas y sugerencias), in
Homenaje a Fray Justo Pérez de Urbel, II, Silos 1977 (Studia Silensia 4), pp. 73-91.
96
Cfr. Ildef. Tolet., de itinere deserti cap. LIII: «De avium spiritalium solatio» in PL XCVI, col. 183A.
97
Cap. LXI («De significantia hirundins») ibid., col. 184A-B.
98
Praedica verbum, insta opportune, importune, argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina.
99
Nessuna ipotesi sul cap. LXI compare infatti nello studio più dettagliato circa le fonti dell’opera, quello già citato di
A. ROBLES SIERRA (cfr. nota 95). Per la maggior parte degli altri uccelli, Ildefonso riprende le allegorie di Agostino.
può essere secondo noi in parte riconosciuto nella ‘scheda’ che Isidoro dedica alla rondine nel libro
XII delle Etymologiae100, laddove si dice, sulla scia dei naturalisti latini, che essa non è mai oggetto
di caccia da parte degli uccelli predatori (A diris quoque avibus non inpetitur, nec umquam praeda
est) e che è straordinaria nella costruzione del nido e nell’allevamento dei piccoli (in nidis
construendis educandisque fetibus sollertissima). La saggezza della rondine, per cui essa sistema al
sicuro il nido con i piccoli in prossimità delle case degli uomini, per poter poi essere libera di
volare, è una caratteristica che troviamo invece menzionata in Ambrogio101. Per l’immagine
dell’uccello che, ciarliero, risveglia i dormienti incitandoli al lavoro, ci viene subito alla mente
l’allegoria svolta nel Physiologus: ma un’ascendenza di quest’opera è difficile da documentare,
anche perché nell’unica versione latina antica del Physiologus che, a quanto ci risulta, contenga un
capitolo sulla rondine102, quell’allegoria non figura affatto, essendovi presente soltanto il
corrispettivo del cap. 33bis Sbordone103. Il retroterra dell’interpretazione di Ildefonso, che pur
essendo pertinente al tema del deserto non gravita tuttavia attorno alla penitenza come significato
centrale, resta ancora da indagare.
Uno degli elementi primari della metafora primaverile che coinvolge la rondine, come
abbiamo avuto già modo di evidenziare, è il canto, inteso come annunzio e primizia della nuova
stagione o come richiamo mattutino a scuotersi dal sonno. Per tali connotazioni, esso è alla base del
raro impiego della rondine ad allegoria di precisi personaggi della storia della salvezza: impiego
limitato, a quanto ci risulta, all’ambito dell’esegesi pseudo-crisostomica. I pochi esempi sono
connessi all’esegesi degli animali citati in Ier 8,7, passo che compare sempre utilizzato secondo una
versione, diversa da quella della Septuaginta, comprendente accanto alla tortora e alla rondine
anche la cicala104. Nell’omelia In Petrum et Paulum105 la rondine indica Paolo, «grande araldo della
100
Orig. 12,70 p. 279 ed. J. André (Paris 1986).
Cfr. Ambr., hex. V,17,56 p. 183,2-7 ed. C. Schenkl (CSEL 32,1): Quid enim sapientius, quam ut et volandi vaga
libertate potiatur et hominum domiciliis parvulos suos et tecta commendet, ubi subolem nullus incurset? Nam et illud
est pulchrum, ut a primo ortu pullos suos humanae usu conversationis adsuescat et praestet ab inimicarum avium
insidiis tutiores.
102
Cioè la Versio Y publicata dal Carmody (cfr. nota 73). In ambedue le altre redazioni del Physiologus latino, la Versio
B e la Versio C, è assente ogni trattazione sulla rondine. Ricordiamo che un testo latino del Physiologus era già
conosciuto alla fine del sec. V, quando lo troviamo incluso fra i libri proibiti dal Decretum di papa Gelasio come
apocrifo di Ambrogio. Per uno status quaestionis sulle versioni latine del Physiologus cfr. G. ORLANDI, La tradizione
del Physiologus e i prodromi del bestiario latino, cit., p. 1067 sg.
103
Per il quale cfr. supra, pp. 12-13.
104
Il testo di Ier 8,7 («Perfino la cicogna nel cielo conosce i tempi suoi, e la colomba, e la rondine e la gru osservano il
tempo del loro ritorno; ma il popolo mio non conosce il giudizio del Signore») è problematico: le versioni greche
presentano varianti, dovute essenzialmente alla difficile interpretazione dei nomi ebraici degli uccelli. Un panorama dei
loci controversi e delle diverse soluzioni è offerto da Gerolamo, a commento della propria resa latina (Milvus in coelo
cognovit tempus suum: turtur et hirundo et ciconia custodierunt tempus adventus sui), che si distacca in più punti dalla
Septuaginta (kai\ h( asida e)n t%= ou)ran%= e)/gnw to\n kairo\n au)th=j, trugw\n kai\ xelidw/n, a)grou= strouqi/a e)fu/lacan kairou\j
ei)so/dwn au)tw=n). Ci limitiamo qui a segnalare ciò che si dice riguardo alla rondine: anziché xelidw/n (Sept.), Simmaco
traduce te/ttic (cicada=cicala), essendo i due rispettivi termini ebraici assai simili tra loro (cfr. Hier., in Ier. II,52,1 p.
87,10-11 ed. S. Reiter, CCh 74). Gerolamo sembra dunque parlare di due rese che si escludono a vicenda; tuttavia
notiamo che in alcuni testi - quali appunto varie omelie pseudo-crisostomiche, inclusa forse la già esaminata In ver et in
101
verità», «aquila che vola nelle altezze, lira dello Spirito, rondine e cicala»; nel paragone con Pietro,
«che senza sosta va cantando per il mondo come un usignolo», l’Apostolo delle genti è lodato come
«instancabile rondine della Chiesa»: in questo secondo caso, il richiamo alla rondine esce dal puro
tracciato scritturistico per tingersi dei colori della tradizione letteraria classica, nella ripresa della
tipica associazione tra rondine e usignolo. La rondine è non solo nunzio, ma anche precursore della
stagione nuova: in tale veste ‘profetica’ la troviamo altrove collegata alla figura di Isaia, «rondine
della Chiesa», che tanti secoli prima dell’incarnazione proclamava a gran voce la misericordia di
Dio, in ideale unità con Paolo suo successore, «lira dello Spirito Santo, cicala della Chiesa», che
ritto sull’ambone annunziò l’avvenuta redenzione dell’uomo in Cristo106. Rondine e cicala
compaiono ancora nella Homilia in Ps. 83 (de turture seu de ecclesia), ad arricchire l’allegoria
principale della tortora-Chiesa. Uccello casto e amante della vita ritirata, che attende con desiderio
l’arrivo del compagno per rimanergli fedele per sempre, anche se rimane vedova, la tortora è il
simbolo della Chiesa, la sposa del Cantico che attende il suo sposo; la rondine rappresenta
Giovanni, «amante della solitudine» - dunque il Battista -, mentre la cicala è Paolo «dal bel
parlare», il «flauto della Chiesa»107.
Un ulteriore e più particolare abbinamento tra rondine e vita che rinasce è quello che si
appoggia alle notizie in merito al letargo fornite dai naturalisti: secondo Giorgio di Pisidia, che nel
suo Hexaemeron celebra l’onnipotenza di Dio attraverso la descrizione ammirata del mondo creato,
per la quale attinge largamente alle fonti della cultura scientifica antica, la rondine che durante
l’inverno si nasconde nel cavo degli alberi, perde il suo piumaggio, e poi si ridesta in primavera con
una nuova livrea, è un esempio incontrovertibile della forza vitale della natura, da utilizzare a difesa
della plausibilità della resurrezione finale dei corpi; in senso analogo viene citata anche la capacità
della rondine di riacquistare la vista mediante la chelidonia, «dopo tre giorni»: quest’ultimo
particolare, che si innesta sulla fonte ad evidente richiamo alla resurrezione di Cristo, pare
un’aggiunta dell’autore stesso108.
resurrectionem (cfr. nota 82) - l’allusione a Ier 8,7 implica evidentemente ambedue gli animali, e che secondo tale
‘doppia versione’ il passo è citato ad es. da Teodoreto di Cirro (cfr. i luoghi segnalati a nota 129 e 135, ai quali si può
aggiungere anche in Is. 1,3 in PG LXXXI col. 220C).
105
Cfr. Ps. Chrys., Petr. et Paul.1 in PG LIX, col. 493,3-7: Pau=loj o( me/gaj th=j a)lhqei/aj kh/ruc (...) o( e)n u(yhloi=j
peto/menoj a)eto\j, h) lu/ra tou= Pneu=matoj, h( xelidw\n kai\ te/ttic (...); 493,63-65: Pau=loj h) a)/paustoj xelidw=n th=j )Ekklhsi/aj!
Pe/troj o( dihnekw=j t$= oi/koume/n$, kaqa/per a)hdw\n, luri/zwn a)pau/stwj.
106
Cfr. Ps. Chrys., poenit. 1,2 in PG LX, coll. 684,75-685,6.
107
Cfr. Ps. Chrys., hom. in Ps. 83,1 in PG LV, col. 599,53-55: xelido/na to\n file/rhmon )Iwa/nnhn, te/ttiga to\n eu)/lalon
Pau=lon, to\n th=j )Ekklhsi/aj au)lo/n. Sebbene il testo della PG (che riproduce l’edizione di B. de Montfaucon) adotti in
luogo di file/rhmon (posto in apparato) la lezione fila/nqrwpon (congettura di H. Savile), abbiamo preferito la prima
soluzione: infatti, anche se l’immagine della rondine ‘amica degli uomini’ non è assente dalla tradizione, essa però si
abbina con molta difficoltà al personaggio del Battista, presentato di solito dalle fonti - letterarie e iconografiche - come
eremita; in questo contesto ci sembra dunque più plausibile il richiamo alla rondine quale frequentatrice di luoghi
desertici o solitari.
108
Geo. Pis., hex. vv. 1318-1335 in PG XCII, coll. 1534-1536: «In che modo la rondine, privata della vista, avanza
riacquistandola nel terzo giorno dopo che si è spalmata sulle pupille un’unica erba, che non senza eleganza i giudici
Il tema dell’erba chelidonia, collegato anch’esso alla doppia simbologia della mortificazione e della
rinascita, come abbiamo potuto riscontrare nel Physiologus, trova applicazione in ambito
penitenziale anche fuori di metafora, nell’ambito specifico delle discussioni sulla penitenza
‘seconda’ che animarono la Chiesa dei primi secoli. Nel De paenitentia di Tertulliano esso compare
all’interno di una ripresa dei topoi della discussione antica sulla presenza della razionalità degli
animali, risolta, come in tutti gli autori cristiani, in direzione negativa. L’esempio della rondine è
associato a quello del cervo: pur essendo privi di ratio, ambedue sanno riconoscere al momento
opportuno i rimedi medicinali stabiliti da Dio per le loro malattie:
Mutae quidem animae ei inrationabiles medicinas sibi divinitus adtributas in tempore
agnoscunt: ceruus sagitta transfixus, ut ferrum et inreuocabiles moras eius de uulnere
expellat, scit sibi dictamnum edendam; hirundo si excaecaverit pullos nouit illos oculare
rursus de sua chelidonia109.
In tal senso, questi animali sono di ammonimento al battezzato che, caduto in peccato e trovandosi
dunque in estremo pericolo, rifiuta di ricorrere al farmaco della exomologesis che la Chiesa gli
offre, mettendo così a repentaglio la propra salvezza:
Igitur cum scias adversus gehennam post prima illa intinctionis dominicae munimenta esse
adhuc in exomologesi secunda subsidia, cur salutem tuam deseris, cur cessas adgredi quod
scias mederi tibi?110
Il paragone stabilito da Tertulliano viene ripreso alla lettera da Paciano, vescovo di Barcellona,
nella sua Paraenesis ad paenitentiam111.
Gran parte degli elementi più volte ricordati - letargo e astinenza dal cibo, canto primaverile,
allevamento dei piccoli e loro cura mediante la chelidonia - compariranno nel loro insieme a
delle antiche dottrine stabilirono di chiamare chelidonia, meritando il suo nome dalle stesse azioni? La rondine in tempo
d’estate articola il canto come una lira, ma quando sopraggiunge l’inverno si nasconde, si dà da fare per trovare un
albero come dimora, si rinchiude avviluppandosi nel tronco e si spoglia del rivestimento delle piume; in appresso
indossa tuttavia una nuova livrea, emergendo come un morto dal sepolcro. La primavera le arreca la resurrezione, ed
essa molto garrisce e ogni giorno parla, se pure gli uccelli hanno parola. O uomo, imapra a rispettare la resurrezione,
quando vedi la rondine che ciarliera esce dal sepolcro» (trad. di L. Tartaglia in GIORGIO DI PISIDIA, Carmi, a cura di L.
Tartaglia, Torino 1998, p. 389). La guarigione dei rondinotti dalla cecità diverrà aperta metafora della resurrezione
ultima nell’allegorismo medievale; cfr. Herveus Burgidolensis, in Isaiam in PL CLXXXI, coll. 368D-369A, ove
troviamo la simbologia dell’ottavo giorno: ‘Clamabo’, inquit, ‘ut pullus hirundinis’, qui natus clausos habet oculos
usque ad diem octavum, et clamat propter caecitatem et famem. Sic enim homo, in huius vitae caecitate natus, usque ad
diem novissimae resurrectionis positus in tenebris et egestate, clamare iugiter debet pro his ad Deum, et compunctioni
studens, meditari ut columba, quae pro cantu gemit assidue.
109
Tert., paenit. 12,6 p. 339,17-22 ed. J. G. Ph. Borleffs (CCh 1).
110
Ibid., 12,5 p. 339,14-17.
111
Pacian., paraen.11,2 pp. 140-142 ed. C. Granado (SChr 410): Excaecatos hirundo pullos novit oculare de sua
chelidonia; nos lumina mentis amissa nulla malae tractationis radice curabimus? Ecce nec capris nec hirundini homo
similis caecitati suae invidet et dolori. In pieno Medioevo, il farmaco della chelidonia riceve un’interpretazione
moraleggiante in Rutperto di Deutz, a commento dell’esortazione di Eccl 15 a essere liberi e distaccati di fronte alle
cattive circostanze così come alle buone: Nos alio quoque instruit exemplo nostra hospes hirundo, docta medicari
pullos suos, qui caeci nascuntur, succo chelidoniae, visum quem negat natura praestat medicamine. Sicut oculos mentis
tuae disce medicari, o homo, ut praecaveas mala, sicut docet Ecclesiastes (Rupert., in Eccl. 15 in PL CLXVIII, col.
1262D).
codificare l’identità della rondine negli Aenigmata di Aldelmo, che ci offrono dell’uccello un
ritratto naturalistico e non allegorico, basato su echi virgiliani e sui dati della trattatistica
tradizionale112.
2. Una madre esemplare
Il comportamento materno della rondine, ammirevole nella costruzione del nido e nell’allevamento
dei piccoli, ha sollecitato gli scrittori cristiani in varie direzioni. La lode della rondine-madre
coinvolge aspetti che hanno anche una valenza allegorica propria e più generale: è soprattutto il
caso della libertà con cui questo uccello affronta la sua situazione di bisogno, che ne fa un
eccellente simbolo della vita vissuta con essenzialità, nel distacco dall’angoscia del possesso e in
serena e fattiva fiducia nella Provvidenza. Nell’ Esamerone di Basilio, la rondine che da sola
costruisce il nido e in mancanza di fango se lo procura rotolandosi con le ali bagnate nella polvere,
e sa affrontare e risolvere la cecità dei suoi pulcini approfittando del farmaco che la natura le offre,
è un monito per l’uomo a non disperare nella povertà e nelle prove:
«Nessuno si affligga della sua povertà; né disperi della propria vita chi vede la sua casa
priva di mezzi, osservando l’abilità della rondine (...) Ti sia di ammonimento questo
esempio, per non volgerti al male a causa della povertà; e perché nelle gravissime prove tu
non getti via ogni speranza restando inattivo e senza energia, ma possa rifugiarti in Dio, il
quale, se a una rondine elargisce tali doni, quanti più non ne darà a coloro che lo invocano
con tutto il cuore!»113
La pagina di Basilio è ripresa da Ambrogio, che amplifica la dimensione della sollecitudine
materna, considerando la rondine come maternae sedulitatis in filios grande documentum114. La
rondine, povera di ogni mezzo sed egregie pio sublimis adfectu115, edifica nidi più preziosi dell’oro
grazie alla sua saggezza, che la spinge a stabilirsi presso gli uomini per maggiore sicurezza della
prole e per essere così libera di volare; ancor più che per la capacità e l’attenzione con cui struttura
il nido, essa è sommo esempio di pietas e di intelligente industria per la perizia con cui cura gli
occhi dei piccoli. Tutto ciò nel quadro del richiamo, anche in Ambrogio centrale, alla fortezza e
alla fiducia in Dio nelle difficoltà della vita, soprattutto quelle di natura finanziaria; il
comportamento della rondine appare ad Ambrogio paradigmatico anche per il fatto che essa nel
112
Aldh., aenigm. XLVII p. 433 ed. Fr. Gloire (CCh 133): Absque cibo plures degebam marcida menses, Sed sopor et
somnus ieiunia longa tulerunt; Pallida purpureo dum glescunt gramine rura, Garrula mox crepitat rubicundum
carmina guttur. Post teneros fetus et prolem gentis adultam Sponte mea fugiens umbrosas quaero latebras; Si vero
quisquam pullorum lumina laedat, Affero compertum medicans cataplasma salutis Quaerens campestrem proprio de
nomine florem. Aldelmo riecheggia Verg., georg. 4,306 sg.: Ante novis rubeant quam prata coloribus, ante Garrula
quam tignis nidum suspendat hirundo. Per il tema del rubicundum guttur (probabilmente anch’esso eco virgiliana:
georg. 4,15) cfr. nota 3.
113
Bas., hex. VIII,5,176D-177A pp. 454-456 ed. S. Giet (SChr 26 bis). Trad. di M. Naldini in BASILIO DI CESAREA,
Sulla Genesi (Omelie sull’Esamerone), a cura di M. Naldini, Milano 1990, p. 255.
114
Cfr. Ambr., hex. V,17,56 p. 182,21-22 ed. C. Schenkl (CSEL 32,1).
momento più acuto del bisogno si astiene dal nuocere agli altri, a differenza degli uomini, che alla
disperazione in caso di miseria aggiungono le trame per la brama di guadagno:
Nemo igitur de inopia queratur, quod vacuas pecuniae proprias aedes reliquerit. Pauperior
est hirundo, quae vacua aeris abundat industria, aedificat nec impendit, tecta attollit et nihil
aufert proximo nec indigentia et paupertate ad nocendum alii compellitur nec in gravi
filiorum imbecillitate desperat. Nos vero et paupertas afficit et inopiae necessitas vexat, et
plerosque indigentia cogit in flagitium, inpellit in crimen; lucri quoque studio in fraudes
versamus ingenium, aptamus adfectum atque in gravissimis passionibus spem deponimus
fractique animo resolvimur, inprovidi et inertes iacemus, cum de divina miseratione tunc
sperandum amplius sit, cum praesidia humana defecerint.116
La sollecitudine materna della rondine ha colpito i cristiani anche per i suoi risvolti pedagogici: il
rapporto tra la madre e i pulcini, infatti, è stato assunto a metafora del rapporto tra Dio e l’uomo nei
contesti più diversi. La fecondità di tale metafora deriva certo in buona parte dalla più generale
valenza che il legame genitore/figlio riveste all’interno della sensibilità biblica, e che ha condotto ad
allegorizzare analogamente il senso materno o paterno di molti altri animali: tuttavia, alcuni
particolari rendono peculiare il caso della rondine, guadagnandole così uno spazio specifico
nell’immaginario cristiano. Fra le occorrenze più significative, citiamo un testo ancora dello
pseudo-Macario117. Nel descrivere la dinamica tra l’amore ardente e compassionevole dello Spirito,
«madre dei santi», e l’anima, paragonata a un bimbo piccolissimo tutto definito dall’invocazione
alla madre, l’autore evoca la naturale reciprocità di affetto tra la madre e i piccoli che si osserva
anche negli animali, scegliendo proprio l’esempio della rondine: essa, tutta dedita ai piccoli, per
proteggerli dal pericolo dei rettili nidifica in un luogo elevato, ove li alleva; i pulcini, da parte loro,
«non danno retta alla voce di nessuno, uomo, animale o altri che sia, né si lasciano distrarre da
nulla, ma non appena sentono la voce della sola madre subito si destano e gridano per chiamarla».
La madre, nel nutrirli, viene incontro alla
loro debolezza triturando il cibo, perché possano
effettivamente trarre profitto dal pasto.
Il comportamento della rondine-madre è richiamato anche nello pseudo-agostiniano Sermo 53
Mai118, questa volta a simboleggiare, in maniera assai suggestiva, la pedagogia di Cristo nei
confronti dei discepoli, quale emerge dall’episodio evangelico della tempesta notturna sul lago
119
.
Gesù invita Pietro e i suoi compagni a salire in barca e di prendere il largo senza di lui, dicendo che
li avrebbe raggiunti una volta congedata la folla. Egli, che agisce per saggiare la loro fede, non
vuole tuttavia provarli al di là delle forze, e anche se sembra assente, in realtà non li abbandona mai:
115
Ibid.
Ibid. 17,57.
117
Macarius/Symeon, Neue Homilien I, Aus Typus III, Hom. 27,4 pp. 154,21-155,5 edd. E. Klostermann-H. Berthold
(TU 72).
118
In PL XLVII, coll. 1141-1142 (De evangelio, ubi beatus Petrus in mari tempestatem sustinuit in navi) = ed. A. Mai,
Spic. Rom. VIII, pp. 715-716.
116
quando li vede spaventati dalla tempesta, li segue da lontano camminando sulle acque, per poi
rassicurarli rendendosi riconoscibile. Gesù agisce con i discepoli come la rondine con i piccoli:
quando gradualmente insegna loro a volare, essa non si allontana mai troppo, per impedire che,
ancora inesperti e paurosi, cadano, e quando li vede in seria difficoltà si fa presente e teneramente li
rassicura:
Nutritos hirundo pullos suos cum volandi arti disponit, paululum quidem in aere dimittit,
quibus tamen ipsa vicina est, ne forte decidant trepidando, adhuc infirmi volando. Ita et
salvator noster Iesus Christus discipulos suos quasi teneros pullos de nidulis quietis emisit
marinis fluctibus adprobandos. At ubi coepit pinnas devotionis eorum marina procella
turbare, et ventosa tempestas dissipare, ipse potens est sequi navigio qui imperat vento (...)
Ubi exclamant, inquit, Domine salvator es noster? Praemisisti nos, et dimisisti nos (...) Ecce
tempestas, ubi est pietas? (...) Continuo advenit Dominus, cum pietate subridens ad teneros
pullos. Ventis turbantibus dissipatis, venit potenter, appellat clementer, suos quoque reficit
sapienter.120
Ugualmente attinenti all’educazione e all’allevamento dei piccoli, ma di tutt’altro tenore, sono le
osservazioni sulla vita della rondine nel nido che troviamo in un’omelia di Giovanni Crisostomo su
Col 1. Il cristiano che, di fronte al dono inestimabile della partecipazione al regno del Figlio di
Dio121, anziché bruciare di gratitudine e di zelo disattende gravemente la sua vocazione, vivendo nel
torpore e nella mollezza, viene paragonato al pulcino che, volendo rimanere sempre nel nido,
diventa debole e inetto alla vita, fino ad incorrere nella morte. Crisostomo svolge una similitudine
tra il nido della rondine, destinato a crollare trascinando con sé gli uccelli mal cresciuti, e la vita
dell’uomo nel presente, che si concluderà con la fine del mondo e il giudizio finale:
«Un nido è la vita presente, impastata di pagliuzze e di fango. Se anche mi mostrerai case
maestose e le regge stesse risplendenti di molto oro e di gemme, per nulla le riterrò diverse
dai nidi delle rondini. Quando infatti verrà l’inverno, tutte le cose si distruggeranno da sole:
ma chiamo ‘inverno’ quel giorno che non per tutti è un inverno. Infatti anche Dio chiama
quel tempo ‘notte’ e ‘giorno’, nell’un caso riferendosi ai peccatori, nell’altro ai giusti. In un
senso analogo dunque io ora lo chiamo ‘inverno’. Se durante l’estate non ci saremo ben
nutriti, per poter volare quando verrà l’inverno, le nostre madri non ci prenderanno con sé,
ma lasceranno che ci uccida la fame o che periamo assieme al nido che cade. Come fa con
quel nido, Dio ancor più facilmente purifica tutte le cose, tutto distruggendo e restaurando e
componendo. Ma quelli che non sanno volare e non possono andargli incontro nell’aria, e
sono stati educati così sordidamente e senza liberalità da non arrivare a possedere delle ali
leggere, patiranno ciò che è ovvio per coloro che hanno questo genere di infermità. Però un
nido di rondine, quando è caduto, rapidamente muore: noi invece non moriamo, ma siamo
puniti per l’eternità»122.
119
Cfr. Mt 14,22 ss.
PL XLVII, coll. 1141.
121
Cfr. Col 1,13.
122
Chrys., hom.1 in Col. 2, 4 in PG LXII, col. 314,24-46.
120
Nell’opera del Crisostomo la dipendenza dei rondinotti dalla madre e la cura sollecita di questa per
il loro nutrimento sono più volte evocate anche a similitudine del rapporto tra il predicatore e i
fedeli. Gli ascoltatori che con trepidazione attendono la parola del sacerdote sono paragonati ai
piccoli che, scorgendo la madre che ritorna al nido, protendono il collo per ricevere il cibo123; in
un’omelia pseudo-crisostomica, la madre che sfama i piccoli raccolti in attesa nel nido è immagine
del predicatore che istilla il nutrimento spirituale nelle orecchie dei fedeli convocati in assemblea124.
L’immagine del nido di rondine, che da un lato è nucleo ove tornare e dall’altro luogo di fervida
attesa, è impiegata dal Crisostomo anche per illustrare il pensiero paolino circa l’atteggiamento
ideale del marito verso la moglie costantemente impegnata nelle cure domestiche e familiari, che è
quello di venire in aiuto a lei e ai figli nella vita spirituale: come la rondine ritorna al nido con il
cibo per la femmina e i piccoli, così l’uomo deve far rifluire in casa propria gli insegnamenti utili
che gli accade di ascoltare all’esterno125.
3. Tra gli a)/loga z%=a
La rondine, come già abbiamo accennato, trova un suo spazio anche nell’applicazione in ambito
cristiano di argomenti attinti alle discussioni filosofiche pro o contro la razionalità degli animali.
Negli autori cristiani, gli animali scelti sono il risultato degli esempi tradizionali della polemica
stoica, che difendeva la tesi dell’irrazionalità, con l’aggiunta del piano scritturistico126: in tal senso,
la rondine si trova in un’ottima posizione, potendo confermare la sua già solida fama con il testo di
Ier 8,7. In questo passo, infatti, l’ammirazione del profeta per il comportamento della rondine, unito
a quello di altri uccelli, è chiaramente subordinata al riconoscimento della sua natura irrazionale: il
fatto che a compiere atti notevoli siano degli esseri forniti da Dio del solo istinto rappresenta un
eloquente monito per l’uomo, il quale, pur dotato invece dei sommi beni della ragione e della
libertà, non giudica né sceglie in conformità ad essi. In Ier 8,7 si allude alla capacità di riconoscere
la stagione opportuna al rientro propria degli uccelli migratori: essi, che obbediscono d’istinto
all’ordine naturale, sono contrapposti a Israele, che indurito nel suo errore si è allontanato da Dio e
non vuole tornare, disconoscendo il richiamo del suo Signore127. L’interpretazione che troviamo nei
Padri possiede alcune sfumature. In generale, non si pone l’accento sul ‘ritorno’ degli uccelli, ma
piuttosto sulla loro capacità di scegliere sempre il meglio, l’utile. Essi scelgono di tempo in tempo il
luogo più adatto ove vivere, mentre Israele non ha accolto il meglio, cioè quello che Dio gli offriva
123
Cfr. Chrys., hom. in 2 Tim 3,1,1 in PG LVI, col. 271,10-17, ed anche hom. div. 9,1 in PG LXIII, col. 511,48-49.
Cfr. Ps. Chrys., Iud. in PG XLVIII, col. 1075,29 sg.
125
Cfr. Chrys., hom. 5 in 2 Thess. 5 in PG LXII, col. 499,31-34.
126
Cfr. S.O. DICKERMAN, Some stock illustrations of animal intelligence in Greek psychology, cit., p. 25.
127
Questa sembra l’interpretazione attuale del passo: cfr. W. MCKANE, A critical and exegetical Commentary on
Jeremiah, I, Edinburgh 1986, p. 184.
124
(Ps. Crisostomo)128; spostandosi, sanno procurarsi il necessario sostentamento, mentre gli Israeliti
«non colgono il frutto della legge» (Teodoreto di Cirro)129. In altri casi, si insiste sul ‘conoscere’ o
sul ‘riconoscere’ ciò che è familiare, anche per l’influsso di Is 1,3130: gli uccelli migratori in
primavera sanno ritornare ad solitas regiones, mentre Israele non sa riconoscere il suo Dio
(Gerolamo)131. Il ‘saper riconoscere’ è sfruttato anche in contesti di polemica con i Giudei, per
biasimare la lunga storia di cecità che ha condotto Israele, blasphemis oculis et profano pectore, al
disconoscimento del Messia132. Ambrogio cita Ier 8,7 fra le documentazioni della sensibilità
metereologica degli animali, e si sofferma a commentare brevemente solo il caso della rondine:
Novit hirundo quando veniat, quando etiam revertatur, novit etiam pia avis adnuntiare adventus sui
testimonio veris indicium133. Capacità di comprendere e di scegliere sono alla base anche della
lettura del passo che troviamo in un frammento delle omelie di Origene su Geremia conservato
dalle catene, secondo cui tortora e rondine sono immagine degli ascoltatori intelligenti (oi( sunetoi\
a)kroatai)/ e di coloro che sono in grado di scegliere il meglio (oi( ei)j to\ le/gein ta\ krei/ttona i(kanoi/)134.
L’argomentazione di Geremia è utilizzata degli scrittori cristiani su più fronti. Innanzitutto a riprova
dell’universale orientamento dell’azione della Provvidenza a favore dell’uomo: Dio, fornendo gli
animali di mirabili caratteristiche, desidera scuotere l’uomo e ricordargli la sua dignità di creatura
128
Cfr. Ps. Chrys., fr. in Ier. 8,7 in PG LXIV, col. 846C-D.
Cfr. Thdt., Ier. 8,7 in PG LXXXI, col. 556C-D.
130
«Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone: Israele invece non comprende, il mio popolo
non ha senno».
131
Cfr. Hier., in Ier. II,52,2 p. 87,18-21 ed. S. Reiter (CCh 74).
132
Cfr. Altercatio Ecclesiae et Synagogae 201-203 p. 32 ed. J. N. Hillgarth (CCh 69A). Sull’operetta, variamente
attribuita (Agostino, Severo di Minorca, Vigilio di Tapso) cfr. B. STUDER, Altercationes in Dizionario patristico e di
antichità cristiane, I, cit., coll. 143-144. Il tema del popolo irriflessivo, ‘dagli occhi che non vedono’, è uno dei più
fecondi nella fortuna del libro di Geremia sin dagli albori della riflessione della Chiesa (cfr. CH. KANNENGIESSER,
Jérémie chez les Pères de l’Église in Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, VIII, Paris 1972, col. 896). Ier
8,7, assieme a Is 1,3 e ad altri testi di analogo tenore, figura ad es. in Cypr., testim. I,3 pp. 40-41 ed. G. Hartel (CSEL
3,1). Tuttavia è interessante osservare che i Padri non sviluppano una vera e propria esegesi delle capacità degli uccelli
di Ier 8,7 in senso ‘profetico’: solo in Crisostomo abbiamo trovato un accenno in tale direzione, laddove Isaia, che
annunzia in anticipo la misericordia di Dio riecheggiato poi da Paolo a redenzione avvenuta, è definito ‘rondine della
Chiesa’ (cfr. nota 106). L’interpretazione degli uccelli (assortiti secondo la Vulgata) come figure dei profeti del Cristo giudei e pagani - comparirà invece in pieno sec. XII nei sermoni dell’abate claravallense Garnier de Rochefort:
Hirundinem dico Ioannem Baptistam, turturem Simeonem, milvum Balaam, ciconiam vero Sibyllam: isti mirabiliter de
Deo predicaverunt (Garn., serm. XXXII.in PL CCV, col. 775B); a proposito della rondine allegoria del Battista,
l’Autore, oltre ad alludere all’aspetto penitenziale e forse anche al fatto che l’uccello si nutre senza mai toccare terra,
valorizza insolitamente i colori: Hirundini vero Ioannem Baptistam non immerito comparamus, quia collum eius
martyrium rubricavit, ventrem candidavit virginitas, dorsum autem onus poenitentiae denigravit, qui solo corpore in
hac peregrinatione constitutus, de coelesti patria spirituali cibo pascebatur (serm. XL in PL CCV, col. 825A).
133
Ambr., hex. VI,4,20 p. 215,11-13 ed. C. Schenkl (CSEL 32,1). L’osservazione di Ambrogio viene ripresa in HugoFol., De bestiis et aliis rebus, ove riceve anche una spiegazione allegorica consona alla più generale simbologia
penitenziale della rondine: Novit pia avis annuntiare adventus sui testimonio veris initium. Revertitur hirundo post
frigus hiemis, ut annuntiet initium veris. Similiter iustus post frigus nimiae tentationis revertitur ad temperantiam
moderatae mentis, ut qui frigus tentationis evaserat, ad aestatem, id est dilectionis calorem moderate per ascensus boni
operis accedat. Haec est igitur natura hirundinis, id est animae poenitentis, quae sempre quaerit veris initium, quia in
omnibus tenet discretionis et temperantiae modum. Ecce qualiter simplex avis eos instruit, quos ab initio divina
providentia discretos facit (De bestiis I,14 in PL CLXXVII, col. 43A-B).
134
Cfr. Or., fr. 5 in Ier. p. 200,21-25 ed. E. Klostermann2 (GCS Origenes 3).
129
razionale. La citazione di Ier 8,7 - assieme ad altre di simile tenore - è ad esempio così commentata
da Teodoreto di Cirro135:
«Preoccupato della tua utilità, il Creatore ha adornato le specie dei viventi privi di ragione
con alcuni privilegi naturali, in maniera che anche da questo tu potessi ottenere un vantaggio
(...). Dunque i privilegi naturali dei viventi sprovvisti di ragione servono ad accusa contro gli
uomini che hanno invece questo dono. Per questo il profeta che, preso da tristezza,
rappresentava la tragica caduta degli uomini nell’irrazionale, gridava: L’uomo, cui è stato
fatto l’onore, non l’ha capito, si è paragonato agli animali privi di ragione e si è reso simile
a loro (Ps 48,13).»
Su analoghe basi, anche il Crisostomo aveva inserito gli animali nella lode della Provvidenza la
quale, «dotando di comportamenti naturali gli esseri bruti, ci ha ordinato di imitarne alcuni e di
aborrirne altri»136. Tra gli esempi che inducono alla virtù ci sono naturalmente gli uccelli di
Geremia, che il profeta adduce «per svergognare l’ingratitudine dei Giudei»137. Altrove il
Crisostomo coglie nel ricorso da parte di Gesù ad esempi tratti dal mondo animale una sua cosciente
imitazione dell’Antico Testamento, che rimandandoci «all’ape, alla formica, alla tortora, alla
rondine»138, ci svela la stessa divina pedagogia che troviamo nel comportamento di Gesù: tutta la
Scrittura, infatti, non solo addita agli uomini ciò che è loro inferiore affinchè non obiettino di essere
inadeguati, ma anche li esorta ad imitare, degli esseri inferiori, non l’impossibile ma ciò che si può
raggiungere con l’uso del libero arbitrio. In tal senso, l’invito di Gesù a guardare gli uccelli del
cielo, che pur non seminando né tessendo non si angustiano per il cibo e per il vestito, è più cogente
di un richiamo all’eccezionale continenza di Elia, Mosè o Giovanni il Battista, e allude non
all’impraticabile astensione dall’impegno con le necessità materiali, bensì alla libertà dall’eccessiva
preoccupazione per esse fondata sulla fiducia nella Provvidenza139.
Le capacità della rondine ricorrono anche come esempio, sotto un’angolazione rovesciata, in
contesti in cui si affronta il problema della specificità dell’uomo. Così Agostino, nel De ordine,
afferma che la superiorità dell’uomo sulla bestia è dovuta unicamente al possesso della ratio, in
virtù della quale l’uomo ha coscienza dei propri atti: infatti anche l’istinto conduce ad azioni
eccellenti, come nel caso della rondine o dell’ape, che costruiscono dimore con perfezione
matematica, ma soltanto l’uomo «sa quello che fa»140. Nel De vera religione, l’accostamento tra
l’abilità della rondine costruttrice e l’opera dell’uomo, ritenuto in un certo senso legittimo giacchè
l’intera creazione è regolata dalla medesima tensione all’unità e all’armonia, tuttavia viene
ricondotto alle sue vere proporzioni dalla semplice constatazione che «la rondine fa il nido in un
135
Thdt., provid. 5 in PG LXXXIII col. 628B-C (trad. di M. Ninci in TEODORETO DI CIRO, Discorsi sulla provvidenza,
trad., intr. e note a cura di M. Ninci, Roma 1988, p. 134).
136
Cfr. Chrys., stat. 12,2 in PG XLIX, col. 129,14-16.
137
Ibid., col. 130,7-8.
138
Cfr. Chrys., hom. 21 vel 22 in Mt. 3 in PG LVII, col. 298,1-3.
139
Ibid., col. 297,42 sg.
solo modo, e così ogni specie di uccelli, ciascuna a suo modo», mentre gli uomini hanno in sé
qualcosa che permette loro di «inventare innumerevoli figure, come se di esse fossero i padroni»141.
L’esempio della rondine trova un suo spazio anche in margine alle interpretazioni della pericope di
Eccl 3,18-21, lo spinoso passo che assimila la sorte dell’uomo a quella delle bestie e getta il dubbio
sulla sopravvivenza ultraterrena dell’anima. È il caso del commentario sull’Ecclesiaste di Didimo
ritrovato a Tura, ove, a supporto della tesi secondo cui l’autore sacro, parlando degli animali, alluda
in realtà agli uomini, vengono addotte alcune espressioni comunemente riferite agli animali,
improprie di per sé ma legittime se intese in senso figurato: fra di esse si citano anche la lali/a della
rondine, che in verità non è una ‘chiacchiera’ ma solo un’emissione di suoni142, e la sua arte di
costruire, che naturalmente è solo ‘simile’ a quella dell’uomo, giacché gli a)/loga z%=a non agiscono
per libertà ma per istinto143.
Una singolare interpretazione della rondine di Ier 8,7 è quella che troviamo in Clemente
Alessandrino. Nel V degli Stromati, osservando che i Greci sono tributari degli Ebrei nella
conoscenza della verità anche per quanto concerne l’uso del linguaggio simbolico, Clemente adduce
a riprova i famosi symbola pitagorici. Il primo ad essere citato è proprio il divieto di tenere in casa
una rondine. Clemente riprende la spiegazione allegorica, attestata in Plutarco (che però non la
condivide144), secondo cui non si deve accogliere presso di sé «una persona chiacchierona,
maledica, linguacciuta, che non sa mantenere i segreti di cui venga a parte». Quindi tale significato,
allo scopo di evidenziare il debito dei Greci, è posto in collegamento con la Scrittura, cioè con la
citazione di Ier 8,7, che Clemente commenta così:
«non è mai opportuno avere dimestichezza con ciarle insulse. E difatti la tortora quando tuba
indica ingrata maldicenza e lagnanza, e si fa bene a cacciarla di casa, «affinchè non stiate più
a pigolarmi intorno, chi da una parte chi dall’altra» (Hom. Iliad. IX,311). La rondine poi,
che richiama per allusione il mito di Pandione, merita cerimonie espiatorie per le sciagure
che di lei si raccontano, di cui sappiamo che Tereo parte fece subire e parte a sua volta subì.
Essa poi perseguita anche le canore cicale: se ne trae che si deve tener lontano, giustamente,
colui che perseguita la parola. Dice una lirica: ‘Sì, per lo scettro di Era che protegge
l’Olimpo, io ho un fedele custode sulla lingua (Adesp. 13 D.)’. Ed Eschilo: ‘Anch’io ho sulla
lingua una chiave che la custodisce’ (Aesc. fr. 316 N.)»145.
Questo passo ci sembra interessante da più punti di vista. In primo luogo Clemente, nel presentare
le varie motivazioni del biasimo greco nei confronti della rondine, sembra ricondurle
sostanzialmente tutte ad un unico significato primario, quello che fa dell’uccello l’immagine della
140
Cfr. Aug., ord. 2,19,49 p. 134,1-21 ed. W. M. Green (CCh 29).
Cfr. Aug., vera rel. 43,80 p. 240,228 ed. K.-D. Daur (CCh 32).
142
Cfr. Didym., comm. in Eccl. 95,1-7 p. 144 ed. M. Gronewald (PTA 22 Didymos Komm. zum Eccl. 2).
143
Ibid. 97,9-16 p. 148 ed. cit.
144
Cfr. supra p. 4 e nota 21.
141
parola non tenuta a freno o male impiegata. Se lo scopo di Clemente è mostrare che i Pitagorici
adombrarono nel symbolon una verità universale, ciò implica che anche il riferimento al mito di
Tereo debba essere inteso nella medesima chiave: ovvero come allusione non ai delitti narrati nella
saga - che equivarrebbe a un riconoscimento, impossibile da parte di un cristiano, dell’attendibilità
della favola pagana - ma piuttosto alla loquacità tutta metaforica della rondine-fanciulla, che va
ciarlando ovunque le proprie sciagure. Quella di Clemente, a quanto ci risulta, è la più antica eco in
ambito letterario cristiano del mito della rondine: esclusivamente valorizzato come allegoria
moraleggiante del grido petulante e sgraziato dell’uccello, esso ebbe in generale una scarsa
fortuna146. Ma ciò che più colpisce è che, secondo Clemente, l’allegorismo negativo dei Greci è
consonante con l’affermazione del profeta, che in tale logica, dunque, dovrebbe rappresentare una
nota di disapprovazione per gli uccelli che menziona: laddove invece, come abbiamo visto, essa è
correntemente intesa come una lode, tanto da costituire per contrasto l’appoggio del rimprovero
mosso a Israele. Clemente doveva quindi conoscere un altro tipo di lettura di Ier 8,7: non solo
allegorica e moraleggiante, come ben dimostra la sua interpretazione della tortora quale simbolo di
maldicenza e petulanza, ma anche e soprattutto negativa: l’aggancio tra la messa al bando dei
pitagorici e la migrazione menzionata da Geremia ha infatti un senso solo supponendo che tortora e
rondine migrino in quanto ospiti non gradite. Non sappiamo dire se Clemente attinga da altri una
simile lettura - magari dall’allegorismo di Filone - o se essa sia invece di sua invenzione.147
La rondine compare anche in alcuni stadi della querelle sulla natura dell’anima umana.
Tertulliano148, confutando la teoria della metensomatosi, afferma che la somiglianza tra uomini e
animali dal punto di vista delle abitudini, dei temperamenti e delle passioni è imputabile
esclusivamente ad una comunanaza di qualità naturali e non ad un’identità della sostanza: in tal
senso, la somiglianza non significa affatto che «gli sparvieri provengono dagli uomini rapaci, i cani
da quelli sporchi, le pantere da quelli mordaci, o le pecore da quelli probi, le rondini da quelli
145
Cfr. Clem., str. V,V,27,2-6 pp. 342-343 edd. O. Stählin - L. Früchtel (GCS Clem. Alex. 2 ). Trad. di G. Pini in
CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromati. Note di vera filosofia, introduzione, traduzione e note di G. Pini, Milano 1985,
pp. 563-565.
146
Una delle rare menzioni esplicite della vicenda mitologica, secondo la suddetta interpretazione moraleggiante, si
trova in un’epistola di Gregorio di Nazianzo (ep. 114, 2-5): a Celeusio che, alquanto loquace, aveva criticato il suo
silenzio, Gregorio narra la favola esopica delle rondini e dei cigni, la cui morale è che il mutismo di per sé non è più
deplorevole della verbosità. Le rondini rimproveravano ai cigni di essere amanti della solitudine e di privare gli uomini
del loro canto: «Noi, invece, frequentiamo le città e le case degli uomini, ciarliamo loro attorno e raccontiamo le nostre
avventure, gli antichi fatti, Pandione, Atene, Tereo, la Tracia, il viaggio, l’oltraggio, la mutilazione, la lettera e dopo
tutto ciò Iti e come da esseri umani fummo mutati in uccelli». Ma i cigni rispondono: «Gli uomini vengono a noi nella
solitudine per ascoltare il nostro canto, che noi non mescoliamo con le chiacchiere. Voi, invece, che vi stabilite presso
gli uomini, li esasperate, e quando cantate essi si allontanano. Hanno ragione, perché pur avendo la lingua mozzata, non
riuscite a tacere e deplorate la perdita della voce e le disgrazie che vi sono occorse, e così siete più ciarliere di qualsiasi
altro uccello che abbia lingua agile e sia musicista!» (Cfr. SAINT GRÉGOIRE DE NAZIANZE, Lettres, t. II, texte établi et
traduit par P. Gallay, Paris 1967, pp. 8-9). Sulla favola (416 b ed. C. Halm) cfr. nota 21.
147
Sul problema, segnalato anche dal Pini (CELEMENTE ALESSANDRINO, Stromati. Note di vera filosofia, loc. cit.), non
troviamo elementi chiarificatori nel commento di A. Le Boulluec al passo (SChr 279,2 p. 117).
loquaci (ex garrulis) e le colombe da quelli pudichi», né la Scrittura intende alcuna assimilazione
circa la sostanza quando dice che «l’uomo fu reso uguale alle bestie prive di ragione» (Ps 48,21). E’
assai probabile che la loquacità della rondine possieda qui i connotati negativi che abbiamo visto
ben attestati nella cultura pagana, e che sopravvivono anche negli autori cristiani. Alla rondine
uccello migratore fa invece riferimento Claudiano Mamerto nel De statu animae, quando confuta
l’opinione che vede nella memoria il discrimine tra l’uomo e le bestie: la memoria infatti è una
facoltà comune a esseri razionali e irrazionali, dato che anche la rondine, come la cicogna, conserva
il ricordo del nido e dopo un anno sa farvi ritorno149.
L’esempio della rondine, che seguendo l’istinto di natura agisce in modo da essere di esempio
all’uomo, ricorre anche nell’apologetica. Lo troviamo nell’Ocatvius di Minucio Felice in bocca a
Cecilio, che deride i pagani per la divinizzazione di statue e simulacri che gli animali, invece,
eleggono a loro dimora profanandoli regolarmente: la rondine, assieme con i topi, i rapaci e i ragni
cui qui è associata, si dimostra così, sebbene priva di ragione, inesorabile giudice della verità150. In
analoghe argomentazioni contro l’idolatria, Clemente Alessandrino e poi soprattutto Arnobio - nel
quale il tratto assume grande rilevanza - ricorrono alle rondini anche nell’osservare che esse senza
alcun ritegno o timore insozzano di sterco le statue degli dei151, assecondando in ciò le veritiere
leggi dell’istinto152. Arnobio cita ancora la rondine nella sua invettiva contro i sacrifici dei pagani,
che immolano agli dei bestie di ogni sorta con la convinzione di onorarli. In una sarcastica ipotesi,
egli immagina i sacrifici non certo lusinghieri che gli animali, incapaci di forgiare qualunque
oggetto, offrirebbero agli uomini se per assurdo li riconoscessero come divinità: l’offerta delle
rondini sarebbe certo composta di mosche, fatte a pezzi e consacrate sull’altare153.
Non è facile dire se gli esempi sulla rondine addotti dagli apologisti possano essere in qualche modo
interpretati anche come eco di Bar 6,21 (= Ep. Ier. 22-23), passo che appartiene proprio ad una
pungente satira dell’idolatria, con cui l’autore biblico ammonisce i suoi ascoltatori: «sul loro corpo
e sul loro capo (scil. degli idoli babilonesi) svolazzano i pipistrelli, le rondini e altri uccelli; saltano
148
Cfr. Tert., anim. 32,8-9 p. 831,71-83 ed. J. H. Waszink (CCh 2).
Cfr. Claud. Mam., anim. I,21 p. 71,13 ed. A. Engelbrecht (CSEL 11).
150
Min. Fel., 24,9 p. 35 ed. M. Pellegrino (Torino 1963): Quanto vero de diis vestris animalia muta naturaliter
iudicant! Mures hirundines milvi non sentire eos sciunt, norunt: inculcant, insident ac, nisi abigatis, in ipso dei vestri
ore nidificant; araneae vero faciem eius intexunt et de ipso capite sua fila suspendunt.
151
Cfr. Clem., prot. 4,52,4 p. 40,26-27 ed. O. Stählin (GCS Clem. Alex. 1): katecerw=sin au)tw=n tw=n a)galma/twn
ei)speto/mena.
152
Cfr. Arnob., nat. 6,16 p. 328-329 ed. C. Marchesi (Torino 19532): Non hirundines denique (scil. videtis) intra ipsos
aedium circumvolantes tholos iacularier stercoris† plenas et modos ipsos vultus, modo numinum ora depingere,
barbam oculos nasos aliasque omnis partes, in quascumque se detulerint deonerati proluvies podicis? Erubescite ergo
vel sero atque ab animantibus mutis vias, rationes accipite doceantque vos eadem nihil numinis inesse simulacris, in
quae obscena deicere neque metuunt neque vitant leges suas sequentia et instincta veritate naturae. Per le
argomentazioni di Arnobio, cfr. F. MORA, Arnobio e i culti di mistero. Analisi storico-religiosa del V libro
dell’Adversus Nationes, Roma 1994, p. 85 sg..
153
Ibid. 7,17: audire a vobis exposcimus, utrumne hunc honorem an contumeliam potius esse iudicaretis amplissimam,
cum hirundines vobis muscas (...) caederent consecrarentque.
149
loro sopra anche i gatti. Da ciò riconoscete che non sono dèi: non li temete!». Scarsa infatti è in
generale la risonanza dell’Epistula Ieremiae, testo deutero-canonico e che Gerolamo riteneva
pseudoepigrafo. Per le riprese del nostro specifico passo nell’epoca di cui ci occupiamo, segnaliamo
l’unica che ci risulta, quella nel capitolo sulla vanità degli idoli del De errore profanarum
religionum di Firmico Materno154: il passo, a differenza di altri testi scritturistici che compongono il
‘dossier’ sugli idola gentium utilizzato nell’opera, non deriva all’autore dai Testimonia di Cipriano,
che non lo includono155.
4. Le rondini di Tobit
Nella storia biblica di Tobit, padre di Tobia, uomo giusto che viene duramente provato da Dio con
la cecità improvvisa, le rondini entrano tardivamente, soltanto con la traduzione del libro di Tobia
in latino ad opera di Gerolamo, che basandosi sull’Hebraica veritas sostituisce a ‘passeres’
(Septuaginta strouqoi/) il termine ‘hirundines’. Nel contesto dell’esegesi moraleggiante, la sola
esercitata nei primi secoli su questo libro deutero-canonico,156 il vecchio Tobit viene considerato un
mirabile esempio di pazienza e di fede: Cipriano lo affianca a Giobbe
157
, e l’Ambrosiaster lo
presenta come un uomo che nella tentazione non si allontana da Dio né cerca aiuto altrove,
meritando così nel presente la guarigione dalla cecità e nel futuro la luce eterna158. Per Agostino la
cecità di Tobit, pio e dedito all’elemosina, insegna che la ‘luce vera’ non è quella degli occhi
carnali, ma quella spirituale, che illumina anche i ciechi159. Tuttavia in questo tipo di esegesi il
particolare dello sterco di uccello che, cadendo dal nido sotto il quale Tobit si addormenta, lo rende
cieco, non viene affatto rilevato. L’unico a farne menzione, ma senza commento alcuno, è
Ambrogio, che in ogni caso, ovviamente, cita il testo biblico secondo una versione pregeronimiana160. Per trovare le premesse di una sua tematizzazione dobbiamo rivolgerci all’esegesi
allegorica del libro, documentabile soprattutto a partire dal IV secolo, il cui nucleo sorgivo è
l’interpretazione di Tobia come typus di Cristo, sulla scorta del fatto che, per mezzo del pesce, egli
restituisce la vista al padre e purifica Sara dai demoni161. L’allegorizzazione della figura di Tobit
154
Cfr. Firm., err. 28,4 p. 271 ed. A. Pastorino2 (Firenze 1969).
Sulle citazioni dell’Epistula Ieremiae in Firmico Materno, molto interessanti anche dal punto di vista filologico in
quanto portatrici di varianti rispetto alla Vetus latina confluita nella Vulgata, cfr. le osservazioni di A. Pastorino, ed. cit.,
p. 269 sg.
156
Ricordiamo che, nonostante le discussioni sulla canonicità che ne ritardarono l’uso liturgico, il libro di Tobia fu sin
dall’inizio tenuto in onore nella Chiesa, quale lettura di alto valore edificante. Per la fortuna del libro nella letteratura
cristiana antica abbiamo ampiamente attinto a J. GAMBERONI, Die Auslegung des Buches Tobias in der griechischlateinischen Kirche der Antike und der Christenheit des Westens bis um 1600, München 1969.
157
Cfr. Cypr., patient. 18 p. 129,353-356 ed. C. Moreschini (CCh 3A) e mortal. 10, p. 21,151-167 ed. M. Simonetti
(CCh 3A).
158
Cfr. Ambrosiast., quaest. Test. 119 pp. 358-361 ed. A. Souter (CSEL 50).
159
Cfr. Aug., in psalm. 96,18 pp. 1369-1370 ed. E. Dekkers - J. Fraipont (CCh 39).
160
Ambr., Tob. 2,6 p. 520,21-22 ed. C. Schenkl (CSEL 32,2): cadenti de passerum nido albugine caecitatem incidit.
161
Cfr. i riferimenti in J. GAMBERONI, Die Auslegung des Buches Tobias, cit., pp. 36-39.
155
sembra emergere con chiarezza solo tardivamente, con Isidoro di Siviglia, che per primo vede nel
rapporto tra Tobit e il figlio l’immagine del rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento, tra Israele
e Cristo. Gli occhi del pio vecchio, accecati dagli uccelli, sono immagine dell’Antico Testamento,
che nel suo luminoso mistero viene reso incomprensibile dall’erronea interpretazione dei Giudei:
Tobias priscae legis imaginem tenuit, cuius oculos Iudaicae hirundines obcaecant, dum eos luminis
sacramenta male intelligentes obcaecant162. Le rondini della Vulgata si ritrovano dunque collegate
all’atteggiamento di Israele, a motivo del quale si rivestono di una connotazione negativa. Isidoro
non elabora ulteriormente l’allegoria, come invece farà Beda, a cui dobbiamo il primo commento
allegorico completo al libro di Tobia163. Se letto spiritaliter, per Beda il libro contiene maxima
Christi et ecclesiae sacramenta164: in esso Tobit, deportato in Assiria ma conservatosi osservante
della Legge, rappresenta il popolo di Israele che nel corso della storia, pur continuamente esposto
alla tentazione dell’idolatria, si è mantenuto fedele a Dio e all’attesa della redenzione. Tuttavia,
secondo Beda, la natura ambivalente dell’allegoria - per la quale talvolta un’azione, positiva
secondo il senso letterale, assume invece un valore opposto se considerata typice (e viceversa)165 fa sì che il sonno di Tobit, indotto dalla fatica di aver seppellito un Israelita a sprezzo della morte,
venga interpretato in chiave negativa: esso è una causa, o meglio una condizione, del precipitare di
Tobit nella cecità. La cecità, figura attorno a cui ruota tutta l’interpretazione, simboleggia la
mancanza di fede nel Cristo di una porzione del popolo di Israele. Chi è instancabile nel compiere il
bene, dice Beda, non perde mai il lume della fede; ciò invece accade a chi non ha costanza e non
agisce virilmente: costui «è stanco e dorme». L’oscurarsi della fede viene dunque collegato a un
rilassamento nella rettitudine della vita. La cecità di Tobit ha anche un altro antecedente causale, le
rondini:
Hirundines propter levem volatum superbiam cordisque levitatem figurant quarum
immuditia confestim eos quibus dominatur excaecat. Quasi enim nido hirundinum
subpositus dormit qui levitati lasciviae ac superbiae mentem incautus subicit166.
L’interpretazione, negativa per foza di cose, si appoggia alla natura del volo della rondine, definito
‘leggero’ nel senso di mutevole e privo di stabilità. Con questa caratteristica si vuole alludere alla
volubilità del cuore (levitas) e soprattutto all’orgoglio (superbia), smodatezza della mente:
atteggiamenti che, quando si impossessano dell’uomo e con la loro impurità (sterco) lo dominano,
lo inducono la cecità, cioè ne indeboliscono la fede sino ad oscurarla. Addormentarsi sotto il nido di
162
Isid., alleg. 123 in PL LXXXIII, col. 116A. Il testo presenta due varianti: Iudaici passeres e dum eius luminis
sacramentum male obscurant (ibid., col. 434C).
163
Beda, In librum beati patris Tobiae allegorica expositio, ed. D. Hurst (CCh 119 B, pp. 1-19). Cfr. J. GAMBERONI,
Die Auslegung des Buches Tobias, cit., pp. 103-122.
164
Beda, exp. in Tob. I,1 p. 3,5-6 ed. cit.
165
Cfr. ibid. II,10 p. 5,3-5 ed. cit.
166
Ibid., II,10 p. 5,14-18 ed. cit.
rondine significa in tal caso esporsi imprudentemente all’attacco di queste passioni, venendo meno
nella vigilanza. Nel contesto generale del parallelo tra cecità e perdita della fede, l’elemento delle
rondini viene così utilizzato per sottolineare ulteriormente il ruolo determinante e quasi causale
svolto dalla caduta nell’uomo della tensione morale: secondo Beda, al tempo dell’incarnazione del
Signore, la cecità di Israele raggiunse il suo culmine a motivo della dilagante violazione della Legge
divina, aggravata dalla servitù al giogo di Roma167. L’interpretazione delle rondini del libro di
Tobia creata da Beda sarà il modello principale dell’allegorismo negativo degli autori posteriori168.
Epilogo
A conclusione della nostra ricerca, proponiamo alcune riflessioni in margine agli aspetti
dell’allegorismo cristiano della rondine che più ci hanno colpito. In primo luogo, vogliamo
sottolineare l’importanza del concetto scritturistico del dolore penitenziale, che incide in profondità
sulla connotazione piangente e luttuosa che la rondine possiede nella cultura classica. Icona insieme penosa e inquietante - del cuore senza pace, attanagliato dall’umiliazione e dal rimorso, nei
testi cristiani l’uccello del mito si trasfigura infatti in una direzione soprattutto positiva: il suo
lamento diviene una domanda di perdono, un gemito di invocazione, la sua immagine stessa un
monito a ricordarsi che l’uomo è in rapporto con la misericordia di Dio e che il cambiamento e il
ritorno sono sempre possibili. In secondo luogo, in virtù della resurrezione di Cristo, che illumina il
valore del sacrificio come via ad un possesso più vero e totale della realtà, la simbolica della
rondine si arricchisce di sfumature nuove, inedite per il mondo classico: esse consistono
essenzialmente in una piena valorizzazione, all’interno della dinamica di movimento e alternanza
che da sempre identifica questo messagero della primavera, delle componenti del distacco e della
mortificazione. Sul polo più buio dell’alternanza fiorisce cioè un allegorismo positivo, giacchè la
migrazione è strada per il ritorno, il deserto è condizione per la fecondità, l’inverno col suo letargo è
167
Haec autem caecitas populo Israel, maxime imminente adventu Domini in carne praevaluit, cum et Romanae
servitutis iugo premerentur, et legis divinae praecepta pessime vivendo violarent (ibid., p. 5,18-21 ed. cit.).
168
Ad es. le rondini sono immagine dei superbi nelle Allegoriae erroneamente attribuite a Rabano Mauro (cfr. nota 61).
Il loro sterco caldo, che provoca la cecità, indica che la superbia è fomento delle passioni che ottundono i sensi interiori:
Per hirundines, superbi, ut in libro Tobiae ex nido hirundinis dormienti illi calida stercora incidebant oculis eius, id est
ex fomento superborum flammantes libidines interiores sensus occupabant (PL CXII, col. 954C). Compaiono associate
alla superbia mentis, con esplicita citazione da Beda, anche in Hugo-Fol., De bestiis et aliis rebus I,41 (PL CLXXVII,
col. 42B-C). Altrove, invece, come in una lettera di Pier Damiani all’abate Desiderio sulla rilassatezza della vita
monastica, la loro levitas è associata alla superficialità e all’immoralità del parlare: quid vero leviter volitantes
hyrundines nisi leves adulantium et blanda loquentium significant mores? Qui dum blandiloquii sui suavitate
demulcent, dum adulationis oleo caput audientis inpinguant, interiores oculos, ne solita luce perfruantur, excaecant
(...). Et tamquam stercus oculis ingerunt, dum lenocinantis eloquii quemlibet blanda verbositate perungunt (Petr.-Dam.,
epist. 82 vol. II, pp. 442,24 - 443,6 ed. K. Reindel: MGH, Die Briefe des Petrus Damiani 2). In età medievale tuttavia le
rondini del libro di Tobia ricevono anche un’interpretazione positiva. Cfr. Garnier de Rochefort, che distingue gli
uccelli, allegoria dei contemplativi, dallo sterco caldo che essi espellono, raffigurante i beni del mondo disprezzati per
guadagnare Cristo e ambìti invece da Tobit, che ne resta accecato: Tobias quoque calido stercore hirundinis legitur
excaecatus. Hirundines sunt viri sancti, qui contemplationis volatu vitam acquirunt: quorum stercora temporalia sunt,
quae ut Christum lucri faciant arbitrantur ut stercora. Hoc hirundinis stercus calidum Tobiae oculos excaecavit, cum
preparazione della primavera e della vita che rinasce. Non si tratta appena di una riedizione
dell’antico concetto della ciclicità del mondo naturale, che teneva in unità gli aspetti opposti della
vita e della morte: nel caso della rondine, infatti, le testimonianze classiche dimostrano una
focalizzazione del versante ‘invernale’ assai scarsa, a fronte del diffuso e preponderante richiamo al
versante ‘primaverile’. Nei testi cristiani si riscontra invece una notevole sottolineatura anche della
prima componente, accolta e orientata in funzione della seconda: si produce cioè un’unità dinamica
tra aspetti diversi e anche contraddittori, che nasce dalla percezione della vicenda umana come
cammino di conversione, faticoso ma certo, che si compie sotto lo sguardo di un padre. In terzo
luogo, questo sentimento della vita è alla base anche dell’impiego del rapporto tra la rondine-madre
e i piccoli quale metafora del rapporto tra Dio e l’uomo, e tra Cristo e l’uomo: si tratta di una
potenzialità metaforica totalmente nuova nelle sue stesse premesse, poiché il mondo greco-latino,
pur vivamente colpito dall’esemplarità delle cure materne della rondine, non mostra di istituire
alcun nesso di simile natura: non solo non utilizza affatto la metafora della paternità/maternità ad
esprimere la relazione del Mistero con l’uomo, ma neppure valorizza le potenzialità allusive
dell’altro versante del rapporto, quello cioè della dipendenza del figlio dal genitore; anche dal punto
di vista naturalistico, le notazioni degli antichi sono tutte per l’intelligenza e l’industria della
rondine-madre.
ferventi temporalium cupiditate tactus, filium suum apud Rages civitatem Medorum peregrinari misit (Garn., serm. XXI.
in PL CCV, col. 705A-B).