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Notizie maggio 2014


Frattura nel cuore dell'ANP

La condanna di Dahlan da parte di una corte palestinese nasconde una profonda frattura interna all'ANP.

di Andrea Ranelletti

Mohammed Dahlan e Mahmoud Abbas
Nella Striscia di Gaza e nel West Bank è in corso da lungo tempo una radicale ristrutturazione dei rapporti di forza tra Hamas e al-Fatah: i due movimenti palestinesi sono in preda a una crisi politica e di consensi che li sta spingendo a rivedere le proprie strategie per il futuro. Se Hamas sta soffrendo a causa della caduta della Fratellanza Musulmana in Egitto, suo principale alleato internazionale, e del raffreddamento dell'interesse iraniano nei suoi confronti, anche lo storico rivale al-Fatah sta subendo una crisi interna di particolare gravità.
   Una serie di lotte intestine per la successione di Mahmoud Abbas a capo dell'ANP, aperte dalla sua decisione di non partecipare alle prossime elezioni per la presidenza, sta mettendo a soqquadro i fragili equilibri interni al partito. Mohammed Dahlan, ex uomo forte di al-Fatah a Gaza sostenuto da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ha cercato di imporre il proprio nome come principale candidato alla successione, stringendo una rete di relazioni con le varie anime della militanza palestinese dalla sua residenza di Dubai, dove si trova in esilio da quando nel 2010 ha rotto i rapporti con la leadership di al-Fatah. Il fallimento di vari tentativi di riuscire a placare la conflittualità e individuare modalità di convivenza interna al partito con Mahmoud Abbas hanno contribuito a complicare la situazione spingendo i due a scambiarsidure accuse, tra cui quella di aver assassinato Yasser Arafat. Dahlan ha inoltre a più riprese rinfacciato ad Abbas la sua decisione di aver tenuto aperto una linea di dialogo con Israele e un suo presunto nepotismo.
   Per cercare di erodere la leadership di Abbas e costruirsi una rete di alleanze internazionali da spendere nel momento della campagna elettorale, Dahlan ha effettuato nel corso degli ultimi mesi una visita al Cairo, dove è stato a colloquio con l'allora Ministro della Difesa Abdel-Fattah al-Sisi, recentemente eletto Presidente del Paese. Inoltre, a gennaio Dahlan si è recato nella Striscia di Gaza per aprire una linea di dialogo con i vertici di Hamas: l'apertura di un dialogo tra Dahlan ed Egitto potrebbe spingere Hamas a guardare con favore una sua eventuale presa di potere, che potrebbe tornare utile per discutere un'eventuale sospensione del blocco ai confini di Gaza messo in atto dalle autorità egiziane, che sta producendo il dissanguamento economico del movimento islamista e dell'intera Striscia. Dal canto suo, con l'intento di contenere il rischio di una possibile presa del potere da parte di Dahlan, Abbas ha ristrutturato il Comitato Centrale del movimento per emarginare gli uomini vicini al rivale, cercando di ridurre in maniera drastica il loro peso all'interno delle Forze di sicurezza. Tale aperta ingerenza all'interno dell'apparato di sicurezza ha portato forti critiche nei confronti dell'attuale capo dell'Autorità Nazionale.
   Una nuova polemica è esplosa nel tardo maggio, quando una sentenza di una corte palestinese, emanata a inizio marzo ma resa pubblica solo due mesi e mezzo più tardi, ha condannato Dahlan a due anni di carcere per aver "insultato le pubbliche istituzioni" della Palestina. Secondo quanto riportato nella sentenza, alcuni ufficiali palestinesi avrebbero accusato Dahlan di aver rivolto ingiurie alle forze dell'ordine della Palestina, accusate di curarsi solo di "proteggere coloni israeliani" e a Mahmoud Abbas, accusato di aver manovrato l'ANP per proteggere i propri interessi personali.
   Non ha tardato a fornire la propria versione dei fatti Mohammad Dahlan, che ha definito la propria condanna come un espediente pensato per impedirgli di correre alle prossime elezioni presidenziali e parlamentari. Secondo Dahlan, il tempismo della condanna è pensato per «distruggere ogni suo tentativo di partecipazione alle prossime elezioni», ed Abbas sta utilizzando la corte come "strumento al servizio delle proprie mire" nei suoi confronti.
   A inizio aprile, il sito d'informazione 'Middle East Monitor' riferì di indiscrezioni secondo le quali le autorità israeliane avrebbero preso in considerazione la possibilità di avvicinarsi a Dahlan per cercare di stabilire un nuovo asse per la pace in Palestina con Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. La possibile decisione israeliana di mettere da parte Abbas potrebbe essere però osteggiata dagli Stati Uniti, che guardano con preoccupazione l'inimicizia assoluta tra Dahlan e ampia parte delle attuali istituzioni palestinesi. «Gli Stati Uniti non sono pronti a stringere accordi con Dahlan» continua il Middle East Monitor, perché «nel 2007 gli diedero fiducia e gli fornirono enormi quantità di denaro per indebolire il governo di Hamas, ma lui fallì».
   Nell'articolo "The Contested Return of Mohammad Dahlan" pubblicato sul quotidiano libanese 'Daily Star', i giornalisti Mahmoud Jaraba e Lihi Ben Shitrit fanno il punto sulla situazione, analizzando la complessità della situazione e i rischi legati ai potenziali sviluppi futuri: «L'ultima escalation nella disputa tra Abbas e Dahlan mette in mostra il caos e la complessa disputa sulla successione interna a Fatah, e minaccia di deteriorare ulteriormente l'immagine pubblica del movimento e alienargli l'opinione pubblica palestinese. Ancor peggio, potrebbe condurre a violenze tra supporter di entrambe le parti prima della conferenza generale del movimento che si terrà nell'agosto prossimo».

(L'Indro, 31 maggio 2014)


A Tel Aviv torna a splendere Sarona

Sarona, insediamento fondato nell’Ottocento dal gruppo protestante tedesco dei Templari

  
Dopo anni di abbandono, a Tel Aviv torna a splendere Sarona, il quartiere dei 'Figli del Tempio'.
Fu questo gruppo protestante del pietismo tedesco che nel 1871 - quando la 'Collina della Primavera' non era neppure nella mente di Theodor Herzl, il fondatore del Sionismo - costruì a nord est di Giaffa la sua colonia agricola nella incrollabile fede che anche questo avrebbe favorito il ritorno del Messia. Oggi, con una gigantesca ristrutturazione edilizia e anche urbanistica, dal costo di circa 300 milioni di shekel (quasi 60 milioni di euro) chi vuole può passeggiare in una fascinosa atmosfera da fine ottocento camminando nei viali, ombreggiati da 100 alberi in buona parte eucalipti, che fiancheggiano 33 villette, tutte accuratamente restaurate secondo il tipico stile dei 'Templari' (movimento uscito da una costola del luteranesimo ufficiale che non ha nulla a che fare con i cavalieri cristiani del medioevo). Oltre 14 mila metri quadrati di verde e di storia che accrescono la città nelle sue tracce inequivocabilmente europee.

(ANSA, 31 maggio 2014)


Leader di Hezbollah ha avuto colloqui con dirigenti di Hamas

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha avuto colloqui con alcuni dirigenti di Hamas. Lo ha rivelato il quotidiano libanese Al Akhbar, ritenuto vicino al Partito di Dio
Sarebbe meglio dire: "Partito di Allah"
sciita. Secondo il giornale, all'inizio di questa settimana Nasrallah ha avuto "lunghe discussioni con esponenti di primo piano di Hamas nell'ottica di ricucire i rapporti tra Hamas da una parte e Hezbollah e l'Iran dall'altra". Al Akhbar non ha comunque precisato le identita' dei rappresentanti della fazione palestinese a colloquio con Nasrallah.
Il quotidiano pro-Hezbollah ha quindi sottolineato che, parallelamente al colloquio, ci sono stati anche degli incontri tra i vertici di Hamas e del partito sciita. I rapporti tra Hezbollah e la fazione islamica palestinese si sono deteriorati a causa della crisi siriana. Il Partito di Dio
Sarebbe meglio dire: "Partito di Allah"
libanese, al pari del suo alleato iraniano, sostiene il regime del presidente Bashar al-Assad, mentre Hamas appoggia i ribelli.

(Adnkronos, 31 maggio 2014)


Profanate tombe ebraiche a Salonicco

Il Ministero degli Esteri condanna. Offesa per tutto il popolo greco

SALONICCO - Dodici tombe ebraiche sono state profanate da ignoti nel cimitero di Salonicco. Lo hanno riferito fonti di polizia sottolineando che l'ingresso del cimitero e alcuni monumenti funerari sono stati danneggiati. Il ministero degli Esteri greco "ha condannato" l'episodio che "colpisce la comunità ebraica, ma anche l'intero popolo greco: le autorità faranno di tutto per arrestare gli autori di questo atti di antisemitismo e odio che non corrisponde ai valori della società greca".
   
(ANSA, 31 maggio 2014)


Domani l'Egitto riaprirà il valico di Rafah con Gaza

Le autorita' egiziane riapriranno in via eccezionale domani il valico di Rafah con la Striscia di Gaza per permettere ai pellegrini palestinesi di recarsi in Arabia Saudita. Lo ha riferito il responsabile dell'Autorita' di confine di Gaza, Maher Abu Sabha, precisando che a 800 palestinesi sara' permesso attraversare il confine, mentre altri pellegrini potranno rientrare nella Striscia.
Abu Sabha ha precisato che le autorita' egiziane hanno comunicato alla sua Autorita' che, a differenza di altre occasioni, i casi umanitari e i pazienti bisognosi di cure mediche domani non potranno uscire dall'enclave. Sono circa 15mila i pazienti palestinesi che finora hanno presentato domanda per attraversare il valico di Rafah.
Le autorita' egiziane hanno aumentato il controllo al confine con la Striscia di Gaza governata da Hamas da quando lo scorso luglio e' stato deposto dall'esercito il presidente islamico Mohamed Morsi. Negli ultimi mesi il valico di Rafah e' stato chiuso piu' volte o e' stato aperto con operativita' ridotta per gli attentati avvenuti nella Penisola del Sinai e per l'instabilita' politica che ha seguito la destituzione di Mohamed Morsi.

(Adnkronos, 31 maggio 2014)


Ferrara Ebraica, una città nella città

Ciclopasseggiata domenicale tra storia dell'ebraismo e dell'antigiudaismo attraverso il centro storico di Ferrara

 
San Simonino
Una ciclopasseggiata in cerca dell'ebraismo ferrarese è necessariamente una ricerca intorno agli uomini e alle cose che degli uomini conservano il ricordo, tracce, memorie, miti che tutti appartenenti al passato nell'intenzione di Alessandro Gulinati servono a decifrare il presente e rappresentano risorse aperte al futuro. Dopo la Festa del Libro ebraico e la lunga gestazione dell'ambizioso progetto di Museo Nazionale dell'Ebraismo e della Shoah proprio qui a Ferrara, parlare di ebraismo, antigiudaismo, Romanza di Ferrara, rabbini, libri e Talmud potrebbe risultare retorico oppure ridondante.
  Il fatto è che rendere omaggio a Giorgio Bassani, visitare i luoghi della sua vita, educazione, apprendistato letterario e civile, soffermarsi sulla sua tomba, ripetere insieme le parole del suo Romanzo, i versi delle poesie, rievocarne lo sguardo arguto e critico, è un esercizio forse spirituale, certamente sempre di forte impatto emotivo.
  Per queste ragioni ancora una volta e spera per molte altre volte ancora Alessandro Gulinati propone a ferraresi e turisti di ripercorrere le strade della città storica e dentro le sue mura scoprire i luoghi di una cultura altra, quella ebraica, differente dalla maggioranza cristiana, eppure ad essa accomunata da molteplici punti di contatto, da frizioni, da radici comuni, simili laicismi e destini ora paralleli ora convergenti.
  Nel corso di quella che con il bel tempo sarà una ciclopasseggiata oppure in caso di pioggia un percorso a piedi con partenza da Il Mercatino del Libro e del Fumetto in via Saraceno, 32, domenica 1o giugno alle ore 10.30, saranno molti i nomi di ferraresi di nascita e di adozione che verranno ricordati insieme alle loro storie, all'eredità ricca con la quale hanno lasciato la nostra città.
  Memorie antiche, quelle di ebrei spesso senza nome, vissuti nelle case vicino al fiume della città medioevale, ebrei noti nel mondo come Giorgio Bassani e Isacco Lampronti, altri ancora le cui esistenze furono segnate da contraddizioni in un'epoca rude, quella del Novecento e delle due guerre mondiali: Renato Hirsch, resistente e prefetto del Cln accusato di perseguitare i fascisti sconfitti, e Renzo Ravenna, podestà del regime, intimo amico di Italo Balbo.
  Poi figure diverse, tutte forse eccentriche rispetto alle prevalenti normalità cristiana del passato e a quella borghese dei nostri tempi, Abramo Colorni ovvero "Il prestigiatore di Dio" secondo la felice definizione di Ariel Toaff nell'omonimo volume che di questo ebreo mantovano, divenuto stipendiato del duca Alfonso IIo, ricostruisce avventure e scoperte scientifiche, Gianfranco Rossi, il cantore delle piccole cose, dei gatti, delle tartarughe, dei sentimenti di confine, di una ferraresità minuta eppure universale, Beatriz de Luna, marrana e cosmopolita figura femminile del XVIo secolo, i doviziosi e dotti esuli portoghesi-napoletani Abravanel tra i quali Leone, autore dei neoplatonici Dialoghi d'Amore, Abrahm Usque l'autore della Bibbia di Ferrara e poi Vittore Veneziani, Ciro Contini, la famiglia Cavalieri e quanti altri nomi, luoghi, cose che dal passato riaffiorano per scoprirsi parte integrante della storia della nostra città e più in generale dell'Occidente.
  In questo Ferrara, è la tesi che con maggior forza propone Gulinati, curatore dell'itinerario, è davvero una città mediterranea, antico porto, che dal mare e dalla convergenza di occidente ed oriente trae la propria linfa vitale e scopre la sua più vera identità. Appuntamento domenica mattina alle ore 10.30 presso il Mercatino del Libro e del Fumetto, via Saraceno, 32. Come sempre la partecipazione è libera e non occorre prenotazione.
  Nella foto il dipinto seicentesco conservato nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara nella quale è rappresentato San Simonino, il cui culto costituisce una testimonianza delle persecuzioni subite dalle comunità ebraiche e delle accuse di "omicidio rituale", le cosiddette accuse del sangue, che ebbero notevole diffusione soprattutto nell'Europa continentale nei confronti degli Ebrei.

(estense.com, 31 maggio 2014)


I media in Israele: un affare per gli oligarchi

Il "quarto potere" vive una stagione di crisi ed è sempre più concentrato nelle mani di pochi. E spesso, i nuovi editori virano a destra.

di Ariel David

Israel Hayom
Salvo clamorosi colpi di scena, il quotidiano Maariv concluderà i suoi sessantacinque anni di storia con un inglorioso fallimento. La chiusura annunciata di uno dei tabloid più popolari d'Israele, dopo che il curatore fallimentare ha approvato lo smembramento della testata, rappresenta perfettamente la situazione dei media nello Stato ebraico. Giornali, radio e TV in Israele hanno sempre costituito un panorama variegato, pluralista e rumoroso, come si addice a ogni democrazia, ma gli ultimi anni hanno visto il settore duramente provato dal crollo degli investimenti pubblicitari e dalla sfida portata da Internet e i nuovi media. A questi temi, che investono i media a livello globale, si aggiungono i problemi posti da un mercato di piccole dimensioni qual è lo Stato ebraico, nonché le mire d'investitori ambiziosi, spesso su posizioni di destra, desiderosi di collezionare strumenti per accrescere la propria influenza.
  È emblematica la sorta toccata a Maariv, quotidiano centrista, la cui edizione stampata è stata venduta a Eli Azur, proprietario del giornale conservatore in lingua inglese Jerusalem Post, per meno di un milione di euro (nel 2012, in un precedente tentativo di salvataggio era stato valutato a circa 30 milioni). Il sito di Maariv andrà invece a Sheldon Adelson, magnate statunitense dei casinò, che ha anche acquistato Makor Rishon, testata vicina alle posizioni dei nazionalisti religiosi. Adelson è diventato il re dei media israeliani dopo aver fondato nel 2007 Israel Hayom (Israele Oggi), quotidiano gratuito che ha strappato la corona di giornale più letto del paese allo storico Yedioth Ahronoth. Yedioth, come tutti i quotidiani israeliani, affronta ora difficoltà economiche e ondate di licenziamenti anche grazie al successo di Israel Hayom, che con la sua concorrenza spietata ha contribuito al crollo degli introiti pubblicitari. Adelson, uno dei dieci uomini più ricchi del pianeta, non bada a spese nella gestione del suo piccolo impero israeliano.
  L'ottantenne imprenditore è un convinto sostenitore e generoso donatore del partito repubblicano negli Stati Uniti e del premier israeliano Benjamin "Bibi" Netanyahu. Scopo di questo moderno "Citizen Kane" non è dunque far fruttare i propri investimenti, ma accaparrarsi nuovi mezzi per influenzare le politiche e l'opinione pubblica in entrambi i paesi. Il tre volte premier Netanyahu deve molto del suo successo a Israel Hayom, letto quotidianamente da più di un terzo degli israeliani. "La percezione di Bibi era che tutti i media fossero contro di lui, e così il suo amico Sheldon ha fondato un quotidiano che lo appoggiasse incondizionatamente - spiega David Gilboa, preside della scuola di giornalismo dell'Università di Tel Aviv - le regole sono molto chiare: se sei contro la famiglia Netanyahu non puoi scrivere lì". Il risultato è un tabloid dal sapore propagandistico, "che se costasse anche solo 50 centesimi perderebbe metà dei suoi lettori", afferma Gilboa. In un recente editoriale, Thomas Friedman, il "columnist" più blasonato del New York Times, ha definito Adelson "il miglior amico dell'Iran" che "finirà per distruggere Israele con il suo amore".
  Secondo il quotidiano newyorkese, Adelson utilizzerebbe la sua influenza a Washington e Gerusalemme per promuovere politiche ultra-conservatrici come il proseguimento dell'occupazione della Cisgiordania e l'espansione degli insediamenti, favorendo così l'isolamento internazionale d'Israele, la fine delle prospettive di pace e mettendo in pericolo l'esistenza stessa di uno Stato ebraico democratico. In Israele, alcuni parlamentari laburisti hanno addirittura proposto norme antitrust che vieterebbero la distribuzione a costo zero di quotidiani a diffusione di massa - un chiaro attacco al monopolio di Israel Hayom. Ma non sono solo i "liberal" americani o la sinistra israeliana a preoccuparsi del crescente peso mediatico e politico di Adelson e della sua creatura. "Israel Hayom è come la Pravda, è il portavoce personale di Netanyahu", ha detto Naftali Bennett, leader dei nazionalisti religiosi di Habait Hayehudi. Bennett è ministro dell'Economia e il principale alleato di Netanyahu, ma non ha certo preso bene l'acquisizione da parte di Adelson del sito di Maariv e soprattutto di Makor Rishon, testata finora vicina alle posizioni del suo partito. Con la fine di Maariv, Adelson può dedicarsi ai rivali sopravvissuti: Yedioth, altro giornale moderato e critico delle politiche di Netanyahu, e Haaretz, il quotidiano storico della sinistra israeliana.
  Mentre quest'ultimo non rappresenta un pericolo, vista la sua limitata diffusione e le sue scarse risorse economiche, sul primo si è concentrata tutta la potenza di fuoco di Israel Hayom che quasi ogni giorno pubblica attacchi personali contro Noni Mozes, editore di Yedioth, accusandolo di corruzione e oscure trame politiche eversive. Lo strapotere mediatico della coppia Sheldon- Bibi non si limita al campo della carta stampata. In qualità di premier, Netanyahu mantiene un certo controllo sulle radio e sulla TV pubblica, in un momento in cui le principali televisioni private, Canale 2 e Canale 10, si trovano anch'esse in crisi di ascolti e introiti pubblicitari. "I media non formano le opinioni, ma le rafforzano - afferma Gilboa - e l'impero di Adelson ha sicuramente contribuito allo spostamento a destra dell'opinione pubblica israeliana negli ultimi anni". Non tutti però credono che i media saranno sempre meno indipendenti e legati a quell'intreccio che gli israeliani ormai definiscono sdegnosamente: "hon, shilton, yton" - capitale, potere, giornale. Secondo Nati Tucker, giornalista di Haaretz esperto di media, molte testate tradizionali sopravvivranno alla crisi ed emergeranno rafforzate a seguito di un processo di modernizzazione. "Certamente, operazioni come quelle di Adelson danneggiano i pochi media seri che cercano di fare un lavoro obiettivo, ma il mercato sta maturando e sta diventando più efficiente", afferma Tucker. "Stiamo introducendo nuovi modelli di reddito per sfruttare le potenzialità di Internet e al tempo stesso assistiamo a una proliferazione di blogger e siti indipendenti che acquistano sempre più seguito e autorevolezza".

(Shalom, maggio 2014)


Museo ebraico di Soragna, premiate le classi di Carpaneto e Gropparello

Museo Ebraico "Fausto Levi z.l." di Soragna: Shevilim. Premiazione del concorso scolastico.La conoscenza e l'incontro sconfiggono la violenza Vincitore Istituto comprensivo di Carpaneto Piacentino. Menzione d'onore per la Primaria S. Andrea Bagni e Felegara.

La Sinagoga di Soragna
Domenica 1 giugno 2014, alla presenza delle Autorità, si svolgerà presso il Museo Ebraico "Fausto Levi z.l." di Soragna la premiazione della V edizione del concorso per le scuole "Shevilim - percorsi di studio e di approfondimento della cultura ebraica". Tante le scuole che anche quest'anno hanno partecipato con lavori di gruppo o individuali, ricerche presentate su creativi cartelloni o su supporti digitali.
Quest'anno sono risultati vincitori ex aequo la classe 3aA dell'Ist. Comprensivo di Carpaneto Piacentino, Scuola Secondaria di Primo Grado di Gropparello, per l'elaborato digitale "Cristiani ed Ebrei, dall'ostilità al dialogo", e le classi 3aA, 3aB, 3aC della Scuola Primaria di Carpaneto Piacentino, per l'elaborato "Pesach", la Pasqua ebraica. "Gli elaborati di quest'anno denotano un vivo e reale interesse nei confronti del mondo ebraico e sono animati da profonde motivazioni", ha commentato Giorgio Yehuda Giavarini, presidente della Comunità Ebraica di Parma.
"Queste ragioni ci spingono a continuare a lavorare incrementando le iniziative e le attenzioni nei confronti del mondo scolastico in collaborazione fattiva con le Pubbliche Amministrazioni del nostro territorio e con il corpo docente. L'incontro e la conoscenza da parte delle giovani generazioni del patrimonio culturale e religioso ebraico è l'unico vero strumento per demolire quel pregiudizio che è base della violenza aberrante che continua ad abbattersi contro gli ebrei e contro i nostri luoghi di culto".
Il pensiero va subito all'attentato che nei giorni scorsi si è consumato a Bruxelles. Prima della premiazione si osserverà un minuto di silenzio in ricordo delle vittime ed in segno di solidarietà con la Comunità Ebraica del Belgio. Analoghe iniziative di solidarietà sono state promosse in questi giorni da tutti i musei ebraici italiani. Anche il Museo "Fausto Levi z.l." vi prenderà parte aprendo la sinagoga e la collezione con ingresso libero in concomitanza con l'evento di premiazione.
La cerimonia sarà seguita dallo spettacolo Le più belle novelle per ragazzi di I.B. Singer con la voce recitante di Giuseppe Gaiani, intervallate dalle musiche di Riccardo J. Moretti eseguite da Carlo Barizzi.

(PiacenzaSera.it, 31 maggio 2014)


Matematica e religione tra ebraismo e cristianesimo

Giovedì 5 giugno a Venezia

Matematica e religione tra ebraismo e cristianesimo: è il tema del convegno, promosso dalla sezione Scienza e Fede dello Studium cattolico veneziano, che si terrà giovedì 5 giugno alle ore 17.30 all'Antica Scuola dei Laneri, in Salizada San Pantalon, Santa Croce 131/A.
«Secondo i matematici platonici - si legge in una nota degli organizzatori - l'universo ha una struttura geometrica e numerica, invece i concettualisti ritengono che siano gli uomini a costringere la realtà entro modelli matematici. I formalisti considerano i teoremi delle tautologie e le relazioni matematiche coerenti in sé, ma non riferite alla natura: secondo loro la matematica è un gioco come quello degli scacchi. Gli intuizionisti, infine, che evitano di ricorrere ad entità non intuitive, pensano che una formula matematica descriva solo l'insieme di calcoli compiuti per ottenerla aggiungendo alle due categorie del vero e del falso, una terza possibilità: l'indecidibile. Da questa rapida rassegna dei principali indirizzi nelle scienze matematiche si arguisce che soltanto il realismo platonico è persuaso che le leggi fisiche (traducibili in equazioni) siano connaturate al mondo».
La presentazione del convegno è a cura di Daniele Spero (coordinatore della sezione Scienza e Fede, Studium Cattolico Veneziano); l'introduzione di Francesco Berengo (responsabile della sezione Scienza e Fede, Studium Cattolico Veneziano); gli interventi di Tobia Ravà (artista, semiologo, ebraicista) e Aldo Natale Terrin (Università Cattolica di Milano).

(Gente Veneta, 31 maggio 2014)


Non ci sono matematici tra i relatori, né ebrei né cristiani.


In scena a Roma "L'Amore di Ago e Spilla"

Un omaggio dei bambini alla Shoah.

 
Va in scena a Roma mercoledi' 11 giugno la piece teatrale "L'Amore di Ago e Spilla", tratto dalla Graphic Novel "L'Amore di Ago e Spilla" di Paolo Valentini per Matisklo Edizioni, ideato e realizzato da PAASC - Piccola Accademia di arti e Sviluppo della Creatività. L'idea e' un omaggio dei bambini alla Shoah, con il Patrocinio della Fondazione Museo della Shoah e dell'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania, PAASC in collaborazione con Nitam. In concomitanza del 4o anniversario della nascita della Piccola accademia di Arti e Sviluppo della Creatività e della pubblicazione della Graphic Novel di Paolo Valentini, bambini e ragazzi dai 4 ai 15 anni, allievi dei corsi annuali di teatro, danza, canto e pittura, mettono in scena un momento storico che ha segnato in modo profondo e indelebile l'intera umanità.
Raccontata come una favola, all'interno di una coloratissima merceria si animano aghi, spille, fili, bottoni, forbici e stoffe; una metafora che desidera trasmettere quanto sia indispensabile accettare la diversità ed essere consapevoli che l'altro, qualunque sia la sua storia e la sua provenienza, sia fondamentale per creare armonia e completezza nella società in cui viviamo.
"In un momento storico di grandi tensioni e difficoltà siamo certi che il messaggio di Ago e Spilla possa rappresentare un segnale di speranza e di fiducia per tutti ma in particolare per i bambini che si affacciano alla vita dei grandi", rendono noto gli organizzatori. Grazie alla collaborazione con la LUISS Creative Business Center, PAASC ha offerto ai ragazzi un confronto con gli studenti del Master che hanno contribuito a parte della realizzazione dello spettacolo. " L'Amore di Ago e Spilla rappresenta la prima realizzazione teatrale del testo originario di Paolo Valentini con l'obiettivo di replica a lungo termine nell'ambito delle future celebrazioni in memoria della Shoah", conclude la nota.

(ANSA, 30 maggio 2014)


Rav Levi: «Dal Papa in Terra Santa stimoli da raccogliere»

Su pagine ebraiche le diverse valutazioni di tre rabbini. Di Segni: «Confusione tra aspetti religiosi e politici». Momigliano: «Sosta al muro divisorio strumentalizzata».

di Domenico Agasso Jr

Come valutano il recente viaggio di papa Francesco in Terra Santa i rabbini italiani? A questa domanda non si può dare un'unica risposta: dipende da chi parla, non c'è un'opinione univoca e neanche predominante, come emerge dall'ultimo numero di pagine ebraiche.
  Ecco i dubbi del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: «L'aspetto che più mi ha colpito di questo viaggio è la confusione sistematica che è stata fatta tra gli aspetti religiosi e politici. Se da un punto di vista dialogico vi è stata da parte del Papa l'importante conferma di una disponibilità al confronto - dice il Rav - per quanto concerne il secondo ambito non sono mancati messaggi poco chiari e tendenziosi». Sono soprattutto due le iniziative su cui Di Segni è perplesso: la decisione (fuori programma) di recarsi alla barriera di divisione che separa Israele dai territori dell'Autorità Nazionale Palestinese, e l'invito a una preghiera per la pace - che si svolgerà l'8 giugno in Vaticano - rivolto a Shimon Peres e Abu Mazen. «Con tutte le buone intenzioni il Vaticano è parte in causa in questo conflitto e non può ergersi a mediatore "super partes". Trattandosi inoltre di un incontro religioso sfuggirebbe il significato della presenza di una figura chiaramente laica come quella di Peres, che non mi sembra un assiduo frequentatore di luoghi di preghiera e che mi sorprenderebbe iniziasse a esserlo a casa del Papa. È un'impostazione alla quale guardo non soltanto con perplessità ma che trovo anche pericolosa».
  Invece per Giuseppe Momigliano, presidente dell'Assemblea rabbinica italiana, «nella sosta al muro divisorio non vedo un problema in sé, quanto nella sua interpretazione e strumentalizzazione da parte di terzi». In generale «mi sembra piuttosto evidente che l'azione di Bergoglio fosse finalizzata a curare in modo equidistante i rapporti con i leader israeliani e con quelli palestinesi. E ciò può anche non essere un male». Per quanto riguarda gli aspetti più spirituali, Momigliano ha apprezzato in particolare i momenti con Peres e il richiamo formulato da quest'ultimo per una comune promozione dei valori, «specie nell'incontro con Israele e con il mondo ebraico»; e poi il discorso tenuto allo Yad Vashem con un richiamo all'uomo che viene definito «di impatto universale» e con gesti quali la decisione di baciare le mani ai sopravvissuti alla Shoah: «Si tratta di un gesto d'impatto ed è notevole il riferimento all'interrogativo "Adamo dove sei?" che deve necessariamente scuotere le coscienze quando ci si trova a toccare l'orrore più profondo quale fu lo sterminio del popolo ebraico».
  È favorevole il commento del rabbino capo di Firenze Joseph Levi, che interpreta l'abbraccio del Pontefice con il rabbino Abraham Skorka e l'imam Omar Abboud davanti al "Muro Occidentale" la manifestazione di un progetto che affonderebbe le sue radici nel sogno che fu di Giorgio La Pira: il piano «mi sembra per molti versi simile: il comune riconoscimento da parte delle tre religioni monoteiste nella figura di Abramo, colonna portante e punto di riferimento del dialogo interreligioso. Lo stesso dialogo che si vorrebbe far diventare il punto di partenza per la risoluzione dei problemi politici. Un discorso che vale per il Medio Oriente ma anche per tante altre difficoltà che sembrano caratterizzare i nostri tempi». «Credo profondamente nel dialogo - ha terminato - e sono convinto che da Bergoglio siano arrivati stimoli che sbaglieremmo a non raccogliere».

(Vatican Insider, 30 maggio 2014)


Il resoconto vaticano riporta per primo il commento moderatamente dubbioso di Riccardo Di Segni, per passare poi a quello più benevolo di Giuseppe Momigliano, e arrivare infine a quello decisamente favorevole di Joseph Levi. Una dosatura ben calibrata nel paludato stile curiale per ottenere l’effetto voluto. Tra gli ebrei, a cui pure si attribuisce la negativa fama di essere diabolicamente astuti, si trovano esempi di un’ingenuità addirittura commovente, da un lato, ma preoccupante, da un altro. M.C.


Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?
Giovanni 5:44




 

Il Museo d'Israele ha acquistato un'importante opera di Klimt

"Die Medizin (Kompositionsentwurf)" di Gustav Klimt
È l'unico studio sopravvissuto di opere distrutte dai nazisti.

di Silvia Anna Barrilà

Il museo d'Israele di Gerusalemme ha acquistato l'unico studio a olio rimasto di una serie di opere di Klimt distrutte dai nazisti alla fine della seconda guerra mondiale. È quanto riporta Bloomberg. Si tratta di "Die Medizin (Kompositionsentwurf)", realizzato nel 1897-98 in preparazione ad una serie di dipinti per l'università di Vienna. L'opera è stata acquistata dal museo per una cifra non rivelata dagli eredi di Hermann Wittgenstein, cugino del noto filosofo Ludwig Wittgenstein e patrono dell'artista viennese.
È un'opera allegorica e rappresenta Hygiea, dea greca della salute. Secondo il direttore del museo, james Snyder, "riassume in sé lo spirito del XIX secolo e al tempo stesso anticipa i cambiamenti radicali che definiscono l'arte dei primi anni del XX secolo".
Nel mercato di Gustav Klimt è rimasto nella storia l'acquisto del ritratto di Adele Bloch-Bauer da parte di Ronald Lauder per 135 milioni di $ nel 2006.

(Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2014)


All'Università di Pollenzo si discute di storia del cibo ebraico

TORINO, 30 mag. - La storia e le trasformazioni del cibo ebraico nel corso dei secoli saranno al centro di un convegno internazionale in programma i prossimi 9 e 10 giugno a Pollenzo, nel Cuneese. L'iniziativa, dal titolo 'The Global History of Jewish Food', promossa dalla New York University e dall'Università di Scienze gastronomiche, vede la partecipazione di studiosi provenienti da importanti università degli Stati Uniti e della Germania.
Il convegno focalizza la funzione e il significato del cibo, gli snodi storici della diaspora, della guerra e della formazione di nuove comunità e identità ebraiche. Inoltre vengono affrontati i temi dell'origine delle regole dietetiche ebraiche, con il corollario di concetti di purezza e contaminazione, tabù e proibizioni. Un particolare accento viene poi dato alla rilevanza del cibo nella formazione e nella vita delle comunità ebraiche, e si analizzano temi come il ruolo femminile di guardiane della tradizione e produttrici della ritualità della tavola ebraica e la funzione del Kashrut nel differenziare gli ebrei 'pii' o 'ortodossi' da quelli 'secolarizzati' o 'non-osservanti'.

(Adnkronos Salute, 30 maggio 2014)


Perché Israele ha bisogno di checkpoint

di Giulio Meotti

Questa mattina l'esercito israeliano ha arrestato un palestinese che indossava una cintura esplosiva da kamikaze. Indossava un pesante giubbotto, nonostante il caldo. Mentre la grande stampa, a cominciare dal Corriere della sera, ha dato grande risalto a presunti abusi dell'esercito sui ragazzini palestinesi a Hebron, il ritorno dei kamikaze non arriverà sul desk dei giornali. Senza i checkpoint, i blocchi stradali e la barriera di separazione, sotto cui ha pregato sciaguratamente Papa Francesco, gli israeliani salterebbero in aria. Filo spinato, pattugliamenti stradali, telecamere e sensori elettronici sono utilizzati in Israele per impedire che un ristorante, un centro commerciale o un albergo possano trasformarsi in tappeti di corpi umani. Corpi di ebrei.

L'arresto del kamikaze palestinese

A differenza del Checkpoint Charlie di Berlino, che era un monumento di sfida contro gli oppressi, i checkpoint israeliani sono un simbolo di vita. Israele ne ha migliorato le condizioni, li ha rimossi, ma i terroristi arabi palestinesi ne hanno deliberatamente approfittato. Nel 2004, una donna palestinese ha ucciso quattro israeliani a un posto di blocco a Gaza, fingendo di essere disabile. A causa del suo stato, i soldati avevano proceduto ai controlli di sicurezza senza prima utilizzare un metal detector. Lei ha quindi potuto far esplodere l' ordigno esplosivo che portava con sè. Ci sono 63 posti di blocco lungo la barriera, noti come "porte" e "ostacoli", quali blocchi stradali e passaggi sotto controllo. Per questo i terroristi arabi hanno trovato difficoltà a procurarsi armi da quando l'esercito controlla ogni città. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, comunicano con i cellulari. In questo modo i servizi segreti israeliani riescono a intercettare la chiamata e individuare la rete. In passato, l'intelligence israeliana veniva a conoscenza di un attacco mentre questo era già in corso. Fu la Seconda Intifada. Con i posti di blocco, l'esercito previene le manovre dei terroristi. Ecco perché il checkpoint di Kalandia, tra Gerusalemme e Ramallah, assomiglia a un vero e proprio confine, dove vanno a manifestare legioni di pacifisti occidentali. Senza posti di controllo, barriere di sicurezza e blocchi stradali, Israele non sarebbe in grado di esistere. Se gli arabi si disarmano, ci sarà la "pace"; ma se è Israele a disarmarsi, ci sarà un nuovo genocidio.

(Il Foglio, 30 maggio 2014)


«Chi sono io?»



Netanyahu vuole Elie Wiesel come presidente di Israele

Ma l'attivista e autore americano di orgine romene ha rifiutato.

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tentato di convincere il premio Nobel per la Pace e superstite dell'Olocausto, Elie Wiesel, a candidarsi alla presidenza di Israele per succedere a Shimon Peres. Lo hanno riportato gli organi di informazione dello stato ebraico. Sei candidati hanno ufficialmente presentato la loro candidatura alla presidenza dello stato di Israele, ha annunciato il parlamento, che procederà all'elezione il 10 giugno.
Elie Wiesel, che abita a New York, ha dichiarato al quotidiano Yediot Aharonot che Netanyahu lo ha chiamato tre volte per cercare di convincerlo e gli ha fatto pressioni fino all'ultimo minuto attraverso amici comuni. Wiesel, 86 anni, si è però rifiutato. "Perchè dovrei essere presidente?", si è chiesto in dichiarazioni che gli sono state attribuite da Yediot, un quotidiano per cui ha lavorato come corrispondente, "non fa per me".
Gli sforzi di Netanyahu di convincere il militante e autore americano di origini rumene, che non ha la nazionalità israeliana, mira secondo alcune fonti a impedire l'elezione alla presidenza dell'ex presidente del parlamento Reouven Rivlin, favorito secondo i sondaggi ed esponente del Likud. Il gabinetto di Netanyahu non ha voluto fare commenti a riguardo.

(TMNews, 30 maggio 2014)


Israele beve l'acqua del mare

Con alle spalle uno degli inverni meno piovosi di sempre, il pur arido stato di Israele guarda con ottimismo al futuro

di Stefano Lamorgese

L'impianto di desalinizzazione di Sorek
Lo Stato di Israele sorge in una delle aree più aride del pianeta. La breve stagione invernale, l'unica ricca di pioggia, permette di sopravvivere solo se si mettono in atto pratiche di conservazione dell'acqua estremamente rigorose. Ma oggi, pur dopo uno degli inverni meno piovosi di sempre, la situazione non è critica. Lo si deve soprattutto all'integrazione di diverse politiche di risparmio: il riciclaggio delle acque reflue per l'agricoltura, la custodia delle esigue sorgenti naturali e soprattutto la desalinizzazione, che ha compiuto passi fa gigante nell'ultimo decennio.

I DATI - Secondo l'ufficio meteorologico nazionale di Tel Aviv, nell'inverno 2013-2014 le piogge si sono attestate sul 50-60% della media. Eppure, come sostiene Avraham Tenne, responsabile dell'Autorità israeliana per la desalinizzazione dell'acqua, il paese mediorientale "ha tutta l'acqua che gli serve".

GLI IMPIANTI - Fin dal 2005 Israele ha accelerato le politiche volte a fornire acqua potabile dalla desalinizzazione di quella marina. Oggi circa il 35% di tutta l'acqua da bere proviene da lì. E si prevede di arrivare almeno al 40% l'anno prossimo, con l'obiettivo del 70% entro il 2050. Il più recente impianto di desalinizzazione, inaugurato nel 2013, è quello di Sorek, il più grande del mondo. Da qui proviene il 20% di tutta l'acqua pubblica israeliana. Sorto a circa 15 Km a Sud di Tel Aviv, succhia l'acqua marina attraverso due condotti del diametro di 2,5 metri ciascuno, che affondano le proprie bocche nel Mediterraneo. L'acqua viene poi filtrata e processata con processi osmotici e il sale derivato viene immesso nuovamente nel mare. Da questo impianto, costituito da una coppia di strutture gemelle, indipendenti l'una dall'altra, escono 624 mila metri cubi di acqua potabile ogni giorno, pari a 150 milioni di metri cubi d'acqua annui (150 miliardi di litri l'anno). Se con la desalinizzazione la sete sembra scongiurata, non si può comunque ignorare che gli impianti di questo tipo sono tra le strutture più energivore mai inventate dall'uomo. Oggi Israele consuma il 10% dell'energia per alimentare il settore.

RISVOLTI POLITICI - Aver raggiunto l'indipendenza idrica costituisce per Israele una grande chance diplomatica. Le dispute sulla gestione delle sorgenti del Golan, conteso con gli stati vicini, potranno essere lasciate alle spalle. E la tecnologia messa a punto da Tel Aviv potrà dare slancio a simili iniziative industriali capaci di alleviare la sete dell'intero Medio Oriente. Sempre che l'acqua serva a innaffiare fiori di pace.

(Rai News, 30 maggio 2014)


Kamikaze fermato in Giudea-Samaria: sventato attacco suicida

GERUALEMME - I soldati israeliani in servizio a un posto di blocco a sud di Nablus, in Giudea-Samaria, hanno catturato un kamikaze palestinese, che si stava spostando per compiere un attentato. Lo fa sapere il colonnello Peter Lerner. I militari, spiega, si sono insospettiti nel vedere un uomo con indosso un cappotto in una giornata molto calda. Lo hanno fermato e perquisito, scoprendo che aveva il busto coperto di esplosivi collegati con cavi. L'uomo ha ammesso che la sua intenzione era farsi esplodere. La cintura è poi stata fatta detonare dagli artificieri. Era da un anno, ha dichiarato Lerner, che non veniva arrestato un attentatore suicida.

(Fonte: LaPresse, 30 maggio 2014)


Firenze - Successo per l'apertura straordinaria della sinagoga

Cividalli: "Forte il messaggio contro i vili attacchi di chi minaccia gli ebrei e la loro memoria"

 
La Sinagoga di Firenze
Desidero ringraziare tutti coloro che sono qui questa sera in occasione dell'apertura alla città del Museo ebraico di Firenze, perché a voce alta diciamo che la cultura non si ferma, i musei sono luoghi di diffusione culturale, di conoscenza e sono quindi punti di dialogo e di crescita. Mi aspetto che da questa serata esca forte un messaggio potente contro i vili attacchi di chi vuole cancellare la memoria e la storia degli ebrei quale testimonianza di una minoranza, insieme a tutte le altre presenti in Europa." con queste parole Sara Cividalli, presidente della Comunità ebraica di Firenze ha dato il benvenuto ai numerosissimi fiorentini che ieri sera hanno partecipato all'apertura straordinaria della Sinagoga e del Museo ebraico di Firenze. Cividalli ha ringraziato la Fondazione Beni Culturali ebraici in Italia che ha proposto quest'iniziativa a tutti i musei ebraici d'Italia e ha commentato: "L'apertura dei musei e, nel nostro caso anche della Sinagoga e soprattutto la vostra partecipazione è segno di solidarietà per il grave attentato di Bruxelles, episodio condannato ufficialmente a nome di tutti gli ebrei italiani dal presidente UCEI, Renzo Gattegna il cui richiamo ai principi ispiratori della Costituzione è ancora più forte nel momento in cui in Europa si riaffaccia l'antisemitismo e la xenofobia. Questo è così evidente a Firenze dove la Comunità ebraica è inestricabile dal contesto cittadino, dove i momenti di condivisione di questo nostro "salotto buono" sono tantissimi, dalla Giornata europea della cultura al Balagan cafè ed al neonato Festival dei bambini. Bello poter dire che le prime due sono iniziative partite dal mondo ebraico e la terza dal Comune, ma tutte ci vedono impegnati insieme alle cittadine ed ai cittadini di Firenze che vengono numerosi e partecipi. In tutte queste occasioni oltre sono sempre state presenti le istituzioni, i rappresentanti del Comune, della Regione, della Provincia delle autorità religiose e militari e tante cittadine e tanti cittadini di Firenze. Desidero ringraziare caldamente Coopculture che sempre collabora con sollecitudine ed attivamente, promuove e sostiene tutte queste nostre iniziative."

(gonews.it, 30 maggio 2014)


Hamas infiltrato in Israele con il sostegno di Turchia e Qatar

I servizi di sicurezza israeliani hanno comunicato giovedì che Mahmoud Toama, un importante operativo di Hamas arrestato il mese scorso presso il Ponte Allenby (valico di frontiera con la Giordania), ha rivelato che Hamas utilizza il Movimento Islamico israeliano per promuovere le proprie attività a Gerusalemme. Toama, che è membro del Consiglio Generale della Shura di Hamas presieduto dal "primo ministro" di Hamas a Gaza Ismail Haniyeh (l'organo responsabile per tutte le decisioni dell'organizzazione, comprese quelle militari), ha rivelato che Hamas usa il Movimento Islamico per trasferire a Gerusalemme il denaro con cui pagare i giovani arabi che presidiano il Monte del Tempio fingendosi studenti religiosi al fine di bloccare qualunque pellegrinaggio ebraico. Negli ultimi mesi al Monte del Tempio si è registrato un aumento delle attività violente che in alcuni casi hanno costretto la polizia a chiudere l'accesso ai visitatori ebrei. Secondo Toama, il capo del ramo settentrionale del Movimento Islamico israeliano Raed Salah è in contatto segreto con la dirigenza di Hamas e con i Fratelli Musulmani, a loro volta presenti nel Consiglio Generale della Shura di Hamas. Toama ha anche detto che Turchia e Qatar forniscono a Hamas sostegno politico e finanziario, dopo che è cessato l'afflusso di fondi dall'Iran, e che Hamas ha deciso di entrare in un governo di unità nazionale con Fatah per necessità, ma che la mossa non indica un cambiamento nelle posizioni dell'organizzazione.

(israele.net, 30 maggio 2014


Progetto di ricerca "Tour Mob" tra le Università di Palermo e Gerusalemme

di Pino Grasso

Un progetto volto ad analizzare i comportamenti dei croceristi che visitano la città di Palermo con riferimento in particolare alle loro scelte, alle caratteristiche socio-demografiche, al livello di gradimento e alla soddisfazione, al livello di spesa e che si è concretizzato in una indagine empirica con interviste face-to-face.
È il progetto di ricerca "Tour Mob" (Analisi della mobilità turistica attraverso l'utilizzo di tecnologie GPS) che nasce dalla collaborazione tra l'Università degli Studi di Palermo e la prestigiosa Università Ebraica di Gerusalemme (Hebrew University of Jerusalem) ed in particolare tra il dipartimento SEAS (Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche) e il dipartimento di Geografia dell'Università Israeliana, nell'ambito delle attività del Dottorato in Scienze del Turismo ed con il patrociniso e il supporto logistico del comune di Palermo e dell'Autorità Portuale.
L'analisi parte dal 2013 quando sono giunti nel porto di Palermo oltre 400.000 croceristi in visita, provenienti da diverse parti del Mediterraneo e del mondo e altrettanti sono attesi per l'anno in corso. Un grosso flusso di persone che certamente richiede un approfondimento informativo su una molteplicità di piani; ma soprattutto di valutare l'impatto economico, sociale e ambientale che tale flusso comporta.
«La ricerca ha utilizzato un innovativo sistema - spiega Stefano De Cantis, Associato di Statistica Sociale - tramite l'utilizzo di particolari dispositivi GPS per individuare il percorso dei croceristi nel territorio e tracciare i loro movimenti nello spazio ad intervalli davvero ravvicinati (ogni 10 secondi). Lo studio ha visto coinvolti, oltre che i due team di ricerca delle due università interessate, anche un lodevole gruppo di studenti palermitani della laurea in Scienze del Turismo e della laurea magistrale in Scienze Economiche e Finanziarie che volontariamente hanno voluto fare esperienza diretta sul modo di effettuare un'indagine statistica su campo. Attraverso un campionamento sistematico sono state infatti effettuate oltre 320 interviste e si sono monitorati altrettanti percorsi di visita che hanno portato a registrare circa 1.275 ore di attività dei croceristi nella città, cui corrispondono circa 460.000 dati di posizionamento GPS".
La relazione tra i percorsi monitorati, le caratteristiche socio demografiche, il grado di soddisfazione e il livello di spesa saranno attentamente valutate e analizzate al fine di fornire utili informazioni per migliorare la programmazione e la gestione dei servizi turistici della città e più in generale la qualità dell'offerta della città di Palermo.

(Younipa, 30 maggio 2014)


Tunisia: ebrei e musulmani convivono in pace nell'isola di Djerba

Gli israeliti nel paese sono 1.500, prima del 1956 erano 100mila

DJERBA - La notizia pare sorprendente. Ma convivere è possibile. A Djerba, la più grande isola del Nordafrica, a mollo nel golfo di Gabès di fronte alle coste della Tunisia, ebrei e musulmani coabitano in pace "da sempre". Una notizia in controtendenza rispetto al panorama contemporaneo ma in realtà normale. Molti oggi hanno interesse a dimenticare la seconda sura del Corano che recita testualmente: "Non c'è costrizione nella religione". Per cui nessuno può essere costretto a seguire una religione e a nessuno può essere impedito di praticarla. Il versetto, in particolare, tutela la libertà della "gente della Scrittura", cioè ebrei e cristiani.El-Harra è il quartiere giudaico di Djerba e ospita la maggior parte dei 1.500 ebrei tunisini, 100mila prima dell'indipendenza del 1956. "Ci sono state ondate di emigrazione a diverse riprese, spiega una donna, soprattutto negli anni '50 e '60. Ogni volta che succede qualcosa, alcuni si spaventano e se ne vanno". Sono soprattutto i conflitti arabo-israeliani che hanno alimentato e alimentano le tensioni tra le comunità. Ma chi è rimasto vive sereno a fianco dei vicini musulmani. "Vivo qui da 40 anni. Ci sono nato e ho sempre avuto buone relazioni con gli ebrei. Siamo andati alla stessa scuola e anche i miei figli vanno a scuola con altri bambini ebrei. Non abbiamo mai avuto problemi con loro". La vita degli ebrei di Djerba vive secondo itinerari e circuiti che generalmente non si spingono oltre l'isola, come spiega Youssef Wazine, portavoce della comunità."Sono poche le persone che vanno a fare studi superiori a Tunisi. La maggior parte segue le orme dei genitori e vuole fare i gioiellieri o i commercianti, senza occuparsi d'altro". Una volta all'anno gli ebrei dell'isola organizzano un pellegrinaggio a Ghriba, la sinagoga più antica d'Africa, un momento di gioia, raccoglimento e nostalgia per i residenti ma anche per le comunità di origine tunisina giunte dall'estero.

(TMNews, 29 maggio 2014)


In festa per Yom Yerushalaim

Secondo una recente indagine, il 92 per cento degli israeliani che abitano a Gerusalemme sono felici della propria vita. Il dato è stato rilasciato dal Central Bureau of Statistics dello Stato ebraico nelle ore in cui si celebrava Yom Yerushalaim, la Giornata di Gerusalemme, che segna l'anniversario della riunificazione della città avvenuta 47 anni fa.
"I residenti di Gerusalemme percepiscono l'energia giovane che attraversa la città e stanno godendo della notevole ondata di sviluppo che la avvolge. Gerusalemme è moderna, attraente, una città leader che attrae giovani che apprezzano la cultura, lo sport, il tempo libero, l'eccellente qualità dell'istruzione e della cita che esisto solo qui" ha commentato il sindaco Nir Barkat.
E tuttavia, fa notare la stampa israeliana, qualche ombra rimane: come ha dichiarato il parlamentare del Likud Reuven Rivlin, che è considerato il candidato di punta nella corsa per succedere a Shimon Peres come presidente d'Israele, "la festa si è sempre più caratterizzata per essere una celebrazione esclusiva di chi porta una kippah in testa: nel 1967, dopo la riunificazione, la gioia era di tutti".

(moked, 29 maggio 2014)


Calcio - Messico-Israele 3-0: Festa grande all'Azteca

  
L'Azteca si tinge di verde ma non è il profumo dei Mondiali che porta il clima di festa. Il Messico esordirà il 13 giugno contro il Camerun ma il motivo che porta la gente allo stadio è il ritiro di una grande bandiera come Cuauhtémoc Blanco, che all'età di 41 anni dice addio alla Tricolor dopo essere stato l'elemento di spicco di una nazionale che negli ultimi anni ha avuto una crescita enorme. Mister Herrera sceglie di lasciare in panchina Giovani Dos Santos e Javier Hernandez per lasciar spazio davanti proprio a Blanco, la cui partita durerà 39?, e all'uomo che più di tutti è stato decisivo nel portare il Messico in terra carioca, Oribe Peralta. La scena però se la prende tutta il terzino Layun, coadiuvato dal portiere israeliano Harush. Il vantaggio dei padroni di casa arriva solo nel finale di tempo quando Layun da posizione defilata fa partire una botta tremenda che piega le mani ad Harush.
Nella ripresa è ancora una bordata di Layun a fare la differenza. Questa volta però le responsabilità dell'estremo difensore avversario sono enormi, con il portiere israeliano che respinge con una mano la conclusione del calciatore messicano mandando però il pallone in rete. Un minuto più tardi, al 73o, lo stadio Azteca si ammutolisce. Uno scontro di gioco causa l'infortunio del portiere messicano Corona che viene trasportato in barella fuori dal campo con tanto di collare. A fine gara però la paura è scongiurata grazie alle dichiarazioni di mister Herrera che tranquillizza tutti dando la notizia che il portierone potrà tornare in gruppo già in settimana. All'80o il gol del centrocampista Fabian mette la parola fine alla gara. Adesso la Tricòlor si sposterà negli Stati Uniti dove dovrà affrontare delle amichevoli importanti con Ecuador e Portogallo.

(Tutto Calcio, 29 maggio 2014)


Ebrei italiani annunciano azione legale contro Le Iene

ROMA - Un'azione penale nei confronti dell'estremista di destra Roberto Jonghi Lavarini e della trasmissione televisiva "Le Iene" (Mediaset) è stata disposta dal Presidente dell''Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) Renzo Gattegna, a seguito della puntata conclusiva del programma, che di fronte a milioni di spettatori si è fatto cassa di risonanza di deliranti farneticazioni neonaziste." Di fronte a fatti di tale gravità - ha commentato il Presidente UCEI - gli ebrei italiani hanno il dovere di reagire fermamente, non di commentare.
Reagire portando di fronte alla magistratura non solo chi diffonde odio antisemita e apologia del fascismo e del nazismo, ma anche chi pur di incrementare la propria visibilità e di destare sensazione approfitta cinicamente di deliri e farneticazioni diffondendone irresponsabilmente le parole".
"Lo faremo con fermezza e serenità - ha aggiunto Gattegna - per salvaguardare valori e diritti che non appartengono solo agli ebrei italiani, ma a tutti gli italiani impegnati sul fronte del progresso, della democrazia e della convivenza civile".

(TicinOnline.ch, 29 maggio 2014)


Roma - Cori ebraici, un festival europeo

Da tutte le capitali. Russi e ucraini canteranno insieme.

di Natalia Distefano

Arrivano da Londra, Berlino, Parigi, Vienna, Leopoli e San Pietroburgo per svelare il lato europeo della musica ebraica i sei cori che, da stasera a domenica, insieme al Coro Ha-Kol di Roma daranno vita al Festival europeo dei Cori ebraici. «Sì, perché non esiste un'unica musica ebraica - commenta Richard Di Castro, organizzatore della rassegna e presidente del Coro Ha-Kol - ma tante quanti sono i paesi che ospitano la nostra comunità, in un intreccio prezioso con le tradizioni musicali nazionali». In programma incontri, workshop e due concerti - stasera al Teatro Argentina e il i giugno all'Auditorium Parco della Musica - che sotto la direzione artistica del maestro Andrea Orlando mescoleranno klezmer, canti sinagogali e popolari.
   «Attraverso la musica si conferma il grande paradosso della condizione ebraica - spiega Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma - quella di un'unità sostanziale fatta di grandi diversità conviventi, separate in casa, verrebbe da dire». Diversità che confluiranno nella Capitale, «città del dialogo» come la definisce il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, per incontrarsi e incoraggiare lo scambio interculturale. «Abbiamo fortemente voluto come ospite d'eccezione il Coro della Diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina - spiega Pacifici -, per lanciare un invito alla cooperazione in un momento delicato come questo, segnato dal viaggio in Terra Santa di Papa Francesco e dalle elezioni europee. Il festival vuole unire l'Europa cantando, usando la musica come strumento di fratellanza».
   A esibirsi saranno il Vienna Jewis Choir, l'Ensemble Vocal Zamir di Parigi, il Zemel Choir di Londra, il Synagogal Ensemble Berlin, il Jewish Choir Eva di San Pietroburgo e il Varnitshkes di Leopoli. Ucraini e russi, dunque, canteranno insieme, a dispetto della crisi politica che investe i loro paesi. «Quando la situazione in Crimea è degenerata i 15 coristi del Varnitshkes, senza visto e con poche finanze, si sono trovati costretti a rinunciare al festival - racconta Di Castro -. Ma grazie alla mobilitazione dell'Unione delle comunità ebraiche italiane e alla spinta arrivata anche dal popolo dei social network, siamo riusciti a garantire la loro partecipazione. Pur di esserci hanno attraversato l'Europa a bordo di un pulmino».
   Il repertorio in scaletta abbraccia gli ultimi quattrocento anni di musica ebraica. «Si parte dall'opera salmodica di Salomone Rossi per arrivare alle più recenti declinazioni di questa tradizione - conclude il direttore artistico Orlando -. Un evento unico, con la partecipazione straordinaria del tenore Claudio Di Segni, che si concluderà con un'esecuzione a cori uniti che coinvolgerà oltre 200 elementi».

(Corriere della Sera - Roma, 29 maggio 2014)


L'appello per Stormfront: "Gli imputati istigavano alla violenza antisemita"

di Federica Angel

Nel giorno in cui in aula veniva celebrato il processo contro Militia, la Corte d'Appello di Roma ha depositato le motivazioni della sentenza nei confronti di altri quattro estremisti di destra, membri del sito neonazista Stormfront. Il verdetto è dello scorso febbraio e fu accolto con grande entusiasmo dalla Comunità ebraica romana, proprio perché la Corte confermò tutto l'impianto accusatorio della sentenza di primo grado, compreso il reato associativo, con un lieve sconto sulla pena inflitta ai quattro condannati. Un processo storico quello di primo grado e istruito dal pubblico ministero Luca Tescaroli che sancì il principio per cui il web «non è il luogo delle impunità ma è il luogo della responsabilità». E per la prima volta un gruppo responsabile di aver commesso reati on-line è stato condannato per un reato associativo. È inoppugnabile infatti, si legge nella motivazione con cui l'Appello ha confermato quanto sostenuto dai magistrati del primo grado di giudizio, che il comportamento di chi è stato condannato «era finalizzato alla commissione di più delitti di diffusione di idee (online e tramite volantinaggio) fondate sulla superiorità della razza bianca, sull'odio razziale e di incitamento a commettere atti di discriminazione e di violenza per motivi razziali ed etnici».

(la Repubblica - Roma, 29 maggio 2014)


La «guerra del calcio» in Medio Oriente. E Blatter vola in Israele per mediare

Rischio di una spaccatura a ridosso dei Mondiali. A innescare la crisi è stata la denuncia della federazione palestinese: i nostri giocatori non possono allenarsi.

di Maurizio Molinari

 
Sepp Blatter
GERUSALEMME - Sepp Blatter vuole siglare una tregua calcistica fra israeliani e palestinesi in occasione del Mondiale in Brasile. Per questo è giunto in Medio Oriente, come una missione-shuttle fra Ramallah e Gerusalemme al fine di sciogliere il nodo che generale frizioni locali e minaccia disaccordi in seno alla FIFA.
A innescare la mini-crisi è stata la Federazione calcio palestinese contestando al governo israeliano una serie di "misure punitive" che "impediscono alla nazionale di allenarsi" a causa delle restrizioni alla circolazione di giocatori fra Gaza e la Cisgiordania.
La replica di Gerusalemme è arrivata con un lungo documento nel quale si illustrano a Blatter le "ragioni di sicurezza" che portano ad eseguire minuziosi controlli ai posti di confine con la Striscia di Gaza, rallentando il passaggio di giocatori e delegazioni. La contromossa della Federazione palestinese è stata di minacciare una formale denuncia contro quella israeliana, spingendosi fino ad ipotizzare una sua "espulsione" dall'organizzazione. Jibril Rajoub, capo della "Palestine Soccer Association" preannuncia: "Chiederemo sanzioni alla FIFA contro Israele se le restrizioni ai movimenti dei calciatori non saranno tolte".
Per Blatter ciò significa il rischio di una spaccatura della Fifa a ridosso della Coppa del Mondo che si giocherà in Brasile a partire dal 12 giugno. Da qui il tentativo di raggiungere una "formula di compromesso" - i cui contenuti non sono ancora trapelati - da far siglare alle parti durante il consiglio della Fifa che si svolgerà a San Paolo nelle 48 ore precedenti il calcio di inizio. Blatter sembra sicuro della possibilità che l'atmosfera del Mondiale contribuirà a spingere israeliani e palestinesi ad accettare un compromesso. Almeno nel calcio.

(La Stampa, 29 maggio 2014)


Il Meis rende omaggio alle vittime di Bruxelles con un'apertura straordinaria notturna

A Ferrara il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah apre straordinariamente la sua sede (in via Piangipane 81) giovedì 29 maggio dalle 19,30 alle 22. Il museo compie un gesto di solidarietà verso le famiglie delle vittime dell'attentato avvenuto sabato a Bruxelles, un segno di vicinanza verso il Museo Ebraico del Belgio e in particolare con i volontari che donano il loro tempo alla cultura e con gli operatori che si impegnano con passione. L'apertura straordinaria nasce in seguito all'appello che la Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia ha rivolto ai Musei ebraici italiani affinché aprissero le loro porte, accogliendo gratuitamente tutta la cittadinanza in un giorno di questa settimana, immediatamente precedente a quella in cui ricorrono sia la celebrazione della festa della Repubblica nata dalla Resistenza al nazifascismo sia la Festa ebraica di Shavuot, giorno in cui venne concessa la Torah al popolo ebraico. Il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah si impegna, anche attraverso questo gesto simbolico, a testimoniare il valore della cultura nella società, conscio che l'odio si può fermare attraverso la trasmissione del patrimonio di conoscenze, idee e testimonianze sulla presenza storica degli ebrei in Italia. Per questo motivo hanno accolto l'appello l'Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e Consigliere della Fondazione MEIS, Massimo Mezzetti, il Presidente della Provincia di Ferrara, Marcella Zappaterra, il Sindaco del Comune di Ferrara, Tiziano Tagliani, il Vice Sindaco del Comune di Ferrara e Consigliere della Fondazione MEIS, Massimo Maisto. L'invito a partecipare è esteso a tutta la cittadinanza. Giovedì 29 maggio apriranno gratuitamente al pubblico in diversi orari i musei ebraici di Firenze, Siena, Bologna, Livorno, Milano, Ferrara e Venezia con un messaggio forte e condiviso: La cultura non si ferma.

(CronacaComune, 29 maggio 2014)


Scontri nella "Giornata di Gerusalemme"

Centinaia di giovani israeliani hanno sfilato a Gerusalemme per celebrare la riunificazione della città in seguito alla Guerra dei Sei Giorni del 1967.
La giornata è stata segnata da scontri tra la polizia israeliana e manifestanti palestinesi nei pressi della porta di Damasco.
A causa dei disordini le autorità israeliane hanno chiuso ai visitatori la Spianata delle Moschee.
In occasione delle celebrazioni, il premier israeliano ha ribadito che Gerusalemme non sarà divisa di nuovo.
Pronta la replica della leadership palestinese: Gerusalemme Est è la capitale dello Stato di Palestina e nessun accordo di pace può prescindere da questo.
Video

(euronews, 28 maggio 2014)


“Pronta è la replica della leadership palestinese”, dice la cronista. Quando si sottolinea la “prontezza” della risposta, è perché si vuol far capire che si è d’accordo con chi risponde. Di questo però non c’era alcun dubbio. I giovani che hanno dimostrato volevano appoggiare invece l’affermazione contraria, cioè che Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile d’Israele, e che nessun accordo di pace può prescidnere da questo. M.C.


La visita non proprio amichevole di Papa Francesco

L'Età dell'Oro delle relazioni cattolico-ebraiche sembra essere giunta a termine durante la visita di Francesco alla Terra Promessa questa settimana.

di Caroline B. Glick*

Il Primo Ministro Binyamin Netanyahu e il Ministro degli Esteri Avigdor Liberman hanno ragione a biasimare l'incitazione anti Israele rampante e crescente in Europa per l'attacco assassino di Sabato scorso al Museo Ebraico di Buxelles e per l'assalto e pestaggio a due fratelli Ebrei fuori dalla loro sinagoga in un sobborgo parigino più tardi nella stessa giornata.
L'incitazione contro Israele è onnipresente in Europa e appare in circoli sempre crescenti nel mondo occidentale in genere.
Fino a questa settimana la Chiesa Cattolica era stata fuori dalla campagna di disumanizzazione degli Ebrei e di calunnia verso lo Stato Ebraico.
Papa Benedetto XVI era percepito come un amico d'Israele, nonostante la sua appartenenza giovanile alle Hitlerjugend, la Gioventù Hitlerana. La sua opposizione al rifiuto islamico della ragione, eloquentemente espressa nel suo discorso all'Università di Ratisbona nel 2006, lo posizionava come un campione religioso della razionalità, della responsabilità individuale e della legge - fra i principali contributi dell'Ebraismo all'umanità.
Il suo predecessore, Papa Giovanni Paolo II, era meno incline a confrontare la violenza islamica. Tuttavia, la sua opposizione al comunismo gli faceva rispettare Israele come l'avamposto della libertà nel Medio Oriente. La visita di Giovanni Paolo II in Israele nel 2000 fu in vari modi un gesto storico di amicizia per gli Ebrei d'Israele.
Benedetto XVI e Giovanni Paolo II furono espliciti difensori del Concilio Vaticano II e mantennero la fedeltà dottrinale alla denuncia e rifiuto da parte della Chiesa dell'anti Giudaismo, il che comprendeva la negazione dell'accusa di deicidio e la denuncia della teologia della sostituzione [degli Ebrei come Popolo di D-io, ndt].
Purtroppo, l'Età d'Oro delle relazioni cattolico ebraiche sembra essere giunta a termine durante la visita di Francesco alla Terra Promessa questa settimana.
In una delle sue asserzioni più blande durante la visita papale, Netanyahu ha detto che Gesù parlava in Ebraico. Non c'era nulla d'incorretto nell'affermazione di Netanyahu. Gesù era dopo tutto un Ebreo d'Israele.
Ma Francesco non poté accettare quella verità e indelicatamente interruppe il proprio ospite dicendo "Aramaico".
Netanyahu era probabilmente sconvolto. Vero, all'epoca gli Ebrei istruiti parlavano e scrivevano in Aramaico e Gesù era istruito. Ma la lingua del popolo era l'Ebraico e Gesù predicava al popolo, in Ebraico. Netanyahu allora [gli] rispose; "Parlava Aramaico, ma sapeva l'Ebraico."
Reuters nel suo comunicato sull'incidente ha cercato di dare una spiegazione alla maleducazione e revisionismo storico del papa, scrivendo: "Il discorso moderno su Gesù è complicato e spesso politico". L'agenzia continuava con la delicata menzione "i palestinesi a volte descrivono Gesù come palestinese. Gli Israeliani a ciò obiettano".
Gli Israeliani "a ciò obiettano" perché è una menzogna.
I palestinesi - coi loro supporter islamici e occidentali - de-ebraizzano Gesù e lo proclamano palestinese per calunniare gli Ebrei con libelli di sangue e criminalizzare lo Stato Ebraico. Sembrerebbe che sia il compito del Vescovo di Roma mettere le cose in chiaro. Al contrario, la mancanza di cortesia di Francesco indica come minimo che non pensa che il fatto che Gesù fosse Ebreo sia da menzionare in pubblico in una visita diplomatica.
Il comportamento di Francesco durante l'incontro pubblico con Netanyahu potrebbe essere messo da parte come "Tanto Rumor per Nulla" se non fosse avvenuto il giorno dopo il suo pubblico abbraccio a una delle peggiori calunnie anti ebraiche dei nostri tempi e la sua apparente adozione della teologia della sostituzione durante la sua omelia a Betlemme.
Considerate innanzitutto il comportamento di Francesco alla barriera di sicurezza.
C'è gente ragionevole che è in disaccordo sul contributo della barriera alla sicurezza degli Israeliani. Ma nessuno in buona fede può dubitare che sia stata costruita per proteggere gli Israeliani dai terroristi assassini palestinesi. Francesco doveva saperlo. La decisione di Francesco di intrattenere un evento fotografico-mediatico alla barriera di sicurezza è stato un atto di ostilità estrema contro Israele e il Popolo Ebraico.
Come ex Cardinale di Buenos Aires, Francesco dovrebbe aver sentito parlare del massacro del Novembre 2002 al Kibbutz Metzer. Metzer fu fondato da comunisti argentini negli anni '50. Metzer è a 500 metri dentro linee di cessate il fuoco del 1949 [dal lato israeliano - ndt], il che lo ha reso ovvio beneficiario della barriera di sicurezza. Ma, fedele alle loro radici estremiste, nel 2002 dei membri del kibbutz fecero una pubblica campagna di condanna del percorso pianificato per la barriera di sicurezza. Temevano che avrebbe, per usare le parole del membro del Kibbutz Metzer Danny Dovrat, "incendiare ostilità e creare problemi" coi vicini palestinesi del kibbutz.
Grazie a tale preoccupazione, nella notte del 10 Novembre 2002, un terrorista dell'organizzazione terrorista "moderata" Fatah, sostenuta dagli U.S.A. e dalla U.E., non trovò alcun ostacolo fisico quando entrò nel kibbutz [per commettere un massacro - ndt]. Una volta giunto nel kibbutz, assassinò due persone strada e poi entrò in casa di Revital Ohayon e assassinò Revital e i suoi due figli, Matan di 5 anni e Noam di 4.
Fatah glorificò l'attacco sul proprio sito internet e giurò di condurre altri assalti contro "i coloni sionisti", promettendo di "continuare ad avere [anche] i bambini come obbiettivi".
Gli fosse veramente importato di sostenere la causa della pace e della non violenza che dice di sostenere, Francesco avrebbe potuto evitare di sostare alla barriera di sicurezza, riconoscendo che fermandovisi avrebbe insultato la memoria degli Ohayon e delle centinaia di famiglie ebree israeliane che sono state distrutte dalla sete di sangue dei palestinesi e dalla loro depravazione antisemita.
Al contrario, Francesco, è uscito "spontaneamente" dalla sua papamobile, s'è incamminato verso una sezione della barriera e l'ha toccata e baciata con reverenza, come se fosse il Muro Occidentale (Muro del Pianto).
I graffiti di quella sezione della barriera di fronte ai quali si è fermato Francesco, hanno rinforzato la sua posizione antisemita. Uno degli slogan faceva appello ad abbracciare a campagna di Disinvestimenti, Boicottaggio e Sanzioni [contro Israele].
Sebbene le conseguenze economiche della campagna di guerra economica contro Israele siano irrisorie, lo scopo del BDS non è economico. Lo scopo del movimento è di disumanizzare Israele e mettere da parte per ostracismo sociale chiunque rifiuti di abbracciare le calunnie antiebraiche che gli Ebrei non avrebbero alcun diritto all'autodeterminazione e sovranità e sarebbero moralmente inferiori a qualsiasi altro gruppo etnico, nazionale e religioso al mondo.
E questo è niente se lo paragoniamo all'altro slogan scritto sulla barriera. Quello paragona i palestinesi di Betlemme agli Ebrei del Ghetto di Varsavia. In altre parole, nega la Shoah.
Mettendosi sull'attenti proprio lí e baciando la barriera con il suo slogan negazionista, Francesco ha dato l'imprimatur Vaticano al negazionismo della Shoah.
E quello non fu che l'inizio.
Papa Francesco ha [poi] incontrato il capo di Fatah Mahmoud Abbas nel suo palazzo presidenziale di Betlemme. Quando Israele trasferí il controllo del luogo di nascita di Gesù al predecessore di Abbas Yasser Arafat nel 1996, Arafat s'impadroní il monastero greco ortodosso accanto alla Chiesa della Natività e lo fece diventare la propria residenza ufficiale, poi passata ad Abbas.
In piedi di fianco ad Abbas, su proprietà sequestrata alla chiesa, il papa ha chiamato Abbas "uomo di pace".
Abbas gli ha restituito il favore chiedendo che Israele rilasci tutti i terroristi palestinesi dalla prigioni israeliane. E il papa - che interruppe poi Netanyahu quando quest'ultimo disse una verità storica - non aprí bocca.
Durante la messa alla Chiesa della Natività, Domenica, Papa Francesco ha pregato con il Patriarca Latino Fouad Twal [massima autorità cattolica locale - ndt]. Nel suo sermone, Twal ha accusato gli israeliani di essere la versione corrente degli assassini di Cristo, riferendosi ai palestinesi come "camminanti sui passi del bambino divino", e equiparando gli Israeliani a Erode.
Per citare le sue parole: "Non abbiamo ancora finito gli Erdi del presente, che hanno paura della pace più che della guerra… e sono pronti a continuare gli assassinii".
Anziché condannare tali asserzioni, Francesco vi ha fatto eco.
"Chi siamo noi, che siamo noi davanti al Bambino Gesù ? Chi siamo noi, davanti ai bambini di oggi?" ha chiesto il papa...
"Siamo noi come Maria e Giuseppe, che hanno dato il benvenuto a Gesù e ne hanno preso cura con l'amore di una padre e di una madre? O siamo come Erode, che lo voleva eliminare?"
Durante la sua visita di lunedí a Gerusalemme, Francesco ha baciato il mufti palestinese di Gerusalemme, lo Sceicco Mohammed Hussein. Abbandonando il suo discorso scritto secondo il quale il papa avrebbe dovuto chiamare il mufti e i suoi associati "cari amici", Francesco li ha chiamati "cari fratelli".
Hussein è stato condannato dagli USA e dall'U.E. per aver fatto appello allo sterminio degli Ebrei in nome dell'Islam.
Nel 2012, Hussein disse che era il destino dei musulmani ammazzare gli Ebrei, che secondo le sue parole sono bestie sub umane e "i nemici di allah". Ha anche glorificato i terroristi suicidi e ha detto che "le loro anime ci intimano di seguirli nel loro cammino".
Francesco non lo ha condannato.
Francesco ha condannato in modo stridente gli attacchi anti ebraici di Bruxelles e Parigi. Durante la sua visita cerimoniale a Yad Vashem [museo della Shoah a Gerusalemme - ndt] al Muro Occidentale e al memoriale per le vittime del terrorismo, ha detto cose simili molto appropriate. Ma tutte le sue affermazioni suonano vuote e false alla luce delle sue azioni.
Gli Israeliani e gli Ebrei in tutto il mondo devono essere consapevoli di ciò che sta accadendo. Francesco sta guidando la Chiesa Cattolica in una direzione anti ebraica penosamente angosciante.

* Caroline B. Glick è Senior Middle East Fellow al Center for Security Policy in Washington, DC e vice
  direttore del Jerusalem Post, dove i suoi articoli sono pubblicati.

(The Jerusalem Post, 27 maggio 2014 - trad. Sergio Hadar Tezza)


Dan Bahat: "Tutto comincia con l'ignoranza"

Dan Bahat
Dan Bahat e Ivan Basana
"Tutto comincia con l'ignoranza". Con queste parole ha concluso l'archeologo Dan Bahat l'interessantissima conferenza che ha tenuto martedì a Padova, dal titolo "Gesù e il Tempio". Avrebbe voluto - così ha detto - che quelle parole fossero ascoltate da tutto il mondo, probabilmente perché ritiene, a ragione, che su certi temi l'ignoranza sia davvero mondiale.
Con un riferimento alla colpevole ignoranza l'oratore ha anche cominciato il suo discorso, accennando all'ultima visita del papa in "Terra Santa", durante la quale le manifestazioni pubbliche di ignoranza, voluta o non voluta, hanno occupato quasi interamente la scena. Dan Bahat conosce anche l'italiano, oltre ad essere un’autorità mondiale di archeologia, e per questo gli organizzatori israeliani avrebbero voluto che fosse stato ad accompagnare il papa nella sua visita, ma Dan ha preferito onorare l’impegno che aveva fissato in precedenza. Il presentatore della conferenza lo ha ringraziato molto per questo: Padova è stata preferita al papa. Probabilmente è stato un bene, perché a giudicare dall'esordio dell'esposizione, la presenza di Dan Bahat a Gerusalemme durante la visita del papa avrebbe potuto provocare qualche disagio.
Molto volentieri riportiamo l'incipit della conferenza, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare di persona.

Al termine della sua documentata esposizione, da cui si poteva quanto meno dedurre con certezza che né il Tempio né Gesù sono un'invenzione, come si sente dire ogni tanto in ambito islamico, Ivan Basana, presidente di Edipi, ha chiesto all'oratore se l'archeologia biblica potrebbe essere di aiuto nel processo di pace fra arabi ed ebrei. Questa è stata la risposta:

Non abbiamo certo il potere di far conoscere a tutto il mondo le epigrafiche parole conclusive di Dan Bahat, ma vogliamo almeno dare un piccolo contributo alla loro diffusione. M.C.

(Notizie su Israele, 28 maggio 2014)


L'Unione Europea dà 200 milioni di euro ai palestinesi. Ed è solo un anticipo

130 milioni ad autorità e 70 milioni a UNRWA per assistere profughi

BRUXELLES, 28 mag - Luce verde dell'Unione europea ad un nuovo pacchetto da 200 milioni di euro a sostegno dei palestinesi. L'obiettivo è quello di garantire servizi di base alla popolazione, come istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali.
Per l'Ue questa è solo la prima tranche di aiuti per i palestinesi nel 2014 e prevede un contributo di 130 milioni di euro per l'autorità palestinese e un'iniezione di 70 milioni di euro al fondo generale dell'UNRWA, tramite cui gli aiuti arrivano ai rifugiati in Cisgiordania, Gaza, Giordania, Siria e Libano. "Tramite queste contributi l'Ue intende sostenere le istituzioni chiave palestinesi e fornire una rete sociale di sicurezza per i profughi" ha spiegato il commissario europeo alla Politica di vicinato, Stefan Fule. "Il meccanismo PEGASE - ha aggiunto Fule - è aperto al contributo di Stati membri e altri donatori che desiderino dare il loro aiuto all'autorità palestinese tramite un sistema rapido, trasparente ed efficiente".

(Fonte: ANSAmed, 28 maggio 2014)


L'antisemitismo è vivo, gli ebrei in Europa ancora muoiono

di Daniele M. Regard

Sono passati pochi giorni dal terribile attentato che ha colpito la comunità Ebraica di Bruxelles, in tanti si sono indignati, tutte (o quasi) le forze politiche hanno espresso solidarietà al popolo ebraico. Tutto bello, sicuramente meglio questo che il silenzio. Siamo arrivati ad un livello talmente alto di intolleranza e violenza che mi pongo una domanda: è sufficiente indignarsi e portare la propria solidarietà? Sono arrivato alla conclusione che non basta più piangere e aspettarsi la vicinanza degli altri, è il momento di agire, di alzare la voce una volta per tutte.
Chiedere alle istituzioni, non solo vicinanza, ma atti concreti per contrastare questa onda antisemita che imperversa nel nostro continente. Abbiamo bisogno di prese di posizione, sui giornali, nella rete, se sarà necessario scenderemo in piazza. Il problema dell'antisemitismo è una questione che riguarda tutti. Perché attaccare gli ebrei o gli omosessuali o gli zingari, è solo l'inizio. In passato si è iniziato da piccoli gesti, poi sappiamo tutti come è andata a finire. Non può e non deve essere sottovalutata questa escalation. Oggi gli ebrei di tutto il mondo sono sicuramente più preparati, più consapevoli, pronti a reagire agli attacchi. Ma non devono essere lasciati soli in questa battaglia democratica.
Guardando all'Europa, è ormai palese che i partiti e le neoformazioni di estrema destra hanno riacquistato forza e consensi. La Francia in prima fila con il partito nazionalista e xenofobo della Le Pen, dico in prima fila perché ha recentemente vinto le elezioni e la sua leader ha chiesto nuove elezioni nazionali. Ed è proprio dalla Francia, il paese europeo con il maggior numero di ebrei in Europa, che è partita una "fuga" verso Israele senza precedenti. Questo è senza dubbio un segnale della paura e dell'esasperazione della gente che non si sente più libera in un paese nel quale le libertà dovrebbero essere garantite a tutti.
Questa sensazione d'abbandono e di isolamento è davvero frustrante, essere costretti a lasciare la propria casa e il proprio paese è inammissibile.
E allora non basta la vicinanza delle istituzioni, è la cultura che deve cambiare, perché come ho già detto, quando muore un ebreo, muore un cittadino europeo, tutti vengono colpiti. La democrazia e le libertà di tutti noi, sono morte a Bruxelles, a Tolosa, a Roma ad Auschwitz e in tutti quei luoghi dove un essere umano viene ucciso per il suo credo, per il proprio orientamento sessuale o per il colore della sua pelle.
Per rispondere a chi ci vuole spaventare e cacciare dalle nostre case con il terrore, intanto diciamo che Noi non abbiamo paura!

(L'Huffington Post, 28 maggio 2014)


Da Perugia a Tel Aviv in aereo: arriva il volo per la Terra santa

di Raffaele Aristei

In una conferenza stampa che si è svolta ieri mattina all'aeroporto San Francesco di Assisi, è stato presentato il vettore Israir e il nuovo collegamento Perugia-Tel Aviv che sarà operato con Airbus A320 da 174 posti della flotta Israir.
Alla presentazione sono intervenuti, per il vettore-tour operator israeliano, Isacco Zevi e Inon Dotan in qualità di rappresentanti commerciali Israir e Moshe Talmor in qualità di Responsabile delle operazioni di terra Israir.
Presente anche il sindaco di Assisi Claudio Ricci che ha ricordato le relazioni in atto con Israele e Palestina (gemellaggio con Betlemme) attraverso il recente conferimento al presidente dello Stato di Israele Shimon Peres della cittadinanza onoraria per la pace, in itinere di conferimento anche al presidente palestinese Abu Mazen. "L'aeroporto, dopo la riqualificazione delle infrastrutture di terra e la concessione ventennale per la gestione - commenta Ricci -, continua a sviluppare collegamenti, culturali e turistici, con le principali mete religiose europee".
Il volo per Tel Aviv è programmato ogni sabato, a partire dal 5 luglio prossimo e fino alla fine di agosto. Nei prossimi giorni saranno annunciati orari, tariffe e modalità di prenotazione.
Giovedì 29 maggio, a partire dalle ore 11.30, negli spazi dell'aeroporto perugino, sarà presentato un nuovo operatore che effettuerà un primo collegamento charter da Perugia a partire da fine giugno prossimo.
Nel corso della conferenza verranno comunicati tutti i dettagli relativi al volo quali orari, tariffe, periodo di operatività, tour operator e vettore coinvolti.

(Vivere Assisi, 28 maggio 2014)


Roma, scritte antisemite e svastiche sui muri dei negozi

Sono apparse nella notte tra domenica e lunedì

di Marco Pasqua

A poco più di 24 ore dall'attentato al museo ebraico di Bruxelles, nella notte tra domenica e lunedì, sono apparse su alcuni negozi di Monteverde scritte antisemite, accompagnate da svastiche. "Negozio ebreo", con la stella di David, oltre a "no ebrei ai Colli". Ma ci sono anche riferimenti precisi al ristorante-laboratorio "Squisì" e al suo titolare: "Squisì negozio ebreo" (insieme ad una svastica) e "Stefano Giudeo".
A notarle sono stati i titolari degli eserci commerciali, mentre su Facebook la notizia è stata diffusa dalla pagina del Progetto Dreyfus, da sempre in prima linea nel segnalare episodi di antisemitismo.
Come spiegano da "Squisì": «Le abbiamo scoperte lunedì mattina - racconta Stefano - e devono essere state fatte dopo la mezzanotte di domenica, perché di fronte al nostro ristorante c'è un esercizio commerciale che chiude tardi». «Un gesto che mi ha lasciato di stucco - aggiunge il titolare del ristorante - Non sono di religione ebraica, ma questo, ovviamente, non vuol dire niente. Resta un fatto molto grave».
Le scritte sono state rimosse dagli stessi titolari degli esercizi commerciali: «Il Municipio si è fatto avanti tardi - spiega sempre Stefano - quando avevamo già fatto cancellare tutto. Quelle scritte non potevano rimanere al loro posto, perché a molte persone hanno ricordato quelle analoghe, che, in epoca nazista, venivano usate per identificare i negozi di proprietà di ebrei e per invitare i cittadini a non entrarvi (ad esempio con la scritta "kauf nicht bei Juden", "non comprate dagli ebrei", ndr)».
Sul posto si è recata, ieri, la Digos, che ha fotografato i muri imbrattati, facendo subito partire le indagini.
«L'Istituzione Municipio Roma XII condannando fermamente il vile atto razzista, esprime la sua piena solidarietà ai commercianti ed ai cittadini del quartiere. Il gesto - dichiarano la presidente e la presidente del consiglio del Municipio XII Cristina Maltese e Alessia Salmoni - violento e reiterato colpisce al cuore tutta la nostra comunità civile. Questi atteggiamenti di odio che richiamano atroci episodi della nostra storia recente, toccano tutte le coscienze democratiche. Compito delle istituzioni è quello di vigilare scoraggiare e combattere ogni forma di intolleranza».

(Il Messaggero, 27 maggio 2014)


Israele: concorso e opportunità per giovani start-up Italia

Terza edizione di 'Tel Aviv Boot Camp'

ROMA, 27 mag - Israele , terra per eccellenza delle start-up, torna ad offrire opportunità anche alle giovani aziende innovative italiane. Insieme ad altri 20 paesi nel mondo, l'Italia è stata infatti scelta per partecipare per il terzo anno consecutivo allo 'Start-Up Tel Aviv Boot-Camp', evento promosso dal Ministero degli Affari esteri israeliano insieme alla Città di Tel Aviv e Google Israel, e che ha già portato in Israele negli ultimi 2 anni nomi importanti del mondo della nuova tecnologia italiana: Mosaicoon (www.mosaicoon.com) e Atooma (http://www.atooma.com). Il vincitore del concorso, che sarà selezionato da una prestigiosa giuria di esperti rappresentativi del settore privato, della stampa, e del mondo istituzionale, parteciperà per l'Italia al Tel Aviv bootcamp che si terrà dal 14 al 19 settembre, a margine della Conferenza per il Digital Life Design che animerà la scena dell'innovazione in Israele negli stessi giorni.
Oltre all'Italia, tra i paesi invitati al Boot-camp di Tel Aviv ci saranno altre 20 nazioni del mondo, tra cui Brasile, Giappone, Corea del Sud, Canada, Australia, Paesi Bassi, Germania. Possono partecipare alla competizione, coordinata dall'Amasciata di Israele in italia in collaborazione con la LUISS ENLABS , giovani imprenditori (23-35 anni), che abbiano fondato una start-up, finanziata per la fase del seed-money, nei settori web, mobile e security e ICT. Per partecipare è sufficiente inviare un pitch del progetto e un executive summary, assieme ad un curriculum del founder della start up entro il 30 giugno, all'indirizzo: startelaviv@roma.mfa.gov.il .
I vincitori del concorso, durante il loro soggiorno a Tel Aviv, incontreranno importanti advisors e mentors del mondo delle start-up israeliane, esponenti di aziende multinazionali che hanno aperto centri di ricerca in Israele, business angels e venture capital in cerca di buone idee da finanziare. Il bootcamp sarà l'occasione per conoscere da vicino l'ecosistema delle start-up di una città che è stata giudicata dallo Start-Up Genome il secondo miglior posto al mondo, dopo la Silicon Valley, dove fare innovazione.

(ANSAmed, 28 maggio 2014)


L'attentato di Bruxelles non nasce dal nulla

Tollerata da troppo tempo l'industria della menzogna che fomenta odio verso gli ebrei e lo stato ebraico.

Era solo questione di tempo. Il fenomeno era sotto gli occhi di tutti, e non solo in Europa. Mi spingerei persino a dire che è sorprendente che vi siano stati solo "pochi" attacchi mortali contro ebrei e istituzioni ebraiche. Si potrebbe ricordare Parigi, circa otto anni fa, il sequestro e atroce linciaggio dell'ebreo Ilan Halimi; o Tolosa, circa due anni fa, l'assassinio di tre scolari e un insegnante in una scuola ebraica; o a Kansas City, circa un mese fa, l'omicidio di tre persone in due istituzioni ebraiche. E ora l'attentato al Museo ebraico di Bruxelles (4 morti, di cui due israeliani)....

(israele.net, 27 maggio 2014)


"Io, unica israeliana alla conferenza delle donne per la pace in Medio Oriente"

Edna Calò Livne, fondatrice in Israele della compagnia teatrale per israeliani e palestinesi Beresheet, ci ha inviato questo interesante articolo, uscito su Tempi, che volentieri pubblichiamo.

di Edna Calò Livne

  
Edna Calò Livne
"Quando ho ricevuto l'invito di Carolyn Handschin, dirigente all'Onu di Ginevra, il primo pensiero è stato di cercare un'altra partecipante da Israele con cui attraversare il confine al Hussein Bridge, vicino a Beit Shean, con la quale raggiungere Amman, in Giordania, dove si svolgeva il diciottesimo convegno internazionale "Donne unite per raggiungere la pace in Medio Oriente e nel mondo".
Dopo aver realizzato che sarei stata l'unica rappresentante israeliana ho cominciato a ricevere i primi messaggi allarmati dalle rappresentanti giapponesi sponsorizzatrici dell'evento che chiedevano gentilmente di presentarmi con il passaporto italiano e che, anzi, sarebbero state disposte a procurarmi un biglietto aereo da Tel Aviv a Roma per poter raggiungere Amman dall'Italia.
A volte mi diverto ad ascoltare le mie due voci, quella del cuore e quella della mente, che discutono, si interrogano, affabulano e mettono in guardia e già so dall'inizio quale delle due avrà il sopravvento. E anche stavolta ha vinto il cuore. Bisogna partire in ogni caso, perché è sempre meglio "esserci" e sono partita da sola: un taxi fino al confine e un altro fino ad Amman.
Arrivata al grande hotel, che domina la città dall'alto di un colle, vengo travolta dall'emozione: su grandi divani siedono donne che chiacchierano animatamente in tante lingue. Con la mano tesa mi rivolgo dall'una all'altra: «Mi chiamo Angelica, sono nata in Italia ma vivo da 39 anni in Galilea, in Israele». Per la frazione di un secondo sento una sorta di gelo, poi un sorriso stupito e curioso si disegna su ogni volto (quelli che posso vedere perché molti sono completamente velati). Stringo la mano a donne del Kuwait, dell'Iran, della Siria, Cipro, Europa, Mediterraneo, America.
Ci sono 120 donne. Sento la linfa che mi scorre nel corpo vorticosamente, uno shake di adrenalina e endorfine a dosi esagerate! Quando porgo la mano a una bella signora elegantissima la ritira con un sussulto: «Israel? Oh my God! Mio Dio, non posso, non posso. Al mio Paese è proibito parlare con israeliani… è la legge…». Si scusa mortificata. È libanese. Con un grande sorriso le dico che sono sua vicina, che abito proprio al confine, in un kibbutz. Si gira e si allontana frettolosamente, come se le fosse apparsa un'immagine demoniaca.
Il convegno inizia. Si parla di solidarietà tra le donne per combattere la violenza e la discriminazione, si sollecita al riconoscimento nel lavoro, all'annullamento di tante "tradizioni" volute dall'uomo che ancora consentono la circoncisione femminile e il delitto d'onore. Mi sembra di vivere un sogno, io in mezzo a donne alle quali non avrei mai immaginato di potermi avvicinare, avvocatesse, sociologhe, professoresse all'università.
A colazione mi siedo accanto alla bella signora libanese, le sorrido e le prometto che non dirò nulla. Sorride anche lei e mi risponde in italiano che sua figlia studia a Firenze. La mamma che c'è in noi prorompe con forza e iniziamo a raccontarci dei nostri figli, della nostra vita. Ci domandiamo mille domande. E torniamo ai lavori.
E il momento che temevo giunge con forza, inaspettato e mi coglie di sopresa. La rappresentante palestinese, di Gaza, inizia il suo intervento: inizia a raccontare della mancanza di acqua, di elettricità, «Come possono essere così tranquille queste donne quando Gaza è in condizioni disastrose a causa dell'occupazione?». Sento che il ritmo del mio cuore cambia vertiginosamente. Mi guardo intorno, le nuove amiche cipriote, giapponesi, coreane mi fanno segno di rimanere calma. La donna libanese chiede improvvisamente la parola: «Questo non è il modo di aprirsi e cooperare. Non dimenticate che anche il Libano è stato a lungo occupato dalla Siria! Solo cooperando e dialogando si può ottenere e cambiare. Dobbiamo cercare dei partner e possiamo imparare qualcosa da questo piccolo Paese vicino a noi!». Poi volgendosi verso di me dice: «C'è qui una donna israeliana, non volevo avvicinarmi né parlarle ma ho scoperto che è una bella persona!».
Tutti gli sguardi si volgono verso di me. Una decina di donne iniziano a gridare concitatamente accuse verso Israele. L'ora del mio intervento giunge. Raccolgo tutte le mie forze per rimanere chi sono. Per continuare ad essere empatica, comprensiva, per mantenere la mia coscienza ebraica, e apro dicendo che capisco la sofferenza di chi ha parlato prima di me e racconto del mio teatro umanistico multiculturale, leggo a voce alta i pensieri scritti qualche giorno fa dai ragazzi palestinesi e giordani che hanno assistito alla rappresentazione del nostro spettacolo Beresheet. Inizio a mostrare un breve video dove i ragazzi in ebraico e in arabo insegnano agli adulti che la collaborazione è possibile. Improvvisamente il volume dell'amplificatore si abbassa, non funziona, la presentatrice egiziana mi consiglia di smettere tanto si è capito cosa volevo dire e non c'è abbastanza tempo per la relatrice cipriota, ma quest'ultima, Chara, risponde: «Va benissimo, posso accorciare il mio intervento. Ti prego continua è bellissimo ed importante ciò che stiamo vedendo».
E me ne torno a casa… con tanti volti nuovi nel cuore e anche tante domande e il bisogno di non perdere la speranza anche se la sofferenza è ancora grande! Ho visto donne di Cipro, del nord e del sud, che oggi sono amiche e collaborano. Ci sono stati momenti in cui ero sola, unica donna d'Israele… con la testa che sembrava scoppiare, con le lacrime che sembravano dover scrosciare da un momento all'altro… ma ho ricordato a tutte che anche gli ospedali di Israele hanno aperto le porte ai rifugiati siriani, che decine di organizzazioni operano in tutta l'area attraverso la musica, l'arte, il commercio che, per un vero cambiamento, dobbiamo collaborare noi donne, noi madri con coraggio, col cuore. Alla fine di tutto mi sento sfinita ma fiera di non aver dato retta alla voce che mi esortava ad alzarmi ed uscire dalla sala. E, alla fine, ricevo un bell'abbraccio anche dalle donne del Libano.

(Tempi, 22 maggio 2014)


Per ora in sei in corsa per la successione a Peres

Il 10 giugno il voto in Parlamento

GERUSALEMME - Dovrebbero essere sei i candidati alla successione di Shimon Peres alla presidenza di Israele, il cui voto e' previsto il prossimo 10 giugno. Si devono completare entro oggi le procedure per la formalizzazione delle candidature che richiedono la firma di sostegno da parte di dieci deputati. Per ora in corsa ci sono Reuven Rivlin, deputato del Likud, ex presidente del Parlamento nella passata legislatura; Benjamin Ben-Eliezer, laburista, in passato anche ministro della Difesa; Meri Sheetrit, deputato del centrista 'Hatnua'; Dalia Itzik, altro ex presidente del Parlamento; Dalia Dorner, ex presidente della Corte Suprema e il premio Nobel per la chimica Dan Shechtman. Il tempo per la presentazione delle candidature scade stasera e all'ultimo minuto - ipotizzano i media - potrebbe aggiungersi agli attuali sei candidati anche l'ex ministro degli Esteri David Levy.

(ANSAmed, 27 maggio 2014)


Ucciso il giornalista Meftah Bouzid, critico verso gli islamisti

Meftah Bouzid
E' opera degli islamisti l'omicidio avvenuto nel centro di Bengasi, nella Cirenaica, del giornalista Meftah Bouzid, direttore del settimanale Burniq, noto per le sue posizioni critiche proprio nei confronti di Ansar al-Sharia e delle milizie confessionali.
Durante la Rivoluzione del 2011 la sua casa aveva ospitato un quartier generale degli insorti.
In passato aveva già ricevuto minacce di morte, ma non aveva mai cessato di attaccare pubblicamente, anche in tv, gli islamisti.

(Notizie Geopolitiche, 27 maggio 2014)


Congresso ebraico mondiale: Agire immediatamente contro razzismo e antisemitismo

"Non si può pensare che gli ebrei restino in silenzio di fronte al fatto che partiti radicali o estremisti che prima erano ai margini della politica siano riusciti ad emergere in molti Paesi". Lo si legge in una dichiarazione diffusa dal Congresso ebraico mondiale (Wjc). "Anche se resteranno minoranza nel nuovo parlamento europeo, questi partiti saranno in grado di influenzare l'agenda europea salvo che non siano completamente isolati", ha precisato il presidente Ronald S. Lauder, che ha aggiunto: "In conseguenza degli omicidi di ebrei a Bruxelles e Tolosa, è giunto il momento che i leader dell'Ue propongano un piano credibile per combattere l'antisemitismo, il razzismo e la xenofobia sul continente e per garantire che gli ebrei e le altre minoranze siano protette in modo efficace". "Grande preoccupazione" è stata espressa anche dal vice-presidente Roger Cukierman, capo dell'organismo degli ebrei francesi Crif: "Mentre il forte risultato del Front national può essere spiegato con la necessità di superare la crisi economica in Francia, è anche di fondamentale importanza che i partiti repubblicani tradizionali riguadagnino la fiducia dei cittadini francesi". Il secondo vicepresidente del Wjc, il greco Benjamin Albalas, chiosa: "Il razzismo e l'antisemitismo stanno di nuovo colpendo l'Europa. Bisogna agire immediatamente".

(Servizio Informazione Religiosa, 27 maggio 2014)


I palestinesi italiani scrivono al santo Padre

Sua Santità, in occasione della Sua visita in Terra Santa, mi rivolgo a lei, in qualità di presidente dell'Associazione dei Palestinesi in Italia, con grande speranza e fiducia. Innanzitutto, Le do il benvenuto nella Santa Terra della Pace, la mia terra e la terra dei miei compatrioti palestinesi, musulmani e cristiani: che la sua visita possa portare giustizia e pace alla millenaria culla delle tre religioni del Libro, e della Civiltà umana. Una terra martoriata da oltre 66 anni, e teatro di guerra, sofferenza e grande ingiustizia, come quella creata da un Muro lungo 709 km (più di due volte la lunghezza della Linea Verde) e alto 8 metri (quello di Berlino era alto 3,6 metri e lungo 155 km). Una volta completato il Muro, l'85% del percorso sarà all'interno della Cisgiordania, e non nella Linea Verde, e isolerà gran parte dei Territori palestinesi, compresa Gerusalemme Est. Migliaia di Palestinesi sono divisi dalle proprie case, campi, luoghi di lavoro, familiari. L'accesso ai terreni agricoli viene impedito da circa 80 barriere. Oltre a ciò, secondo i dati dell'Ocha-UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs -, 99 check-point fissi e 256 volanti, dividono a macchia di leopardo Cisgiordania e Gerusalemme Est. La Città Santa è oggetto di un'ebraicizzazione sempre più forte: gli storici luoghi sacri musulmani e cristiani sono minacciati e a rischio di scomparire per sempre a causa delle politiche di occupazione israeliana, realizzate attraverso scavi, colonizzazione, incursioni, barriere e ostacoli. I fedeli musulmani non hanno il diritto di recarsi nella santa moschea di al-Aqsa e quelli cristiani al Santo Sepolcro o alla Basilica della Natività a Betlemme. Sono 5271 i prigionieri palestinesi che languiscono nelle carceri israeliane, senza diritti a cure mediche, alle visite dei familiari, alla dignità. Di questi, 191 sono detenuti amministrativi (senza accuse e processi); 202 sono ragazzini d'età compresa tra 14 e 18 anni. Dal 24 aprile scorso, 125 prigionieri amministrativi sono in sciopero della fame contro la pratica della detenzione amministrativa, che è contraria alla legalità internazionale. Santo Padre, con grande fiducia, attendiamo da Lei, uomo di fede, giusto e dalla parte degli Ultimi della Terra, un impegno perché la Palestina ritorni ad essere un luogo di Pace e di Giustizia. Le chiediamo con grande speranza di sostenere i diritti inalienabili del Popolo Palestinese: diritto al Ritorno alle case, villaggi e città che furono nostre, prima della creazione di Israele, nel 1948, e da cui la nostra gente, musulmani e cristiani, fu scacciata o costretta a fuggire; il diritto a vivere nella nostra Patria e a far crescere là i nostri figli; il diritto e il rispetto dei nostri luoghi sacri, storici, e patrimonio religioso e culturale; il diritto a vivere in pace e giustizia, senza persecuzioni, violenze, aggressioni. Sua Santità, la Sua visita in Terra Santa ci infonde la fiducia della Sua presenza a fianco dei diritti dei Musulmani e Cristiani di Palestina.
Roma, Associazione dei Palestinesi in Italia

(Caserta24ore, 27 maggio 2014)


Evidentemente i palestinesi sono convinti che il “Santo Padre” sia ben disposto ad ascoltare un cumulo di menzogne e cattiverie come questo. E a crederci. Forse in questo hanno visto giusto. M.C.


Quanta ipocrisia nel viaggio di Papa Francesco in Israele

[...] Il Papa ha dunque scelto di cominciare il suo viaggio con la visita alla Giordania, stato arabo-palestinese creato sull'80% delle terre affidate alla Gran Bretagna alfine di permettere la rinascita di uno stato nazionale ebraico. Ha incontrato il re, il discendente di una dinastia araba impiantata là dai britannici, ma non ha detto una sola parola per gli arabi palestinesi di Giordania che vivono come cittadini di seconda categoria. Ha anche celebrato una messa, in un paese dove i Cristiani sono perseguitati (come d'altronde in tutti i paesi musulmani) e trattati come esseri inferiori. Insomma si è comportato in buon dhimmi....

(Right Reporters, 27 maggio 2014)


Papa: su Gerusalemme resta la proposta di internazionalizzazione

La Santa Sede non ha rinunciato alla proposta di Paolo VI per uno statuto internazionalmente garantito di Gerusalemme. "Ci sono tante proposte - chiarisce infatti Papa Francesco ai giornalisti al ritorno dalla Terra Santa - sulla questione di Gerusalemme, la Chiesa cattolica, il Vaticano ha la sua posizione dal punto di vista religioso: una citta' della pace per le tre religioni". "Le misure concrete per la pace - ricorda il Papa - si devono negoziare, magari si decidera' che questa parte diventi capitale di uno stato, l'altra dell'altro...". Personalmente, conclude, "non mi sento competente per dire che si faccia questo o quest'altro, sarebbe una pazzia da parte mia, credo che si deve entrare con fratellanza, mutua fiducia sulla strada del negoziato. Ci vuole coraggio, e io prego tanto il Signore perche' questi due presidenti abbiano il coraggio di andare avanti. Di Gerusalemme dico solo che sia citta' di pace delle tre religioni".

(AGI, 27 maggio 2014)


"Di Gerusalemme dico solo che sia citta' di pace delle tre religioni". Questo conferma il sincretismo anticristiano dell'istituzione cattolica guidata da questo papa. Sarà lui uno di quelli che vorranno caricarsi della "pietra pesante" di Gerusalemme di cui parlano le Scritture? (Zaccaria 12:3)


Il compositore israeliano Matan Porat incanta la tenuta Lageder

Matan Porat
BOLZANO - C'erano pochissime poltroncine libere, sabato sera, nel Granaio di Cason Hirschprunn, la residenza di Magré di Alois Lageder, dove si è svolto il concerto della settima edizione di Vin-o-Ton di musica classica contemporanea.
Si tratta di un progetto, voluto dal noto vignaiolo del piccolo paese della Bassa Atesina, pensato per dare spazio e visibilità a giovani compositori. Ogni anno, dal 2008, Lageder commissiona un'opera di musica classica contemporanea a un compositore, quasi sempre giovane e scelto tra i più promettenti, organizzando poi una serata concertistica all'interno della Tenuta Hirschprunn di Magré, durante la quale il brano commissionato è eseguito in prima assoluta assieme ad altri "pezzi" già conosciuti.
Quest'anno il compositore prescelto è stato l'israeliano Matan Porat, giovane di 32 anni, ma con una già ricca carriera concertistica al proprio attivo e un repertorio compositivo molto fiorente. Si è esibito nelle sale concertistiche più prestigiose del mondo e a diversi festival importanti, affiancato da formazioni di grande spicco. Sabato sera Matan Porat, accompagnato dal violoncellista franco-tedesco Nicolas Altstaedt, considerato uno dei più versatili della sua generazione, ha strabiliato il pubblico presente nella sala concerto ricavata dal vecchio granaio della Tenuta, con l'opera inedita «Durch Nacht und Wind ("Attraverso Notte e Vento")».
Tanto che, al termine dell'esecuzione, i due artisti, sommersi dagli applausi, sono stati chiamati ben tre volte sul palco. Secondo il critico Mateo Taibon «le varie sezioni del brano di Porat, si distinguono per i diversi accorgimenti creativi da cui prendono forma, ma si fondono senza soluzione di continuità in una linea di sviluppo variabile e avvincente. La musica di Matan Porat colpisce anche per i molti stimoli che il compositore israeliano trae dalla sua esperienza d'interprete di pagine antiche e contemporanee».
Il concerto di Magré si era aperto con un pezzo dello stesso Porat "…for piano" e con la Sonata per violoncello e pianoforte di Beethoven e si è chiuso con la Sonata per violoncello e pianoforte di César Franck. (b.t.)

(Alto Adige, 26 maggio 2014)


"Il prossimo assassino può essere il nostro vicino di casa"

Elio Bollag sull'assassinio al Museo ebraico di Bruxelles: "Colpa di un clima calunnioso contro Israele". In Ticino? "Possiamo ancora stare tranquilli".

di Davide Milo

LUGANO - Un Kalashnikov, 4 morti e la spaventosa ombra antisemita. È il fantasma che negli ultimi giorni fa tremare il nord Europa, dopo la violenta e sanguinosa sparatoria al Museo ebraico di Bruxelles di sabato.
Un attacco terroristico? O, essendo le vittime tutte di fede ebraica, un atto contro gli ebrei? Lo abbiamo chiesto a Elio Bollag, membro della Comunità Israelita di Lugano, luganese, ex commerciante di moda femminile, ex consigliere comunale PLR, ora scrittore e giornalista.
"È evidente che quanto accaduto sabato sia conseguenza di questa malefica propaganda anti-ebraica e anti-israeliana che non si sa bene da cosa sia originata, ma che va avanti da troppo tempo", ci spiega Bollag.

- L'episodio ricorda da vicino quello di Mohammed Merah, il killer di Tolosa.
  "Ci sono delle menti deboli che vengono influenzate da questo, per usare un eufemismo, clima calunnioso. Spesso non sanno nemmeno loro perché ce l'hanno con gli ebrei. È difficile combattere una cosa simile. Come sono difficili da combattere questi kamikaze che si immolano per chissà quale virtuale aldilà. Chiunque infatti è in grado di compiere un gesto del genere, anche il nostro vicino di casa".

- Vittime o carnefici?
  "Il suicidio non è una prerogativa del mondo occidentale. Proviene da questo fanatismo religioso o dalla promessa, anche un po' ridicola, delle 72 vergini. A me ne basterebbero 2 (scherza). È facile definire questi omicida "pazzi". Sono persone troppo influenzate dall'esterno".

- Quindi, come difendersi?
  "Bisogna essere preparati, come è ovvio che non si può stare costantemente a guardarsi le spalle. Certo è che il suo ruolo in questi episodi ce l'ha anche il mondo politico, con il suo linguaggio aggressivo. Inoltre non capisco come mai la Sinistra si sia affiancata alla propaganda islamica anti-israeliana. Non vedo più un confine tra l'antisemitismo e l'essere politicamente contro Israele. Soprattutto quando Israele è oggi l'unico stato di quella regione del mondo in cui sono vivi i diritti umani".

- In Francia, sulla scorta di quanto successo, e per un'aggressione davanti alla sinagoga di Créteil, si è innalzato il livello di sicurezza. Cosa rischiamo in Svizzera, e soprattutto in Ticino?
  "La Svizzera, grazie al cielo, è ancora protetta da questo genere di fenomeno. In Francia il discorso è diverso. Si vede infatti il ripetersi di qualcosa di già avvenuto e gli ebrei cominciano a fuggire, a rifugiarsi in Israele o in altri paesi per poter essere liberi da questo incubo. Il timore nell'uscire di casa è diventato un grosso problema, dovuto forse a un eccessiva immigrazione. Come accade in altri stati del nord, si veda Olanda, Belgio, Norvegia. In Ticino non respiro ancora quest'aria. E le mie antenne sono molto sensibili".

- Come lo vede il futuro prossimo per il popolo ebraico in Europa? È questa una fase che come è iniziata sparirà o siamo sono allo stato embrionale di un sentimento anti-semita che sta rinascendo?
  "Mi viene in mente un detto popolare: 'Aspettati il peggio e spera nel meglio'. In ogni caso sono ottimista e mi auguro un futuro migliore di questo".

(TicinOnline.ch, 26 maggio 2014)


Jewish Pride nelle vie di Milano

MILANO - Lag Baomer è la festa dell'orgoglio ebraico, il giorno in cui si celebra Rabbi Shimon bar Yochai, grande maestro della mistica ebraica, in segno di unità. Durante la celebrazione i bambini sfilano nelle strade uniti per la Torà. Allafine della parata ci si riunisce per sentire parole di Torà e storie ebraiche.
Centinaia di bambini si sono riuniti a Milano e hanno sfilato dal tempio Noam fino alla Scuola di via Sally Mayer, accompagnati da carri allegorici con oggetti ebraici, seguiti dalla banda dei tamburellatori della scuola del Merkos e da decine di bambini che marciavano con cartelli con scritte inneggianti all'osservanza delle Mitzvot. Alla scuola i bambini si sono divertiti con una serie di giochi, il tutto organizzato dal Beit Chabad di Milano.

(Chabad.Italia, 26 maggio 2014)


Israele inaugura la stagione balneare con 21 spiagge Bandiera Blu

Con l'arrivo dei bagnini a sorvegliare sulla sicurezza dei bagnanti lungo tutte le spiagge, si è ufficialmente aperta in Israele la stagione balneare, che si concluderà alla fine di ottobre. Il quotidiano Usa Today ha recentemente nominato Tel Aviv come la migliore destinazione "beach party" al mondo, mentre la Foundation for Environmental Education ha assegnato la Bandiera Blu a 21 spiagge di Tel Aviv e a due marine: il doppio del numero assegnato nel 2013. Le spiagge scelte includono Hukuk Beach sul lago di Tiberiade, Dado ad Haifa; Chanz, Onot, Amfy, Herzl, Sironit North, Sironit South, Lagoon-Argaman e Poleg beaches a Netanya; Metzizim e Jerusalem beaches a Tel Aviv; HaKachol Beach a Rishon Lezion; Mei Ami, Oranim, Lido, Kshatot, Yod Alef, Riveria una specifica spiaggia di Ashdod; e l'Hash'hafim Beach ad Eilat. Anche le marine di Herzeliya e Tel Aviv hanno ottenuto la bandiera blu. Quattro spiagge sono accessibili alle persone con disabilità: Tzuk , Northern tzuk , Metzizim e Hilton - tutte nella parte nord di Tel Aviv. Le spiagge sono attrezzate con sedie a sdraio, ristoranti, palestre all'aperto, giochi per bambini, biblioteche da spiaggia, WiFi gratuito, spogliatoi, docce e servizi igienici. Il lungomare offre decine di ristoranti, caffetterie e gelaterie, mentre pub, discoteche e jazz club fioriscono dopo il tramonto. Ogni spiaggia ha il suo carattere: la spiaggia Gordon è rinomata per il beach volley, mentre la comunità gay tende a gravitare verso la Hilton, che si è così guadagnata il titolo di spiaggia gay-friendly della città. A Tel Aviv la stretta striscia di sabbia vicino alla Marina è meno affollata e più tranquilla e lì è anche possibile noleggiare windsurf, tavole da surf, barche a vela, motoscafi e attrezzatura subacquea. Il surf è popolare all'Hilton Beach, dove un speciale sistema di illuminazione è stato recentemente installato per consentire surf e kite surf notturni.

(Travel, 26 maggio 2014)


Un nuovo distillato: EVE, Grappa Kosher

Poli Distillerie presenta EVE, Grappa Kosher distillata artigianalmente sotto la stretta supervisione di appositi enti certificatori che ne hanno sancito l'autenticità. Il prodotto ha richiesto diversi anni di gestazione.

La Pessach o Passover, ossia la Pasqua ebraica, è la più importante festa con cui gli Ebrei celebrano un'importante ricorrenza: la liberazione dalla schiavitù in Egitto.
La Pasqua ebraica viene festeggiata soprattutto in famiglia, otto giorni di pranzi e cene durante le quali devono essere rispettate una serie di rigide norme alimentari, chiamate "Kasherut", che vietano il consumo di alcuni cibi lievitati, come pane e biscotti e alcuni derivati del grano, come il whisky.
Il desiderio e la richiesta da parte di tante comunità ebraiche sparse per il mondo di avere un distillato di qualità con cui terminare il convivio e confacente alle regole della kasherut, ha portato alla creazione di EVE, la prima Grappa Kosher for passover, la cui produzione ha previsto un lungo procedimento, necessario per l'addestramento specifico di personale ebreo osservante e la kosherizzazione di tutta l'attrezzatura impiegata.
Tutti i processi produttivi sono stai eseguiti sotto la supervisione del rabbinato di Padova conformemente alle disposizioni impartite dagli enti certificatori OU - USA (Union of Orthodox Jewish Congregations of America, Kashruth Division) e Badatz "Beit Yossef" - Israele.

NOTE TECNICHE:
Materia prima: vinaccia di uve Moscato Fior d'Arancio e Moscato Bianco dei Colli Euganei
Distillazione: artigianale, a piccoli lotti, con alambicco in rame a bagnomaria a ciclo discontinuo
Aroma: frutta (agrumi) e fiori d'arancio
Gusto: morbido, ampio e saporito

PERCHÉ EVE:
Perché Eva è la prima donna secondo la Genesi, simbolo di purezza e tentazione.
Nell'Eden di Poli tuttavia Eva mangia l'uva, Adamo beve un bicchiere di vino, la serpentina distilla la Grappa e tutti sono felici.

LA KOSHERIZZAZIONE
La parola ebraica "kosher" significa conforme alla legge, adeguato e indica un cibo preparato nel rispetto della kashrùt ossia le regole alimentari della religione ebraica.
Un prodotto kosher è pertanto idoneo a essere consumato dal popolo ebraico ma può benissimo essere gustato anche da consumatori di ogni paese e religione.
I principi fondamentali della kashrùt sono illustrati nella Bibbia, la Torah.
L'uva ha un grande valore simbolico nella cultura ebraica, pertanto la produzione di un vino o di un distillato Kosher prevede esclusivamente l'impiego di personale ebreo osservante durante tutte le fasi di lavorazione.
Durante la produzione deve essere evitata qualsiasi forma di "contaminazione" , ovvero il contatto con personale non osservante, o attrezzature non precedentemente "kosherizzati", pena l'invalidazione dell'intero processo.
Prima della distillazione di EVE è stato necessario pertanto kosherizzare ogni singolo elemento destinato a entrare in contatto con l'uva e con il distillato, dall'alambicco ai serbatoi di stoccaggio, dalla attrezzatura per l'imbottigliamento alle singole bottiglie.
La kosherizzazione è avvenuta attraverso lavaggi successivi sia con acqua fredda, sia con acqua bollente, con l'aggiunta di soda a seconda delle circostanze e del materiale da kosherizzare.

(Fonte: Vini e Sapori, 26 maggio 2014)


Quel quartiere elegante e cosmopolita sfregiato da un odio che rifiuta di sparire

 
La Grande Sinagoga di Bruxelles
BRUXELLES - Place du Sablon. Inevitabile punto di passaggio di ogni turista. Ci sono una bellissima chiesa, l'Eglise du Sablon, un delizioso mercato dell'antiquariato, ristoranti e pasticcerie, celebri negozi di arredamento, un albergo che almeno un tempo, quando ancora si chiamava Jolly, era l'albergo «naturale» degli italiani. Sul fondo della piazza, a sinistra, c'è Rue des Minimes, una delle strade dell'arte della capitale belga. È lì che si trova il Museo ebraico. È lì che sabato, nel giorno del riposo, lo Shabbat , sono state uccise quattro persone.
   A poche centinaia di metri, a due passi dal palazzo di Giustizia, c'è la sinagoga, la Grande Synagogue di Bruxelles, di stile tra il romanico e il gotico, inaugurata nel 1878, a seguito dell'approvazione della legge che sopprimeva le disparità di trattamento di cui erano oggetto i culti minoritari. Nella facciata, decorata con la Stella di David e con i nomi delle dodici tribù d'Israele incisi in caratteri ebraici attorno al grande rosone, un'unica scritta in francese e in fiammingo, proprio sopra le porte d'ingresso. È un versetto da Malachia, 2, 10, che invoca tolleranza e fraternità universali: «Forse non abbiamo tutti uno stesso Padre? Non siamo stati forse tutti creati da un solo Dio?». Per quasi sei anni la Grande Synagogue è stata la «mia» sinagoga e il gran rabbino di Bruxelles, Albert Guigui, è stato il «mio» rabbino. Si parlava di cose ebraiche, di libri e molto di Europa, un'Europa che in quegli anni si allargava ad Est per ancorare a un'area di democrazia, di libertà e di pace popoli e terre che ne erano stati privi per gran parte del secolo. Un'Europa che volevamo giusta, aperta, amichevole.
   Ricordo un giorno di maggio del 1999, esattamente quindici anni fa. Su un piccolissimo aereo a noleggio, volavamo Romano Prodi, appena eletto presidente della Commissione europea, Marcello Pezzetti del Centro di documentazione ebraica e contemporanea di Milano ed io, che della Commissione ero il portavoce. Destinazione Auschwitz. Poco prima, in Lussemburgo, di fronte alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, il presidente e i diciannove commissari avevano letto la formula del giuramento di esclusiva fedeltà agli ideali e agli interessi dell'Europa, ciascuno nella propria lingua, a testimoniare il rispetto e il diritto alle diversità sui quali si basa l'Unione europea. Il commissario irlandese aveva giurato in gaelico.
   Il viaggio nel campo di sterminio simbolo della Shoah come primissimo atto della nuova Commissione voleva testimoniare che la nostra Europa era nata da lì, da un «mai più» pronunciato nel segno dell'inviolabile dignità dell'uomo. Durante il volo, Marcello Pezzetti ci aveva raccontato della sua esperienza di consulente storico per La vita è bella , il film di Roberto Benigni e Vincenzo Cerami, del suo intervento per imporre una più credibile morte del protagonista al posto dell'originale lieto fine, della reazione di un sopravvissuto al termine di una delle tantissime proiezioni della pellicola: «La realtà del campo non era quella del film, ma Benigni ha saputo raccontare quello che era il nostro sogno, il riuscire a salvare i nostri figli».
   Cinque anni dopo, era il febbraio del 2004, il tema non era cambiato. Ai quasi mille partecipanti al seminario internazionale sull'antisemitismo organizzato dalla Commissione europea parlava il premio Nobel Elie Wiesel. In sala, tra gli altri, il ministro degli Esteri tedesco, un ministro del governo israeliano, il cardinale di Lione, il rettore della Gran moschea di Parigi, i presidenti dei Congressi europeo e mondiale, il presidente delle comunità ebraiche di quasi tutti i Paesi europei, centinaia di rabbini da ogni angolo d'Europa. «Le comunità ebraiche in Europa vivono nella paura — disse Wiesel —. Possibile che gli echi del ventesimo secolo si diffondano ancora nel nostro tempo? Non abbiamo imparato nulla?». Aprendo il seminario, il presidente della Commissione, Romano Prodi, aveva affermato che «non c'è posto per il razzismo o l'antisemitismo nell'Unione europea».
   Nessun paragone è possibile tra l'Europa degli anni Trenta e Quaranta e l'Europa di oggi. Ma a Rue des Minimes, al Museo Ebraico, nel centro della capitale dell'Europa unita, sabato si è sparato e si è ucciso.

(Passione Tecno, 26 maggio 2014)


Attentato a Bruxelles: aprire gratis i musei ebraici per vincere odio e barbarie

"I musei e le istituzioni culturali dell'ebraismo italiano devono aprire ancora di più e gratuitamente le porte alla cittadinanza per dare una chiara risposta all'attacco terroristico che ha colpito nelle scorse ore il museo ebraico di Bruxelles". È l'appello rivolto dal presidente della Fondazione beni culturali ebraici in Italia (Fbcei), Dario Disegni. In una nota, Disegni annuncia una serie di iniziative straordinarie cui sono chiamate tutte le istituzioni culturali ebraiche del nostro Paese che potranno svolgersi fino al 2 giugno, festa della Repubblica e quest'anno vigilia della solennità ebraica di Shavuot, la festa della Legge, per rispondere con l'arma della cultura a chi vuole disseminare odio e barbarie. Tra queste, l'apertura gratuita dei musei ebraici, in un giorno della settimana. "L'orribile strage perpetrata al Museo Ebraico di Bruxelles - afferma Disegni - è un atto di eccezionale gravità contro la comunità ebraica in un momento drammatico in cui l'Europa, chiamata a eleggere i propri rappresentanti nel nuovo Parlamento, assiste a una crescita dei movimenti xenofobi, razzisti e antisemiti quale mai si era verificata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale".

(Servizio Informazione Religiosa, 26 maggio 2014)


Oltremare - Hatikva
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Il Shuk Hatikva è il cuore del quartiere Hatikva, tutto un programma di speranza: a sud di Tel Aviv, lontano dal mare e dall'agio di noi che camminiamo quando ci pare sulla Tayelet, sempre con un fianco alle onde. Il suono più familiare qui è quello autostradale delle arterie cittadine, Kibbutz Galuyiot a sud e Derech Hagana a nord. Hatikva è un quartiere medio-periferico, dal quale si sogna di allontanarsi quando prima. Criminalità e immigrati clandestini due facce di una medaglia del tutto simile a ogni altra metropoli.
Il mercato è un'isola colorata e allegra, i venditori rappresentano perfettamente il melting pot: facce di ogni variante dal rosa pallido al nero centrafricano. Le verdure e la frutta esposte rappresentano i gusti di chi le compererà: si trovano qui primizie di cui non saprei il nome in alcuna lingua, accanto ai prodotti locali riconoscibili e reperibili (molto meno freschi) al supermercato.
Il Shuk Hatikva batte 3 a zero il più centrale Shuk Hacarmel.
Primo: Hatikva è ombreggiato da teloni, Hacarmel no. Il sole coccia sui turisti americani che invadono il mercato strabordando dal mercatino degli artisti di Nahalat Benyamin, sui prodotti in vendita, e su noi telavivesi che vorremmo solo fare sta spesa in fretta e non perdere il venerdì mattina a fare la jimcana fra le macchine fotografiche e i cappelli da turista.
Secondo: la strada su cui aprono i banchi in Hatikva è larga e lo spazio fra i due lati è una passeggiata fra due ali di verdure. Il Shuk Hacarmel è angusto, ogni passeggino o carrello da spesa vi sale su un piede, i disgraziati che devono rifornire i banchi con carretti larghi un metro fanno una fatica da circo.
Terzo: Hatikva è compatto, tutta frutta e verdura e quasi zero cianfrusaglie e banchi di magliette imbecilli di pseudoplastica. Si arriva, si seleziona con gli occhi il banco giusto, si compra e si va a casa. Al Shuk Hacarmel, una insulsa mescolanza fra banchi di frutta e verdure e banchi che vendono qualunque altra cosa, di solito di pessima qualità, è una perdita di tempo e di pazienza.
Il vero snob telavivese fa la spesa solo in Hatikva, e io lo invidio un po'.

(moked, 26 maggio 2014)


Bruxelles, caccia all'uomo

Venivano da Tel Aviv, marito e moglie israeliani sui cinquant'anni, si chiamavano Riva. Sono morti senza capire neppure il perché durante una vacanza turistica di pochi giorni in Europa. Loro, e un'altra turista di nazionalità francese. E Alexandre Strens, cittadino belga, impiegato venticinquenne del Museo ebraico: anche lui abbattuto da proiettili ben mirati, anche lui senza sapere il perché.
Sono diventate quattro, le vittime dell'attentato compiuto sabato pomeriggio al museo, poco lontano dalla grande sinagoga e nel pieno centro turistico della capitale d'Europa. Persone di Paesi e fedi diverse, accomunate come bersagli in un piano omicida che appare sempre più premeditato, e sempre meglio organizzato. L'unico sospettato è stato rilasciato dopo qualche ora di interrogatorio. La polizia ha diffuso un video dove compaiono lo (o gli) sparatori, giunti sul posto a bordo di un'auto. Ma le indagini, a meno di colpi di scena dell'ultima ora, hanno finora segnato il passo. Anche perché non è arrivata alcuna rivendicazione, almeno secondo le fonti ufficiali. Le autorità invitano alla prudenza, si rifiutano di accreditare un marchio preciso a quanto avvenuto: per ora, dicono, l'unica cosa certa è che hanno agito assassini antisemiti, per colpire degli ebrei, ma la pista del terrorismo islamico vale quanto quella dell'odio neonazista, o anche di un gesto folle.
Una cosa sono però le dichiarazioni ufficiali, e una cosa le indiscrezioni ufficiose che trapelano dalle indagini. Ci sono manciate di proiettili e bossoli su cui ricercare delle tracce, c'è la targa quasi completa di un'auto su cui lavorare, e ci sono certi messaggi che — lo si apprende solo ora — avrebbero raggiunto persone vicine al museo ebraico, preannunciando il sangue e la morte. In tutta la zona intorno alla sinagoga è stato confermato il livello di allerta 4, quello collegato alle massime minacce terroristiche. Scuole, sinagoghe, centri culturali ebraici in tutto il Belgio continueranno a funzionare normalmente come hanno chiesto i loro responsabili, ma con una protezione — si annuncia — molto più elevata. La comunità ebraica trascorre queste ore nell'angoscia. Anche perché vi sono molte polemiche sulle misure di sicurezza: in uno Shabbat (il giorno di riposo ebraico), a poche ore dalle elezioni europee, e in luoghi che sono tradizionale punto di ritrovo per gli ebrei di Bruxelles ma anche per migliaia di turisti di ogni Paese, non si notavano particolari precauzioni, pattuglie o mezzi di guardia della polizia.
Anche per parlare di questo, come ha annunciato il suo portavoce Fabrizio Perugia, domani giungerà qui da Roma una missione di solidarietà promossa dalla Comunità ebraica romana, e guidata dal suo presidente Riccardo Pacifici che incontrerà le autorità religiose ebraiche locali e alcuni rappresentanti del mondo ebraico internazionale, commemorando le vittime con un kaddish (la preghiera solenne dedicata al lutto): «Questo orribile attentato antisemita merita una risposta complessa e costituita da atti concreti — sarà questo l'appello di Pacifici —. La speranza è che tutte le istituzioni e le forze politiche democratiche possano aderire a questa missione». Ma, oggi, vi sarà a Bruxelles anche il vertice informale dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea, il primo dopo le elezioni, e tutti i 28 leader saranno nella capitale: secondo voci ufficiose ancora tutte da confermare, il premier italiano Matteo Renzi potrebbe unirsi agli ebrei romani almeno in una parte della loro visita.
Frattanto anche il rabbino Avi Tawil, direttore del Centro della comunità ebraica a Bruxelles ha fatto sentire la sua voce: «Rifiutiamo di stare in una società nella quale ci dobbiamo nascondere per vivere in pace. Vogliamo lottare per un mondo in cui nessuno debba vivere nella paura della persecuzione, solo a causa di ciò che è. Possano le anime delle vittime riposare in pace».

(PassioneTecno, 26 maggio 2014)


Venezia - Ghetto sotto scorta, controlli a tappeto

È un obiettivo sensibile, dopo l'attentato di Bruxelles mobilitate le forze dell'ordine. Aumentata la vigilanza anche all'aeroporto Marco Polo.

di Carlo Mion

  
Allarme antisemitismo anche a Venezia. Da ieri, come disposto dal ministero dell'Interno sono aumentate le misure di sicurezza su Ghetto e altri obiettivi riconducibili al mondo ebraico e a Israele. Questo dopo la strage, sabato pomeriggio, al museo ebraico di Bruxelles. Da ieri mattina, oltre alla sorveglianza fissa in Ghetto è stata aumentata quella mobile non solo nel campo, ma anche davanti ai vari obiettivi sensibili già censiti dal Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica.
Il Ghetto con il suo museo, le cinque sinagoghe e i vari ristoranti rappresenta un obiettivo molto sensibile da anni. Tanto da spingere la Prefettura, una decennio fa, a garantire una vigilanza fissa affidata alla Guardia di Finanza. Anche perché spesso nel campo venivano commessi atti vandalici ad iniziare da scritte antisemite e inneggianti ai campi di sterminio. Ma in città ci sono anche diversi altri obiettivi sensibili riconducibili a Israele o a ebrei americani. Alcuni anni fa, scritte minatorie e antisemite, vennero fatte al padiglione di Israele alla Biennale d'Arte.
Difficile anche per i nostri servizi capire chi sia l'ideatore della strage di Bruxelles, e quindi un possibile mandante di un attentato nel nostro Paese. Anche perché ci sono sempre più forme di antisemitismo in Europa. Antisemitismo che proviene dal mondo del terrorismo di ispirazione jihadista ma anche di estrema destra.
Anche nel nostro paese sono presenti entrambi i fenomeni. Proprio la Digos veneziana, che si occupa di antiterrorismo in tutto il Veneto, ha notizia di stranieri di fede musulmana, che recentemente sono andati in Siria a combattere contro il regime di Damasco. Alcuni sarebbero, recentemente, rientrati in Italia.
Sul fronte estrema destra l'antisemitismo è sempre latente anche nella nostra città. O meglio in qualcuno che sceglie Venezia quale luogo di manifestazioni, per ribadire la propria cultura negazionista. Manifestazioni che alimentano anche da noi il clima antisemita che si respira in Europa. Misure di sicurezza aumentate anche all'aeroporto Marco Polo. Qui, tre volte la settimana, parte un volo che collega Venezia a Israele. Un volo, comunque, da sempre considerato ad alto rischio e quindi blindato dalla polizia.
Questa nuove richiesta di aumento di sorveglianza crea ulteriori difficoltà alle forze dell'ordine della nostra provincia, in questi giorni impegnate anche nel garantire la sorveglianza ai seggi e con la carenza di uomini e mezzi oramai cronica.

(la Nuova Ferrara, 26 maggio 2014)


"Betlemme assomiglia al ghetto di Varsavia"

Oltre a farsi fotografare sotto l'immagine di Gesù palestinese, papa Francesco ha voluto fare, in deroga al protocollo deciso in precedenza, una sosta straordinaria davanti al "muro di separazione" facendosi fotografare davanti a una scritta in cui si dice: "Papa, abbiamo bisogno di qualcuno che parli di giustizia. Betlemme assomiglia al ghetto di Varsavia". Si tenga presente che per la Chiesa Cattolica Romana il linguaggio dei segni è fondamentale.

(Notizie su Israele, 26 maggio 2014)

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Il Papa offre ad Abu Mazen e Peres la sua casa: "Venite da me a pregare per la pace"

Il leader israeliano e quello dell'Olp hanno raccolto prontamente l'invito. Secondo Padre Lombardi la visita potrebbe avvenire già nel mese di luglio.

In Palestina, seconda tappa del viaggio di Papa Francesco in Terra Santa, Bergoglio ha invocato la pace tra Israele e Palestina davanti al presidente Abu Mazen, con cui si è scambiato un lungo abbraccio. Bergoglio ha quindi invitato i presidenti palestinese e israeliano a pregare insieme per la pace, offrendo la sua casa, il Vaticano, per un incontro che potrebbe avvenire già il mese prossimo. Sia Shimon Peres che Abu Mazen hanno accettato. CVD
Come Volevasi Dimostrare


(TGCOM24, 25 maggio 2014)


Due giorni fa avevamo scritto: "Nella coscienza dell'istituzione cattolica non esiste l'aut ... aut, ma soltanto l'et ... et. E tra i due et c'è lei." CVD.


Bruxelles e Parigi. Ancora violenza antisemita. L'Europa risponde con ipocrisia istituzionale

Sono trascorsi ormai oltre 70 anni dall'inizio di quella che fu la più grande tragedia della storia dell'uomo. La soluzione finale di Hitler pose fine all'esistenza di oltre sei milioni di cittadini europei colpevoli solo di essere ebrei.
L'attentato, avvenuto a ridosso del Museo Ebraico di Bruxelles e l'aggressione subita da due cittadini ebrei a Parigi, non possono non considerarsi attentati antisemiti, e ciò, qualora ce ne fosse bisogno, dimostra quanto la "cultura" dell'irrazionale violenza antisemita sia ben radicata in Europa e mostra segni di aggravamento tali da richiedere un cambio di rotta dei governi nazionali, del "sontuoso" palazzo europeo, e dal mostro sacro che risponde al nome di Organizzazione delle Nazioni Unite troppo sbilanciato verso la causa palestinese.
Questa volta l'Europa in quanto comunità non può non reagire con decisione considerato che è proprio nella città che ospita il "parlamento europeo".
L'Olocausto è stato possibile perché il mondo per anni si è voltato da un'altra parte. Ha preferito non vedere.
Oggi, come allora, preoccupa la grave e colpevole sufficienza dei governi europei che si limitano alle solite espressioni ipocrite di solidarietà.

(Osservatorio Sicilia, 25 maggio 2014)


Mestre: piscina solo per musulmane. Avanza la sharia

A Mestre circa un centinaio di persone hanno manifestato presso il presidio che vuole garantire l'ingresso limitato alle donne di fede islamica alla piscina comunale della Bissuola. L'iniziativa e' stata organizzata per contrastare quella, annunciata ma mai avvenuta, di Forza Nuova. La piscina sarà aperta solo per le donne dalle 9 alle 10 del mattino. La scorsa settimana militanti di Forza Nuova avevano cercato di occupare la piscina per protesta. In altri Paesi Europei come la Gran Bretagna la separazione tra uomini e donne nelle piscine, un cedimento alla sharia, la rigida legge islamica, e' già realtà nei quartieri di Londra più "multikulti". Mestre sembra voler seguire questa strada.

(l'Occidentale, 25 maggio 2014)


Attacco terroristico al Museo ebraico di Bruxelles : le prime immagini del terrorista

Ecco le prime immagini del terrorista che ha ucciso tre innocenti al Museo Ebraico di Bruxelles sabato scorso verso le ore 16. Due israeliani e un francese sono morti con una pallottola in testa e nella gola, un belga è in condizioni critiche in ospedale.
L'autore è di corporatura media, atletico e si muove senza difficoltà. Porta un berretto scuro con una scritta chiara sul lato anteriore sinistro. Indossa un abito di colore blu chiaro con una scritta chiara all'altezza del petto a sinistra, pantaloni scuri e scarpe scure con suole chiare. Porta una borsa scura a tracolla con una piccola scritta bianca e anche un altro tipo di borsa sportiva con scritta chiara. Usa un'arma con calcio pieghevole tipo Kalashnikov.
Fugge a piedi nel quartiere di Marolles, dove è perso di vista.

(Dreuz, 25 maggio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Sicurezza, massima allerta alla Sinagoga di Roma dopo l'attentato in Belgio

Rafforzata la vigilanza anche davanti all'ambasciata istraeliana. E lunedì sera Museo Ebraico e Sinagoga resteranno aperti gratuitamente per tutta la notte. Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Pacifici: "Così sconfiggeremo la paura e i terroristi".

ROMA, 25 mag. - Innalzate a Roma le misure di sicurezza alla Sinagoga e all'ambasciata israeliana dopo l'attentato al museo ebraico di Bruxelles. In maniera preventiva è stata rafforzata la sorveglianza anche ad altri obiettivi israeliani ritenuti "sensibili" nella Capitale. Da questa mattina oltre alla vigilanza fissa è stata aumentata anche quella mobile.
Intanto, domani sera [lunedì 26] il Museo ebraico di Roma sarà aperto fino a notte fonda "per ricordare le vittime dell'attentato di Bruxelles e contro chiunque tenti di propagandare odio". La Comunità ebraica romana annuncia che si tratta di una notte di solidarietà contro la paura perchè, come presidente della Comunità Riccardo Pacifici, "riteniamo che il modo migliore per contrastare chi vuole intimidirci è continuare a incontrarci".
L'appuntamento, sottolinea Pacifici, è domani alle 20.30, quando "museo e Sinagoga rimarranno aperti a oltranza gratuitamente a tutta la cittadinanza".
"Abbiamo invitato l'ambasciatore del Belgio e l'ambasciatore di Israele, le istituzioni e i cittadini - aggiunge - Vogliamo dire che l'iniziativa è aperta a tutte le forze politche e istituzionali del paese e a chiunque voglia venire. E' un modo per dire che non abbiamo paura ed è la risposta migliore a chi vuole costruire un'Europa di paura".

(la Repubblica, 25 maggio 2014)


Bruxelles: strage al museo, missione degli ebrei romani

Gli ebrei romani annunciano una missione per portare solidarietà alla comunità ebraica del Belgio dopo l'attentato di ieri a Bruxelles e chiedono alle istituzioni e ai partiti italiani di essere al loro fianco. «Martedì 27 maggio - scrive il presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, che guiderà la visita - parte da Roma una missione di solidarietà a Bruxelles». «Nel cuore dell'Europa e delle istituzioni democratiche del Vecchio Continente - prosegue - si è consumato un orribile attentato di stampo antisemita che merita una risposta complessa e costituita da atti concreti. La speranza è che tutte le istituzioni e le forze politiche democratiche possano aderire a questa missione».
A Bruxelles, si legge infine nella nota, Pacifici incontrerà le autorità religiose ebraiche locali e gli esponenti del mondo ebraico internazionale.

(Il Messaggero, 25 maggio 2014)


Uno a zero per la macchina papale di propaganda palestinese

Così titola un breve articolo di Pesach Benson comparso su Honest reporting. Il papa viene inquadrato con lo sfondo di un Gesù bambino amorevolmente coperto da una kefia palestinese. Naturalmente il papa non ha niente da dire: un quadro menzognero in più o in meno nell'arte figurativa cattolica che vorrà mai dire? Ce ne sono talmente tanti che non è certo il caso di scandalizzarsi! Le menzogne però in certi casi possono avere conseguenze tragiche. Abbiamo già avuto un "Gesù ariano", vogliamo avere adesso un "Gesù arabo-palestinese"?

(Notizie su Iaraele, 25 maggio 2014)


L'Europa e la paura dell'antisemitismo dopo la strage in Belgio

Episodi di violenza anche in Francia, problema continentale

BRUXELLES - Il fantasma della violenza antisemita si aggira per le strade dell'Europa che vota per il rinnovo del Parlamento comunitario. In particolare il Belgio del premier Elio Di Rupo resta un Paese sotto choc, dopo l'attentato al Museo ebraico di Bruxelles che ha fatto tre morti e un ferito molto grave. La paura si è abbattuta sulla capitale belga in un momento politico molto particolare, infatti oltre che per le Europee il Paese è andato a votare anche per le elezioni politiche. In ogni caso il problema del ritorno della violenza antisemita, un incubo che ha segnato la storia del Vecchio Continente per secoli, non riguarda solo il Belgio, ma molte altre nazioni, ultima in ordine di cronache la Francia: in una banlieu parigina due uomini di religione ebraica sono stati aggrediti fuori da una sinagoga. Nessun collegamento provato con la strage di Bruxelles, ma la sensazione è di una minaccia che torna a coinvolgere tutti noi.

(TMNews, 25 maggio 2014)


Basket femminile - Italia tutto cuore, ma non basta. La spunta Israele dopo due overtime

 
La nazionale israeliana di basket femminile
Seconda sconfitta per l'Italia al torneo di Castel San Pietro Terme: le Azzurre sono state battute da Israele (77-79) dopo due tempi supplementari e domani tornano in campo per l'ultimo impegno, contro la Cina (20.30, diretta streaming su www.fip.it). La squadra di Roberto Ricchini ha giocato un ottimo primo, evidenti i passi avanti rispetto alle precedenti uscite. La migliore marcatrice delle Azzurre sono state Raffaella Masciadri e Giorgia Sottana con 15 punti, in doppia cifra anche Lavinia Santucci a quota 12.

LA CRONACA - L'avvio dell'Italia è stato più che convincente, il quintetto scelto da Ricchini (Dotto, Crippa, Masciadri, Fassina e Correal) ha trovato buone soluzioni in attacco fino al 16-8 dopo minuti: Israele ha prontamente risposto con le iniziative di Doron e Cohen e trovato il sorpasso sul 22-24: le due triple consecutive di Masciadri hanno riportato avanti la squadra di Ricchini (31-24) e all'intervallo lungo si è andati sul 36-34. Israele ha trovato il primo vantaggio significativo in avvio di terzo quarto, i due liberi di Epstein hanno portato Israele sul 45-38. La reazione dell'Italia ha portato la firma di capitan Masciadri, protagonista della rimonta (45-46) con 6 punti consecutivi e la tripla frontale del -1. I 5 punti consecutivi di una scatenata Cohen in apertura di ultimo quarto ci hanno nuovamente fatto scivolare sul -6 (47-53) e poi è stata ancora l'ex giocatrice di Schio e Taranto a realizzare in penetrazione i punti del +8 (51-59) a 4 minuti dalla fine. L'Italia è tornata a contatto negli ultimi minuti con grande generosità (3 punti di Santucci, Sottana e poi la tripla di Masciadri per il pareggio a quota 64 a 8 secondi dalla fine) e i regolamentari si sono chiusi sul 64 pari con l'errore di Cohen a fil di sirena. Nel primo overtime Crippa e Sandri hanno tenuto l'Italia in linea di galleggiamento (68 pari) e poi ci ha pensato la magia di Giorgia Sottana in penetrazione a fissare il punteggio sul 72-72 a 2 secondi dalla fine. Nel secondo supplementare Israele ha allungato sul 78-74, fatali per le Azzurre i tanti errori dalla lunetta mentre dall'altra parta Cohen ha portato il punteggio sul 75-79 a 49 secondi dalla sirena.

(BasketInside, 25 maggio 2014)


Papa Francesco visita Betlemme: "Occorre trasformare spade in aratri"

Seconda tappa del viaggio in Terra Santa.

E' arrivato sulla "papamobile" aperta alla Piazza della Mangiatoia di Betlemme dove celebra la messa. Il Pontefice è stato accolto con grande entusiasmo della folla, anche con grida "Viva il Papa" in italiano, tra canti, palloncini colorati e sventolii di bandiere. La piazza e una parte dell'attiguo piazzale della Basilica della Natività possono contenere circa novemila persone. Sono presenti anche fedeli provenienti dalla Strisca di Gaza e dalla Galilea (Israele), nonché alcune centinaia di lavoratori migranti dall'Asia. Moltissime le etnie e le nazionalità dei pellegrini: palestinesi, israeliani, indiani, filippini, polacchi e un nutrito numero di italiani.
Per le autorità palestinesi, incontrate nel Palazzo presidenziale di Betlemme, papa Francesco ha invocato "la forza necessarie a portare avanti il coraggioso cammino della pace, in modo che le spade si trasformino in aratri e questa Terra possa tornare a fiorire nella prosperità e nella concordia". "Salam!", è stato quindi il suo saluto.
La situazione di conflitto tra israeliani e palestinesi "diventa sempre più inaccettabile", dice il Papa, ed "è giunto il momento" di avere "il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti".

L'Unione Sarda, 25 maggio 2014)


Anche Papa Bergoglio, come l'Onu, cita il profeta Isaia parlando di spade da trasformare in aratri: un altro esempio di manipolazione propagandistica, perché quel testo biblico è l'annuncio profetico della superiorità che un giorno il monte di Sion avrà su tutte le altre nazioni. Solo dopo che questa elevazione di Israele sarà avvenuta - per opera dell'Eterno, certo, non di Tzahal - arriverà il tempo in cui le nazioni "non impareranno più la guerra". Prima di allora si avvererà la profezia di Gioele, che invita a fare il contrario, cioè a trasformare gli aratri in spade. Riportiamo per esteso i testi di Isaia e Gioele.

Isaia 2:2-4
Avverrà, negli ultimi giorni,
che il monte della casa dell'Eterno
si ergerà sulla vetta dei monti,
e sarà elevato al disopra dei colli;
e tutte le nazioni affluiranno ad esso.
Molti popoli v'accorreranno, e diranno:
"Venite, saliamo al monte dell'Eterno,
alla casa del Dio di Giacobbe;
egli ci ammaestrerà intorno alle sue vie,
e noi cammineremo per i suoi sentieri".
Poiché da Sion uscirà la legge,
e da Gerusalemme la parola dell'Eterno.
Egli giudicherà tra nazione e nazione
e sarà l'arbitro fra molti popoli;
ed essi delle loro spade fabbricheranno vomeri d'aratro,
e delle loro lance, roncole;
una nazione non leverà più la spada contro un'altra,
e non impareranno più la guerra.

Gioele 3:9-17
Proclamate questo fra le nazioni!
Preparate la guerra! Fate sorgere i prodi!
S'accostino, salgano tutti gli uomini di guerra!
Fabbricate spade con i vostri vomeri,
e lance con le vostre roncole!
Dica il debole: "Son forte!"
Affrettatevi, venite, nazioni d'ogn'intorno, e radunatevi!
Là, o Eterno, fa' scendere i tuoi prodi!
Si muovano e salgano le nazioni alla valle di Giosafat!
Poiché là io mi assiderò a giudicare le nazioni d'ogn'intorno.
Mettete la falce, poiché la mèsse è matura!
Venite, calcate, poiché lo strettoio è pieno,
i tini traboccano; poiché grande è la loro malvagità.
Moltitudini! moltitudini! Nella valle del Giudizio!
Poiché il giorno dell'Eterno è vicino,
nella valle del Giudizio.
Il sole e la luna s'oscurano,
e le stelle ritirano il loro splendore.
L'Eterno ruggirà da Sion,
farà risonar la sua voce da Gerusalemme,
e i cieli e la terrà saranno scossi;
ma l'Eterno sarà un rifugio per il suo popolo,
una fortezza per i figli d'Israele.
E voi saprete che io sono l'Eterno, il vostro Dio,
che dimora in Sion, mio monte santo;
e Gerusalemme sarà santa,
e gli stranieri non vi passeranno più.


Parigi - Due ebrei aggrediti fuori da una sinagoga

L'aggressione in Francia segue di poco la sparatoria al Museo ebraico di Bruxelles, in cui sono morte tre persone e una quarta è rimasta gravemente ferita.

PARIGI - Due uomini "di religione ebraica" sono stati aggrediti ieri sera all'uscita della sinagoga di Creteil, nella periferia di Parigi. Lo ha annunciato il ministro dell'Interno francese, Bernard Cazeneuve, che ha condannato l'episodio e dato "istruzione a tutti i prefetti di rafforzare immediatamente la sicurezza degli edifici collegati al culto ebraico o alla cultura ebraica".
L'aggressione segue di poco la sparatoria avvenuta ieri al Museo ebraico di Bruxelles, in cui sono morte tre persone (due turisti israeliani e una donna francese) e una quarta è rimasta gravemente ferita. Un attentato, messo in atto da "un uomo e ben preparato", ha spiegato la procura della capitale belga che ha deciso di diffondere un filmato per chiedere la collaborazione della cittadinanza ed in particolare dei media per ricostruirne l'identità.
Proprio su questo attentato è intervenuto, oggi, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, che si è detto "scioccato" e stigmatizzato il gesto diretto "contro un simbolo religioso nel cuore della capitale europea". "Si tratta di un attacco contro i valori stessi dell'Europa, che non possiamo tollerare", ha aggiunto.
Anche l'Alto rappresentante Ue Catherine Ashton ha condannato "senza riserve l'orribile attacco". Il capo della diplomazia europea ha invitato a fare tutto il possibile per "trovare chi ha condotto" l'attentato. "Non ci deve essere impunità per il terrorismo", ha affermato.

(Quotidiano.net, 25 maggio 2014)


Una rassegna dedicata alla musica ebraica

di Alberto Angelino

CASALE MONFERRATO — Prende il via domenica 25 maggio alla Sinagoga di Casale una vasta rassegna dedicata alla musica ebraica. Un appuntamento costante da qualche anno, grazie anche all'impegno di Giulio Castagnoli, compositore e docente del Conservatorio di Torino, che ha il pregio di portare alla luce non solo compositori di origine o di fede ebraica, ma tutti gli influssi di questo stile nella musica che ascoltiamo oggi, anche se magari è nata molto lontano dalle sinagoghe.
Uno sguardo ad un passato e un ambiente dove la musica ebraica era perfettamente inserita nella cultura popolare europea.
Quest'anno la rassegna intitolata "Suono e Segno" si articola in ben 5 appuntamenti e vede in ciascuno una formazione e un programma differente. Gli autori presentati spaziano dal rinascimentale Salomone Rossi al contemporaneo Castelnuovo Tedesco non dimenticando i grandi della musica.
Domenica alle ore 16,30 si comincia scoprendo i Fondi Musicali delle antiche Comunità Ebraiche di Alessandria e Saluzzo. Ne parlerà Rosy Moffa, già docente di Storia della Musica presso il Conservatorio di Alessandria e al Conservatorio di Torino fino al 2012, che p ha svolto una importante ricerca sui documenti che testimoniano l'attività musicale nelle Sinagoghe.
Alle ore 17,30 comincia la musica con il Concerto del Coro Ghescer - Opera dei Ragazzi, diretto da Erika Patrucco (violoncellista di livello) ed accompagnato al pianoforte dallo stesso Giulio Castagnoli.

(Il Monferrato, 25 maggio 2014)


Bruxelles, attacco al museo ebraico: tre morti e un ferito grave

È di almeno tre morti e un ferito grave il bilancio di un attentato antisemita oggi al museo ebraico di Bruxelles, nell'elegante quartiere centrale del Sablon, quello degli antiquari (con un famoso mercatino nel fine settimana), delle gallerie d'arte e dei bar alla moda.
Sulla matrice antisemita dell'attacco, alla vigilia delle elezioni europee e politiche in Belgio, i dubbi sono davvero pochi, dato che almeno due delle vittime - una giovane donna con in mano un depliant del museo, fotografata in un bagno di sangue, e un uomo di mezza età - sono stati uccisi all'interno del museo.
Uno dei primi a giungere sul luogo del dramma è stato il ministro degli esteri Didier Reynders, che si trovava a pochi metri dalla rue des Minimes, e ha immediatamente twittato: "Scioccato per gli omicidi commessi al museo ebraico, penso alle vittime che ho visto sul posto e alle loro famiglie", ha scritto. Pochi minuti dopo, sempre su twitter il premier Elio di Rupo, si è detto "molto scioccato dagli eventi di Bruxelles".
La prima a sposare la tesi dell'attentato antisemita è stata il ministro dell'interno Joelle Milquet, un'ipotesi poi confermata dal sindaco della capitale, Yvan Mayeur, secondo cui "è probabilmente un atto terroristico", mentre "la polizia è su una pista che ci sembra seria".
Immediata la condanna del premier Matteo Renzi: "è inaccettabile che una simile barbarie avvenga nel cuore dell'Europa in un momento così delicato per il nostro progetto comune". Per il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, "L'antisemitismo è un male che deve essere estirpato dall'Europa. Sono vicino alle comunità ebraiche di Bruxelles e Roma".
Secondo i principali quotidiani belgi online, da Le Soir alla Libre, passando per La Dernière Heure, la polizia ha arrestato un sospetto non molto dopo l'attentato, verificatosi intorno alle 15:50 (locali ed italiane). Non è chiaro però se si tratta di uno degli attentatori.
Secondo le prime ricostruzioni, ancora confuse ed incomplete, a sparare sarebbero state una o due persone, giunte a bordo di un'Audi nei pressi del museo ebraico in rue des Minimes. Dopo aver parcheggiato in seconda fila, il passeggero ed il conducente sarebbero usciti dalla macchina e almeno uno dei due avrebbe aperto il fuoco prima di rimontare rapidamente sulla vettura e darsi alla fuga.
Il presidente del concistoro ebraico belga, Julien Klener, ha riferito che "non si sono state minacce recenti al museo ebraico". La pensano diversamente altri esponenti della comunità ebraica belga. "C'è stata una liberalizzazione del verbo antisemita. Questo è l'inevitabile risultato di un clima che distilla l'odio", ha dichiarato a Le Soir il presidente della Lega belga contro l'antisemitismo (Lbca), Joel Rubinfeld, aggiungendo che la sparatoria di oggi "purtroppo doveva succedere". "È un atto terroristico ha aggiunto - l'assassino è deliberatamente entrato in un museo ebraico".
Sulla stessa linea il Congresso ebraico mondiale, l'organizzazione con base a New York che rappresenta le comunità ebraiche di 100 Paesi. Parlando di shock ed orrore, ha definito l'attacco "un atto di terrore atroce chiaramente mirato a colpire membri della comunità ebraica".
"Due anni dopo Tolosa (con l'attacco ad una scuola ebraica da parte di Mohammed Merah, ndr.) e alla vigilia delle elezioni europee - ha aggiunto il presidente Ronald Lauder - questo spregevole attacco rappresenta un altro terribile monito del tipo di minacce che gli ebrei in Europa si trovano ancora ad affrontare".
Non è la prima volta che Bruxelles è vittima di un attentato antisemita. Il 18 settembre 1982, poco dopo l'attacco parigino di Rue des Rosiers (6 morti e 20 feriti), e tre settimane prima di quello che costò la vita al piccolo Stefano Gaj Tachè alla sinagoga di Roma, il tempio brussellese di Rue de la Regence, non lontano dalla rue des Minimes, fu teatro di una sparatoria. Un uomo armato di mitraglietta aprì il fuoco proprio quando i fedeli uscivano dal tempio: ci furono quattro feriti di cui due gravi.

(ANSA, 24 maggio 2014)

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Funzionaria Ue esponente della comunità ebraica belga: «Qui l'antisemitismo cresce»

«Hanno colpito un luogo non protetto in modo adeguato. L'attentatore sapeva bene che le difese nel museo ebraico erano limitate e così ha potuto agire». Ruth Paserman, alto funzionario della Comunità europea è un'ebrea Italiana che vive da 20 anni a Bruxelles. Una donna che frequenta la piccola comunità israelitica della capitale belga. «Quel luogo - spiega - era mal difeso perché poco frequentato da ebrei, era più che altro visitato da turisti. E invece hanno colpito anche lì». Pensi che in Belgio il livello di antisemitismo abbia superato il livello di guardia? «Non ti so dire a che livello sia arrivato. La verità è che atti di antisemitismo violento ci sono sempre stati. Poco tempo fa un rabbino è stato malmenato per strada. Periodicamente si registrano attacchi. Ma non so se la situazione è peggiorata rispetto a due-tre anni fa. Certo rispetto a 10 anni fa gli episodi di antisemitismo sono cresciuti di numero». Ti senti di dire che in Belgio c'è più razzismo rispetto all'Italia? «Forse sì. Ma lo sai qual è la vera differenza con l'Italia? Quando succede un episodio di razzismo in Belgio si tende a darne meno risalto, c'è una minore sensibilizzazione. In Italia invece quando succede qualcosa si ha la voglia e il coraggio di denunciare con la giusta forza, c'è una maggiore mediatizzazione, se così si può dire». Pensi che dopo questo attentato cambierà qualcosa nella comunità ebraica di Bruxelles? Francamente penso di no. Forse si aumenterà per qualche mese il numero dei poliziotti a difesa dei siti ebraici, ma poi tornerà tutto come prima. E torneremo a correre gli stessi rischi di prima.

(Il Messaggero, 24 maggio 2014)


Duemila terroristi sono entrati in Egitto con Morsi

IL CAIRO, 24 mag. - Oltre 2.000 'terroristi' riuscirono a entrare in Egitto dalla Striscia di Gaza e dalla Libia, attraverso tunnel e sentieri nel deserto, durante il periodo di presidenza del leader dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero dell'Interno del Cairo, Hani Abdul Latif, puntando il dito contro le politiche di apertura dei confini e di amnistie condotte dall'ex capo dello Stato, destituito il tre luglio scorso. Gli uomini entrati nel paese, ha precisato Abdul Latif, hanno portato con loro armi di vario genere, finite in particolare nelle mani dei gruppi jihadisti attivi nella Penisola del Sinai.

(la Repubblica, 24 maggio 2014)


Cooperazione Italia-Israele: prorogato il Track scientifico

Restauro, conservazione, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale ed energie rinnovabili per il "sustainable living". E'stata prorogata fino al prossimo 5 giugno la scadenza del terzo bando per la raccolta di progetti congiunti di ricerca tra Italia e Israele per la cooperazione scientifica e tecnologica ("Track Scientifico 2014"). A promuoverlo sono il sottocomitato Mae-Most per la cooperazione scientifica, il ministero della Scienza, della Tecnologia e dello Spazio per la parte israeliana, e la Direzione generale per gli Affari Politici e di Sicurezza del ministero degli Affari Esteri per la parte italiana.

- Cooperazione
  La cooperazione tra i partner dei due Paesi può assumere quattro differenti forme: attività di ricerca congiunta nella quale sottoprogetti interdipendenti di un singolo progetto vengono realizzati nei laboratori italiani ed israeliani; approcci complementari metodologici a un problema comune; uso condiviso di strutture di ricerca, materiali, attrezzature e/o servizi da parte di scienziati che intendono cooperare tra loro; programmazione congiunta della ricerca.

- Obiettivi
  Lo scopo è quello di incoraggiare la cooperazione scientifica e tecnologica tra Italia e Israele. Ogni soggetto potrà presentare un solo progetto. I finanziamenti saranno accordati esclusivamente a progetti di ricercatori di nazionalità italiana (o europea purché legalmente residenti in Italia) e israeliana.

- Risorse
  Il sostegno per ciascun progetto è pari ad un totale massimo di circa 66mila euro per parte per l'intero periodo (due anni). È intenzione dei due Ministeri (Mae e Most) finanziare fino ad un massimo di 6 progetti di ricerca congiunti (396 mila euro).
In Italia ogni progetto selezionato potrà essere finanziato fino al 50 per cento dei costi documentati di ricerca a rendicontazione ricevuta, dopo che il progetto avrà superato la valutazione di merito. Nel caso poi in cui l'intervento realizzato venga messo in commercio generando ulteriori profitti il partner italiano dovrà restituire alle Autorità competenti, anche in più di una soluzione, il finanziamento ricevuto. In Israele il Most coprirà il 100 per cento dei costi documentati di ricerca.

- Condizioni
  Per essere ammessi a finanziamento i progetti dovranno essere il risultato della collaborazione tra gruppi di ricerca italiani e israeliani. Il team di ciascun Paese dovrà essere guidato da un principal investigator (Pi) membro di un'Istituzione accademica o di ricerca.
Per i team di ricerca italiani il referente è il ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza, cui il progetto va inviato esclusivamente tramite Pec all' indirizzo DGAP.08@cert.esteri.it.

(Il Denaro, 24 maggio 2014)


SCHEDA - I cristiani in Israele, comunità variegata

Papa Bergoglio troverà in Israele una comunità cristiana molto variegata ed in espansione. Tradizionalmente i cittadini cristiani di Israele sono stati identificati con la minoranza araba-palestinese: in tutto 130mila fedeli (su 8 milioni di abitanti), per lo più residenti in Galilea, ma con una presenza compatta (10mila) anche a Gerusalemme. Ad essi, nei decenni scorsi, si sono aggiunti 30 mila cristiani originari della Russia, immigrati in Israele in quanto coniugi di ebrei autorizzati a beneficiare della cosiddetta 'Legge del Ritornò. In anni più recenti, altre comunità cristiane fiorenti si sono costituite fra circa 100 mila lavoratori romeni, sudamericani e filippini giunti in Israele per lavoro: specialmente, questi ultimi, addetti alla assistenza degli anziani. Anche fra i circa 50-60 mila migranti africani entrati illegalmente dal Sinai (per la metà eritrei) vi sono numerosi cristiani che la domenica tengono riti in 'Chiese di fortunà allestite in scantinati nei rioni popolari di Tel Aviv. Sempre a Tel Aviv si avverte anche la presenza di 'Ebrei messianicì, ossia di israeliani che hanno abbracciato il cristianesimo senza aver rinnegato la loro fede originale. Si tratta di una presenza numericamente non grande, ma che tuttavia contribuisce ad arricchire il panorama delle comunità cristiane locali anche perchè per questi fedeli sono stati preparati testi di studio in ebraico. Sul piano politico, gli arabi cristiani sono i più organizzati, fanno sentire la propria voce in Parlamento e godono della visibilità maggiore. Negli ultimi mesi si sono trovati al centro di pressioni contrastanti. Una parte di loro, ancora ristretta, sembra intenzionata a puntare adesso ad una maggiore integrazione nella società israeliana anche mediante l'arruolamento (volontario) di giovani cristiani nelle forze armate di Israele, o in un servizio civile suppletivo. Ma questa iniziativa ha destato reazioni molto negative all'interno della stessa comunità, dove viene vista come un gesto grave di rottura verso la identità palestinese

(Online News, 24 maggio 2014)


Terremoto magnitudo 4.1 in regioni centrali e meridionali di Israele

Una scossa di terremoto di magnitudo 4.1 della scala Richter è stata avvertita stamani, intorno alle 10.30 (ora locale) nelle regioni meridionali e centrali di Israele. Come riportano i media israeliani, l'epicentro è stato localizzato in Giordania, nei pressi del confine con Israele, a circa 35 chilometri a sud est di Mitzpe Ramon. La scossa è durata diversi secondi. Non sono stati riportati feriti, né danni alle strutture.

(Adnkronos, 24 maggio 2014)


Sudan. Meriam e quei 40 minuti per decidere di morire in nome di Cristo

di Leone Grotti

«Sono cristiana e resterò cristiana». Non ha voluto convertirsi e per questo dovrà ricevere 100 frustate e morire per impiccagione

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La sua sorte era già stata decisa l'11 maggio da una corte di Khartoum, capitale del Sudan: condannata a morte tramite impiccagione per apostasia e a 100 frustate per adulterio. Poi il giudice Abbas Mohammed Al Khalifa ha sospeso la sentenza e ha proposto a Meriam Yahia Ibrahim una sorta di scambio: «Convertiti all'islam e lasceremo cadere le accuse, facendo finta che non sia successo niente». Le ha dato 72 ore di tempo per pensarci, convinto che la giovane cristiana avrebbe sicuramente colto l'occasione al volo e abiurato. Invece lo scorso 15 maggio, dopo aver intrattenuto un colloquio di 40 minuti con il giudice, Meriam gli ha risposto, quasi scusandosi: «Sono cristiana, non ho mai commesso apostasia e resterò cristiana».
Al Khalifa ha incassato il colpo e davanti alla corte ha pronunciato una sentenza sprezzante, chiamando la donna con il suo nome islamico: «Adraf Al Hadi Mohammed Abdullah, ti abbiamo concesso tre giorni per abiurare ma hai deciso di non riconvertirti all'islam. Ti condanno alla morte per impiccagione». Le parole del magistrato hanno suscitato indignazione nelle redazioni di tutti i quotidiani del mondo, ma a essere davvero scandalosa è la professione di fede fatta da Meriam, che ai suoi 27 anni, al suo futuro, a suo marito, al figlio di un anno e mezzo e al piccolo che porta in grembo da otto mesi ha preferito Gesù e la verità: «Sono cristiana, non ho mai commesso apostasia e resterò cristiana». Oggi i media scrivono che il suo avvocato ricorrerà in appello, che riuscirà a salvarla, che i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, dopo aver ignorato per mesi il suo caso, interverranno e faranno pressione sul governo sudanese per ribaltare la sentenza, che la donna non è sola grazie a una campagna internazionale e all'hashtag #Meriamdevevivere. Ma tutto questo la giovane donna non lo sapeva e non poteva prevederlo quando si è trovata per 40 minuti davanti al giudice e davanti a una scelta tremenda: rinnegare la propria fede o morire di una morte orrenda.

- Le cento frustate
  Il caso della dottoressa, cristiana ortodossa di 27 anni, è cominciato lo scorso febbraio, quando il fratello di Meriam insieme agli zii paterni l'ha denunciata alle autorità per presunta apostasia. Meriam è stata cresciuta dalla madre etiope ortodossa nella fede cristiana, visto che il padre sudanese di religione islamica se n'è andato di casa quando lei aveva solo sei anni. Anche sul certificato di matrimonio che lega la donna al marito del Sud Sudan Daniel Wani, in possesso di doppio passaporto statunitense, c'è scritto che è cristiana. Ma suo padre era un musulmano, ha ricordato il fratello alle autorità, e quindi anche lei non può che essere musulmana, visto che per la legge islamica la religione si tramanda di diritto dalla linea paterna.
Su questi temi la sharia parla chiaro e in Sudan è fonte della legislazione e si applica anche ai non musulmani: nel paese è prevista la pena di morte per chi si converte dall'islam a un'altra religione (ma non viceversa) ed è vietato alle donne musulmane sposare uomini di altre religioni (ma non viceversa). È per questo che la donna, oltre a essere stata condannata per essersi convertita al cristianesimo, dovrà ricevere anche 100 frustate per adulterio: la legge non riconosce un matrimonio tra una musulmana e un cristiano, dunque quello tra Meriam e Daniel Wani è nullo. Ma c'è di più: se il matrimonio non vale più, i due figli concepiti dalla coppia sono illegittimi e dopo la morte della madre saranno tolti al marito e affidati allo Stato.

- La prima vittima della legge
  È questo l'incubo che Meriam vive dal 17 febbraio, giorno in cui le autorità l'hanno prelevata da casa e rinchiusa in prigione insieme al figlio Martin, di appena 20 mesi. A nulla sono valse le testimonianze di chi ha confermato in tribunale che la donna non si è mai convertita al cristianesimo dall'islam ma è sempre stata cristiana. I giudici le hanno respinte come ininfluenti e hanno emesso una sentenza storica per il Sudan: dal 1956 infatti, anno dell'indipendenza, nessuno è mai stato condannato a morte per apostasia. Dal 1983, quando è stata introdotta la sharia, solo Mahmoud Muhammad Taha è stato condannato per eresia all'interno di un processo politico. «Ma quel caso era diverso», dichiara l'avvocato della donna Muhanned Mustafa. «Lui dichiarava di essere Dio, il caso di Meriam è unico».
È Meriam la prima vittima delle parole del presidente Omar al Bashir, salito al potere con un colpo di Stato nel 1989, che promise nel 2011, in seguito alla dichiarazione di indipendenza del Sud Sudan, di rendere il paese ancora più islamico e la sharia ancora più influente. Resta il fatto che la Costituzione del paese garantisce formalmente la libertà religiosa e passate sentenze hanno sospeso l'esecuzione capitale di una madre gravida fino alla nascita del bambino e alla conclusione di un periodo di allattamento della durata di due anni circa. Meriam potrebbe partorire l'1 giugno e un secondo avvocato della donna, Mohamed Jar Elnabi, è fiducioso: «Faremo ricorso in ogni sede fino alla Corte costituzionale. Meriam è molto ferma e forte. Sa che riuscirà a uscirne un giorno».
Le pressioni da parte dei giudici e della società musulmana però sono difficili da sopportare. Il giorno della sentenza, un gruppo di islamici si sono riuniti fuori dal tribunale: alla notizia della condanna hanno esultato gridando «Allahu Akbar», Dio è grande. Elnabi, da parte sua, è stato minacciato di morte ma ha scelto di non tirarsi indietro, come se la testimonianza di Meriam avesse infuso coraggio anche a lui: «Sono molto spaventato», ha ammesso. «Vivo nella paura, appena sento una porta che si apre o un suono strano in mezzo alla strada mi volto. Ma non potrei mai lasciare questo caso: devo aiutare chiunque sia nel bisogno, anche se questo può costarmi la vita».

- «Non mi resta che pregare»
  Anche il marito di Meriam, «costretto sulla sedia a rotelle», è spaventato. Pensa al figlio che si ammala di continuo a causa delle cimici che infestano la piccola cella nella quale è rinchiuso da febbraio. Pensa a se stesso, sapendo di «dipendere da mia moglie per tanti aspetti della mia vita quotidiana». Ma soprattutto pensa alla sorte di Meriam, ancora incerta, e non può fare altro che seguire il suo esempio: «Sono così frustrato. Non so che cosa fare. Non mi resta che pregare».

(Tempi, 24 maggio 2014)


Studenti in viaggio premio accolti in Italia

Oltre trecento studenti da sedici città della Russia, con i loro rispettivi rabbini Chabad, negli ultimi sei mesi si sono incontrati ogni settimana per studiare le loro radici ebraiche. Per molti di questi ragazzi era una delle prime volte che approfondivano concetti ebraici. Lo studio era anche una preparazione per i partecipanti a un viaggio premio finale, denominato "EuroStars", nome che riprende quello del programma di studio chiamato "Stars" finanziato da Or Avner e Ner Lelef.

  
Il viaggio, che ha toccato inizialmente l'Italia per proseguire con la Polonia e la Slovacchia, è stato organizzato da Rav Mendi Wilansky, responsabile per le attività giovanili dalla Federazione delle Comunità Ebraiche della Russia. Il Colosseo e il centro storico di Roma, il David di Michelangelo a Firenze, la torre di Pisa, la casa di Romeo e Giulietta a Verona e l'isola di Murano a Venezia sono stati i luoghi principali che il gruppo ha visitato; i ragazzi, comunque, hanno vissuto l'ebraismo in ogni città incontrandosi con la realtà ebraica locale. Poche ore dopo essere atterrati a Fiumicino sono stati accolti dal rabbino capo di Roma, Rav Riccardo Disegni, nel Tempio Maggiore, un'impresa non semplice ma che è stata realizzata grazie alla massima collaborazione della Comunità Ebraica di Roma, il Museo ebraico, l'ufficio rabbinico e la sicurezza, il tutto coordinato da Rav Menachem Lazar.
Il giorno dopo sono stati accolti al tempio maggiore di Firenze dal rabbino capo rav Joseph Levi e dalla presidente della comunità ebraica di Firenze, Sara Cividalli, il tutto coordinato da Rav Levi Wolvovsky.
Per finire, a Venezia hanno visitato lo storico Ghetto dove hanno letto la Torà nel campo del ghetto per mancanza di uno spazio che potesse ospitare un numero così grande di persone.
Lo Shabbat l'hanno celebrato a Bratislava in compagnia del rabbino capo della Russia, Rav Berel Lazar.Il viaggio si è concluso con la visita al campo di concentramento di Auschwitz.
Le realtà che gli studenti hanno incontrato durante il viaggio hanno portato molti di loro a realizzare che è possibile divertirsi in un ambiente ebraico; che fanno parte di un gruppo molto numeroso di altri giovani e non solo di quei pochi che conoscono nella loro comunità; che in qualsiasi città del mondo possono sempre contare sui colleghi dei loro rabbini, e che per evitare che la loro comunità faccia la fine di molte comunità nel mondo devono impegnarsi a tenere viva la loro comunità locale.

(Chabad.Italia, 23 maggio 2014)


Un razzo lanciato da Gaza cade nel sud di Israele

Un razzo lanciato da Gaza è caduto nel sud di Israele senza causare danni né vittime. Lo ha confermato un portavoce dell'esercito. Era dai primi di maggio che non succedeva. Lo stesso portavoce ha anche annunciato che in un altro incidente sono stati sparati colpi di fuoco dalla Striscia contro soldati israeliani nei pressi del confine e che i militari hanno risposto al tiro. Al momento non si segnalano conseguenze.

(L'Unione Sarda, 23 maggio 2014)


Lettera aperta al ministro Beatrice Lorenzin

di Scialom Bahbout*

Beatrice Lorenzin
Ho avuto modo di incontrare il Ministro Lorenzin in diverse occasioni sia a Napoli che a Roma: A Napoli, in qualità di Rabbino capo della Comunità, quando è venuta in visita privata presso la Sinagoga, e a Roma sia al Ministero che in convegni. In tali occasioni ho conversato a lungo con lei sui problemi della sanità, su quelli dell'occupazione giovanile, della sicurezza in generale e di quella alimentare in particolare.
In quest'ultimo campo la Lorenzin ha dimostrato il suo estremo interesse per quanto concerne i prodotti alimentari certificati "kosher", cioè permessi secondo la rigida tradizione ebraica dei controlli sugli alimenti, controlli che in definitiva svolgono una funzione di garanzia per il consumatore e che possono aprire nuovi mercati ai produttori. Come Ricercatore nel campo della Fisica Medica ho anche molto apprezzato il suo impegno a fare chiarezza in tutte quelle situazioni in cui il Ministero era coinvolto per dare la patente di affidabilità a cure che non siano fondate su una sperimentazione scientifica attendibile.
Vorrei infine ricordare il suo impegno nel rispetto delle minoranze culturali e religiose, cosa che deve fare parte del background di ogni persona, e in particolare di chi aspira a occuparsi della Cosa pubblica, che proprio per essere tale non deve lasciare spazio a discriminazioni di alcun genere. Questi principi devono fare parte del bagaglio di chiunque aspiri ad avere un ruolo nella creazione di una Europa più sicura e più giusta. Per tutti i motivi di cui sopra, mi sento di poter segnalare il Ministro Lorenzin per andare ad occupare una posizione di prestigio e di responsabilità nel Parlamento Europeo.


* Rabbino e Fisico Medico

(l'Occidentale, 23 maggio 2014)


Startup, corri, vinci e vola a Tel Aviv

Italia coinvolta anche nella terza edizione del concorso riservato a giovani imprenditori ICT, mobile, security fra 23 e 35 anni. Basta un pitch, c'è tempo fino al 30 giugno.

di Simone Cosimi

Terza edizione per Startup Tel Aviv Bootcamp, un contest internazionale organizzato dal ministero degli Esteri israeliano, Google Israel, la città e il campus di Tel Aviv, uno dei centri mondiali più vivi sotto il profilo dell'innovazione grazie a un tessuto locale di talenti, sedi di giganti come Big G e, appunto, giovani imprese. Basti pensare che Startup Genome ha piazzato la capitale economica del Paese al secondo posto fra i centri più favorevoli per il lancio di nuove avventure tecnologiche.
Il concorso è promosso in Italia dall'ambasciata d'Israele e da Luiss Enlabs, l'acceleratore e incubatore capitolino, insieme a ItaliaCamp. L'appuntamento conclusivo con le migliori startup da venti Paesi del mondo sarà fra 14 e 19 settembre, in parallelo della conferenza Digital Life Design. D'altronde proprio in quell'occasione si snoderanno altri eventi come l'Open Startup e l'Annual cities summit.
I Paesi coinvolti sono Regno Unito, Germania, Danimarca, Francia, Italia, Spagna, Svezia, Irlanda, Lituania, India, Cina-Shangai, Corea, Messico e Colombia: è da quei contesti che arriveranno i progetti. I venti fondatori parteciperanno al bootcamp fra conferenze, workshop e occasioni di scambio con imprenditori, professionisti, investitori, mentor e venture capitalist. Senza contare l'opportunità di conoscere meglio una delle aree a più alto tasso innovativo del pianeta.
Chi può partecipare a Startup Tel Aviv Bootcamp? Fondatori di giovani imprese attive negli ambiti web, mobile, ICT o sicurezza fra i 23 e i 35 anni. Ma che abbiano già ricevuto un finanziamento iniziale (seed stage).
Come fare? Basta inviare un pitch del progetto e un executive summary, insieme al curriculum del fondatore, all'indirizzo e-mail startelaviv@roma.mfa.gov.il. Il tutto entro il 30 giugno. La premiazione è fissata al 15 luglio. Info luissenlabs.com.

(Wired, 23 maggio 2014)


Israele - La sfida di Dalia

di Rossella Tercatin

 
Dalia Itzik
Dalia Itzik, la prima donna a presiedere la Knesset tra il 2006 e il 2009, ha ottenuto le firme dei dieci deputati necessari per candidarsi alla presidenza dello Stato d'Israele ed entra ufficialmente nella competizione.
Nata a Gerusalemme nel 1952, Itzik ha servito in Parlamento per più di vent'anni, fino al 2006 nel partito laburista, poi fino alle elezioni del gennaio 2013 nelle file del centrista Kadima. Nel suo percorso verso la presidenza ha guadagnato il supporto di figure appartenenti a varie forze dell'arco politico, dal centro governativo di Yesh Atid, all'opposizione religiosa del partito sefardita Shas e spera di ottenere anche quello del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che si porterebbe dietro la sua destra laica nazionalista di Yisrael Beytenu.
Se riuscisse a vincere il consenso di Lieberman, Dalia potrebbe davvero sorprendere, come sottolinea il Jerusalem Post, e creare guai ai suoi avversari più blasonati. Per ora, ufficialmente candidati sono il predecessore e successore di Itzik alla guida della Knesset Reuven Rivlin (75 anni, Likud), poi Binyamin "Fuad" Ben-Eliezer (77 anni, Labor), Meir Sheetrit (65 anni, Hatnua), questi ultimi due già titolari di diversi ministeri nel corso degli anni.
Il presidente dello Stato d'Israele viene eletto in Parlamento a scrutinio segreto. Nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta delle preferenze (61), i due nomi più votati accedono a una sorta di ballottaggio: se Itzik avesse i numeri per arrivarci potrebbe anche spuntarla su Rivlin o Ben Eliezer, al momento dati per favoriti.
Tuttavia sono ancora molte le incognite verso l'appuntamento del 10 giugno, fissato negli scorsi giorni dal presidente della Knesset Yuli Edelstein dopo mesi di incertezza dovuti, secondo indiscrezioni giornalistiche non smentite dal diretto interessato, a una possibile volontà del premier Benjamin Netanyahu di posticipare la scelta del successore di Shimon Peres per avere la possibilità di depotenziare o eliminare una carica che, pur largamente cerimoniale, può in determinate condizioni avere un'influenza non indifferente sulle dinamiche politiche di una democrazia parlamentare ad alto tasso di frammentazione.
Se diverse figure che si sono dichiarate interessate a candidarsi devono ancora presentare le dieci firme necessarie (come lo scienziato Dan Shechtman e l'ex giudice della Corte suprema Dalia Dorner), qualcuno ha già dovuto rinunciare alla corsa: il ministro dell'Energia Silvan Shalom, secondo la stampa israeliana favorito da Netanyahu, ha annunciato che non si presenterà dopo le accuse di molestie rivoltegli da una ex dipendente e la decisione del premier di evitare l'endorsement.
Il fattore Netanyahu potrebbe pure essere decisivo: il primo ministro è da tempo ai ferri corti con Rivlin nonostante la comune appartenenza politica e sarebbe incline a non sostenere nessuno apertamente. Ma, che decida di renderla pubblica o meno, la sua preferenza, c'è da scommetterci, avrà un impatto importante.
Le candidature si chiuderanno ufficialmente il 27 maggio. Poi ci saranno due settimane di tempo prima del voto. Un voto che, comunque vada, segnerà una tappa essenziale per il futuro di Israele, che, per inciso, non ha mai avuto un presidente donna.

(moked, 23 maggio 2014)


La tv di Abu Mazen insegna ai bambini che tutto Israele deve essere cancellato

Senza tregua l'indottrinamento al rifiuto, all'odio, alla violenza terroristica

Quelli che seguono sono alcuni stralci di trasmissioni per ragazzi mandate in onda dalla TV ufficiale dell'Autorità Palestinese in occasione della giornata della Nakba, quella in cui i palestinesi commemorano come una "catastrofe" la nascita dello stato d'Israele (i brani sono stati segnalati e sottotitolati in inglese da Palestinian Media Watch)....

(israele.net, 23 maggio 2014)



Alla scoperta dei giornali degli ultraortodossi

Gli articoli sono attentamente controllati e sottoposti ad una sorta di censura etica. Il senso della informazione nel mondo charedì è a posteriori: il lettore non cerca la notizia, vuole leggere informazioni utili o piacevoli nei ritagli di tempo "dopo" lo studio della Torà, la famiglia, il lavoro .

di Pierpaolo Pinhas Punturello

Nel mondo del giornalismo di Israele spesso vengono contrapposti i concetti di "media-laici" e "media-charedìm", dichiarando cosi l'esistenza specifica di un modo di comunicare, filtrare notizie del mondo ultraortodosso.
l primi periodici charedim nacquero nella Gerusalemme del 1863, per essere poi chiusi dal governo turco. Questi periodici avevano in comune una forte opposizione al movimento dei maskilim e di tutti coloro che volevano introdurre cambiamenti nella religione.
Con la nascita dello Stato di Israele si sentì il bisogno di un giornale unico cosi nel settembre del 1949 nacque il periodico" HaModia" fondato dal rav Avraham Mordechai Alter il Rebbe di Gur. Scopo ed ideale del Rebbe di Gur erano: evitare che il pubblico charedì fosse esposto ai giornali laici e difendere gli interessi specifici del pubblico charedì rispetto agli spazi pubblici dello Stato. Questo obiettivo, la difesa se non la censura rispetto all'informazione non charedi, è pretenzioso se non ingenuo, perché se è vero che la censura difende il mondo charedì dal mondo laico, di contro non permette la costruzione di una opinione pub- blica che possa essere in grado di apprezzare e sostenere l'esistenza di svariati giornali e periodici.
Negli ultimi anni c'è stato uno sviluppo dei media e dei giornali per il pubblico charedì che esprime la diversificazione interna dei gruppi chassidici, delle dirigenze dei vari rebbe ed anche delle diverse città di residenza delle comunità.
Un mondo editoriale e pubblicitario, quello charedi, che possiede un introito di svariati milioni di shekel e che quindi, pur creando una opinione pubblica costantemente esposta a censura, sfrutta il bacino pubblicitario che il segmento charedì offre: tutti i periodici, quotidiani e settimanali rivolti al mondo charedì sono pieni di annunci commerciali e pubblicità. La pubblicità è anche fonte di preoccupazione e lavoro ulteriore per la censura e per i lettori che stanno molto attenti a comprare solo giornali approvati dalle varie assemblee e consigli rabbinici
La censura giornalistica nel mondo charedì ha regole ferree e ben precise, ma per ogni testata l'ultima parola spetta sempre ad una sorta di mashghiach, un controllore della kasherut di ogni singola parola e di ogni singolo articolo prima che il giornale venga dato alle stampe.
Sfogliando un giornale charedì si nota subito l'assenza di una serie di rubriche ed oggetti di informazione: moda, sport, gossip, droghe, violenza, sesso, sono tutte parole ed elementi che non arrivano alle stampe. Ci arrivano invece sane e quasi salve: le notizie locali, la politica (censurata), la finanza, medicina, tecnologia, ecologia e, sotto stretta sorveglianza, le notizie dall'estero. A volte verrebbe quasi da comprare un giornale charedì per godere di notizie rilassanti e di un mondo sempre votato al sacro. Dobbiamo capire che il senso della informazione nel mondo charedì è a posteriori: il lettore non cerca la notizia, vuole leggere informazioni utili o piacevoli nei ritagli di tempo "dopo" lo studio della Torà, la famiglia, il lavoro. Se lavora.
Esistono solo due quotidiani ed il venerdì invece aumentano notevolmente le pagine nonché la stessa offerta di settimanali. La cosa avviene in maniera simile anche per molti giornali non charediim ma se il mondo israeliano in generale chiama gli inserti del venerdì "mussaf" ovvero aggiunto, nel mondo charedì si chiamano "tosefet" per non usare la parola musaf che è legata alle tefillot.
Di specifico interesse per il mondo charedì sono gli annunci di fidanzamento, i tempi delle tefillot, gli spazi dedicati alle "ghemach" le organizzazioni benefiche (ghemilut chassadim), le pagine dedicate agli oggetti smarriti secondo il principio della Torà della restituzione di ciò che viene perso, e chiaramente pagine dedicate allo studio della Torà, a commenti sulla parashà settimanale.
Ma quanti sono i giornali "charedim" in Israele? Ne ho contati solo dodici, quelli acquistabili dal giornalaio senza alcuna ricerca di mercato. Sono periodici, settimanali conosciuti al grande pubblico e si differenziano per ispirazione politica, come il Yom LeYom legato al partito Shas. Abbiamo poi il Kfar Chabad, giornale ufficiale del movimento Chabad in Israele, il Bet Mashiach anche di ispirazione Chabad ma stampato a New York, il Machane Hacharedi che si definisce come il settimanale di coloro che "mantengono la fede", lo Shaa Tova legato generalmente ai partiti di destra ed il Mishpacha, un vero giornale religioso familiare senza particolari legami politici.

(Shalom, maggio 2014)


Netanyahu: stiamo pensando a passi unilaterali

Uno stato palestinese smilitarizzato che riconosca lo stato ebraico

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha affermato, in un'intervista all'agenzia Bloomberg, che alla luce del fallimento nei negoziati con i palestinesi ''l'idea che siano ora necessari passi unilaterali ottiene crescenti consensi in Israele dal centro-sinistra fino al centro-destra''.''Noi - ha precisato il premier - non vogliamo uno Stato binazionale, ma non vogliamo nemmeno uno Stato palestino-iraniano nella nostra porta accanto''.
L'obiettivo di Israele, ha precisato il premier, e' la costituzione di uno ''Stato palestinese smilitarizzato che riconosca lo Stato ebraico''. ''Molti israeliani si chiedono se ci siano passi unilaterali che teoricamente possano aver senso'' per raggiungere questa meta.
Nell'intervista Netanyahu non ne precisa la natura, ma rileva che Israele non ripetera' la politica condotta nel 2005 con il ritiro da Gaza a cui segui' il rafforzamento di Hamas. Il problema di fondo fra i palestinesi, sostiene, e' che ''la loro societa' e' spaccata in due: una meta' invoca apertamente la distruzione di Israele, e l'altra meta' rifiuta di confrontarsi con i demoni che si trovano nel suo stesso campo''.

(ANSAmed, 23 maggio 2014)


Usa Today colloca Tel Aviv come la migliore destinazione beach party del mondo

di Ugo Giano

 
La spiaggia di Tel Aviv
MILANO - Si è ufficialmente aperta la stagione balneare in Israele che si concluderà alla fine di ottobre, con cioè la presenza di bagnini che sorveglieranno sulla sicurezza dei bagnanti lungo tutte le spiagge della costa israeliana.
Usa Today ha poi recentemente nominato Tel Aviv come la migliore destinazione "beach party" al mondo, inserendo la capitale della movida israaeliana in una nuova lista creata dal Matador Travel Network.
La lista colloca Tel Aviv davanti a storiche destinazioni di viaggio, tra cui Città del Capo, Los Angeles e Barcellona.
Inoltre, la "Foundation for Environmental Education ( Fee)" ha assegnato l'ambita BANDIERA BLU per eccellenza ambientale a 21 spiagge di Tel Aviv e a due marine: il doppio del numero assegnato nel 2013!
La Bandiera Blu è un riconoscimento di eccellenza ambientale assegnato a più di 3850 spiagge e porti turistici in 48 paesi in Europa, Sud Africa, Marocco, Tunisia, Nuova Zelanda, Brasile, Canada e Caraibi.
In Israele le spiagge vincitrice del riconoscimento sono scelte dalla "Foundation for Environmental Education" attraverso la locale ONG EcoOcean.
La Bandiera Blu viene assegnata per lo sviluppo sostenibile delle spiagge e dei porti turistici attraverso criteri rigorosi che verificano la qualità dell'acqua, l'educazione e la gestione ambientale.
Le 21 spiagge scelte includono Hukuk Beach sul lago di Tiberiade, Dado ad Haifa; Chanz, Onot, Amfy, Herzl, Sironit North, Sironit South, Lagoon-Argaman e Poleg beaches a Netanya; Metzizim e Jerusalem beaches a Tel Aviv; HaKachol Beach a Rishon Lezion; Mei Ami, Oranim, Lido, Kshatot, Yod Alef, Riveria una specifica spiaggia di Ashdod; e l'Hash'hafim Beach ad Eilat.
Anche le marine di Herzeliya e Tel Aviv hanno ottenuto la bandiera blu.
Più di 8,5 milioni di bagnanti - turisti e locali - potranno fruire delle 13 spiagge lungo 8,7 miglia del tratto di costa Tel Aviv -Jaffa.
Quattro spiagge sono accessibili alle persone con disabilità: Tzuk , Northern tzuk , Metzizim e Hilton - tutte nella parte nord della città di Tel Aviv. Le spiagge sono attrezzate con sedie a sdraio, ristoranti, palestre all'aperto, giochi per bambini, biblioteche da spiaggia, WiFi gratuito spogliatoi, docce e servizi igienici. Il lungomare brulica di vita e di decine di ristoranti, caffetterie e gelaterie che fiancheggiano la spiaggia e il lungomare, mentre pub, discoteche e jazz club fioriscono dopo il tramonto. Servizi Lifeguard sono disponibili da maggio a ottobre.
Ogni spiaggia ha il suo "carattere": la spiaggia Gordon è rinomata per il beach volley, mentre la comunità gay tende a gravitare verso il tratto vicino alla Hilton che si è così guadagnata il titolo ufficioso di spiaggia gay-friendly della città.
A Tel Aviv la stretta striscia di sabbia vicino alla Marina è meno affollata e più tranquilla e lì è anche possibile noleggiare windsurf , tavole da surf , barche a vela , motoscafi e attrezzatura subacquea.
Il surf è popolare all'Hilton Beach, dove un speciale sistema di illuminazione è stato recentemente installato per consentire surf e Kite surf notturni.

(AgenParl, 23 maggio 2014)


«Non sono il direttore di Pagine Ebraiche»

Lettera al direttore del Foglio
Quanto all'articolo "La fronda radical dell'ebraismo italiano scatenata contro un libro", pubblicato ieri, tengo a precisare che non sono il direttore di Pagine Ebraiche e non ho rapporti di alcun genere con il direttore della rivista, Guido Vitale.
Guido Roberto Vitale

(Il Foglio, 23 maggio 2014)


Haniyeh domenica a Teheran. Prosegue il riavvicinamento Iran-Hamas

Prosegue il riavvicinamento tra l'Iran e Hamas. Il primo ministro della fazione palestinese al potere nella striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, si rechera' domenica a Teheran per partecipare a una conferenza sui media della Repubblica islamica. Secondo l'emittente Irib, Haniyeh pronuncera' un discorso durante la conferenza.
Quella di domenica sara' la terza visita di Haniyeh in Iran dal 2007, quando Hamas ha preso il potere a Gaza. L'ultimo viaggio del leader palestinese nella Repubblica islamica risale al febbraio 2012. In quell'occasione incontro' la Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e l'allora presidente, Mahmoud Ahmadinejad.
La visita di Haniyeh e' un nuovo segnale di disgelo tra l'Iran e Hamas, le cui relazioni negli ultimi anni si erano deteriorate a causa di visioni contrapposte sulla crisi siriana. I vertici in esilio della fazione palestinese, malgrado fossero stati 'ospiti' del regime di Damasco per un decennio, hanno voltato le spalle ad Assad, schierandosi con l'opposizione, mentre Teheran e' sempre stato il principale alleato di Damasco. Ieri a Doha, in Qatar, e' andato in scena un incontro tra il leader palestinese di Hamas, Khaled Meshaal, e il vice ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian.

(Adnkronos, 23 maggio 2014)


Sorpresa, il papa in Israele troverà più cristiani

Israele, l'unica «oasi» dove i cristiani crescono. Cresciuti di oltre tremila in un anno mentre in tutta l'area sono perseguitati.

di Fiamma Nirenstein

C'è almeno uno, nel mondo, per cui una visita del Papa in Medio Oriente è affar semplice mentre tutte le diplomazie si affannano e talora si disperano: è il rabbino argentino Abraham Skorka che di Jorge Bergoglio è amico da vent'anni, e che ieri ci ha spiegato in un nocciolo la visita papale. "Scrivendo un libro insieme e dialogando fra noi in tv per 31 ore, niente era più chiaro del suo orrore per l'antisemitismo, dell'unione spirituale fra ebraismo e cristianesimo, e il desiderio di percorrere insieme le vie di Israele. E' un sogno che si realizza. Portare un'utile parola di pace: questo vuole il Papa. Naturalmente il suo primo obiettivo non possono essere che i luoghi santi. Ma sarà la prima volta che un Papa, in Terra d'Israele, visita la tomba di Theodoro Herzl, il padre fondatore del sionismo. E' un gesto molto importante: il Papa vede nel sionismo la crescita spirituale del popolo ebraico". Certo è un gesto di grande peso teologico quando tanti mettono in discussione il diritto del popolo ebraico alla Terra d'Israele, quasi equivalente a quello che Giovanni Paolo compiette riconoscendo lo Stato d'Israele stesso.
   Ma molte altre sfide attendono il Papa in questo viaggio, che comincia sabato con Amman, capitale della Giordania, dove il re incontrerà re Abdullah e la regina Rania, dirà messa allo stadio e visiterà il fonte battesimale di Betania sul Giordano. La domenica sarà a Betlemme, dove dirà messa di fronte alla Chiesa della Natività. Nel pomeriggio, Israele: inizierà la visita con incontri ecumenici per poi dedicarsi il giorno dopo al Gran Mufti Muhammad Ahmad Hussein, personaggio molto aggressivo che auspica nei suoi discorsi la distruzione di Israele.
   Poi il Monte Herzl e Yad Va Shem. Il giorno dopo, incontri politici (con Shimon Peres e Netanyahu) e ecumenici nei luoghi santi. Il Papa parte in un momento molto difficile per i cristiani nel mondo islamico: secondo la watch list del 2013 si varia dai cento ai duecento milioni di perseguitati, 105mila cristiani l'anno vengono assassinati per la loro fede. E il Medio Oriente è uno degli epicentri di questa insopportabile persecuzione, che crea anche grandi movimenti di profughi e modifiche demografiche. Se il Papa dirà una parola decisa su questo problema, certo questo è il luogo e il tempo appropriato, e il suo amico Skorka pensa che lo farà, sia pure con delicatezza.
   Paradossalmente, l'unica tappa in cui il Papa potrà sorridere liberamente è Israele. E' infatti l'unico Paese in cui la popolazione cristiana è cresciuta e non subisce persecuzioni di sorta: nel 2012 i cristiani erano 158mila, nel 2013 161mila, l'80 per cento si definisce comunemente (anche se ormai molti vogliono essere chiamati cristiani israeliani) arabi cristiani, e il 20 per cento russi. Nel 1948, anno dell'Indipendenza, c'erano solo 34mila cristiani in Israele. Secondo il Pew Center Israele è l'unica parte del Medioriente dove c'è una crescita: dei 2,2 miliardi di cristiani nel mondo, solo lo 0,6 per cento vive qui, il 4 per cento del totale degli abitanti, mentre un secolo fa era il 20.
   Il Papa ha molto lavoro da queste parti: ciò che i cristiani subiscono in Siria, o in Arabia Saudita certo non devono patire in Giordania o nell'Autorità Palestinese. Ma quando Francesco parlerà a Betlemme non potrà ignorare che erano il 90 per cento agli inizi del '900 ed il 40 per cento nel 2000: oggi sono il 18 per cento, e il 28 con comuni di Beth Sahur e Beit Jala. Il futuro dei cristiani nel mondo palestinese può soffrire dell'alleanza di Abu Mazen con Hamas, che tormenta i cristiani di Gaza.
   Quanto alla Giordania, che ha il sei per cento di cristiani su sei milioni e mezzo di abitanti, ogni scossa alla monarchia è un rischio. Un viaggio come il Papa desidera, porta prima di tutto il segno della salvezza di cristiani in Medio Oriente e anche quello della quieta accettazione dell'esistenza di Israele. Un passo avanti su questi due temi, è una parola di pace.

(il Giornale, 23 maggio 2014)


Dopo il Concilio Vaticano II, iniziato sotto il pontificato di Giovanni XXIII, uscì in ambito protestante un libro di cui la cosa più azzeccata è il titolo: "La nuova cattolicità del Cattolicesimo", di Vittorio Subilia. Oggi, sotto il pontificato di Francesco I, qualcuno potrebbe scrivere un libro dal titolo "La nuovissima cattolicità del Cattolicesimo", a conferma di quella che è l'autocoscienza fondamentale dello Stato del Vaticano, sede territoriale della Chiesa Cattolica Romana: essere al centro del mondo. Lo sforzo incessante dell’istituzione cattolica sarà sempre quello di confermare la sua natura cattolica, cioè universale, inglobante il tutto. Essa può tollerare e sopportare quasi ogni cosa, può essere rigidamente dogmatica o amorosamente misericordiosa, può adattarsi col tempo alle varie culture in cui si trova, può riuscire a districarsi abilmente tra destra e sinistra, ma non può assolutamente accettare di essere emarginata, considerata irrilevante: questa sarebbe davvero la sua fine. Durante tutta la storia la sua preoccupazione costante è stata sempre quella di mantenere o riconquistare il centro del mondo, perché questo è il posto che nella sua autocoscienza le spetta di diritto. Il Papa visiterà la tomba di Herzl, padre del sionismo politico, e incontrerà il Gran Mufti Muhammad Ahmad Hussein che auspica nei suoi discorsi la distruzione di Israele. Contraddizione? Sì, per un’onesta, normale, logica coscienza umana; no, per la Chiesa Cattolica. Quale contraddizione? Nella coscienza dell’istituzione cattolica non esiste l’aut ... aut, ma soltanto l’et ... et. E tra i due et c’è lei. Questo è il suo interesse. E se questo viene meno... tutto il resto passa in seconda linea. Prima lo capiscono, ebrei e israeliani, e meglio è. M.C.


Investor Day, il Gran Ballo delle startup

Presentata la terza edizione di Tel Aviv Boot-Camp. Un evento per mettersi in bella mostra e cercare di convincere gli investitori che la propria startup porta un'idea vincente. Alla presentazione delle startup di EnLabs è stato lanciato anche il concorso per portare giovani imprenditori italiani a Tel Aviv, la seconda Silicon Valley mondiale

di Celia Guimaraes

ROMA - L'Investor Day di Luiss EnLabs quest'anno è svolto in due tappe, a Roma e a Milano. All'appuntamento romano è intervenuto l'Ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, che insieme a Luigi Capello, fondatore di EnLabs, ha presentato la terza edizione di Startup Boot-Camp, il concorso destinato a giovani startupper.
Come già avvenuto per Mosaicoon e Atooma, il vincitore dell'edizione 2014 andrà a settembre Tel Aviv, il più importante polo hi-tech al mondo dopo la Silicon Valley, dove incontrerà importanti advisors e mentors del mondo delle startup israeliane.
L'Italia è uno dei 20 Paesi selezionati per partecipare al Boot-Camp, tra cui Brasile, Giappone, Corea del Sud, Canada, Australia, Paesi Bassi, Germania. Sono ammessi al contest giovani imprenditori tra i 25 ed i 35 anni che abbiano fondato una startup finanziata per la fase di seed-money nei settori web, mobile, security e Ict. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito di Luiss EnLabs.

- Il Gran Ballo delle Startup
  L'Investor Day è proseguito con la presentazione delle cinque startup dell'ultimo lotto, che hanno appena concluso il programma di accelerazione, pronte quindi a lanciarsi nel mondo dell'imprenditoria a tutto tondo.
Durante la tappa romana si sono esibite in pitch in inglese e successivamente gli investitori hanno potuto parlare con ciascuna di loro.

SNAPBACK permette l'interazione touchless e sightless (senza toccare e senza guardare) con dispositivi intelligenti. E' stata presentata come 'la risposta italiana alla Kinect' di Microsoft. Si tratta di una soluzione a basso consumo energetico , che consente ai giocatori maggiori opportunità di interazione per il controllo gestuale e anche l'uso in ambienti difficili e sensibili come l'auto o in sala operatoria.

SPOTONWAY è un app geolocalizzata che consente agli utenti di ottenere buoni sconto e fornisce ai commercianti una soluzione competitiva e conveniente per abbassare le scorte di magazzino e aumentare il flusso dei clienti.

THINGARAGE sono designer che lavorano in crowsourcing per produrre modelli 3D personalizzati. Creano gadget 3D per aziende, architettura, arredamento, gioielli, dispositivi mobili. Gli acquirenti lanciano un concorso, i designer in crowdsourcing presentano le loro proposte e il progetto vincitore avrà la stampa in 3D.

WINEOWINE è una piattaforma di e-commerce per l'acquisto di vini di qualità da piccoli produttori ad alta qualità. Un team di esperti di vino, composta da enologi e sommelier, lavorano a stretto contatto con le cantine per offrire vini ai migliori prezzi.

ZENFEED è un news-reader per ricevere tutte le notizie dalle fonti preferite in un'interfaccia unica e intuitiva. Per mezzo di algoritmi avanzati, l'app legge le notizie e le ordina secondo i vostri interessi

(Rai News, 22 maggio 2014)


Iran: Pastore evangelico picchiato e riportato in prigione

 
Saeed Abedini con la famiglia
Saeed Abedini, un pastore statunitense imprigionato per la sua fede, è stato gravemente percosso in un ospedale iraniano, portato via con violenza e ricondotto nella brutale prigione di Rajai Shahr.
La sua famiglia iraniana afferma che questo trasferimento è del tutto inaspettato e che la ragione non è chiara. Ma una delle guardie coinvolte nel trasferimento ha suggerito che il motivo potrebbe essere i recenti colloqui sul nucleare, ha detto la famiglia.
"Questo è uno sviluppo estremamente deludente e mi spezza il cuore", ha detto Naghmeh Abedini, la moglie del pastore.
"La nostra famiglia è profondamente rattristata e noi continuiamo a pregare per Saeed, per la sua salvezza e il suo rilascio. Siamo molto grati alle molte persone che in tutto il mondo continuano a pregare per Saeed", ha aggiunto.
A Marzo, il Pastore Saeed aveva subito un trattamento simile. Era stato trasferito nello stesso ospedale in catene e picchiato dalle guardie. Dopodiché ad Abedini erano state negate le cure mediche e le visite dei familiari.
La situazione di Saeed in ospedare era migliorata dopo le critiche piovute da tutto il mondo. Gli era stato concesso di ricevere le visite dei suoi familiari iraniani e gli venivano dati pasti nutrienti.
Il suo nuovo trasferimento in prigione giunge proprio mentre continuano in tutto il mondo gli sforzi per garantire il suo rilascio.
Secondo l'American Center for Law and Justice (ACLJ), quasi 260.000 persone in tutto il mondo hanno già firmato la petizione "BeHeardProject" nel tentativo di ottenere il suo rilascio.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, maggio 2014)


In Emilia una delegazione israeliana per conoscere il sistema della Protezione civile

BOLOGNA - Una delegazione composta da alcuni funzionari ministeriali israeliani sara' domani in Emilia-Romagna per conoscere da vicino il sistema della Protezione civile e l'esperienza maturata in occasione del terremoto. La visita prevede domani mattina, a partire dalle ore 9, un incontro a Bologna nella sede dell'Agenzia regionale di Protezione civile. La delegazione sara' accompagnata a Finale Emilia (Mo), citta' tra le piu' colpite dal terremoto e che riveste una particolare importanza per la comunita' ebraica, come testimonia la presenza di uno dei piu' antichi e suggestivi cimiteri ebraici dell'Emilia-Romagna, anch'esso danneggiato dal sisma.

(AGI, 22 maggio 2014)


Usa, 13.000 soldati in Israele e Giordania per esercitazioni

NEW YORK - Conversazione telefonica tra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il re giordano Abdallah II, per discutere dell'aggravamento della situazione nel sud della Siria e della minaccia che il conflitto pone alla Giordania. A causa delle prime esercitazioni militari congiunte con Israele (nome in codice Juniper Cobra) e Giordania (Eager Lion), gli Stati Uniti hanno portato più di 6.000 marine in Giordania e circa settemila soldati in Israele, secondo quanto riportato da DEBKAfile, sito di informazione militare.
Le esercitazioni in Giordania inizieranno domenica e dureranno fino all'8 giugno; quelle in Israele cominceranno questa settimana, con la partecipazione di 6.000 soldati dello Us European Command e mille aviatori che si occuperanno dei sistemi missilistici difensivi. E' la prima volta che gli Stati Uniti uniscono due larghe esercitazioni militari, che saranno coordinate dai centri di comando statunitensi.
I due 'giochi di guerra' sono in programma proprio in una fase di forte preoccupazione per l'intervento di Hezbollah nel conflitto siriano: ieri, è stata diffusa la notizia che le forze militari del Partito di Dio si stanno dirigendo verso il sud della Siria per aiutare l'esercito del presidente Bashar al-Assad a sconfiggere i ribelli, che da più di una settimana combattono per il controllo della città di Quneitra, sul Golan siriano, vicino al confine con Israele e Giordania. Negli ultimi giorni, i due Paesi amici degli Stati Uniti hanno rafforzato la loro presenza militare lungo i confini e non è da escludere, secondo DEBKAfile, che le esercitazioni si trasformino in operazioni di combattimento con l'intervento di Hezbollah sul Golan.

(TMNews, 22 maggio 2014)


Ai palestinisti non gliene va bene una

Non è davvero un buon momento per i filopalestinesi, popolari fino a quando non ne sono state svelate menzogne e omissioni. Mentre alle Nazioni Unite si discute il ridimensionamento dei generosi stanziamenti nei confronti dell'UNRWA, che a sua volta gestisce a Gaza e nel West Bank scuole in cui si insegna l'odio nei confronti degli ebrei; in buona parte del mondo arabo si riconosce lo splendore della democrazia israeliana, capace di mandare in galera persino un suo primo ministro. Non è un caso che aumenti in Israele la percentuale di arabi che non ci pensa proprio a rinunciare alla propria cittadinanza, in cambio del passaporto di un futuro, eventuale stato di Palestina....

(Il Borghesino, 21 maggio 2014)


"Una app per scegliere il rabbino". Israele, il matrimonio si apre al digitale

L'idea è del rabbino Seth Farber: raccogliere commenti ed esperienze delle coppie appena sposate per far convergere le informazioni su un sito, e quindi su un'app, per confezionareuna guida capace di suggerire "dove e con chi è preferibile celebrare il matrimonio".

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - L'app più popolare di Israele è "Waze", perché aiuta a guidare sfruttando i consigli degli automobilisti, ma ora a farle concorrenza arriva "Rate the Rabbinate" ovvero "date i voti al rabbino" per consentire di scegliere dove è meglio sposarsi. In Israele i matrimoni sono tutti religiosi - celebrarne uno civile significa andare a Cipro - e dunque per la maggioranza ebraica della popolazione la scelta del rabbino equivale al momento-chiave dell'intero matrimonio: ve ne sono di più o meno simpatici, più o meno capaci di gestire la cerimonia, più o meno intonati, organizzati o eleganti. Da qui l'idea di Seth Farber, anch'egli rabbino, di raccogliere commenti ed esperienze delle coppie appena sposate per far convergere tutta questa mole di informazioni su un sito Internet, e quindi su un'app, per confezionare in questa maniera una guida capace di suggerire "dove e con chi è preferibile celebrare il matrimonio".
Il successo dell'iniziativa evoca quello di "Waze": la somma dei consigli partorisce una mappa digitale che consente di sapere se il miglior cantore si trova a Eilat o Kiriath Shmonà oppure se il servizio di catering di un hotel di Tel Aviv è preferibile a Tiberiade o Haifa. Ciò che conta per Farber è "mettere a nudo le carenze dei rabbinati locali lì dove non sostengono gli sposi, non assicurano servizi di qualità e sono rappresentati da persone inefficienti". E se il successo dovesse consolidarsi Farber ha già in mente le prossime app: per consentire di "dare i voti" anche a imam, preti e reverendi che celebrano matrimoni per le altre fedi in Israele.

(La Stampa, 22 maggio 2014)


Tv egiziana: nei Simpson si nasconde un complotto ebraico contro gli arabi

IL CAIRO - Nei Simpson si nasconde un complotto degli ebrei contro gli arabi: questa è l'opinione della televisione egiziana Al-Tahrir, secondo la quale dietro la popolare sitcom animata, creata dal fumettista statunitense Matt Groening, ci sarebbe una cospirazione della lobby ebraica per influenzare la politica mondiale, inclusa quella dei Paesi arabi.
Nel video della puntata, pubblicato su Youtube dal Middle East Media Research Institute, l'ospite intervistato dalla giornalista di Al-Tahrir si lancia in un monologo in cui accusa gli scrittori del cartoon di essere dei "think tank" pilotati dagli Stati Uniti. Questi agirebbero su ordine della News Corporation del gruppo Murdoch, uno dei primi quattro conglomerati mediatici statunitensi.
La giornalista definisce Rupert Murdoch "l'uomo più influente e pericoloso del mondo", affermando che la News Corp. è la società madre della rete Fox, che ha mandato in onda i Simpson per più di due decenni. I due accusano inoltre Murdoch di essere un sostenitore dei Fratelli Musulmani, affermando che i Simpson sono niente più che un mezzo che viene utilizzato per comunicare messaggi politici al pubblico americano.

(blitz quotidiano, 22 maggio 2014)


Catanzaro - Dentisti israeliani in città per un aggiornamento

In collaborazione con alcuni medici catanzaresi

Prima giornata di aggiornamento in Chirurgia Implantologica curata da Biothesys srl in collaborazione con Medigma Biomedical, nota Società di kit implantologici israeliana. Alla presenza dei medici dentisti hanno relazionato il dottor Hagay Yehidi, International Sales di Medicina Biomedical e il dottor Rudberg Omri, Medico dentista israeliano, tra i più famosi chirurghi odontoiatri di Tel Aviv. Nel corso dell'incontro sono state sviluppate diverse tematiche inerenti alle più recenti tecniche di implantologia dentale ed in particolare è stato presentato un innovativo impianto frutto della più moderna ignegneria biomedica. Notevole è stato l'interesse dimostrato dagli specialisti intrattetuti, che hanno potuto interagire con gli illustri ospiti.

(Catanzaro Informa, 22 maggio 2014)


La fronda radical dell'ebraismo italiano scatenata contro un libro

Un bombardamento pesante e censorio sul pamphlet di Meotti che racconta le élite ebraiche anti israeliane. Lo storico Luzzatto parla di "lista di proscrizione" , i torinesi di Ha Keillah lo paragonano alla Difesa della razza, il feltrinelliano Bidussa lo indica come esempio di "inferiorità", per Calimani "è un assalto alla baionetta". E il direttore di Pagine Ebraiche sentenzia: "Non è amico degli ebrei" .

ROMA - L'ebraismo radical italiano non ha accolto bene il libro di Giulio Meotti, giornalista del Foglio, "Ebrei contro Israele" (Salomone Belforte Editore), che racconta tutti gli attacchi allo stato d'Israele portati dall'intellighenzia e dalle élite ebraiche dopo la Guerra dei sei giorni.
   Domenica scorsa, sul Sole 24 Ore, lo storico della Resistenza Sergio Luzzatto ha liquidato il libro come un "libello", uno scritto infamante, turpe, disonorante. Ammette Luzzatto che "non era mai stato dato di leggere su questo tema, almeno in italiano". E lo chiama "elenco di proscrizione": "Ci sono tutti, ma
  
proprio tutti, ebrei israeliani come ebrei della diaspora, romanzieri o saggisti, giornalisti o professori, italiani o stranieri, vivi o morti. Dalla A alla Z, da Arendt a Zertal, passando per Barenboim e Bauman, Cases e Edel man, Fortini e Grossman, Judt e Lerner...". Secondo Luzzatto, il libro di Meotti sarebbe null'altro che "il Dogma". E proprio il giornalista Gad Lerner si chiede, contro il libro di Meotti: "Come si permette, questo signore, di misurare i nostri personali sentimenti nei confronti di Israele e di fornirne per giunta una tortuosa, arbitraria interpretazione psicologica? Possibile che il dissenso politico e culturale scada a un tale livello di insinuazione malevola?".
   Ma è su Pagine Ebraiche e su Moked, i due principali organi di informazione delle Comunità ebraiche italiane, che si sta addensando il numero più nutrito di voci critiche sul libro. Apre le danze Anna Foa, storica della Sapienza, l'autrice di "Diaspora", figlia di Lisa e Vittorio Foa, padre nobile della sinistra italiana, scrittore, politico, sindacalista. Anna Foa stronca preventivamente il libro senza averlo letto, ammette lei stessa.
   Una delle più dure è Anna Segre, direttrice dell'autorevole testata ebraica Ha Keillah, espressione del Gruppo di studi ebraici torinese e di molti altri intellettuali ebrei italiani che fanno riferimento all'area progressista. Anna Segre paragona il libro di Meotti alla rivista di Telesio Interlandi La difesa della razza: "Si parla naturalmente di ebrei. Queste parole non vengono dalla Difesa della razza o da un antisemita di oggi, ma da un amico di Israele indignato contro gli ebrei che secondo lui non sostengono lo stato ebraico con sufficiente calore. A quanto pare al giorno d'oggi non è facile distinguere gli amici dai nemici, e forse non lo è mai stato. Ma perché gli amici degli ebrei e di Israele sentono la necessità di utilizzare il linguaggio e gli stereotipi degli antisemiti?". Dunque il giornalista del Foglio, nel suo pamphlet pro Israele, farebbe in realtà uso di cliché antiebraici.
   Duro l'anglista Dario Calimani, cattedra di Letteratura inglese all'Università Cà Foscari, critico letterario, ma anche ex presidente della comunità ebraica di Venezia e a lungo consigliere dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. "Ora sappiamo finalmente chi sono i veri nemici di Israele: Yehoshua, Grossman, Oz, Barenboim e qualche altro che non vale neppure la pena nominare. Dopo tanti articoli, servizi e veline, ora ce lo dice a chiare lettere un libro illuminante, scritto da un vero amico di Israele. Un amico che, vivendo al sicuro altrove, ci informa che in Israele si vive bene così e che non c'è bisogno di cercare compromessi e migliorare la situazione. C'è dunque una quinta colonna in Israele; il nemico del popolo ebraico si è insinuato dentro lo stato, fra i suoi cittadini ebrei, fra i suoi scrittori, fa parte della sua intellighenzia, allo stesso modo in cui la mafia si è insinuata nelle pieghe della politica italiana".
   Secondo l'anglista Calimani, il libro di Meotti vuole imporre dunque il "pensiero unico", è "una moderna inquisizione" che favorisce "la politica della denuncia e del discredito", va respinto in quanto è un "assalto alla baionetta contro la persona".

- "Uniforme obbedienza"
  Addirittura a una "inferiorità" di Meotti allude lo storico David Bidussa, ricercatore presso la fondazione Giangiacomo Feltrinelli, firma di punta della casa editrice Einaudi e intellettuale livornese trapiantato a Milano: "Nelle dispute c'è sempre una lotta per il riconoscimento, talora di carattere materiale (la lotta per una diversa distribuzione della ricchezza, per esempio) più spesso di carattere simbolico (dove si rivendica più dignità, rispetto, stima, ammirazione). In questo secondo caso la disputa è più aspra nei conflitti interni, quelli che appaiono come 'guerre civili' per la verità. Il desiderio che la muove, come ben aveva intuito il filosofo inglese Thomas Hobbes molto tempo fa, è una motivazione profonda che agisce in tutti noi: essere riconosciuti come superiori. Ma superiori non possono essere tutti e le dispute servono esattamente a sancire chi lo sia e soprattutto, chi sia inferiore". Parole a dir poco eloquenti. Tanto che il direttore di Pagine Ebraiche, Guido Roberto Vitale, firma un importante editoriale di apertura contro il volume di Meotti. Vitale scrive, tra l'altro, che "quelli che vogliono isolare i dissenzienti non possono essere veri amici del mondo ebraico e non hanno capito quello che gli ebrei rappresentano o perché la loro esistenza è così importante". Un giudizio sul giornalista piuttosto netto. E ancora: "Il triste libro fa presagire un mondo agghiacciante, che non consente spazio per un costruttivo dibattito o per la cultura, ma soltanto per uniforme obbedienza". Sui forum ebraici si scatena la discussione. Alla rivista Pagine Ebraiche arrivano intanto strane richieste: "Non si parli del libro".
Qualcuno forse penserà che è stato un errore il solo fatto di nominare un libro come quello di Meotti. La spocchia intellettualistica richiede che certe espressioni di pensiero inconsuete nei salotti ben frequentati debbano essere considerate inesistenti, che non ci si debba abbassare fino al punto di prenderle in considerazione. Se è così, adesso l’errore è stato fatto, e quello che ne è venuto fuori è squalificante sotto molti punti di vista.


(Il Foglio, 22 maggio 2014)


Amos Oz, sei un rozzo ignorante!

di Tal Gilad

Lo scrittore e sceneggiatore (Latma) Tal Gilad, figlio dell'autore dell' "81esimo colpo", risponde con un post pungente allo scrittore Amos Oz, che ha definito i "giovani delle colline" (coloni, N.d.T.) "neonazisti ebrei".

Shalòm Amos Oz,
la parola "nazista" o la parola ritenuta chissà perché più attenuata "neonazista" viene usata troppo spesso come l'arma del Giudizio Universale a qualunque proposito, a quanto pare perché c'è gente come te che ne blatera l'uso liberamente, mostrando di non essere in grado di comprendere appieno l'orrore del nazismo e del suo operato. Si tenta continuamente di introdurre questo termine in un modello atto a farne cogliere la conoscenza o consapevolezza. Ma questo è impossibile, perché il nazista non è semplicemente una persona molto malvagia o un nazionalista o un poliziotto stradale. Il nazista è un'altra cosa, un'altra realtà o essenza.
   Mio padre è sopravvissuto a Auschwitz. Entrambi i suoi genitori e la sua sorellina sono stati annientati dai nazisti e lui è rimasto solo, un giovane di 17 anni, senza nessun altro al mondo, nell'inferno più terrificante che il genere umano abbia mai creato. Lui è sopravvissuto là nonostante tutto e contro tutto. Durante la marcia della morte, quando durante la ritirata i tedeschi fecero marciare in fretta verso occidente in un gelido inverno quelli che erano rimasti in vita, lui riuscì a fuggire insieme con due compagni. In seguito si nascose in un villaggio fino all'arrivo dei russi, si arruolò volontario nell'Armata Rossa e combatté col suo carro armato sul fronte cecoslovacco contro i tedeschi.
   Dell' "81esimo colpo" avrai sentito, sebbene non l'abbia scritto tu. E' la storia di un giovane che viene condannato a 80 colpi di fustigazione nel ghetto di Przemysl perché aveva nascosto dei libri. Sopravvive a questa terribile tortura, durante la quale perde più volte conoscenza; tortura per la cui crudeltà molti persero la vita; ma lui sopravvive e riesce anche a andare a prendere i libri.
   Mio padre è questo giovane, Michael Goldman Gilad. Lui riuscì a superare questo e Auschwitz e tutto. Si abbarbicò alla vita, fu all'inferno e ne uscì fuori e ci ritornò per vendicare i demoni; con una determinazione che tu non puoi comprendere. Dopo la guerra salì in Israele con una nave di Ma'appilìm,1 fu catturato dagli inglesi e rinchiuso nei campi di prigionia a Cipro. Dopo la nascita dello Stato di Israele fu
  
Michael Goldman Gilad
liberato e immigrò in Israele. Quando raccontava la sua esperienza nel ghetto a diverse persone, nessuno gli credeva. Sicché non ne parlò più per anni; diceva che per lui questo era l'81esimo colpo.
   Mio padre mise su famiglia, si arruolò nella polizia, fece carriere e, quando fu catturato Eichmann, fu assegnato all'Ufficio 06 a far parte degli investigatori contro il criminale, che era allora un povero prigioniero spaventato. Durante il processo mio padre stava accanto all'accusatore Gideon Hausner. Mentre in tribunale venivano ascoltate le numerose terribili testimonianze dei crimini nazisti, un giorno si presentò al banco dei testimoni un uomo che, parlando del ghetto di Przemysl, raccontò di un giovane emaciato che aveva subìto ottanta frustate da parte di un ufficiale nazista e nello stupore generale era rimasto in vita e era riuscito a risollevarsi in piedi. Hausner chiese al testimone: "Sei in grado di identificare questo giovane in quest'aula?". Il testimone rispose: "Sì, è l'ufficiale che sta accanto a te".
   Mio padre ha oggi 89 anni. Ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca, a conferenze, a spiegare la Shoàh, a raccogliere dati e documenti sulle comunità ebraiche annientate, sui criminali nazisti e sui giusti delle nazioni; per documentare le conoscenze, la storia, per non dimenticare. Due anni fa ha finito il suo libro "Mi ba-esh u-mi ba-màim",2 il suo memoriale della Shoàh e del séguito. Lo scorso aprile gli è stato chiesto di unirsi al viaggio ai campi di annientamento in Polonia con una delegazione di ufficiali di polizia. Là, con una semplice cerimonia simbolica accanto ai forni crematori di Birkenau, è stato promosso al grado di Vice Questore della Polizia israeliana.
   I nazisti sono stati la cosa più terrificante e satanica che sia mai esistita. I nazisti hanno annientati gli ebrei con metodi tecnici e scientifici e con crudeltà inaudita per anni, affamandoli e umiliandoli con lavori peggiori che nella storia della schiavitù, mandandoli alla morte nelle camere a gas su convogli stipati, nei cui vagoni morivano di sete e fame, bruciandoli, sparandogli, seppellendoli a volte ancora vivi nelle fosse comuni, sei milioni di persone, tra cui un milione e mezzo di bambini, tra cui mia zia, che non ho potuto conoscere, che era una bambina di 11 anni quando è stata assassinata. Non è stata uccisa, non è morta: è stata intenzionalmente assassinata con predeterminazione e con una malvagità inconcepibile, perché ebrea.
   Chi scrive Tag Mehir - Price tag (graffiti di minacce; l'A. si riferisce a episodi recenti di scritte anti arabe riscontrati in israele) non è un nazista; e anche chi sputa qualche maledizione contro gli arabi o pensa che bisogna rimandare nei loro Paesi gli immigrati clandestini in cerca di lavoro non è un nazista; e nemmeno un soldato che a Hebron punta l'arma contro un palestinese che solleva il pugno o un colono che disturba un arabo che raccoglie le olive è un nazista, né neonazista, né giudeonazista, né qualunque altro pregiudizio o deformazione linguistica si voglia usare. Tu, Amos Oz, forse ti ritieni un intellettuale, ma sei un rozzo ignorante, che per tua fortuna non sai di che cosa stai parlando. Peccato che non esista una macchina del tempo per poterti mandare, te e i tuoi compagni dal dito facile sulla tastiera, per un giorno solo a Auschwitz. Sarebbe sufficiente. Un giorno all'inferno. Dopo di che aprirai la tua bocca sempre pronta a esprimere qualunque idiozia utile al premio Nobel e parlerai di nazisti e neonazisti.
   La gente come te ama cantarsela e suonarsela che "non abbiamo imparato niente dalla Shoàh". Ebbene sì, tu sei l'esempio vivente che non abbiamo imparato niente dalla Shoàh e di che cosa è stata in realtà. Anzi, dico di più: tu sei la prova provata di quello che ripeto sempre: anche un intellettuale può dire scemenze.


1 La Alyà "clandestina" contro il divieto di immigrazione imposto dagli inglesi nei confronti degli ebrei.
2 "Chi nel fuoco e chi nell'acqua" in ebraico Ed. Yediòt; espressione tratta dalla preghiera Untanné tòkef,
   che si recita nella parte centrale del digiuno di Kippùr (v. anche Leonard Cohen, Who by fire).

(Arutz 7, 12 maggio 2014 - trad. David Nizza)


La difesa dello STATO

In un incontro esclusivo con Lookout News, l'ambasciatore dello Stato d'Israele, Naor Gilon, analizza senza reticenze tutti i più delicati dossier del Medio Oriente. Dalla Siria all'Iran, dalla Palestina alle "Primavere Arabe".

a cura di Alfredo Mantici e Luciano Tirinnanzi

L'ambasciatore Naor Gilon
- In Medio Oriente, dopo le Primavere Arabe e la crisi siriana e nonostante i movimenti popolari, Israele resta l'unica democrazia in tutto lo scacchiere. Islam e democrazia sono dunque Inconciliabili?
  La questione non è necessariamente relativa all'Islarn, ma certo la situazione che viviamo in Medio Oriente dimostra che questa regione non ancora pronta alla democrazia. Del resto, in Europa ci sono voluti secoli prima di ouenerla. Per una democrazia stabile servono elementi certi, come una forte economia e una popolazione non ridotta alla fame. E ancora, istruzione, stampa libera, diritti forti per le donne. Serve una classe borghese robusta e acculturata. Tutto ciò ancora manca. Quindi, non si tratta di Islam o non Islam, anche perché ci sono esempi di Paesi islamici democratici. Piuttosto la questione è legata a quanto accade in Medio Oriente e dal fatto che, per moltissimi anni, numerosi Paesi hanno vissuto sotto dittature che non hanno permesso loro un adeguato sviluppo né la presenza di partiti, sistemi legali forti o una stampa libera. Penso che, col tempo, se si permetterà a questi elementi di svilupparsi, vedremo fiorire la democrazia anche in Medio Oriente.

- Le Primavere e la guerra civile in Siria sembrano aver depotenziato i peggiori nemici di Israele. Hamas ed Hezbollah in particolare. È così?
  Alcuni nemici di Israele sono direttamente coinvolti in Siria, ma non si può dire che siano diventati più deboli. Per esempio, di Hezbollah potrei dire il contrario e cioè che è diventato più forte. Certamente, concordo che nel breve termine Hezbollah avrebbe maggiori problemi a intraprendere nuovi atti ostili o a creare problemi a Israele. Ma allo stesso tempo stanno crescendo, hanno fatto esperienza e stanno ricevendo nuovi armamenti, solidificandosi come esercito ben più di prima. Le faccio un esempio. Con l'aiuto dell'Iran, Hamas e Hezbollah stanno migliorando la capacità balistica dei loro missili e ottenendo risultati tali che oggi sono in grado di arrivare più lontano e di colpire con più accuratezza di prima. In Libano, Hezbollah ha qualcosa come centomila razzi di diverso tipo, e questo è molto allarmante, soprattutto perché l'esperienza ci dice che loro mirano direttamente alla popolazione civile. Dunque, non sono sicuro che il pericolo sia diminuito.

- Ritiene che, quando le armi taceranno e le tensioni interne saranno ricomposte, Israele avrà maggiori chance di dialogo con i suoi vicini-nemici?
  Per rispondere, dobbiamo tornare al discorso che facevamo prima: dipende da come il Medio Oriente uscirà dalla crisi. Se avrà ottenuto più libertà, ci sarà una grande possibilità per la pace in Medio Oriente. Se il popolo della regione avrà migliori condizioni economiche e più emancipazione, ci sarà meno desiderio di combattere e meno spazio per l'estremismo. Questa è la speranza che dobbiamo coltivare. Ricordiamoci di Anwar Sadat in Egitto, che non era certo un democratico ma era un grande leader che inseguiva e credeva nella pace ed è stato ucciso proprio per questa ragione. Questo dimostra che, alla fine, serve una certa stabilità per raggiungere la pace.

- La stampa israeliana ha parlato di un progressivo riavvicinamento tra Israele e la Turchia dopo le tensloni conseguenti all'incidente della Mavi Marmara del 2010. Ritiene che il dialogo tra Gerusalemme e Ankara stia registrando progressi significativi? In quale ambito?
  Voglio credere che sia così, e che la Turchia stia andando nella direzione giusta, ma dipende. Le cosiddette primavere arabe hanno portato Israele e Turchia ad avvicinarsi, ma questo è avvenuto perché abbiamo gli stessi interessi e siamo entrambi coinvolti. Certamente, spero che potremo metterci alle spalle l'affaire Mavi Marmara, così come spero che la direzione intrapresa dalla Turchia verso un Paese pluralistico e secolare continui. Del resto, due Paesi forti che non hanno origini arabe, potrebbero cooperare benissimo.

- Quale scenario a breve termine teme di più il vostro governo?
  L'Iran è il problema numero uno. Anche perché per lungo tempo è stato una minaccia diretta alla nostra esistenza. Certo, siamo preoccupati per tutto ciò che sta accadendo nel resto del Medio Oriente ma, in questo caso, sappiamo che quello che possiamo fare è limitato e semplicemente cerchiamo di non essere coinvolti. Poi c'è la Palestina, anche se oggi non è più il principale problema per l'intero Medio Oriente, mentre lo sono piuttosto le differenze tra sunniti e sciiti e le relative mancanze di democrazia e di sviluppo economico.

- Le tensioni dialettiche e le minacce reciproche tra Israele e Iran sono diminuite dopo l'insediamento del nuovo governo dl Teheran. Il pericolo nucleare Iraniano va scomparendo?
  Chiaramente, c'è un nuovo volto in Iran. Ahmadinejad era un "cattivo ragazzo", mentre oggi abbiamo persone che in qualche maniera dialogano. Ma fondamentalmente, da quanto abbiamo avuto modo di capire, l'approccio dell'Iran non è affatto cambiato. II problema di Israele è con il regime iraniano, che non è certo cambiato. La sua struttura, così come i Guardiani della Rivolurione, sono gli stessi di prima. La nostra paura è la combinazione di questo regime con le capacità nucleari dell'Iran. Ad esempio, Rafsanjani non era certo una persona estremista, eppure in passato disse che, data la dimensione limitata del nostro Paese, una sola bomba poteva distruggere Israele. Tutto è ancora così.

- Eppure il presidente Rouhani ha assicurato di volere il dialogo...
  
Le persone sono distratte dal fatto che nel nuovo regime c'è una persona piacevole e non così pessima come Ahmadinejad, che era facile da disprezzare. Ma l'obiettivo non è cambiato e il regime insiste nel voler dotarsi della capacità nucleare. L'Iran oggi è sul punto di realizzare ben cinque o sei bombe nucleari. L'accordo con le sei superpotenze non va nella direzione di un'inversione di rotta. Ha semplicemente congelato alcune capacità, ma gli iraniani possono continuare in altra maniera. Questa è la nostra preoccupazione. Noi non abbiamo un problema con l'Iran, ma con il nucleare dell'Iran. Non vogliamo che diventi una potenza nucleare e speriamo che l'accordo finale renda certa l'impossibilità per l'Iran di produrre simili armi e che non possa ricominciare con l'arricchimento dell'uranio. Comunque, questo non è l'unico problema con l'Iran, ne abbiamo altri.

- Quali?
   L'Iran è il più grande sostenitore del terrorismo in Medio Oriente e questo non è cambiato neanche sotto la presidenza Rouhani. Si veda la Siria; dove l'Iran protegge il regime e supporta Hezbollah, che è coinvolta nel conflitto grazie a loro. Inoltre, supportano Hamas e le minoranze sciite nel Golfo, così come armano i ribelli in Yemen. Giusto un mese fa abbiamo fermato una nave piena di armi che andava a Gaza. E poi penso ai diritti civili e umani, se non sbaglio l'Iran è il Paese che compie più esecuzioni di morte al mondo dopo la Cina.

- È ottimista circa gli accordi tra USA e Iran?
  Siamo speranzosi che gli americani e le altre potenze trovino una soluzione. Ma non siamo gli unici ad essere nervosi sul tema. Penso all'Arabia Saudita. I sauditi sono abbastanza grandi e forti per dire quel che pensano. Comunque, l'obiettivo dev'essere chiaro, non permettere che l'Iran raggiunga la capacità nucleare. Spero che quel che sta succedendo in Ucraina non produca effetti collaterali, visto che USA e Russia stavano collaborando in questo e altri settori.

- Possono il Qatar o l'Arabia Saudita essere la soluzione del problemi del Medio Oriente?
  Il Qatar ha molte risorse e soldi ma la sua capacità di influenzare è limitata L'Arabia Saudita è differente, si tratta di un grande Paese e certamente può essere parte della soluzione. Ma il punto è che entrambi sono coinvolti in Siria come in Iran. Alla fine, in Medio Oriente tutto è interconnesso.

- Circa II processo di pace Israelo-palestinese, qual è la vostra opinione sull'accordo Hamas-Fatah?
  Abu Mazen ha formato un'alleanza con un'organizzazione che chiede ai musulmani di combattere e uccidere gli ebrei. Hamas ha lanciato oltre diecimila tra missili e razzi contro il Israele e non ha fermato le azioni terroristiche neanche una sola volta. L'accordo tra Abu Mazen e Hamas è stato firmato nonostante Israele stia compiendo sforzi per far progredire i negoziati con i palestinesi. È la conseguenza diretta del rifiuto dei palestinesi di far progredire i negoziati. Solo il mese scorso Abu Mazen aveva respinto i principi-quadro proposti dagli Stati Uniti, ha poi rifiutato di discutere il riconoscimento di Israele come Stato-Nazione del popolo ebraico e adesso si è alleato con Hamas. Ma la Carta di Hamas (Il "Patto del Movimento di Resistenza Islamico" del 1988, ndr) rifiuta tutti i colloqui di pace con lo Stato di Israele, e sottolinea l'impegno dell'organizzazione terroristica nel distruggere Israele attraverso una guerra santa (jihad, ndr). Quella Carta è un documento apertamente antisemita e anti-occidentale, che esprime la prospettiva islamica radicale di Hamas. Ma soprattutto il punto è che resta ancora valida. La posizione estremista della Carta esprime la totale opposizione a qualsiasi accordo o intesa che riconosca il diritto di Israele a esistere.

- E cosa può dirci dei rapporti tra Israele e Italia e del ruolo di Roma nel Mediterraneo?
  Le relazioni con l'Italia sono eccellenti in tutti i settori. Solo in campo economico, lo scorso anno abbiamo avuto oltre quattro miliardi di dollari in scambi commerciali e abbiamo siglato importanti accordi militari, per oltre due miliardi. Voi siete il nostro secondo o terzo partner in ricerca e sviluppo e le nostre collaborazioni non si limitano a questo. Si veda il turismo. Solo nel 2013 ben il 5% di cittadini israeliani ha visitato l'Italia, è un numero altissimo. Insomma, la cooperazionr è davvero ottima. Circa il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo, il vostro Paese è molto rispettato da tutti e può avere un ruolo importante, anche se oggi è più difficile per la crisi europea. Il problema del vostro Paese è aumentare la competitività e l'innovazione per e con i giovani.

(Geopolitica, 22 maggio 2014)


Cristiani presi a sassate in chiesa vicino a Betlemme da un gruppo di islamici

Sempre di più scappano dalla Terra Santa. Otto persone sono finite all'ospedale dopo che lo scorso 6 maggio sono stati assaliti in Cisgiordania mentre festeggiavano il santo patrono (san Giorgio) del paese di Beit Jala, davanti a Betlemme.

di Leone Grotti

  
Attaccati e presi a sassate da un gruppo violento di islamici in Cisgiordania. È quanto successo ai cristiani di Beit Jala, piccolo paese che si trova di fronte a Betlemme e a soli 10 chilometri da Gerusalemme, i quali lo scorso 6 maggio si erano recati come tutti gli anni di sera nella chiesa ortodossa di San Giorgio per festeggiare il santo patrono.

PRESI A SASSATE - La notizia, riportata nei giorni successivi all'evento dalla scrittrice Lela Gilbert, che stava partecipando alla celebrazione, è stata ripresa solo in questi giorni da alcuni siti francesi. Un gruppo di musulmani è prima arrivato con diverse auto davanti alla chiesa cercando di parcheggiare in una zona riservata e poi ha tentato di entrare in chiesa.
Il cristiano che stava a guardia dell'entrata, dopo aver chiesto agli islamici di andarsene, è stato accoltellato mentre altri sette sono stati feriti da un fitto lancio di pietre che ha anche danneggiato parti della chiesa. La polizia è arrivata sul luogo solo dopo un'ora.

CRISTIANI IN FUGA DA BETLEMME - Si sente raramente parlare di scontri tra cristiani e musulmani nei paesi vicino a Betlemme e in Cisgiordania ma non sono così rari. Nel 1948 a Betlemme l'85 per cento della popolazione era cristiana, oggi appena il 12 per cento. La causa di una tale diminuzione non è solamente l'emigrazione della popolazione dovuta alla situazione politica, a Israele e alla depressione economica. Anche perché la comunità musulmana non diminuisce affatto, anzi cresce.

SOCIETÀ PALESTINESE ISLAMIZZATA - Come riportato da Tempi in un articolo dettagliato, i cristiani locali temono che «tra vent'anni non ci saremo più» a causa dei soprusi subiti dai musulmani con il benestare dell'Autorità palestinese, che non fa niente per fermarli. Tra i soprusi spiccano la "land mafia", un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani, i numerosi casi di stupro e abuso sessuale verso ragazzine cristiane, e la crescente islamizzazione della società palestinese, nella quale spesso i cristiani non vengono assunti da datori di lavoro musulmani e chi porta in pubblico la croce rischia il pestaggio.

(Tempi, 22 maggio 2014)


Maccabi Tel Aviv sconvolto da tweet antisemiti

Vergogna net basket. Dopo la vittoria in Eurolega pioggia di insulti per il club

Il Maccabi Tel Aviv desidera esprimere il proprio choc e la delusione per i commenti discriminatori e lesivi diffusisi in alcuni social media in seguito alla vittoria nell'Eurolega a Milano». Dal calcio al basket, la stupidità non ha confini. Dopo la vittoria contro il Real Madrid, twitter è stato infatti inondato di messaggi in tono antisemita, tanto da provocare la replica del club. Al termine della partita, oltre 18.000 messaggi con contenuto offensivo per gli ebrei sono stati twittati' nella rete sociale, secondo i rappresentanti della comunità ebraica in Catalogna. «Siamo fermi difensori della libertà di espressione, ma c'è bisogno di un limite», ha osservato Jai Anguita, presidente di Bet Shalom, una delle comunità. «Possiamo credere che si tratti di commenti fatti per la rabbia di una sconfitta, quasi per scherzo — ha aggiunto —. Ma i processi storici ci insegnano fino a dove possono arrivare questi scherzi». Sono stati gli stessi rappresentanti delle comunità ebraiche a identificare cinque degli autori dei commenti più antisemiti successivi alla partita vinta dal Maccabi di Tel Aviv e a denunciarli nell'esposto presentato in Procura.

(La Nazione, 22 maggio 2014)


Arte cinematografica palestinese

L'anno scorso è comparso su Youtube un video in cui si vedono dei soldati israeliani che fermano tre bambini, probabilmente perché hanno gettato delle pietro. In internet il video era presentato così:
"Soldati israeliani picchiano tre bambini palestinesi a Hebron, uno è stato ferito a una gamba. I soldati li trascinano per le strade, li picchiano, li arrestano ... e poi li lasciano andare."
Abbiamo ricostruito il video inserendovi delle didascalie esplicative a beneficio di coloro che volessero apprendere qualcosa dall'arte cinematografica palestinese.

(Notizie su Israele, 21 maggio 2014)


Pacifici: "Gli ebrei in Italia sono un'isola felice"

ROMA, 21 mag. - "Gli ebrei in Italia sono un'isola felice in un'Europa in cui gli ebrei emigrano e scappano". L'ha detto il presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici a margine di un incontro con la Stampa Estera.
"Ci troviamo in un paese in cui la sensibilità e l'attenzione è alta, a cominciare dalle forze dell'ordine che sorvegliano le scuole - ha aggiunto - In Italia nessun ebreo è stato mai toccato in quanto ebreo. In Francia c'è stato il caso di Tolosa".
Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha però precisato che "se questo è il paese in cui la specie violenta dell'antisemitismo non si manifesta, c'è però razzismo, pensiamo al trattamento che viene riservato allo stadio ai giocatori di colore".

(Adnkronos, 22 maggio 2014)


Dall'antisemitismo alla crisi economica. Ecco perché gli ebrei francesi emigrano

Sondaggio di "Siona":su un campione di 3833 persone, tre su quattro vogliono lasciare la Francia: "lo Stato francese non ha mezzi efficienti per contrastare la propaganda palestinese e filo-islamica".

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Quasi il 75 per cento degli ebrei francesi vuole emigrare. La rivelazione-shock è frutto del sondaggio condotto dall'organizzazione sefardita francese "Siona", con sede a Parigi, su un campione di 3833 persone appartenenti alla più numerosa comunità ebraica d'Europa.
   Le risposte raccolte descrivono un senso di delusione, irritazione e paura più diffuso di quanto finora si immaginava. Il 74,2 per cento degli intervistati - ovvero 3 su 4 - dice di "pensare concretamente a lasciare la Francia". Le motivazioni sono diverse: per il 29,9 vengono dall'"antisemitismo in crescita", per il 24,4 dalla "necessità di preservare il proprio ebraismo", per il 12,4 "dall'attrazione per altri Paesi" e per il 7,5 dai "motivi economici" legati alla lunga e pesante crisi che affligge l'Europa. Ciò che colpisce è il livello di sfiducia nel futuro della Francia da parte di una delle comunità che, negli ultimi 200 anni, ne è stata protagonista: il 57,5 per cento degli intervistati afferma che "non c'è futuro per gli ebrei in Francia" a fronte di un 30,6 che sostiene il contrario.
   Alla radice di tali opinioni c'è il montante antisemitismo - il 27,6 per cento dice di averlo subito concretamente - e la convinzione, del 93,4 per cento degli intervistati, che "lo Stato francese non ha mezzi efficienti per contrastare la propaganda palestinese e filo-islamica". Se il malessere degli ebrei francesi iniziò ad affiorare con l'assassinio di Ilan Halimi, ucciso nel 2006 a 23 anni dopo essere stato sequestrato e torturato in un sobborgo di Parigi, è stato a seguito dell'attentato a Tolosa, quando un rabbino e tre bambini vennero assassinati nel 2012, che si è innescato il pathos collettivo, portando a centinaia di partenze ogni mese verso gli Stati Uniti e Israele. La decisione del governo francese, sin dai tempi della presidenza di Jacques Chirac, di evitare di classificare come "atti antisemiti" gran parte delle aggressioni agli ebrei per mano di gruppi islamici ha prodotto una sensazione di malessere e insicurezza con cui adesso è Francois Hollande che si trova a fare i conti.

(La Stampa, 21 maggio 2014)


Ss St. Louis, barca di rifugiati ebrei che nel 1939 non arrivò mai in America

Partirono dalla Germania nazista per rifugiarsi negli Stati Uniti. Ma una volta giunti all'Avana, furono rispediti in Europa.

USA - Il 3 maggio 1939 più di 900 ebrei lasciarono la Germania a bordo di un transatlantico di lusso, l' "SS St.Louis". L'obiettivo era quello di raggiungere Cuba e da lì dirigersi verso gli Stati Uniti. Qualcosa però andò storto lungo il cammino. Una volta giunti all"Avana furono rimandati in Europa, dove più di 250 di loro vennero uccisi dai nazisti. La storia è raccontata da Mike Lanchin, in un articolo pubblicato su BBC Mundo.
Come spiega il giornalista, Cuba era un punto di transito per raggiungere gli Stati Uniti e le autorità cubane che si trovavano in Germania offrivano visti per entrare negli USA a 200-300 dollari ciascuno (circa 2.000, 3.000 al cambio di oggi). "Non avevo mai sentito parlare di Cuba e non potevo immaginare cosa sarebbe successo. Ricordo che ero spaventato tutto il tempo", ricorda l'81enne Gerald Granston, che aveva appena 6 anni quando suo padre gli disse che avrebbero dovuto lasciare la Germania per dirigersi con una nave dall'altra parte del mondo.
Durante il viaggio i profughi furono trattati bene. A bordo era possibile andare in piscina, vedere film, danzare e pregare, tutto in aperto contrasto con i divieti che stavano colpendo gli ebrei in Germania. Ma la serenità era destinata a svanire non appena la nave giunse a destinazione. I cubani decisero di respingere la maggior parte dei visti dei passeggeri, probabilmente per paura di essere sommersi da una grande quantità di immigrati in fuga dall'Europa. Il capitano decise di dirigersi allora verso la Florida, ma neanche le autorità statunitensi permisero alla nave di attraccare, sebbene vi fosse il permesso del presidente Franklin Roosevelt in persona.
La nave fu costretta a tornare indietro in Europa, in quello che divenne per tutti gli ebrei a bordo il viaggio della disperazione e non più quello della speranza. Un passeggero si tagliò le vene, gettandosi in mare. Mentre la barca attraversava l'Atlantico, Granston continuava a chiedere al padre se stavano tornando a vedere i suoi nonni. Ma quest'ultimo scosse la testa in silenzio. "Nessuno ha parlato di ciò che sarebbe accaduto in seguito", ricorda Gisela Feldman, un'altra sopravvissuta.
La nave giunse ad Anversa il 17 giugno, dopo un mese di navigazione. La maggior parte dei passeggeri fortunatamente non rientrò nella Germania nazista, perché si rifugiò in Belgio, Francia , Paesi Bassi e Regno Unito. Una sorte diversa spettò invece a 250 passeggeri della nave che non riuscirono a sopravvivere perché finirono direttamente nelle mani dei nazisti. Per questi, il fatto di essere respinti da Cuba senza alcuna pietà fu, di fatto, fatale.

(blitz quotidiano, 21 maggio 2014)


"Gli intolleranti siete voi"

Il collega Giulio Meotti è autore di un libro ("Ebrei contro Israele", Belforte editore) coraggioso e significativo che sta suscitando un vivace dibattito. L'ho letto con grande interesse e ne consiglio a tutti la lettura, anche se a mio avviso la pretesa dell'autore di interpretare il mondo ebraico con una logica che ebraica non è ne compromette il risultato. È una vergogna e una sconfitta per l'ebraismo italiano che sia lo stesso autore a dover difendere da solo il suo libro, mentre tanti altri, nel vicolo cieco del teppismo dei social network e della demenza digitale, non riescono nemmeno a mettere in fila un paio di frasi compiute. Sono per questo molto onorato di pubblicare il testo che mi ha fatto pervenire, così come mi auguro che Meotti possa proseguire con coraggio, competenza e amore per la libertà d'espressione il proprio lavoro. Il fatto che non mi ritrovi necessariamente nelle sue affermazioni, che credo siano in parte infondate, ma in parte invece molto vere, non fa che aumentare l'orgoglio della redazione di averlo ospite e l'augurio che da un confronto sincero fra sensibilità diverse possano nascere, come spesso avviene nel mondo ebraico, nuove consapevolezze e nuove amicizie.
Guido Vitale


Da due settimane il vostro organo di informazione, specchio e voce delle comunità ebraiche italiane, è impegnato in una campagna quotidiana contro il mio nuovo libro "Ebrei contro Israele" (Salomone Belforte Editore).
Pensavo che l'ebraismo fosse contrassegnato dai valori del pluralismo e della libertà, che fosse la religione del libro. Non mi sbagliavo. Siete voi a dimostrarvi indegni di quella tradizione millenaria.
In ordine, e magari ne perdo qualcuno, su Moked e Pagine Ebraiche la professoressa Anna Segre ha paragonato il mio libro alla rivista di Telesio Interlandi "La difesa della razza"; l'anglista Dario Calimani mi chiama "inquisitore"; la storica Anna Foa spiega che "con amici così, gli ebrei non hanno bisogno di nemici"; David Bidussa afferma di sentirsi moralmente "superiore" al mio libro; infine lei, direttore, anziché gestire dibattiti, mette al bando il libro definendolo una "lista nera".
Ho dimenticato di citare il bravo storico Sergio Luzzato, lo stesso che promosse le "Pasque di sangue" di Ariel Toaff, e che domenica sul Sole 24 Ore ha definito il mio libro un "libello", neanche fossero le Bagatelle per un massacro di Céline.
Inviterei questi cosiddetti "intellettuali" ebrei a riflettere sul fallimento delle loro idee, dei loro proclami, delle loro battaglie, e quanto danno abbiano causato queste a Israele e al popolo ebraico. Anche di questo parla il libro, di come generazioni di intellettuali ebrei, italiani, francesi, americani, inglesi, tedeschi, polacchi e persino israeliani abbiano portato attacchi immorali e ipocriti al sionismo e a Israele. Rispondete a questo, anziché bruciarmi in effigie.
Mi sorprende, infatti, che in molti degli interventi su Moked, dove si ammette di non aver letto il libro, il mio nome non venga neppure evocato, quasi a volerlo esorcizzare, a volerlo espuntare dalla lista dei vivi. Mi ricordate Papa Gregorio IX che consegnò il Talmud alle fiamme nel 1239.
Il libro può essere criticato e attaccato, persino ignorato. Ma farne un feticcio da abbattere, trasformarlo nel sintagma del male, significa dimostrare intolleranza ideologica e analfabetismo.
Giulio Meotti

(moked, 19 maggio 2014)

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Di chi è la vergogna?

Self-hating
Le amichevoli parole con cui Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche, si apre qui al dialogo con "il collega Giulio Meotti" non sembrano accordarsi con altre parole che lo stesso direttore aveva usato nella presentazione da lui fatta in inglese qualche giorno fa. In essa, riferendosi evidentemente a Meotti, Vitale diceva tra l'altro che "quelli che vogliono isolare i dissenzienti non possono essere veri amici del mondo ebraico e non hanno capito quello che gli ebrei rappresentano o perché la loro esistenza è così importante". Un giudizio sulla persona piuttosto netto e devastante, mi sembra. E inoltre: "Il triste libro fa presagire un mondo agghiacciante, che non consente spazio per un costruttivo dibattito o per la cultura, ma soltanto per uniforme obbedienza". Dire questo significa fare una stroncatura radicale del libro, non soltanto esprimere "il fatto che non mi ritrovi necessariamente nelle sue affermazioni". Chi rimprovera allora, il direttore di Pagine Ebraiche, quando parla di "vergogna e sconfitta per l'ebraismo italiano", se non include in questo anche se stesso? Anche lui, come gli altri, stronca il libro senza nemmeno fare il nome dell'autore, limitandosi ad indicarlo allusivamente come "giornalista italiano appartenente a circoli cattolici di destra".
In questa introduzione Guido Vitale attribuisce all'autore del libro "la pretesa di interpretare il mondo ebraico con una logica che ebraica non è". Meotti dunque è messo sull'avviso: attenzione, tu non sei ebreo, quindi non puoi capire. Perché parli dunque? Chiedo allora umilmente, come interlocutore anch'io non ebreo, quale sarebbe la logica autenticamente ebraica con cui si dovrebbero trattare temi come quelli affrontati da Meotti? Qualcuno saprebbe spiegarlo con sufficiente chiarezza?
Marcello Cicchese

(Notizie su Israele, 21 maggio 2014)


Nel mondo ebraico vige il pluralismo.
Ma ci sono alcuni che sono più plurali degli altri.

La logica ebraica è pluralistica.
Ma c'è una pluralità che solo alcuni possono capire.




 

Ebrei contro

Terra bruciata attorno al nuovo libro di Meotti. Ecco perché la sinistra ebraica sbaglia.

di Giacomo Kahn

  
Giacomo Kahn
Giulio Meotti - autore del recentissimo pamphlet "Ebrei contro Israele" - non ha bisogno di essere difeso. Il suo libro, per coloro che avranno la voglia di scoprire che il legame affettivo tra ebrei della diaspora e Israele è molto più flebile di quanto si possa pensare (smontato così il pregiudizio che gli ebrei sono più fedeli a Israele che allo stato nel quale vivono), è un pugno nello stomaco perché non ha paura di attaccare i grandi e "intoccabili" pensatori moderni dell'ebraismo internazionale, anche italiano. Intellettuali (scrittori, professori universitari, giornalisti, qualche politico, storici, scienziati), menti eccellenti nei loro campi professionali così attenti alla difesa dei diritti dell'uomo e di coloro che soffrono, ma altrettanto disattenti quando a dover essere difesi sono gli israeliani. Di più, ebrei che hanno scelto di porsi come agenti attivi di quella campagna di delegittimazione dello stato di Israele, offrendo la loro voce, il loro volto e le loro idee, così tanto ascoltate dal mondo non ebraico, per contestare non solo le politiche dei governi israeliani, ma addirittura per scardinare i princìpi giuridici e morali sui quale si è fondato lo stato di Israele. Le ragioni di questo odio di sé (e uso questa espressione perché insegnano i Maestri dell'ebraismo: "Kol Yisrael arevim zeh lazeh", tutti gli ebrei sono responsabili l'uno dell'altro) le spiega fin troppo bene Meotti che porta decine e decine di citazioni a riprova delle sue accuse.
   Quello che mi interessa testimoniare è la reazione della sinistra ebraica italiana, almeno di quella parte che quotidianamente scrive sul giornale telematico prodotto dall'Unione delle comunità: una levata di scudi fortissima, una censura preventiva, un attacco personale a Meotti e non alle sue tesi, in un modus operandi che di sinistra ha veramente poco e di ebraico non ha nulla.
   La stroncatura è stata fatta - come esplicitamente scritto - ancora prima di leggere il libro e Meotti è stato additato prima come un nemico (Anna Foa), poi come essere inferiore (David Bidussa), fino all'epiteto di antisemita, dando spazio alla stroncatura di Sergio Luzzatto sul Sole 24 Ore e tutto ciò senza diritto di replica, senza alcuna possibilità per Meotti di illustrare le sue tesi. Si è giunti addirittura alla stroncatura in forma di autocensura: Meotti e il suo libro non sono stati degni di essere nemmeno nominati nella versione in lingua inglese della newsletter dell'Ucei che ha liquidato il libro come la rappresentazione di un mondo agghiacciante senza spazi culturali e nel quale si vorrebbe imporre il pensiero unico. Una campagna talmente denigratoria da aver costretto Meotti a scrivere alla redazione una breve considerazione, a cui è seguita una imbarazzata giustificazione.
Ancora più imbarazzata, per non dire goffa, è la giustificazione di Anna Foa, che invece di chiedere scusa per lo scivolone - piuttosto grave in una storica - di aver espresso pubblicamente un giudizio su un libro che non aveva letto, si decide a chiamare per nome l’autore del libro rivolgendosi a lui con un “Egregio dottor Menotti” e avvisa solennemente che “farà il possibile” per leggere il testo.
Davvero un po’ poco. E un po’ tardi.


- Reazione emotiva, ribaltamento della realtà
  Questa reazione emotiva contro il libro di Meotti è la dimostrazione di quanto sia problematico il rapporto che lega una parte dell'ebraismo di sinistra con Israele. Una reazione che non guarda alla sostanza della tesi espressa nel libro: i nemici di Israele e del popolo ebraico si alimentano e si rafforzano quando le critiche spietate, i giudizi sbilanciati, le accuse ossessive e ripetitive prive di fondamento, come quella di operare l'apartheid contro i palestinesi, vengono ripetute come un mantra anche dagli stessi ebrei.
Non è detto che Meotti abbia sempre ragione, o quanto meno non è detto che tutti gli intellettuali da lui citati debbano essere messi per forza tra i delegittimatori di Israele. Quello che lascia perplessi è il totale ribaltamento della realtà operato dai suoi critici: il libro di Meotti non vuole imporre nessun pensiero unico, è invece la denuncia pubblica di un mondo nel quale una parte dell'ebraismo progressista pensa che il proprio destino sia autodeterminato, libero e svincolato da quello dello stato di Israele e che si può rimanere liberi intellettuali ebrei nella diaspora anche se Israele dovesse scomparire o venire assorbito in uno stato bi-nazionale.
   Meotti getta in faccia - e capisco che questo possa far male - l'ipocrisia di quelli che all'interno del popolo ebraico si ostinano a non comprendere che Israele è una garanzia di sopravvivenza, un'assicurazione sulla vita dei nostri figli che nonostante Hezbollah, nonostante Hamas, nonostante la minaccia della bomba nucleare degli ayatollah iraniani essi possono sentirsi ebrei liberi nella diaspora, perché sanno che hanno un posto che li difenderà sempre e che li accoglierà. Non è purtroppo un discorso ipotetico: fiumi di ebrei partono dalla Francia, dall'Ungheria, dall'Ucraina, dai Paesi Bassi e dal nord Europa allarmati dal crescente antisemitismo e da un populismo antieuropeistico che alimenta i nazionalismi e guarda alle minoranze, al pluralismo e alle diversità come una minaccia. Un sentimento anti ebraico che cresce in tutto il mondo come dimostrato da un recente sondaggio della Lega anti diffamazione (Adl) svolto in 102 paesi. Senza andare troppo lontano rimanendo in Europa: sono dichiaratamente antisemiti il 45 per cento dei polacchi, il 26 per cento degli svizzeri, il 30 per cento dei russi, il 29 per cento degli spagnoli, il 27 per cento dei tedeschi, il 20 per cento degli italiani, il 37 per cento dei francesi e un sorprendente ;; per cento di greci. Lo stereotipo più comune in tutto il mondo (più diffuso anche in Italia) è quello che per il 41 per cento degli intervistati "gli ebrei non siano affidabili come i cittadini". "E' il pregiudizio più pericoloso - ha spiegato il presidente dell'Adl, Abraham Foxman - da cui derivano tutti gli altri".
   Di questo avrei voluto che la sinistra ebraica italiana discutesse e invece tutti a dare addosso a Meotti.

(Il Foglio, 21 maggio 2014)


Lag Baomer: barbecue fino a notte fonda

MILANO - Sabato sera alle 22:15 centinaia di persone, fra cui studenti israeliani, ebrei milanesi e tifosi del Maccabi Tel Aviv, sono arrivate nei giardini della Scuola Sally Mayer per la tradizionale serata di barbecue.
In un'atmosfera cordiale, la serata è iniziata con la Havdalà, a seguire il conto dell'Omer e una spiegazione di Rav Moshe Lazar sul significato della festa. La serata è durata fino a notte inoltrata, o meglio fino alle prime ore della mattina, grazie all'organizzazione di Rav Tzemach ed Efrat Mizrachi, con l'aiuto degli studenti israeliani e delle ragazze del seminario Bet Chana. Alla fine, la serata si è conclusa con una lotteria che metteva in palio dei pasti da consumare nei ristoranti kasher di Milano, anche se gli ospiti non accennavano a tornare a casa: avrebbero preferito restare ancora.

(Chabad.Italia, 21 maggio 2014)


Accordo Hamas-Fatah: cinque domande che in occidente dovrebbero farsi

Il leader di Hamas, Khaled Meshaal, è riapparso ieri a Doha, in Qatar, dove si è tenuta una commemorazione della cosiddetta "Nakba" palestinese e commentando il recente accordo tra Hamas e la OLP ha lanciato parole di fuoco contro Israele.
Khaled Meshaal prima di tutto ha commentato il recente accordo con la Olp e quindi con Fatah definendolo "un importante passo avanti", un accordo che "gira pagina sulle divisioni tra i palestinesi". Poi è andato direttamente a lanciare parole di fuoco contro Israele dicendo che "l'accordo con la OLP non cambia l'obbiettivo di Hamas che rimane quello di eliminare Israele".
In realtà nelle parole di Khaled Meshaal non c'è alcuna novità, nulla che non si sapesse, tuttavia quelle parole sollevano dei quesiti che la "grande politica internazionale" e l'occidente non può non considerare:
1 - l'accordo tra OLP e Hamas prevede un Governo di Unità Nazionale per circa sei mesi e poi nuove elezioni in tutti i territori palestinesi, quindi Cisgiordania e Gaza. Come verrà gestito il Governo di Unità Nazionale in Cisgiordania? Verrà permesso a personaggi di Hamas di entrare in Cisgiordania? Come verranno distribuite le forze di sicurezza sul territorio della Cisgiordania e, in particolare, quale sarà il ruolo di Hamas nei territori palestinesi sotto il controllo di Israele?....

(Right Reporters, 21 maggio 2014)


Minacce a Pacifici: rinviato a giudizio Maurizio Boccacci di "Militia"

Avevano minacciato il presidente della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici. Ieri il pubblico ministero Luca Tescaroli ha chiesto il rinvio a giudizio di Stefano Schiavulli e Maurizio Bottacci, i due leader del movimento di estrema destra Militia.
I fatti risalgono al 5 marzo scorso. Schiavulli è accusato di essersi rivolto a Pacifici, a conclusione di un'udienza del processo in cui è imputato, pronunciando la frase «ci vediamo presto«. Di più: alla richiesta di quest'ultimo se si trattasse di una minaccia, ha aggiunto: «Lo vedrai, ci vediamo presto, lo vedrai». Tanto da essere richiamato dal presidente della Corte per il suo cornportamento. Il tutto, per il pm Tescaroli, con l'aggravante di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione e di odio religioso.
Boccacci invece è accusato di aver riferito ad una giornalista di «volere attentare alla vita del presidente Pacifici — si legge nel capo di imputazione — e, segnatamente, precisando di essere un malato terminale, affermava che, un mese prima della sua morte avrebbe trovato il modo di farsi precedere dal presidente della comunità ebraica».

(la Repubblica, 21 maggio 2014)


Roma - L'israeliano Tsibi Geva in mostra al Macro

  
ROMA, 21 mag. - Dal 30 maggio al 14 settembre prossimi il Macro - Museo d'Arte Contemporanea Roma presenta "Tsibi Geva: Recent and Early Works", dedicata appunto all'artista isreliano Tsibi Geva.
La mostra al Macro Testaccio, sostenuta dall'Ambasciata d'Israele in Italia - Ufficio Culturale e dalla Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, prende le mosse dalla personale che l'artista ha presentato all'American University Museum di Washington nel 2013, e che andrà al Mönchehaus Museum di Goslar nel 2015, ovvero "Tsibi Geva. Paintings 2011-2013", a cura di Barry Schwabsky.L'esposizione romana, curata dallo stesso Schwabsky e da Giorgia Calò, raccoglie circa trenta dipinti, alcuni di grandi dimensioni, opere degli anni Ottanta nonché appartenenti alla sua ultima produzione, cui si affiancano una grande installazione in ferro e un graffito realizzato site specific per questa occasione.
L'opera di Geva, uno dei più importanti artisti israeliani contemporanei, amalgama motivi e immagini tratti dall'ambiente circostante, israeliano e palestinese: paesaggi, architetture e frammenti urbani. Il lavoro presenta una miscela, una fusione di diverse matrici culturali, etniche e politiche che creano rapporti dialogici e contemporaneamente esprimono, in toni accesi, tensioni e conflitti profondi e cruenti.Epicentro della mostra sono i quadri creati da Geva in questi ultimi anni: turbini selvaggi, in cui vorticano frammenti di membra umane, scene di sesso, elementi vegetali, uccelli e pezzi di oggetti come keffiyah palestinesi e piastrelle. "Escalation selvaggia", così Schwabsky definisce queste opere di fronte alle quali "la testa ci gira, sentiamo la terra tremarci sotto i piedi, il pavimento non è più un terreno stabile a cui affidarsi". Oltre a un'angoscia esistenziale, nei dipinti è insito anche un "attacco al disegno", una "rottura dell'ordine" e il tentativo di sconvolgere le logiche del linguaggio, dello stile e degli elementi fondamentali dell'arte figurativa.

(Adnkronos, 21 maggio 2014)


Israele, video accusa i militari. "Due palestinesi uccisi a freddo"

Le immagini mostrano i ragazzi cadere a terra uno probabilmente colpito alle spalle.

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Un video palestinese accusa i militari israeliani di aver ucciso a sangue freddo due manifestanti ma per il portavoce dell'esercito di Gerusalemme si tratta di «immagini manomesse in malafede». II video è stato girato dalla telecamera privata di un negozio palestinese a Betunia, dove in occasione del Nakba Day vi sono stati gli scontri attorno alla prigione di Ofer durante i quali due manifestanti sono rimasti uccisi. II video mostra entrambi i giovani (il diciassettenne Nadim Nawara e il quindicenne Mohammed Odeh) mentre vengono colpiti, dalle immagini non sembrano portare minacce e uno viene colpito mentre dà le spalle ai soldati. A trovare e distribuire le immagini è stata la ong Difense for Children International Palestine, il cui direttore Rifat Kassis afferma che «documenta omicidi illegali perché nessuno dei ragazzi uccisi poneva una minaccia vitale al momento in cui è stato raggiunto dai proiettili». Da qui la richiesta alle autorità israeliane di «condurre un'indagine imparziale per identificare i responsabili e obbligarli a rispondere dei crimini commessi».
   La stessa ong palestinese ha reso pubblico il referto medico dell'ospedale di Ramallah in cui si attesta che i manifestanti sono stati uccisi da «proiettili veri e non di gomma». Per Hanan Ashrawi, del comitato esecutivo dell'Olp, si tratta di un «crimine contro l'umanità da punire in base alla legge internazionale».
   La reazione delle forze armate israeliane è arrivata con un comunicato del portavoce nel quale si afferma che «il video è stato manomesso in malafede e non riflette in alcuna maniera la violenza e i disordini» con cui i soldati si sono dovuti confrontare giovedi scorso, in occasione della giornata che vede i palestinesi ricordare la «catastrofe» della nascita di Israele nel 1948. Inoltre, aggiunge il portavoce Peter Lerner, «l'indagine iniziale ha portato a smentire l'uso di proiettili veri da parte dei reparti impegnati e dunque resta da appurare come sono morti i due palestinesi». Il procuratore militare ha ordinato un «supplemento di indagine» su quanto avvenuto.

(La Stampa, 21 maggio 2014)


Precedenti di filmati manomessi dai palestinesi dovrebbero in ogni caso esprimere, anche nei titoli, la possibilità del dubbio. Ma è proprio nei titoli che questo non avviene, come nel caso di questo articolo. “Pallywood” è stata definita l’arte di confezionare video ben fatti al fine di accusare Israele. Per chi ha voglia, proponiamo di rivedere un caso da noi riportato nel marzo 2013: “Una recentissima produzione cinematografica palestinese”.


"Fiero di essere ebreo e nero". David Blu, il nuovo simbolo d'Israele

Campione europeo di basket col Maccabi e avanguardia di integrazione. Nato negli Usa da padre afro americano è l'idolo dei figli degli immigrati.
   
di Maurizio Molinari

David Blu
GERUSALEMME - Avendo messo a segno 29 punti in complessivi 33 minuti di gioco nelle ultime due partite David Blu è il giocatore con cui Israele identifica la vittoria del Maccabi Tel Aviv nella Eurolega ed è una star che si proietta ben oltre il campo da basket perché rappresenta l'identità di una nazione in rapida trasformazione.
Nato nel 1980 in California da padre afroamericano e madre ebrea, emigrato in Israele ed orgoglioso delle radici familiari nel riscatto dalla schiavitù, David Bluthenthal - accorciato in Blu - è un campione nel quale si rispecchiano i giovani israeliani come i figli degli immigrati africani che popolano i quartieri più poveri a Sud di Tel Aviv. Perché si dice «orgoglioso di essere nero ed ebreo» con una determinazione pari a quella che dimostra nei tiri da tre punti, come quello che ha cambiato le sorti della semifinale con il Cska di Mosca a pochi attimi dalla fine. A descrivere il fenomeno-Blu è stato il parterre di Piazza Rabin, inondata da un tappeto umano di migliaia di fan composto anche da sudanesi, eritrei ed altri africani arrivati in Israele negli ultimi dieci anni attraversando a piedi il deserto del Sinai in cerca di lavoro o di asilo politico. Le statistiche indicano che a Tel Aviv 1 abitante su 8 non è israeliano, dando vita ad un sottobosco di povertà che alimenta il degrado, ma nell'abbraccio collettivo a David Blu ed agli altri «eroi di Milano» - come li definiscono i quotidiani locali - queste ferite scompaiono, riproponendo l'unicità del Maccabi Tel Aviv, capace di continuare a rappresentare, di generazione in generazione, le trasformazioni nazionali. Se il coach David Blatt è stato il regista di un campionato d'Europa vinto a sorpresa, la maglia numero 13 forte di 2,01 metri d'altezza ha portato la magìa dei canestri da 3 punti: 5 centri su 9 con il Cska di Mosca e 2 su 4 con il Real Madrid, percentuale di realizzazione del 53,8% rivelatasi un'arma strategica contro gli avversari, inclusa l'EA7 Milano che nei playoff era stata punita in questa maniera per ben 9 volte. Quando gli viene chiesto di spiegare da dove viene il «tiro magico», Blu risponde raccontando l'adolescenza a Venice, il college all'University of Southern California, l'essere «ebreo e nero, della California e dell'Arkansas» come anche la grinta con cui reagì alla morte della madre Suzanne, uccisa dal cancro quando lui aveva 14 anni, e l'amore per moglie e quattro figli (la più grande avuta da un precedente matrimonio). Affascinato dalla genealogia, Blu ha scoperto che il cognome originale materno proviene da una famiglia di ebrei-tedeschi proprietari di schiavi nel XIX secolo ma è stato il padre afroamericano Ralph, convertito all'ebraismo, che più lo ha segnato. Fu infatti lui nel 1997 a spingerlo a entrare nel team americano delle XV Maccabiadi che si trasformarono nel trampolino verso il mondo prof. Ed è un precedente che evoca il mito Tad Brody, il cestista del New Jersey, anch'egli debuttante alle Maccabiadi nel 1965, decisivo per far nascere il moderno basket israeliano.

(La Stampa, 20 maggio 2014)


Israele guadagna popolarità nel mondo arabo

di Khaled Abu Toameh

La decisione della Corte Distrettuale di Tel Aviv di condannare a sei anni di reclusione l'ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert ha suscitato nel mondo arabo dichiarazioni di approvazione per gli standard di credibilità, trasparenza e amore della giustizia del Sistema Israele. In seguito al pronunciamento della sentenza di condanna per corruzione, molti arabi hanno manifestato la speranza di vedere le rispettive nazioni di appartenenza trarre spunto dallo stato ebraico, dove nessuno è al di sopra della legge, che sia presidente o capo del governo...

(Il Borghesino, 20 maggio 2014)


Israele invia analisti del Mossad per la ricerca delle studentesse rapite da Boko Haram

GERUSALEMME - Israele ha mandato un team di esperti in Nigeria per aiutare il governo a ritrovare le oltre 200 ragazze rapite oltre un mese fa dagli islamisti di Boko Haram. Il team, ha spiegato una fonte anonima del governo, è composto da uomini del Mossad (Ha-Mossad le-Modi'in ule-Tafkidim Meyuchadim) addestrati ad affrontare i sequestri.
Nella forza inviata in Nigeria non ci sono reparti di assalto, ma consulenti e analisti. Una mossa che ha già fatto l'Italia, dispiegando in Africa operatori dell'Aise (servizio estero) in grado di gestire operazioni così complesse.
Il maxi-sequestro ha scatenato l'indignazione in tutto il mondo. Alle ricerche già partecipano team di specialisti arrivati da Usa, Gran Bretagna e Francia, oltre ad aerei americani, con e senza equipaggio, che da giorni solcano i cieli del Paese per cercare le ragazze.
Israele, che ha accordi nel settore della difesa con numerosi Paesi africani, aveva già inviato consulenti in Kenya lo scorso settembre, quando un gruppo di islamisti assaltò e sequestrò un centro commerciale a Nairobi, facendo una strage.

(AGI, 20 maggio 2014)


Ecco perché i tentacoli dei polpi non si ingarbugliano mai

  
GENOVA - Come fanno i polpi a non incrociare mai i tentacoli? Se lo sono chiesto all'Octopus Research Team (Squadra di ricerca sui polpi) dell'Università ebraica di Gerusalemme, dove Binyamin Hochner ha scoperto che questi animali dispongono di un sistema chimico di auto-riconoscimento che gli permette di attaccarsi a qualunque cosa, tranne appunto alla sua pelle: questa produce una sostanza chimica che agisce da respingente per le ventose dei tentacoli, evitando così che si aggroviglino fra loro.
I tentacoli del polpo, tra l'altro, non sono controllati dal cervello centrale del cefalopode, ma si muovono con una sorta di autonomia e possono continuare a muoversi anche un'ora dopo essere stati recisi. La ricerca è stata pubblicata su "Current Biology": gli arti non si attaccano né ingarbugliano a meno che non siano privi di pelle. Ora l'obiettivo degli scienziati è quello di identificare la composizione della sostanza chimica che blocca le ventose, mentre resta ancora poco chiaro come il polpo riesca a capire la differenza tra il suo corpo e il resto.

(Il Secolo XIX, 20 maggio 2014)


Il successore di Shimon Peres sarà scelto il 10 giugno

Il decimo presidente dello Stato d'Israele sarà scelto dai deputati della Knesset il prossimo dieci giugno. Lo ha annunciato oggi lo speaker del parlamento Yuli Edelstein.
Al momento vi sono sette candidati, due dei quali donne, per la successione a Shimon Peres. Il premio Nobel per la Pace ha ridato autorevolezza all'istituzione della presidenza, dopo che il suo predecessore Moshe Katsav era stato costretto a dimettersi per accuse di molestie sessuali per le quali sta ora scontando sette anni di carcere. Non sarà ora facile trovare un personaggio che abbia la stessa levatura internazionale dell'anziano statista, che in agosto compirà 91 anni.
Al momento sono in corsa due esponenti del Likud del primo ministro Benyamin Netanyahu, il deputato Reuven Rivlin e il ministro per lo Sviluppo Silvan Shalom. Fra gli altri candidati l'ex ministro delle Finanze Meir Sheetrit (del partito Hatnua di Tzipi Livni), l'ex ministro della Difesa laburista Benyamin Ben Eliezer, l'ex speaker della Knesset Dalia Itzik del partito Kadima, l'ex giudice della Corte Suprema Dalia Dorner e il professor Dan Shechtman, premio Nobel per la Chimica. La Itzik ha ricoperto per due volte il ruolo di presidente ad interim quando guidava la Knesset. Al momento solo Rivlin, Ben-Eliezer e Sheetrit hanno raccolto le necessarie firme di almeno 10 deputati per poter depositare la candidatura entro il 27 maggio.

(Adnkronos, 19 maggio 2014)


Gli ebrei milanesi: «Grillo è un pericolo»

di Alberto Giannoni

Una certa inquietudine serpeggiava già nella comunità ebraica di Milano. Le ultime dichiarazioni di Beppe Grillo l'hanno resa ancor più urgente.
Il leader del Movimento 5 Stelle in piazza a Torino ha detto: «Dicono che sono Hitler. Io sono oltre Hitler». Parole che preoccupano, nonostante il tentativo (del comico e dei suoi) di ridimensionarle, o spiegarle, come un paradosso riferito al «Grande Dittatore» di Charlie Chaplin.
Il caso, ovviamente, resta: «Dalla vivisezione del cane di Silvio Berlusconi a Hitler - rifette il presidente della Comunità ebraica, Walker Meghnagi - io credo che dobbiamo arginarlo, fermarlo. Così è nato anche il fascismo». Il rappresentante degli ebrei milanesi ha detto di condividere le parole, ugualmente preoccupate, di un altro importante esponente della comunità ebraica (oltre che del Pd con cui p stato eletto alla Camera) Emanuele Fiano, che ha scritto: «Ma io posso dire che avrei paura fisica di un paese guidato da Beppe Grillo o è vietato?». «Ho paura, paura fisica dell'investimento sulla rabbia che sta facendo Grillo - ha proseguito - come mai prima mi era capitato. Lui sa come noi quanta rabbia cova, anche per colpe nostre. Quella rabbia si può trasformare in cambiamento democratico, con varie opzioni, o in distruzione della Democrazia. Grillo guida la seconda ipotesi». «Uno che dichiara di essere "oltre Hitler" è un pericolo oggettivo per la democrazia» ha detto il responsabile Cultura del Pd milanese e consigliere della comunità, Daniele Nahum.
Una preoccupazione condivisa da Davide Romano, altro esponente in vista della comunità e segretario dell'Associazione Amici di Israele, che già in passato aveva lanciato un allarme su Grillo: «È un pericolo oggettivo per la democrazia, ha rotto gli argini dei valori minimi, e nessuno può più fermarlo». «L'ho ascoltato in uno dei suoi comizi - aveva detto - una battuta ci può stare se fatta con garbo. Quando però diventano troppe o troppo insistite, allora subentra una sensazione di disagio, di amarezza, negli ebrei e non solo». «Grillo sembra non rendersi conto che ha una responsabilità ulteriore se ci sono tante persone che lo seguono».
Giovedì Beppe Grillo sarà a Milano, in piazza Duomo. Dalle 21 il comico salirà sul palco e ci sarà anche un intervento dell'ospite, Dario Fo.

(il Giornale, 20 maggio 2014)


Chissà che a prenderlo un po’ in giro non faccia bene alla salute, sua e nostra: "El grillo è buon cantore"


L'antisemitismo è pure in Cina

Ebrei considerati potenti nella finanza

Anche la Cina è alle prese con l'antisemitismo. Nonostante questo sentimento non sia particolarmente sviluppato nell'ex Celeste impero rispetto ad altri paesi, un recente sondaggio ha evidenziato che il 20% della popolazione concorda con alcuni luoghi comuni riguardanti gli ebrei.
La percentuale si innalza a mano a mano che aumenta l'età: al vertice della scala, il 41% dei cinesi ritiene che gli ebrei siano più fedeli a Israele che alla nazione in cui vivono, mentre un terzo pensa che essi siano troppo potenti negli affari e nella finanza.
Tra i più prudenti, invece, il 15% degli interpellati sostiene che gli ebrei abbiano avuto troppo peso nel governo degli Stati Uniti, e il 18% li ritiene responsabili della maggior parte delle guerre nel mondo.
I pregiudizi non sono certo recenti. Nella città di Kaifeng, che si trova nella parte orientale della Cina, già negli anni 1950 i vertici del partito comunista consideravano gli ebrei dei sovversivi. Eppure i discendenti dei vecchi commercianti ebraici praticavano il loro culto con discrezione.
I pregiudizi sono duri a morire, e spesso i cinesi ripetono acriticamente che gli ebrei sono intelligenti e competenti negli affari, sottintendendo che sono rispettivamente scaltri e dominatori della finanza globale. Ma c'è anche chi è libero da opinioni di comodo e compra il bagel, il tipico pane degli ebrei, per la semplice voglia di assaggiarlo.

(ItaliaOggi, 20 maggio 2014)


Maturità israeliana alla scuola del Merkos

 
E' stato ufficializzato l'accordo tra il Ministero dell'Istruzione Israeliano e Merkos l'Inyonei Chinuch, il ramo educativo del movimento Chabad in Italia che vede il riconoscimento del progetto Bagrut (diploma di maturità ebraica) avviato sperimentalmente nel 2011 dal Liceo Joe Nahmad delle Scuole del Merkos di Milano.
Si è svolto infatti a Gerusalemme lo scorso 7 aprile l'incontro tra il Ministro dell'Educazione Israeliana Rav Shai Piron, la Direttrice Generale del Ministero Michal Cohen ed il direttore del Merkos Italia, Rav Avraham Hazan assieme all'organo direttivo della Scuola. L'intesa riconosce formalmente la possibilità di sostenere gli esami della bagrut presso la sede milanese delle Scuole del Merkos e di conseguire quindi il diploma di maturità israeliana Il Ministro Shai Piron si è detto entusiasta del progetto che "… avvicina a Israele i giovani della diaspora" considerandolo un importante progetto pilota ed ha incoraggiato Merkos a focalizzarsi sull'eccellenza degli studi.
Alla conclusione dell'incontro il Ministro Piron ha invitato le ragazze che otterranno il diploma al termine di quest'anno scolastico ad una colazione presso la sede del Ministero a Gerusalemme per congratularsi personalmente con loro dell'importante risultato ottenuto. Il ciclo di studi della bagrut ha durata di 4 anni e si contraddistingue per la flessibilità e la completezza del percorso educativo che risulta in un progetto di studio personalizzato che apre le porte alle migliori Università in Israele (a cui si potrà accedere direttamente senza dover frequentare l'anno di Mechinà) e nel mondo.
Lo studente può infatti personalizzare il suo iter accademico, anche di anno in anno, per andare incontro alle sue esigenze ed interessi. Punto di forza del percorso di studi del Liceo Joe Nahmad sono in particolare la matematica, per cui Israele si pone in vetta alle classifiche mondiali, e l'inglese. A fine giugno avrà luogo la cerimonia di graduation dei primi studenti del liceo ad ottenere il diploma rilasciato dalloStato di Israele alla presenza delle Autorità Israeliane, milanesi e di illustri ospiti.
Sono aperte le iscrizioni per l'anno accademico 2014-2015.
Per informazioni rivolgersi a highschool@merkos.it.

(Chabad.Italia, 19 maggio 2014)


Il Presidente della Regione Campania incontra il Rabbino Capo Bahbout

La Campania aderisce alla giornata di studio su ricerca e memoria

Il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro ha ricevuto stamattina a palazzo Santa Lucia il rabbino capo di Napoli e dell'Italia Meridionale Shalom Bahbout, accompagnato dal rabbino Walter Di Castro, dal presidente della Comunità Ebraica di Napoli Pierluigi Campagnano, dal membro della Comunità Fabrizio Gallichi e dalla storica Maria Pia Scaltrito. L'incontro si è tenuto a seguito della proposta, che il rabbino capo ha inviato ai presidenti delle regioni del Mezzogiorno Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria e Sicilia, finalizzata ad istituire il 31 ottobre di ogni anno una Giornata di Studio sulla Ricerca e sulla Memoria, in ricordo dell'ultima cacciata delle famiglie italo ebraiche dal Meridione d'Italia, avvenuta nel 1541 con l'espatrio disposto da Carlo V di decine di migliaia di ebrei dai confini del Vicereame spagnolo. L'incontro di oggi è stato il primo avuto dal rabbino su questa tema con un presidente di Regione. Nei prossimi giorni seguiranno gli altri con Puglia, Basilicata, Molise, Calabria e Sicilia. Il presidente Caldoro ha aderito alla richiesta e si è impegnato, anche in raccordo con gli altri presidenti, ad attivare le procedure utili per concretizzare la proposta.

(il Velino, 19 maggio 2014)


Wow! Le emozionanti parole di coach Blatt dopo il trionfo del Maccabi

Dalla citazione di Jobs, all'essenza del gioco: "C'erano squadre con più talento di noi ma siamo stati la squadra più forte. E io umilmente dico che abbiamo meritato di vincere".

di Luca Chiabotti

Il capolavoro di David Blatt, allenatore del Maccabi Tel Aviv, non è stato solo vincere l'Eurolega da sfavorito. Dopo la gara, in un'emozionante conferenza stampa, il tecnico già campione d'Europa con la Russia nel 2007, ha incantato tutti con le sue parole. Eccole.
    «Una delle più grandi citazioni che abbia mai letto nella mia vita è stata quello che ha detto Steve Jobs un attimo prima di morire. Era un grande uomo, un visionario, uno che ha cambiato il mondo. E sapete quale fu l'ultima parola che disse prima di morire? Fu: " Wow". Pensate alla bellezza, alla positività, all'ottimismo che emana questa cosa: un uomo con il suo ultimo respiro dice "wow". Questo significa che ha visto qualcosa che va in avanti, che ci ha dato un'altra speranza . Ci ho pensato su tante, tante volte. Nel basket e nello sport, ogni giorno, non è forse un grande giorno? Ce ne sono di difficili, viviamo delusioni, ostacoli, problemi . E il modo in cui si affrontano queste cose e l'atteggiamento che si prende che molte volte determina se si è in grado di andare avanti , e se si sta procedendo su una strada che può portare al successo. Ma soprattutto, come allenatore, se sei capace di condurre i tuoi uomini a cose più grandi e migliori, a portarli fuori dal buio, quando non vedono una via d'uscita. Questo è un grande, grandissimo giorno per i nostri giocatori, per il nostro club, per i nostri tifosi e penso per il basket in generale. Quella che avete visto era una squadra che sicuramente non era la più talentuosa a livello individuale. Non che non abbiamo talento, ma ne abbiamo mostrato di più in quanto gruppo di individui. Come squadra siamo stati la migliore. Il risultato lo dimostra e il modo in cui lo abbiamo ottenuto lo dimostra. Mi congratulo con il Real Madrid per la stagione di Eurolega che hanno avuto. Non credo che li avremmo battuti in una serie di playoff. Ma la Final Four di Eurolega è un tipo molto particolare di torneo e si ha la possibilità in una singola partita di battere anche squadre che sono sulla carta meglio di te. Lo abbiamo fatto due volte questo fine settimana con la nostra grande vittoria sul Cska, un'altra avversaria di alto livello, e poi ancora in finale. E io umilmente dico che abbiamo meritato di vincere. Sono così felice per i miei ragazzi, orgoglioso per la nostra organizzazione e sono davvero soddisfatto con il messaggio che abbiamo inviato ad allenatori e squadre in tutto il mondo: si può fare di più con meno se lo fai bene. Mi chiedo se il Real fosse contento venerdì quando abbiamo battuto il Cska. Non lo so, ma penso di si, eravamo i più deboli e loro col Barcellona sono sembrati i più forti del mondo. Ha avuto un brutto effetto su di loro, oggi pensavano che fosse più facile batterci, hanno smesso di giocare come sanno fare, ci hanno colpito al fegato, non in faccia. E verso l'ottavo round, dopo averli tenuti sotto pressione tutta la gara, li abbiamo colpiti noi in faccia, e al momento decisivo li abbiamo messi k.o.»
(La Gazzetta dello Sport, 19 maggio 2014)


Intorno alla lingua ebraica: un panorama imprevedibile

Milano - Incontro tra studiosi e recital musicale

di Haim Baharier

Haim Baharier
Ha ragione chi sostiene che la lingua ebraica sia lingua povera. Ha ragione chi sostiene sia invece ricca. Il glossario non è abbondante, perciò ogni parola si fa preziosa. In più la parola è consonantica, il lettore deve vocalizzarla; per farlo è posto dinanzi a una scelta, vocalizzare nel senso di un significato rispetto a un altro. Però non si tratta di un bivio, le direzioni non sono mai del tutto opposte; ognuna reca in sé un po' dell'altra. Sono strade, dunque significati, che spesso si riavvicinano, godono dello stesso paesaggio.
Gli addetti ai lavori parlano di polisemia, di anfibologia. Chiunque si cimenti con la sua lettura, come gli interpreti della lingua, parla invece di panorami sempre imprevedibili, mutevoli, aperti a orizzonti di pensiero inaspettati. Come a dire che la lett(u)ra non è mai alla lett(e)ra. È la lingua stessa che suscita il lettore, che cerca e trova in lui la propria ricchezza al fine di renderla condivisibile. È la lingua che lo responsabilizza. Mi spiego meglio con un esempio.
Leggo le primissime parole della Bibbia, bereshit barà Elo(h)ìm: in principio Elo(h)ìm creò. Poi apro e colmo degli spazi, vocalizzo diversamente la partitura senza cambiarne alcuna nota, e canto: berosh itbara Elo(h)ìm, per mezzo del principio Elo(h)ìm si creò... In questo modo, ho liberato lo spazio per il percorso di conoscenza.
Una breve nota di metastoria. Il Monte Sinai non è, come molti sono indotti a immaginare, il set di un peplum hollywodiano. E il luogo dell'emergenza di una lingua che suscita un codice di Legge per un popolo di schiavi in cammino verso la terra di Canaan, la terra donata. La storia dell'uomo diventa la storia di questo popolo che va verso la terra e nell'andarci, caso unico nella storia degli uomini, riceve la sua Costituzione prima di farsi nazione.
Nel pensiero d'Israèl la santità è separatezza, discernimento. La lingua ebraica, chiamata la lingua di santità, si costituisce a paradigma della santità. Sorge povera dall'indistinto e costringe al discernimento. Quando una parola ha dieci significati, quanto discernimento ci vorrà per ritrovare il significato di quella parola nel suo contesto!
Questa lingua non mastica per noi, non pre-digerisce la comunicazione, ma ci costringe ad affrontarne la sfida. A mio parere, una tale lingua dà dignità all'essere umano.
Di questo e altro parlerò questa sera in Conservatorio. E ascolterò gli altri interventi con lo spirito di chi spera sempre in un punto di vista ricco di significati.
Alle ore 21 L'incontro «Abbiamo una lingua», per la Giornata mondiale della lingua ebraica, organizzato da Associazione Italia Israele di Milano - Federazione sionistica italiana, con patrocinio della comunità ebraica.
Ore 21, Conservatorio G.Verdi, sala Puccini, via Conservatorio 12.

(Corriere della Sera, 19 maggio 2014)


Aziende hi-tech e lotta all'islam. L'asse Bibi-Modi

di Maurizio Molinari

L'esito delle elezioni ha trasformato New Delhi in un partner privilegiato di Israele. II motivo è nel legame, personale e politico, del vincitore Narendra Modi con lo Stato Ebraico. Tutto inizia nel 2002, quando Modi è governatore dello Stato di Gujarat teatro di sanguinose violenze etniche fra indù e musulmani che causano oltre 1200 vittime. Usa e Ue lo incolpano di «eccessiva tolleranza» nei confronti degli odii atavici, chiamando così in causa il nazionalismo indù del suo partito Bjp. La conseguenza immediata per Modi è una drastica diminuzione degli investimenti euroamericani ma una boccata di ossigeno gli arriva da Israele, dove l'allora premier Ariel Sharon compie la scelta opposta. Sebbene assediato dalla Seconda Intifada, Sharon decide di favorire gli investimenti israeliani in Gujarat gettando le basi per una partnership economica bilaterale che, alla fine del 2013, ha visto un'importante azienda israeliana nel settore dei semiconduttori varare una joint venture con svizzeri ed indiani destinata a creare oltre 20 mila posti di lavoro. Si tratta solo dell'ultimo dei progetti «Made in Israel» che hanno contribuito in circa dieci anni a trasformare il Gujarat nel modello di sviluppo economico locale che Modi ha cavalcato nella recente campagna elettorale, indicandolo come un esempio per l'intera India. Benjamin Netanyahu, erede politico di Ariel Sharon, ha mantenuto la strategia di sostegno al Gujarat, portando Modi a diventare uno dei rari leader politici indiani giunto in visita nello Stato Ebraico.
Le posizioni nazionaliste indù di Modi, anzitutto nei confronti del Pakistan ma spesso anche dell'Islam, hanno aggiunto cemento politico alla partnership economica. Da qui la volontà, espressa da Netanyahu nella telefonata di complimenti per la vittoria, di accelerare ora gli aspetti strategici di cooperazione: dall'industria della Difesa alla lotta al terrorismo. Ma non è tutto perché l'attenzione di Modi per «Bibi» è la cartina tornasole anche di un fenomeno più vasto: Cina e India sono protagoniste di una gara non dichiarata per rafforzare i legami con il Medio Oriente al fine di alimentare le rispettive economie e se la maggiore attenzione va alle monarchie del Golfo in realtà anche Israele fa gola per hi-tech, agricoltura, difesa e giacimenti di gas naturale. Ecco perché alcuni giornali nipponici hanno commentato la recente visita a Tokyo di «Bibi» titolando: «Israele guarda all'Oriente».

(La Stampa, 19 maggio 2014)


Oltremare - Rehov HaArbaa
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Rehov HaArbaa è l'indirizzo della Cinematheque di Tel Aviv, e di conseguenza è stato uno dei primi luoghi noti nella mia personale geografia cittadina. La Cinematheque stessa somiglia a una piscina pubblica di un paese ex-Sovietico, e neanche il recente restauro ne ha migliorato di molto l'aspetto. Quella architettura irregolare fatta di linee spezzate e i tubi colorati di rosso chiaro, che forse volevano dare al palazzo un tono da Centre Pompidou parigino, non hanno alcun afflato artistico e si può solo sperare che il palazzo diventi presto modernariato urbano, e recuperi un po' di considerazione almeno come oggetto storico. Per adesso, la cosa migliore della Cinematheque - film a parte - è la piazzetta antistante, fatta apposta per fermarsi dopo il film a discutere, criticare, sminuzzare ogni film in luogo neutro.
HaArbaa significa "i quattro", non un riferimento cinematografico purtroppo (niente Apocalisse per intenderci), piuttosto, come sempre nella storia tridimensionale che sono le città, un ricordo e un tributo. Erano quattro combattenti dell'Haganà, in appoggio a una unità dal Palmach, e sono caduti durante una notte che ha preso il nome di "Leil HaMishtarot", la notte delle stazioni di polizia. Era il febbraio del 1946, la dichiarazione d'indipendenza ben lontana dall'essere scritta, si combatteva una guerriglia fatta spesso di attacchi notturni mirati alle armi e ai veicoli usati dagli Inglesi, per limitare la loro attività e colpirli nell'orgoglio. Nella notte fra il 22 e il 23 febbraio, quattro attacchi paralleli hanno lasciato a piedi altrettante stazioni di volanti della polizia, e sul terreno quattro soldati dei nostri.
Un giorno mi metterò fra la piazzetta della Cinematheque e l'inizio di HaArbaa, a chiedere a tutti i passanti se sanno l'origine del nome della strada: scommetto fin da ora che un 10% azzarderà qualcosa di sensato. Perché HaArbaa oggi è uno dei tanti punti di movida telavivese, ristoranti famosi e locali fusion. E forse non c'è tributo migliore, ai quattro caduti di quella notte: proprio dove li si ricorda, ferve il divertimento e la vita scorre.

(moked, 19 maggio 2014)


Rav Caro, una presenza amica a Gavardo

di Fabio Borghese

Nel corso dell'ultimo incontro dedicato alla lingua e cultura ebraica, presso la sala conferenze del Museo Archeologico di Gavardo sarà presentato un libro-intervista al rabbino Luciano Meir Caro
Si terrà questo martedì, 20 maggio, alle ore 17 l'ultima conferenza del ciclo di lingua e cultura ebraica curato da Rav Luciano Meir Caro, rabbino capo di Ferrara e delle Romagne.
Presso la sala del Museo Archeologico di Gavardo sarà presentato dal sindaco Emanuele Vezzola un elegante opuscolo-intervista a Rav Caro, "Shalom! Una presenza amica a Gavardo", curato da Flavio Casali, già pubblicista e appassionato organizzatore dei corsi di ebraico che da un lustro si svolgono nel centro valsabbiano.
Un'intervista in cui Rav Caro ripercorre le tappe della sua carriera, ricorda il padre Alberto immolato ad Auschwitz, come e perché è diventato rabbino, il legame con Israele, la Fede nell'unico Dio, il valore della preghiera.
Il volume sarà donato gratuitamente a tutti i presenti.
L'ingresso è libero.

(Valle Sabia News, 19 maggio 2014)


Unrwa: un'agenzia per il mantenimento a vita del titolo di “profugo”

  
Prevista per lunedì alle Nazioni Unite una discussione sulla riforma dell'Unrwa, l'agenzia Onu specificamente dedicata ai profughi palestinesi. La discussione verterà, tra l'altro, su un'iniziativa dell'Associazione americana avvocati e giuristi ebrei che invita a modificare la definizione di "profugo palestinese" adottata dall'agenzia. Lo scopo è quello di cambiare radicalmente gli obiettivi delle attività dell'Unrwa: infatti, mentre le altre organizzazioni di soccorso mirano al reinsediamento dei profughi, l'Unrwa è esplicitamente votata a impedire il reinsediamento dei palestinesi. Inoltre, mentre nelle altre organizzazioni il numero di profughi è limitato a coloro che hanno dovuto personalmente abbandonare il proprio paese, l'Unrwa gonfia da decenni i suoi numeri comprendendo tutti i discendenti degli originali profughi arabo-palestinesi della guerra scatenata dai paesi arabi nel '48 contro l'indipendenza d'Israele. "Non c'è motivo perché discendenti di quinta generazione, che magari vivono all'interno della striscia di Gaza o in Cisgiordania, debbano essere considerati profughi dalla Palestina da un'organizzazione sostenuta dai soldi dei paesi occidentali", ha spiegato l'ex parlamentare israeliana Einat Wilf. "L'Unrwa - ha detto Irit Kohn, presidente dell'Associazione avvocati e giuristi ebrei americani - perpetua il problema dei profughi e non ne favorisce alcuna soluzione concreta: se gli ingenti fondi che ha ricevuto fossero stati utilizzati correttamente, la situazione oggi sarebbe completamente diversa".

(israele.net, 19 maggio 2014)


«L'antisemitismo fra i palestinesi è alimentato dall'indottrinamento dell'Autorità Palestinese»

"Chi considera Israele una sciagura da correggere, evidentemente non vuole la pace", ha aggiunto il primo ministro israeliano.

Ciò che sta dietro l'altissimo tasso di antisemitismo rilevato in Cisgiordania e striscia di Gaza è l'istigazione all'odio ufficialmente fomentata dall'Autorità Palestinese. Lo ha affermato domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, all'apertura della riunione settimanale di governo, commentando i risultati diffusi la scorsa settimana di un'indagine globale condotta dalla Anti-Defamation League, secondo i quali l'indice più alto di adulti che nutrono sentimenti antisemiti condividendo un significativo numero di classici stereotipi anti-ebraici (93%) si riscontra appunto nei territori palestinesi....

(israele.net, 19 maggio 2014)


Chabad per i tifosi del Maccabi campioni d'Europa

MILANO - Dal momento che è arrivata la notizia che Milano sarebbe stata invasa dai tifosi del Maccabi Tel Aviv per l'Eurolega, Chabad a Milano si è attivata compatta per offrire tutti i servizi religiosi.
L'Organizzazione Giovanile Lubavitch (OGL) e il Beit Chabad di Milano, in collaborazione con Rav Yankele Gloiberman, il rabbino della squadra, hanno organizzato la cena di Shabbat all'Hotel Melia, con il Kosher catering di Convivium, per seicento tifosi. Sono state preparate delle kippot (copricapi) del colore della squadra e stampati libricini per la preghiera e per i canti durante la cena.
Tutto questo è stato possibile grazie all'insistenza del Maccabi di anticipare la semifinale di venerdì 16 Maggio contro il CSKA Mosca alle ore 18.00 per poter finire la partita entro l'inizio dello Shabbat. In questo modo la partita è terminata a un orario che ha dato abbastanza tempo ai tifosi per raggiungere l'albergo per la cena di Shabbat prima dell'inizio dello stesso. I tifosi osservanti hanno frequentato i diversi templi; un pranzo si è tenuto nella sala del Seminario Beit Chana. Inoltre, vari Shluchim del Rebbe e volontari Chabad a Milano si sono mobilitati per mettere i tefillin ai tifosi prima delle partite, sia la semifinale di venerdì che la finale di domenica. Centinaia di persone hanno risposto in maniera positiva alle richieste di partecipare alla Mitzvà.

(Chabad.Italia, 19 maggio 2014)


Eurolega - Il trionfo del Maccabi

La grande gioia travolge Milano

di Adam Smulevic

Dopo la vittoria sugli spalti, con una tifoseria che ha suscitato ammirazione in tutta Milano per il suo calore e la sua sportività, la vittoria più bella: quella sul campo. Il Maccabi Tel Aviv è campione d'Europa per la sesta volta nella sua storia. Un successo all'ultimo tuffo, nell'extra time contro il Real Madrid, che ha acceso gli entusiasmi dei supporter che hanno affollato gli spalti del Forum di Assago (e che si sono poi riversati nelle strade del centro gremendo tra le altre piazza Duomo) e portato milioni di persone nelle strade di tutta Israele. A partire da Tel Aviv, naturalmente, in cui si è festeggiato fino alle primi luci dell'alba.
Troppo forte, troppo emozionante questo Maccabi, artefice già in semifinale di uno straordinario sorpasso sul Cska Mosca, sconfitto con un solo punto di differenza in una lotta all'ultimo canestro che ha restituito centralità al grande basket continentale anche sulle pagine dei giornali italiani.
Incontenibile la gioia del presidente della Repubblica, Shimon Peres, che ha diffuso attraverso i social network una foto che lo ritrae decisamente soddisfatto davanti a un televisore su cui scorrono le immagini del dopo-partita. "Siete il nostro orgoglio", ha twittato il capo dello Stato.
Un trionfo dal sapor d'Italia. Alla conduzione del Maccabi spicca infatti David Blatt, tecnico tra i più esperti del panorama cestistico e con un passato alla guida di Treviso. È lui il primo artefice di questo nuovo alloro che pochi, alla vigilia della Final Four, erano stati in grado di pronosticare. Ed è lui il protagonista che sceglie di raccontare la Gazzetta dello Sport in una significativa intervista raccolta a fine gara. "Sapete cosa ha detto Steve Jobs un secondo prima di morire? Sapete cosa ha detto un grande uomo, un genio, visionario? Ha detto: "Wow!". Quell'ultima parola - afferma Blatt - è stata meravigliosa. Racchiude una positività incredibile, è un inno alla vita. Ci ha insegnato che bisogna andare avanti. Ho pensato a lungo a quella frase. Anche il basket è così: ci sono sfide, tanti problemi, ma il compito di un allenatore è portare i suoi giocatori fuori dalle tenebre".
Iniziò nel 1977 la gloriosa cavalcata europea della squadra israeliana. Allora fu un piccolo miracolo di una generazione che avrebbe trovato in Tal Brody, carismatico campione venuto dagli Stati Uniti per trascinare il team verso nuovi lidi di gloria, il suo principale punto di riferimento. "Anachnu al hamapa" ("Siamo sulla mappa") avrebbe gridato Brody al termine di una indimenticabile semifinale vinta, anche in questo caso, contro i russi del Cska. Tra corsi e ricorsi storici una certezza: chi ancora oggi tentenna sui confini del Medio Oriente qualche fondamentale l'avrà finalmente imparato.

(moked, 19 maggio 2014)


Maccabi Tel Aviv sul tetto d'Europa. Sconfitto a sorpresa il Real Madrid

Gli israeliani rimontano uno svantaggio di 11 punti, finisce 98-86 dopo i supplementari. Smentiti tutti i pronostici della vigilia.

di Pietro Scibetta


Il Maccabi Tel Aviv non ha solo vinto l'Eurolega. Ha scritto una storia che diventerà leggenda del basket. Una delle più grandi sorprese di sempre. La vittoria di David (Blatt, l'allenatore) contro il Golia rappresentato dal Real Madrid. Una squadra costruita per vincere, anzi, vincitrice designata dopo la splendida stagione che ha giocato fino a qui, e il +38 nella semifinale contro il Barcellona.
Il Maccabi è una squadra di sopravvissuti: da -12 a 2'40 dalla fine di gara-1 nei playoff a Milano a una clamorosa vittoria (sarebbe stato 3-1 nella serie). Dal -15 nel terzo quarto contro il CSKA Mosca in semifinale al sottomano di Tyrese Rice dopo l'incredibile palla persa di Victor Khryapa nel finale della gara di venerdì sera. Fino alle rimonte (più volte a -11) contro il Real Madrid nella finalissima (98-86 dts), beffando una volta di più ogni tipo di previsione. Il Maccabi è anche una squadra di scarti delle big, o di giocatori che non sono mai appartenuti alla prima fascia. David Blu, che si può ormai definire un tiratore mistico, si era già ritirato: è tornato, ha vinto questo titolo europeo, e si ritirerà a fine stagione. Tyrese Rice e Ricky Hickman hanno costruito la loro carriera in squadre di medio livello europeo, con Blatt sono diventati campioni. Il finale di gara (overtime compreso) giocato da Rice in finale è già leggenda (chiude con 26 punti, 10 falli subiti, 9/9 ai liberi, 4 rimbalzi e 2 assist). Un piccolo grande uomo ha demolito la difesa di Pablo Laso e del Real. Nonostante una grande partita dell'MVP stagionale Sergio Rodriguez (21 punti in 21 minuti con 5/10 da tre).
In un Mediolanum Forum meravigliosamente giallo (9.000 i sostenitori del Maccabi, che hanno ricomprato i biglietti da quelli del Barça e molti anche del CSKA), i ragazzi di Blatt sono diventati dei veri e propri eroi. Non si ricorda una sorpresa del genere dal Limoges operaio del 1993, che nella Final Four di Salonicco piegò il Real di Sabonis e la Benetton Treviso di Toni Kukoc. David Blatt ha finalmente vinto anche l'Eurolega. Nella stagione in cui non se lo aspettava nessuno. Nemmeno lui avrebbe osato sognarlo. Ma il suo Maccabi ci ha insegnato una cosa: tutto ciò che sapevamo del basket è sbagliato.

(La Stampa, 18 maggio 2014)


Si rilegga quello che è stato scritto prima dell'incontro da un giornale sportivo ed è riportato dal nostro sito nell'articolo qui sotto. Evidentemente il Maccabi Tel Aviv doveva vincere.
Ultimi secondi della partita al rallentatore


Basket - Ci siamo, poche ore e sarà.... Real Madrid-Maccabi!

Se Blatt confeziona un altro miracolo, siamo all'MVP per le prossime 10 stagioni.

di Raffaele Baldini

David Blatt, allenatore del Maccabi Tel Aviv
 
Pablo Laso, allenatore del Real Madrid
L'eroe d'Israele non ha solo il nome di Tyrese Rice, ma una statua equestre con David Blatt, il timoniere capace di ribaltare ogni pronostico, l'alchimista in grado di imbrigliare l'ambiziosa Milano e la solida CSKA di coach Messina in semifinale. Il compito suo e del Maccabi sara' qualcosa di titanico in vista della finale di oggi, per il quale neanche il supporto di 10.000 invasati potrebbe alleggerire. Quale logica tattica potrebbe avere diritto di cittadinanza quando di fronte si presenta un Real Madrid praticamente perfetto?
Quella piu' banale porterebbe a considerare il fardello di responsabilita' un piccolo elemento a favore dei gialli d'Israele: a loro nessuno chiede piu' nulla, o forse "solo" un nuovo miracolo per far impazzire un popolo; i madrileni "devono" al Re 19 anni di astinenza dal massimo trofeo continentale, con una squadra costruita per vincere a tutti i costi.
Le altre due variabili tattiche a supporto di Tel Aviv sono le consuete: l'incidenza del totem d'ebano Schortsanitis in area pitturata (senza rivali a livello di tonnellaggio) e la capacita' del duo Hickman-Rice di rompere la prima linea difensiva, per scaricare palloni per tiri "piedi per terra" di un letale Blu; a proposito, la truppa di Blatt non puo' prescindere dal vedere incidere altri protagonisti, da Ingles, Ohayon, Smith.
Il Real Madrid? Il quadro cestistico e' la miglior espressione di Diego Velazquez; coach Pablo Laso ha in mano una squadra perfetta, coperta in ogni ruolo, dirompente con il reparto esterni e capace di divertirsi anche nelle situazioni piu' delicate. Ha diversi leader dalla personalita' straripante: Rodriguez, Fernandez, Lull, Reyes, Mirotic, compongono il mostro a cinque teste che puo' solo esser infastidito, nulla piu'. E calcoliamo il fatto che la semifinale l'ha potuta gestire in pantofole nella seconda parte, sfruttando chi ha giocato meno.
Non fare l'errore di annoiarvi di fronte ad un esito che appare scontato, per diversi motivi: il primo e' godere di pallacanestro sublime, qualora le merengues ripetessero la prestazione, il secondo perche' lo scacchista Blatt avra' pensato a qualcosa di astruso per rompere il ritmo degli avversari; si, rompere il ritmo, mettere un granello nel meccanismo fatto di istinto e gioco in velocita', far pensare chi odia farlo con un pallone da basket.
Nuovo miracolo all'ombra della Madonnina o consacrazione dei Galacticos? Devotion....

(Basketnet.it, 18 maggio 2014)


Confronto al Policlinico Gemelli sul "Bambino malformato: errore nella Creazione?"

"Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre". "Allah vi plasma come vuole negli uteri". Dal Salmo 138 della Bibbia e dalla Sura III del Corano prenderà avvio il confronto a più voci sul tema "Il bambino malformato: errore nella Creazione?" che si svolgerà lunedì 19 maggio alle ore 19.00 presso l'Aula Brasca del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli".
Interverranno: Lorella Congiunti (Vice Rettore della Pontificia Università Urbaniana), Riccardo Di Segni (Rabbino Capo di Roma) e Abdellah Redouane (Segretario Generale del Centro Islamico Culturale d'Italia).
Introduce i lavori Massimo Antonelli, Direttore del Centro di Ateneo per la vita dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e del Centro di Rianimazione del Policlinico A. Gemelli. Coordina i lavori Giuseppe Zampino, responsabile dell'Unità Operativa Interdipartimentale Centro malattie rare e difetti congeniti del Policlinico A. Gemelli.
Si tratta del terzo dei dieci appuntamenti in programma per il ciclo di seminari intitolato "Child always first: una finestra sul Bambino per guardare il Mondo", che avviati a marzo proseguiranno fino a dicembre, promossi da Centro di Ateneo per la Vita dell'Università Cattolica, Scuola di Specializzazione in Pediatria e Dipartimento per la tutela della salute della donna, della vita nascente, del bambino e dell'adolescente del Policlinico Gemelli e dal Centro Pastorale.
"Child always first" è una serie di appuntamenti culturali indirizzati anzitutto agli studenti della facoltà di medicina e chirurgia e ai medici in formazione, agli operatori sanitari dell'area pediatrica, ma anche ai malati e aperti anche a tutti i cittadini. Tutti gli argomenti vengono affrontati con vari registri di comunicazione e strumenti di confronto: dal libro al film, dalla riflessione filosofica a quella religiosa e scientifica, con testimonianze dirette di protagonisti, professionisti e operatori sociali del mondo dell'infanzia.

(Comunità Ebraica di Roma, 18 maggio 2014)


Il testo "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre" è tratto dal Salmo 139, secondo la Bibbia ebraica ed evangelica, non dal Salmo 138. E’ secondo la numerazione cattolica che quel Salmo porta il numero 138. Perché si è acconsentito a usare la numerazione cattolica invece di quella ebraica? Le numerazioni nella Bibbia sono importanti: si provi infatti a chiedere a un cattolico qual è il secondo comandamento. M.C.


A Milano l'ebraico entra in Conservatorio tra storia, letteratura, ermeneutica e musica

Domani alle 21.00 il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano ospiterà nella Sala Puccini, in occasione della Giornata mondiale della lingua ebraica, l'incontro "Abbiamo una lingua. Eliezer Ben Yehuda". La serata ripercorrà la nascita della lingua ebraica, il simbolo di un popolo. I relatori saranno Hahn Baharier, studioso d'ebraismo, Sara Ferrari, studiosa di lingua ebraica e Alberto Cavaglion, storico. Il proseguimento musicale della serata sarà affidato alla cantante israeliana Yonit Shaked Golan. Baharier è maestro di ermeneutica biblica e studioso di linguaggio allievo di Emmanuel Lévinas e di Léon Askenazi; Sara Ferrari, docente di Lingua e letteratura ebraica presso l'Università di Milano, parlerà del sogno che Eliezer Ben Yehuda concretizzò con la nascita dell'ebraico moderno; ad Alberto Cavaglion, critico letterario e studioso di storia contemporanea, il compito di approfondire il contesto storico. Modererà l'incontro la professoressa Maria Modena Mayer, già docente a Milano di Filologia e lingue semitiche comparate e Lingua e letteratura ebraica.

(Avvenire, 18 maggio 2014)


"Mitologia israeliana”

15 maggio 1948, nasce Israele e divora la Palestina. Indigestione? Si, certo ... 711.000 nativi palestinesi. Con le buone (poche) e le cattive (moltissime) vengono "espulsi" da 530 villaggi gli sgraditissimi ospiti per far posto ai nuovi padroni con la stella di David (ed armati dagli inglesi e dagli americani) .
So bene che Exodus (il film celebrativo dello sbarco dei "mille" in kippah) questo particolare lo ignorò in quanto insignificante, ma sempre storia certa è. Persino per quelle Nazioni Unite che permisero all'epoca il fattaccio e, nel corso dei decenni successivi, tutte le altre malefatte israeliane. Dalla Cisgiordania a Gaza, passando per Gerusalemme....

(la Padania, 18 maggio 2014)


Conversazioni come quella che riportiamo, fatta da gente comune che non non si ritiene esperta di ebraismo ma è convinta comunque di saperne quanto basta e anche qualcosa di più, fanno capire che i luoghi comuni antisemiti oggi sono stati sostituiti da luoghi comuni anti-israeliani. Gli intellettuali come quelli citati da Giulio Meotti nel suo libro sono però convinti che il problema principale stia nella politica del governo d’Israele. M.C.


Nuota con le pinne ispirate ad un jet la tartaruga biamputata

Dopo vari tentativi di soccorrere Hofesh, un team israeliano ha messo a punto una diversa tecnica che permette all'esemplare di essere autonomo anche se non potrà mai tornare in natura.

  
La tartaruga con le ali
MICHMORET (Israele), 17 maggio 2014 - La tartaruga marina verde Hofesh, biamputata per le ferite causate da reti da pesca, può nuotare di nuovo grazie a pinne artificiali ispirate alle ali di un jet Usa. A disegnare la protesi all'animale, la cui specie è in pericolo, è stato un team israeliano. Il Centro per il recupero delle tartarughe del Paese aveva infatti fallito nel tentare di far nuotare la tartaruga, priva di due pinne su un lato, applicandole una pinna per sommozzatori.
Con questa, però, Hofesh (che in ebraico significa libertà) si scontrava contro gli oggetti in acqua mentre tentava di nuotare. Shlomi Gez, studente di design industriale al College Hadassah di Gerusalemme, ha studiato il caso su internet e si è offerto di aiutare. Ha dapprima progettato una protesi basata sulla pinna dorsale dei pesci, che ha permesso qualche miglioramento ma con cui la tartaruga faticava a risalire in superficie. Si è allora ispirato al design dell'aereo da guerra americano Lockheed Martin/Boeing F-22 Raptor, ideando una nuova protesi con due pinne da applicare al carapace. Applicata giovedì alla 'schiena' di Hofesh, la soluzione ha funzionato, permettendole di nuotare con facilità.
Le difficoltà della tartaruga erano iniziate quando a inizio 2009 era caduta nelle reti da pesca al largo di Israele, nel Mediterraneo. I soccorritori che l'avevano curata erano stati costretti ad amputarle due pinne, togliendole così la facilità di nuotare. Anche se ora può farlo di nuovo, non potrà più tornare alla vita selvatica.
Vive però in una cisterna con un'altra tartaruga della sua specie, che come lui può solo vivere in cattività: Tsurit, femmina priva della vista. Secondo i ricercatori i due animali sono vicini alla maturità sessuale, che raggiungono intorno ai 20-25 anni, quindi la coppia potrebbe procreare, contribuendo così a far aumentare la scarsa popolazione della specie in pericolo. "Abbiamo grandi piani per questo ragazzo", dice Yaniv Levy, direttore del Centro di recupero. "Non torneranno mai in libertà, ma la loro prole sarà invece liberata in mare nel momento in cui le uova si schiuderanno. I loro figli vivranno normalmente in natura", ha aggiunto.

(Quotidiano.net, 17 maggio 2014)


Soros investe nella minerale fatta in casa

La società, che è israeliana, ha inventato i "gasatori". Sono macchine che permettono di farsi da soli, in casa propria, bevande con le bollicine, a partire dall'acqua minerale. ll business piace al magnate George Soros ( foto), che annuncia l'acquisto di azioni della SodaStream per 24,3 milioni di dollari. L'operazione viene comunicata alla Sec (la Consob statunitense ). Soros porta anche al 5,8% la sua quota in Teva — gigante israeliano farmaceutico— che moltiplica i profitti grazie alla vendita negli Usa del farmaco anti-scelerosi Copaxone. Dal prossimo anno l'azienda metterà sul mercato anche il Viagra a basso costo.

(la Repubblica, 18 maggio 2014)


Tassisti nazisti. Espone la svastica come un trofeo nel suo yellow cab: sospeso

Ma Gabriel Diaz non è il solo...

di Pier Luigi Pisa

Dal finestrino di uno dei tanti yellow cab che percorrono in lungo e in largo Manhattan spunta una svastica. È una fascia indossata da un tassista, di quelle che ti aspetti di vedere solo sul set di un film. E invece è la realtà: Gabriel Diaz, 27enne dominicano conducente di taxi di New York, la sfoggia senza remore ogni giorno. "Le persone mi insultano ma io vado avanti" ha detto al New York Post l'uomo. Ma alla fine Diaz si è dovuto fermare, a causa delle ripetute segnalazioni dei suoi passeggeri, indignati, alla Anti-Defamation League, agenzia che combatte l'antisemitismo nel mondo.
La sua licenza è stata sospesa, ma il tassista non ci sta: "Se un mussulmano può guidare con un turbante e un omosessuale può andarsene in giro con una bandiera arcobaleno, perché io non posso indossare una fascia nazista? - afferma - Questa è una violazione del primo emendamento". Diaz non è l'unico tassista al mondo che non ha problemi a esternare la sua simpatia per il nazionalsocialismo. Dall'Asia al Messico, diverse persone si sono imbattute in taxi caratterizzati da svastiche all'esterno o all'interno della vettura. E hanno condiviso la loro esperienza sui principali social network.

(L'Huffington Post, 17 maggio 2014)


Prima o poi diventa odio

Nei confronti del popolo ebraico si possono avere tre tipi di sentimenti: amore, odio o indifferenza.
Nei momenti critici l’indifferenza si trasforma in odio.




 

Odiatori di sé o nemici del popolo?

di Marcello Cicchese

Riportiamo un altro estratto dal libro di Giulio Meotti, "Ebrei contro Israele".
    «L'elenco degli "squilibrati odiatori di ebrei che, se ascoltati, non faranno altro che spianare la strada alla prossima tragedia" (come la coraggiosa giornalista Caroline Glick li definì una volta) è lungo e molto ricco. Studenti e professori dell'Università di Tel Aviv hanno commemorato la Nakba, la "catastrofe", come gli islamisti di Hamas e i militanti palestinesi chiamano la data della creazione dello Stato di Israele nel 1948. Ayal Nir, lettore presso la Ben-Gurion University, ha incitato a "rompere il collo agli attivisti di destra". Il professore israeliano Shlomo Sand ha raggiunto la celebrità in Europa con la pubblicazione di un libro in cui nega l'esistenza del popolo ebraico, mentre il professor Oren Yiftachel ha definito Israele "una bianca [...] pura società coloniale di insediamenti". Larry Derfner, giornalista che ha fatto parte dello staff de The Jerusalem Post, ha dichiarato pubblicamente che l'uccisione di cittadini israeliani è un'arma legittima in mano ai palestinesi per contrastare "l'occupazione". Derfner ha scritto: "I palestinesi che hanno ucciso otto israeliani nei pressi di Eilat la settimana scorsa, per quanto vile fosse l'ideologia, erano giustificati a farlo". All'Università Ben-Gurion, il professor Nevè Gordon ha accusato i soldati dell'IDF di essere "criminali di guerra" e ha promosso il boicottaggio di Israele in un editoriale sul Los Angeles Times.
       L'elenco dei giornalisti israeliani che flirtano con l'Intifada palestinese è già molto lungo. L'ultima iscritta nella lista è l'ebrea Amira Hass di Haaretz. "Il lancio di pietre è un diritto e un dovere di tutti coloro che vivono sotto il dominio straniero", ha scritto la giornalista. Il punto di non ritorno per questi commentatori israeliani è Ze'ev Sternhell, professore dell'Università Ebraica di Gerusalemme e vincitore del Premio Israele che, prima ancora di essere stato scelto per ricevere il riconoscimento, aveva scritto su Haaretz: "Non vi è alcun dubbio circa la legittimità della resistenza armata nei Territori. Se solo i palestinesi avessero avuto un po' di buon senso, avrebbero potuto concentrare la loro lotta contro gli insediamenti, senza ferire donne e bambini, e avrebbero evitato di sparare a Gilo [nella parte sud-est di Gerusalemme, che ogni giorno era sotto tiro], a Nahal Oz [un kibbutz vicino a Gaza] e a Sderot. Dovrebbero anche evitare di fare attentati sul lato occidentale della Linea Verde. In questo modo gli stessi palestinesi avrebbero tracciato lo schema di una soluzione che si realizzerà senza dubbio in futuro". Sternhell, in questo modo, ha approvato il terrorismo palestinese durante la Seconda Intifada contro una parte del popolo ebraico, mentre i propri studenti venivano massacrati sugli autobus e nei ristoranti.
       Non sorprende che allora, come oggi, Amira Hass e Ze'ev Sternhell avessero elogiato "quel meraviglioso ragazzo che ha appena sradicato un uliveto o rotto un parabrezza". Nel 1988 Sternhell scrisse sul quotidiano Davar: "Alla fine dovremo usare la forza contro i coloni di Ofra o Elon Moreh. Solo chi è disposto a prendere d'assalto Ofra con i carri armati sarà in grado di bloccare il pericolo fascista che minaccia di soffocare la democrazia israeliana". Punti di vista come quello di Sternhell portano direttamente alla conclusione che il genocidio è ammissibile per i "combattenti per la libertà" arabi che uccidono gli ebrei, siano essi civili o soldati dell'"esercito di occupazione" israeliano. Moshe Zimmerman dell'Università Ebraica ha detto che considera i bambini ebrei di Hebron, dove riposano i patriarchi del popolo ebraico, come la Hitlerjugend. Dopo che degli arabi avevano sadicamente sfondato i crani di due "bambini coloni" nel deserto della Giudea, la psichiatra israeliana Ruchama Marton ha dichiarato che "i coloni allevano piccoli mostri". Anat Matar dell'Università di Tel Aviv ha apertamente sostenuto il boicottaggio del proprio ateneo, mentre Ilan Pappe, professore dell'Università di Haifa, ha accusato lo Stato ebraico di "pulizia etnica". Ran Hacohen dell'Università di Tel Aviv ha descritto "Israele come il sogno esaudito di Hitler" e l'assassinio del leader di Hamas, Ahmed Yassin, come "una pietra miliare nel processo di imbarbarimento del genere umano". Lev Grinberg dell'Università Ben-Gurion, in un intervento a un'emittente belga, ha accusato il governo israeliano di "terrorismo di Stato".»
L'estratto sopra riportato può far capire che Giulio Meotti non si è lanciato a testa bassa e ad occhi chiusi contro un certo tipo di ebreo a lui particolarmente antipatico, ma, secondo il suo stile, ha riempito pagine di documentati esempi di precise affermazioni fatte da precise persone su precise pagine. Naturalmente ne ha tratto deduzioni che possono essere giudicate pesanti e sgradevoli da qualcuno, ma la correttezza richiederebbe che chi se ne sente colpito, in modo diretto o indiretto, avvertisse anche l'obbligo morale di verificare in quale misura quelle dichiarazioni corrispondono al vero, ed eventualmente si dia la pena di confutarle nel merito. Nei commenti negativi che fino a questo momento sono apparsi, questa correttezza morale invece non si è vista. E' affiorata al suo posto un'evidente, generica permalosità che si presta piuttosto a confermare che non a confutare le tesi di Meotti.
   Particolare irritazione può provocare in alcuni lettori il sentirsi sospettati di nutrire "odio di sé". L'espressione è ben nota e abbastanza usata in ambito ebraico, ma è di carattere psicologico-individuale, cioè descrive quei casi, certamenti esistiti nel passato ed esistenti ancora nel presente, di un individuo che nel suo intimo, per vari motivi, avverte il peso psicologico e sociale di essere nato e cresciuto in un certo ambiente che trova scomodo e arriva al punto di odiarlo, ma poiché non riesce a pensarsi al di fuori di quell'ambiente finisce per odiare se stesso. Presentata così la cosa, gli ebrei possono essere sicuri di non essere i soli a fare questa esperienza. Non molto tempo fa un figlio di cristiani evangelici ha “rallegrato” i genitori dicendogli che lui è convinto di essere nato in una famiglia sbagliata. Perché sbagliata? perché troppo cristiana, e questo è scomodo. Un altro, pur dopo essere stato battezzato da grande, dopo qualche anno ha dichiarato che per lui sarebbe stato meglio se non avesse mai imparato niente di tutto quello che gli era stato insegnato da piccolo. Si potrà dire, ed è vero, che un cristiano può smettere di essere tale se dice di non avere più (o di non avere mai avuta) una fede cristiana, mentre un ebreo che si stufa di essere considerato ebreo non ha la vita così facile, ma in ogni caso sul piano della sensibilità psicologica personale le differenze potrebbero non essere molte.
   Ma è di questo tipo psicologico-sentimentale l'«odio» per Israele che provano gli ebrei citati da Giulio Meotti? Non credo. Non sembra che l'autore del libro voglia dire questo. Se così fosse, Meotti potrebbe doversi misurare con obiezioni come questa: "Come si permette, questo signore, di misurare i nostri personali sentimenti nei confronti di Israele e di fornirne per giunta una tortuosa, arbitraria interpretazione psicologica?" L’obiezione è stata fatta da uno di quelli che si sono sentiti colpiti: Gad Lerner.
   Invece della psicologica-individualistica dizione “odio di sé”, forse sarebbe meglio usare quella più sociologica-politica di “nemico del popolo”. E’ una dizione che suona male, lo so: fa venire in mente i regimi comunisti con vari tipi di volto: da quello quasi umano a quello ferocemente disumano. E forse potrebbe essere usata proprio dai detrattori stessi di Meotti, che preferendo sommari giudizi spregiativi a precise analisi contestuali, sarebbero contenti di poterlo accusare sbrigativamente di “stalinismo culturale”.
   Ma togliendo di mezzo, perché insesistente, il pericolo di purghe, spedizioni in Siberia e misfatti simili, persone che corrispondono ai dati forniti da Meotti potrebbero davvero essere definite come “nemici del popolo”. Del popolo ebraico, naturalmente, perché facendo male a Israele in questo periodo storico, fanno male al popolo ebraico. E quindi anche a se stessi, ma questo non ha niente a che fare con la psicologia: non è un fatto che sia in rapporto con la psiche del singolo, ma con la realtà storica e politica di un popolo. Se questo sia vero o no, si può, discutere; ma di questo allora si discuta, non di altro.

(Notizie su Israele, 17 maggio 2014)


Cristiani, ebrei e musulmani insieme per la salute dei bambini

di Grazia Musumeci

Uniti nel nome della salute. Andare oltre i limiti che sembrano esistere tra le culture per agire tutti insieme nel nome del benessere dei bambini. Nell'Italia multiculturale, l'iniziativa del policlinico "Gemelli" che si svolgerà lunedì 19 maggio alle ore 19.00 presso l'Aula Brasca, ha un significato molto importante. Interverranno Lorella Congiunti a rappresentanza della Pontificia Università Urbaniana, Riccardo Di Segni (Rabbino Capo di Roma) e Abdellah Redouane (Segretario Generale del Centro Islamico Culturale d'Italia).
L'iniziativa, che si svolge all'interno del progetto "Child always first: una finestra sul Bambino per guardare il Mondo", si inserisce nella serie di eventi che ha avuto inizio in marzo per concludersi soltanto a dicembre e indirizzata, come dice il titolo, proprio a mettere al centro le esigenze dei bambini che "vengono prima di tutto". La salute dei più piccoli deve rendere partecipi tutti, ed è importante che questo dialogo coinvolga le religioni perché sono sempre più i piccoli stranieri che arrivano nel nostro Paese soli e orfani e la loro cura viene affidata alle comunità religiose a cui appartengono. E' utile anche superare certi pregiudizi che, ad esempio, impedirebbero ai fedeli di altre religioni di curarsi in un ospedale cattolico e viceversa, o altri che credono che alcune pratiche mediche siano contrarie alle leggi di Dio. Capirsi, a livello umano, per sentirsi bene insieme in una società che accolga tutti. "Child always first" si rivolge anche agli studenti di medicina e chirurgia e ai medici in formazione, agli operatori sanitari, ai pediatri, ma naturalmente anche ai malati e ai semplici cittadini che vogliono tutelare il bene delle future generazioni nel comune interesse. Per raggiungere lo scopo si farà ricorso a libri, film, incontri, riflessioni, testimonianze.

(Benessere, 17 maggio 2014)


Basket - Eurolega, Cska Mosca-Maccabi Tel Aviv 67-68

Con una strepitosa rimonta gli isrealiani di Blatt battono 68-67 i russi del coach italiano.

di Luca Chiabotti

Milano è magica per Tel Aviv. Viktor Khryapa perde una palla a 5" dalla fine, e il Maccabi ripete al Forum la vittoria clamorosa di gara-1 contro Milano, batte il favorito Cska 68-67 dopo essere stato sotto anche di 15 punti al 29' e si qualifica per la finale di Eurolega di domenica. Sono i soliti, Rice (13 punti), Hickman e Tyus, con la partecipazione delle triple di Blu, a cambiare improvvisamente la partita e realizzare una rimonta che appariva impossibile facendo impazzire le migliaia di tifosi del Maccabi.



ENTUSIASMO — Il Forum ha il vestito di gala delle occasioni importanti, un fiume giallo inonda la metropolitana spargendosi poi per Assago sommergendo senza alcuna tensione i supporter delle altre squadre. Sono le Final Four, il momento più bello del basket in Europa. Blatt deve centellinare Big Sofo Schortsanitis, che parte in panchina: la risposta sono 10 punti di Kaun nel primo quarto. Il Cska parte 14-6 e a quel punto il Maccabi deve buttare in campo il suo totem: tre minuti dopo è 14 pari. La squadra di Messina non segna mai da tre, ma riesce a restare davanti: è un segnale importante. Perché anche quando nel secondo quarto, Blu segna la prima tripla dell'intera partita (dopo 9 ferri consecutivi) e i tiratori del Maccabi si sciolgono, il Cska riesce comunque a mantenere il vantaggio con Khryapa e Teodosic. E quando Big Sofo, utilizzato 9' nel primo tempo, commette il terzo fallo, i russi toccano il +8 con una superiorità costruita sui falli subiti e 13 liberi a 4 e le palle recuperate. La difesa (e la stazza fisica) del Cska comincia a stritolare gli avversari a inizio ripresa. In area non ci si va più, nemmeno con Big Sofo che viene radoppiato, da fuori qualche tripla non basta: Mosca va a +11 (33-44), subisce solo qualche tap-in aereo, ma il piccolo Hines si infila dappertutto a rimbalzo offensivo e neppure Schortsanitis, che è enorme ma piccolo rispetto a Krstic, riesce a fare la differenza.

RIMONTONA — Il Cska controlla la gara con un Weems capace di creare per i compagni anche se non fa mai canestro ma il +15 (40-55) viene limato in 39" prima dell'ultimo intervallo da Rice e Hickman; cose già viste al Forum contro Milano... Il 7-0 Maccabi riaccende la moltitudine gialla, diventa un 11-2 con due voli di Tyus (51-57), adesso la gara è bellissima. Messina usa due play per cercare di opporsi alla coppia Rice-Hickman, trova canestri importanti da Khryapa e Teodosic ma ormai gli avversari sono a contatto e Rice segna il -3 a 2'13" dalla fine dopo un infortunio a Jackson. Krstic pesca da un pallone rotolante sotto canestro l'ossigeno del +5 per il Cska ma Tyus è implacabile a rimbalzo offensivo. Weems si trova in lunetta dopo una gara da 1/11 al tiro, segna solo un libero così il professor Smith, a 42" dalla fine, segna il 63-65 Ma è solo l'antipasto: dopo un canestro coraggioso di Weems, Blu è ancora libero oltre la linea da tre per la tripla del -1 a 13" dalla fine. Il Cska è in difficoltà, ma non si aspetta certo di perdere la palla col suo giocatore più esperto. Succede, come in finale due anni fa con canestro a 7/10 dalla fine dell'Olympiacos, adesso è Rice dopo il recupero di Blu a volare e a segnare a 6" dalla fine il canestro del successo. Sull'ultima azione, Weems sbaglia l'11 tiro della sua gara, su 13 tentativi. E i tifosi del Maccabi scendono in campo.

Cska:Kaun 14, Teodosic 12, Khryapa 9.
Maccabi: Blu 15, Rice 13, Hickman, Tyus 10.

(La Gazzetta dello Sport, 16 maggio 2014)


Si riguardi al rallentatore la scena incredibile che ha deciso la partita. Mancano 5 secondi alla fine, il Cska è in vantaggio di un punto ed è in fase di attacco. Khryaba riceve una palla facilissima che potrebbe giocare per aumentare il vantaggio, ma mentre nessuno lo disturba si fa sfuggire di mano la palla come un bambino. L'israeliano Blu se ne impossessa subito e la passa a Rice che scartando tutti la mette in canestro. Con i 2 punti ottenuti il Maccabi passa in vantaggio. Resta un'ultima azione. Shortsanitis fa un ultimo lancio che se andasse in canestro riporterebbe in vantaggio la squadra russa. Ma la palla va fuori e la partita finisce. Evidentemente il Maccabi Tel Aviv doveva vincere.


Incontro a Padova con l’archeologo Dan Bahat

Martedì 27 maggio 2014, alle ore 18:30
presso la Sala degli Anziani di Palazzo Moroni - g.c. dal Comune di Padova
L'archeologo Dan Bahat parlerà sul tema

Gesù e il Tempio

Archeologo, esperto in Storia Medievale, tra il 1958 e il 1998 il prof. Dan Bahat ha partecipato a numerosi scavi in tutta Israele ed è stato il Direttore degli scavi del tunnel sotto il Muro del Pianto (Kotel Tunnel).
Tra il 1963 e il 1990 ha lavorato al Dipartimento delle Antichità del Ministero dell'Istruzione e della Cultura dello Stato di Israele, dove il suo ultimo incarico è stato di Archeologo del Distretto di Gerusalemme.
Ha pubblicato numerosi scritti e saggi. Dal 2003, è professore associato alla Facoltà di Teologia, University of St. Michael College, University of Toronto, Canada, dove insegna per un semestre l'anno.
Locandina

(Associazione Italia-Israele Padova, maggio 2014)


«Per le strade d'Israele, inseguendo Dan Bahat»


In arrivo il film "Ana Arabia"

di Amos Gitai

Esce il 22 maggio a Roma, dal 29 e' in tutta Italia

Ana Arabia di Amos Gitai, presentato alla 70esima Mostra internazionale del cinema di Venezia e vincitore del Green Drop Award 2013, uscira' al cinema a maggio. Dal 22 del mese per una settimana sara' in programmazione al Nuovo Cinema Aquila di Roma dove il 23 maggio Amos Gitai sara' presente alla proiezione delle 20.30 per salutare il pubblico romano. Dal 29 maggio il film uscira' su tutto il territorio nazionale. Il film arriva nelle sale italiane poco dopo la grande retrospettiva su Gitai che la Cinematheque Francaise gli ha dedicato a Parigi (26 febbraio - 6 aprile). "Ana Arabia" sara' distribuito da Boudu distribuzione che ha deciso di scommettere sul film acquistandolo per il territorio nazionale. Filmato in un unico piano sequenza di 81 minuti, "Ana Arabia" e' un momento nella vita di una piccola comunita' di reietti, ebrei e arabi, che vivono insieme in una enclave dimenticata al "confine" tra Jaffa e Bat Yam in Israele. Un giorno, Yael, una giovane giornalista decide di visitare il luogo; in quelle baracche fatiscenti tra i frutteti carichi di limoni, circondate da gigantesche abitazioni popolari, scopre una serie di personaggi distanti dai eliche' con i quali viene descritta la regione. Yael ha la sensazione di aver scoperto una miniera di umanita'. Non pensa piu' al suo lavoro. Le facce e le parole di Youssef e Miriam, Sarah e Walid, e dei loro vicini e amici la introducono alla vita, ai sogni e alle speranze, agli amori ai desideri e alle illusioni. La loro relazione con il tempo e' diversa da quella della citta' che li circonda. In quel luogo provvisorio e fragile, c'e' la possibilita' di coesistere, di vivere insieme.
Una metafora universale.
"Ana Arabia" e' riconosciuto Film D'Essai ed inserito nel progetto Schermi di Qualita' 2014. Il film uscira' in versione originale sottotitolata in italiano. Dopo Roma, arrivera' a: Torino, Bologna, Genova, Firenze, Napoli, Udine, Pordenone, Trieste, Palermo, Catania, Cagliari, Pescara, Ferrara, Fermo, Pisa, Lucca, Carpi, Paterno'.

(Shalom 7, maggio 2014)


Una kasherut made in Italy

di Ada Treves

Sono i Consiglieri dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Jacqueline Fellus (alla guida della Commissione Culto e componente di Giunta) e Giorgio Yehuda Giavarini (presidente della Comunità ebraica di Parma) a illustrare, su Agrisole di questa settimana, le caratteristiche del Progetto Kasherut su cui stanno lavorando le istituzioni dell'ebraismo italiano. La prestigiosa testata giornalistica del gruppo Sole 24 ore, punto di riferimento del comparto agroalimentare italiano, ha partecipato alla conferenza organizzata dal giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche a Cibus Parma, la grande manifestazione fieristica internazionale che richiama nel centro emiliano operatori da tutto il mondo.
Il progetto sul marchio unico nazionale di certificazione della Kasherut vede l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il ministero per lo Sviluppo economico collaborare per lo sviluppo e il riconoscimento della certificazione nazionale, pensando sia a una maggiore diffusione dei prodotti kasher in Italia che alla promozione del marchio kosher nazionale italiano sul mercato estero, anche grazie a una collaborazione col noto marchio americano Star-K.
Jacqueline Fellus ha spiegato a Parma come "nelle aziende italiane sta crescendo la consapevolezza della strategicità di questo progetto e dei benefici che potrebbero derivarne". Giorgio Yehuda Giavarini descrive invece una realtà dove "i piccoli numeri non consentono lo sviluppo di un mercato di prodotti kosher".
;Infine Patrizia Giarratana, del ministero dello Sviluppo economico, ha riferito che obiettivo del Mise non è solo la promozione e l'internazionalizzazione degli scambi, ma viene data attenzione anche alla possibilità di "favorire una maggiore integrazione e conoscenza, che avrebbe nel cibo un formidabile catalizzatore".
All'incontro che Pagine Ebraiche ha realizzato in collaborazione con Fiere Parma hanno partecipato anche la foodblogger Benedetta Guetta e la scrittrice Roberta Anau.

(moked, 16 maggio 2014)



Mostra e tavola rotonda sulla Shoah all'Università di Macerata

In occasione del 50o anniversario dell'istituzione della Facoltà di Lettere e Filosofia, oggi Dipartimento di Studi Umanistici, avvenuta il 13 ottobre 1964, da lunedì 19 fino al 30 maggio l'Università di Macerata ospita la mostra fotografico-documentaria "Chi salva una vita salva il mondo intero. La Shoah, Israele e i Giusti fra le Nazioni" realizzata dall'Ambasciata d'Israele in Italia a cura del professor Paolo Coen dell'Università della Calabria.
L'esposizione, che sarà visitabile liberamente tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, al Dipartimento di Giurisprudenza, si compone di quattro sezioni. La prima è dedicata alla Shoah, ovvero allo sterminio degli Ebrei d'Europa; la seconda alla costituzione dello Stato d'Israele; la terza all'istituto dei Giusti fra le Nazioni; l'ultima a tre figure di Giusti, Raoul Wallenberg, Madre Maria Antoniazzi e Lorenzo Perrone.
In concomitanza, lunedì alle 17.30 nell'Aula Verde del Polo Pantaleoni si svolgerà la tavola rotonda "La Shoah nel cinema e nell'arte": dialogo, coordinato dalla professoressa Clara Ferranti, con Paolo Coen, lo storico dell'arte Lorenzo Canova, il giornalista di Pagine Ebraiche Adam Smulevich e il critico cinematografico Claudio Gaetani,
L'inaugurazione ufficiale della mostra si svolgerà il giorno successivo, martedì 20 maggio, alle ore 10 in Aula Magna. Saranno anche presentati i primi tre volumi curati da Paolo Coen della collana dedicata al tema e alla memoria della Shoah dall'Università della Calabria, per i tipi di Rubettino. Intervengono, oltre all'autore, Adam Smulevich, Simone Misiani, Stefania Monteverde e Natascia Mattucci.

(Vivere Macerata, 17 maggio 2014)


Riconoscimento dello Yad Vashem alla memoria di Lidia Piron e Cesare Ordan

Consegnato da Sara Ghilad dell'ambasciata israeliana nel paese veneto. I coniugi salvarono una famiglia di ebrei durante la Seconda guerra mondiale

di Vanna Pescatori

 
Agnese Ordan e Maura Montanari alla premiazione
CAMPOLOGO MAGGIORE - La storia dei Giusti fra le Nazioni attraversa il Nord Italia, da Cuneo a Campologo Maggiore, in provincia di Venezia dove ieri (giovedì 15 maggio) Sara Ghilad dell'Ambasciata israeliana ha consegnato il riconoscimento dello Yad Vashem, il Museo della Shoah, alla memoria dei coniugi Linda Piron e Cesare Ordan che salvarono, durante le leggi razziali, i genitori e la sorella di Michele Montanari, da oltre trent'anni appartenente alla piccola comunità ebraica di Cuneo.
La cerimonia, nella Sala del consiglio del Municipio della cittadina veneta, ha riunito le famiglie dei salvatori e dei salvati che si sono strette, insieme a tante persone, far cui studenti delle Superiori di Piove di Sacco e dell'istituto comprensivo di Campologo Maggiore, alle due uniche testimoni, ancora viventi, di quei terribili giorni: Agnese Ordan, 78 anni, figlia della coppia, a cui è stato consegnato il riconoscimento alla memoria dei genitori, e Maura Montanari, che visse i primi mesi della vita nascosta nella casa insieme alla madre Carola Goldstein e al padre Bruno.
Sara Ghilad, che l'anno scorso aveva portato la medaglia di Giusto fra le Nazioni a Dea Venturini Segre, a Cuneo, insignita del riconoscimento (con la madre e la zia alla memoria), ha fatto da trait d'union tra quanti, nel momento in cui pietà, umanità, giustizia erano dimenticati, hanno rischiato la vita per gli altri.
Il sindaco Alessandro Campalto e altri intervenuti, fra cui il figlio di Maura Montanari, Nathan Israel, hanno posto l'accento sulla straordinaria generosità dei coniugi Ordan. Linda e Cesare accolsero una famiglia di perfetti estranei, totali sconosciuti, ebrei in fuga da Venezia, braccati dai nazifascisti, mentre tanti che ben li conoscevano «voltarono la testa dall'altra parte». I coniugi Ordan non si chiesero chi fossero, ma per un anno e mezzo, dalla fine del 1943 al 25 aprile 1945, li accudirono, li consolarono, condivisero con loro la piccola abitazione e il poco cibo.
Linda e Cesare avevano quattro figli, ma neppure il terribile pensiero di mettere a repentaglio le loro vite li fece rinunciare. Agnese, con voce rotta dall'emozione, ha ricordato quando, seduta sui gradini della casa, faceva da «sentinella» per segnalare l'arrivo dei tedeschi. Ha raccontato che, quando accadeva, pur di farli allontanare in fretta, la madre Linda metteva in tavola quanto di più prezioso aveva nella magra dispensa.
Maura, che all'epoca aveva meno di un anno e che dei fatti ha ascoltato tante volte i racconti, ha testimoniato l'eterna gratitudine per la famiglia Ordan con la quale da allora, per quasi settant'anni, i Montanari hanno condiviso tutte le tappe di una vita ricevuta in dono: nascite, matrimoni, funerali. Le note dell'orchestra giovanile della cittadina, in cui suonano tre nipoti dei salvatori, hanno accompagnato la cerimonia, nel segno del ricordo e della speranza.

(La Stampa, 16 maggio 2014)


Yossi Vardi al WNF: "Il segreto delle startup di Israele sono le nostre mamme"

Yossi Vardi, venture capitalist, spiega come si crea una start up nation. Ecco i consigli dell'imprenditore israeliano al Wired Next Fest

La differenza la fanno le mamme. Con spiazzante humour è questo il concetto che Yossi Vardi consegna al pubblico del Red Dome. L'imprenditore israeliano è stato il protagonista dell'intervista del pomeriggio di Marco Formento, Senior Vice President Digital di Condè Nast, al Wired Next Fest.
"In Israele ci sono 600 mila start up su 8 milioni di persone - ha spiegato -. Da noi tutte le mamme vogliono che loro figlio ne apra una. Quando il bimbo ha sette anni gli dicono che dovrà vincere il Nobel. Questo fattore culturale è stato fondamentale nel nostro sviluppo".
Vardi ha oltre 40 anni di carriera alle spalle come entrepreneur: è il padre dell'impresa tecnologica in Israele. Nella sua vita ha creato oltre 70 nuove aziende "e qualcuna negli anni è già morta". Fu lui a pensare Icq, tra i primi programmi di instant messaging al mondo.
"Certo, siamo ai massimi livelli di hi-tech, l'industria bellica ha avuto un ruolo in questo. Ma alla base dei nostri buoni risultati come paese c'è la volontà di fare, di dimostrare chi siamo, di metterci alla prova".
Vardi regala un paio di consigli a chi volesse iniziare una nuova attività. "Durante la sua esistenza ciascuno di noi incontra migliaia di persone: li conosci, li perdi, a volte li ritrovi - dice -. Gli asset sociali sono molto più importanti di quelli finanziari. Io dò un compito ai miei ragazzi: fare un documento excel e tenere traccia di tutta la gente che si incontra. È noioso, ma utile. Quando ne avremo bisogno potremo scegliere tra un gran numero di contatti quello che è utile".
Vardi, 72 anni, non ha alcuna intenzione di andare in pensione: il meglio deve ancora venire.
"Dopo venti anni di internet sento qualcuno pronunciare la parola fine. Pensano che non sia più il caso di investire - dice, e sorride -. Io penso invece che siamo solo all'inizio e nei prossimi cinque anni tutto sarà di nuovo cambiato. Oggi la tecnologia costa poco, così come produrre è diventato conveniente. L'innovazione, poi, è diventata democratica. Quindici anni fa senza l'appoggio di un governo o di una grande azienda non andavi da nessuna parte. Ora basta un'idea, non serve più nemmeno un budget iniziale".
La conclusione del venture capitalist è ancora sulle mamme. Su quelle italiane che "se il figlio non finisce la cena dicono 'ti uccido'" e su quelle israeliane che invece minacciano di uccidersi loro. "Ma essere una madre ebrea non c'entra né con il genere né con l'etnia: è uno stato della mente".

(Wired, 16 maggio 2014)


Bennett: "Oslo è fallita, annettiamo il 60% della Cisgiordania"

Il leader dell'ala destra del governo israeliano propone di estendere la sovranità all'"Area C" della West Bank, dove si trovano tutti gli insediamenti ebraici e vivono 70 mila palestinesi a cui sarà offerta la cittadinanza. "Venti anni di negoziati sono falliti, bisogna superare lo status quo".

di Maurizio Molinari

Naftali Bennett
"Visto che i negoziati con i palestinesi sono falliti, bisogna seguire un'altra strada". E' Naftali Bennett, ministro dell'Economia e leader di Bait Ha-Yehudì, a prendere l'iniziativa preannunciando che "nei prossimi giorni" incontrerà il premier Benjamin Netanyahu per illustrargli il piano per "l'estensione della legge israeliana all'area C della Cisgiordania" ovvero il 60 per cento dei suoi territori. La tesi che Bennett espose in un'intervista a "La Stampa" in marzo è che "le aree dove si trovano gli insediamenti vanno poste sotto sovranità israeliana offrendo ai 70 mila palestinesi residenti la nostra cittadinanza". In questa maniera "Gerusalemme e il cuore di Israele saranno protetti" e gli oltre 250 mila residenti ebrei degli insediamenti si troveranno sul territorio nazionale.
Il "piano Bennett" ha anche una seconda parte: prevede lo smantellamento di tutti i posti di blocco israeliani fra le aree A (a totale controllo palestinese) e B (a controllo militare israeliano e civile palestinese) assieme a ingenti investimenti israeliani per lo sviluppo di infrastrutture palestinesi. Si tratta di una proposta in evidente contrasto con gli accordi di Oslo del 1993 per la nascita di uno Stato di Palestina in Cisgiordania e Gaza ma per Bennett "dopo 20 anni di trattative e fallimenti è venuto il momento per andare oltre lo status quo".
Il ministro dell'Economia afferma di aver discusso la sua proposta "con un considerevole numero di ministri" riscuotendo favori ed approvazioni. Ciò significa che si appresta a mettere Netanyahu davanti al bivio se farla propria oppure affrontare una fronda alla destra della coalizione. La mossa di Bennett mette anzitutto in difficoltà Tzipi Livni, il ministro della Giustizia e volto di spicco di "Kadima" che ha partecipato al negoziato con i palestinesi guidato da John Kerry. Da qui la decisione di Livni di partire per Londra al fine di consultarsi con il Segretario di Stato americano. La recente decisione del presidente palestinese, Abu Mazen, di siglare un accordo di unità nazionale con Hamas - che controlla la Striscia di Gaza - consente a Bennett di aver facile gioco nel raccogliere consensi dentro la coalizione e nell'opinione pubblica. Anche se lui precisa: "Che Abu Mazen e Hamas facciano o meno il governo assieme non cambia molto, il dato che conta è il fallimento delle trattative condotte dal 1993, servono nuove strade".
Per Bennett il primo passo verso l'estensione della sovranità all'area C dovrebbe includere gli insediamenti più strategici: Gush Etzion, Ma'ale Adumim, Bet El-Ofra, Ariel e gli altri a ridosso dell'aeroporto Ben-Gurion.

(La Stampa, 16 maggio 2014)


Fatah minaccia gli israeliani su Facebok: "Andatevene, questa terra è tutta Palestina"

Ancora una volta, alla vigilia della "Nakba", il movimento di Abu Mazen propugna la cancellazione di Israele dalla carta geografica.

Cartello della Commissione mobilitazione e organizzazione di Fatah, dalla pagina principale di Fatah su Facebook, 13 maggio 2014
In una delle sue pagine ufficiali su Facebook, il movimento Fatah, che fa capo al presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), ha pubblicato martedì scorso un avvertimento rivolto agli israeliani: una sorta di cartello stradale su cui campeggiano un fucile mitragliatore e una mappa della "Palestina" che comprende sia le aree dell'Autorità Palestinese che tutto lo stato di Israele, accompagnati dalla scritta in arabo, ebraico e inglese: "Avvertimento. Questa è terra dello stato palestinese e l'occupazione deve lasciarla immediatamente".
A livello internazionale, Abu Mazen afferma continuamente la disponibilità dei palestinesi per una soluzione "a due stati" e per la creazione di uno stato palestinese sulle linee pre-'67. Ma tali affermazioni non trovano riscontro in questo manifesto, né in molti altri proclami e messaggi rivolti al popolo palestinese..

(israele.net, 16 maggio 2014)


"Un membro del Comitato Centrale di Fatah, Tawfik Tirawi, ha dichiarato con forza che "la soluzione a due stati non esiste" e che "si deve tornare all'opzione di una Palestina dal fiume Giordano al mare Mediterraneo." Consigliamo vivamente la lettura intera di questo articolo affinché si capisca che la soluzione dei "due stati per due popoli" non esiste e non è mai veramente esistita nella mente dei dirigenti palestinesi. M.C.


Prima Guerra Mondiale peccato originale del Medio Oriente

di Lorenzo Cremonesi

Il centenario della Grande Guerra ci costringerà a rivedere le vicende contemporanee alla luce degli scoinvolgimenti tanto profondi e radicali di quel periodo. Il Medio Oriente fu uno degli scenari più stravolti. E' mia profonda convinzione che in questa regione le conseguenze degli accadimenti della Prima Guerra Mondiale siano state più importanti e durature che non quelle della Seconda. I confini imposti artificialemente dalle potenze coloniali, il sostegno tedesco ai movimenti islamici radicali in chiave anti-britannica e anti-francese, il collasso dell'Impero Ottomano e l'incapacità di trovare entità governative altrettanto stabili, le prime realizzazioni importanti del movimento sionista in Palestina: sono tutte conseguenze dirette della guerra cento anni fa. Prendiamo il caso di Israele. Si usa dire che lo Stato di Israele nacque dopo gli orrori dell'Olocausto e largamente in conseguenza di questo. Ma alla prova dei fatti non è vero. Il movimento sionista era nato alla fine dell'Ottocento, le prime immigrazioni sioniste in Palestina sono a cavallo del 1880 e 1910. La dichiarazione Balfour nel 1917 lo aiuta con un'importante legittimazione internazionale. La fine della presenza turca e l'instaurazione del Mandato Britannico dopo la Grande Guerra favoriscono la crescita delle colonie agricole e delle città ebraiche in Palestina. Tel Aviv nasce nel 1909, ma è negli anni Venti, con le immigrazioni di ebrei polacchi, ungheresi e tedeschi, che diventa un consistente nucleo urbano. Nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la realtà sionista è cosa fatta e compiuta.
   Pubblico qui di seguito il pezzo uscita sul Corriere che affronta questi temi e presenta le "Primavere Arabe" come una delle tante conseguenze dei problemi irrisolti sin dai tempi della Grande Guerra.
Medio Oriente e Prima Guerra Mondiale: se ne parla poco, o comunque in toni minori. In genere tendiamo a raccontare il conflitto come una "guerra civile europea", insanguinata dai massacri nelle trincee al cuore del continente. Dimenticando però che quella stessa guerra condusse non solo alla fine dell'Impero Ottomano, ma soprattutto resta all'origine della destabilizzazione cronica che da un secolo scuote gli ex Paesi coloniali sulla sponda meridionale del Mediterraneo, dal Marocco alla Mezza Luna Fertile. Tanto che il caos violento delle cosiddette "Primavere Arabe", esplose nel 2011 e tutt'ora al centro delle tensioni regionali, viene letto anche come l'ennesimo tentativo da parte delle popolazioni locali di cambiare e rimodellare i confini "artificiali" concordati segretamente nel 1916 tra Francia e Inghilterra (i cosiddetti patti Sykes-Picot), ancora prima che le truppe del generale Allenby raggiungessero Gerusalemme nel novembre 1917.
   Se è vero che in Europa la Grande Guerra terminò solo nel 1945, allora in Medio Oriente la si sta ancora combattendo e in questo momento in modo più cruento che mai. Lo scenario più apocalittico è quello siriano, oltre 150.000 morti in tre anni, quasi 9 milioni di profughi, il Paese in ginocchio sotto il tallone della repressione della dittatura alawita e spaventato dagli eccessi anarcoidi dei fondamentalisti sunniti. Questa era stata per oltre quattro secoli una provincia ottomana, comprendente anche Palestina e Transgiordania. Se paragonata ai tumulti del Novecento, l'era del dominio del Sultano da Costantinopoli appare tutto sommato pacifica. Alla fine dell'Ottocento Mark Twain nel suo scanzonato "Innocenti all'Estero" descrive una Gerusalemme "quieta, trasandata e sonnolenta sino alla noia". La sua indignazione nasce dopo aver rilevato la sporcizia dei Luoghi Santi e le beghe da pollaio tra le diverse denominazioni cristiane. Nulla a che vedere però con le tensioni politiche che seguiranno le prime sommosse arabe anti-sioniste scaturite dalla Dichiarazione Balfour del 1917, in cui Londra prometteva di fare della Palestina un "focolare ebraico".
   Alla base di tutto questo sta quella "linea nella sabbia", così come recita il titolo di un importante libro dell'inglese James Barr pubblicato di recente, tracciata brutalmente con il righello dagli ufficiali coloniali di Londra e Parigi. La logica era molto semplice. La regione veniva divisa in due, senza tener conto affatto delle realtà locali, ignorando tradizioni religiose, etniche, divisioni tribali antiche millenni. Il confine partiva sopra San Giovani d'Acri, nella Galilea settentrionale e nel Libano meridionale, tracciava la frontiera che tutt'oggi divide la Giordania dalla Siria e quella tra l'Iraq e la Turchia contemporanei. A sud est stava la zona di influenza britannica, a nord quella francese. Poco importava che in mezzo si trovasse l'unità etnico-territoriale del popolo curdo, ancora meno che i cristiani dei monti del Libano fossero amalgamati ai drusi, con i quali si massacravano da anni. E poco importava soprattutto che venissero così tradite le promesse di indipendenza nazionale fatte dagli inglesi agli arabi per garantire la loro fedeltà contro turchi e tedeschi. Dallo sgambetto nacquero quelli che un altro noto storico britannico, David Fromkin, nel suo "Una Pace Senza Pace, la Nascita del Medio Oriente Moderno", chiama gli "Stati figli di Francia e Inghilterra: Libano, Siria, Giordania, Iraq, Israele e Palestina". Un tradimento che pesa tutt'oggi nei modi di pensare e nei pregiudizi delle piazze arabe nei confronti degli occidentali, una volta specie contro gli inglesi e adesso gli americani. Scriverà Lawrence d'Arabia nell'introduzione al suo classico "I Sette Pilastri della Saggezza": "Era evidente, sin dall'inizio, che, se avessimo vinto la guerra, le nostre promesse sarebbero state carta straccia". E' una condanna impietosa la sua contro le ingiustizie commesse nei confronti degli arabi da parte delle potenze vittoriose della Grande Guerra. "Se fossi stato un consigliere onesto, avrei detto agli arabi di tornare a casa e non arrischiare la vita per una simile prospettiva", aggiunge auto-critico, giustificandosi solo con la sua speranza di allora per cui una travolgente vittoria della Rivolta Araba contro l'esercito ottomano avrebbe potuto indurre le Grandi Potenze vittoriose a rivedere il proprio atteggiamento.
   Ma così non fu. Di conseguenza la versione tradizionale dell'antisionismo arabo, che sia di matrice laica come quello di Nasser o dell'Organizzazione per la Liberazione Nazionale della Palestina, oppure islamico-fondamentalista come quello di Hamas e dei Fratelli Musulmani, resta fortemente impregnata dal "peccato originale" derivato dalla Prima Guerra Mondiale. Come del resto non è difficile trovare tra le milizie estremiste sunnite che oggi stanno cavalcando il progetto del "nuovo califfato", abolendo il confine tra Siria centro-meridionale e Iraq occidentale contro il governo sciita di Nuri al Maliki a Bagdad e la dittatura alawita di Bashar al Assad a Damasco, il desiderio di ricostruire un Medio Oriente rinato dalle ceneri dei confini coloniali.

(Corriere della Sera, 16 maggio 2014)

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Le innumerevoli volte in cui qualcuno scopre l’acqua calda

Parlando di problemi mediorientali, tra cui in particolare la vexata quaestio arabo-israeliana, ogni tanto qualcuno sembra accorgersi, come facendo una scoperta, che la radice del problema sta nella Prima Guerra Mondiale. Ma questo non era noto già da molto tempo? Sì, ma i commentari dell’attualità in genere sembrano ignorarlo, e se decidono di rifarsi in qualche modo a un passato storico, di solito non arrivano più in là della Risoluzione 181 delle Nazioni Unite, con la quale allo Stato ebraico fu sottratta illegalmente una fetta non trascurabile del territorio che già gli apparteneva de jure .
Nell’articolo di Cremonesi si parla della Prima Guerra Mondiale come di un “peccato originale del Medio Oriente”. Se davvero così fosse, allora, per espiare degnamente questa originaria colpa, la comunità internazionale dovrebbe decretare lo scioglimento di tutte le attuali nazioni mediorientali e restituire tutto a Erdogan con tante scuse.
Un’affermazione simile è presente da tempo in un articolo di questo sito, ma poiché la gente legge poco e scorda molto di quel poco che legge, riportiamo un estratto di quell’articolo, scusandoci in anticipo della non desiderata, ma purtroppo necessaria autocitazione. M.C.


Il sistema dei Mandati escogitato dalle potenze alleate vincitrici della Grande Guerra è certamente espressione di un residuo atteggiamento colonialistico delle nazioni occidentali, ma ha dato luogo, comunque, a un'elaborazione del diritto internazionale che arriva fino ai nostri giorni.
    Se ci si rifiuta di considerare come fonte di diritto internazionale le decisioni prese dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale perché frutto di un'illegale occupazione del territorio turco, allora bisognerebbe anche dire che nazioni come Siria, Libano, Iraq, Giordania, Arabia Saudita non hanno diritto di esistenza e decidersi a ridare tutto a Erdogan con tante scuse.
    In caso contrario bisogna dire che il Mandato per la Palestina ha la stessa, se non superiore, validità legale degli atti costitutivi delle altre nazioni mediorientali. Tra tutti i popoli che sono nati in conseguenza della disintegrazione dell'Impero islamico, quello che più di tutti, o forse l'unico, a cui sarebbe stato naturale applicare l'articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni, cioè "il principio che il benessere e lo sviluppo di tali popoli è un compito sacro della civiltà", era il popolo ebraico. Esso aveva:
  1. una collettiva identità religiosa costituita da un comune richiamo, mantenutosi vivo nei secoli, a ben precisi scritti, tradizioni e costumi ebraici;
  2. una collettiva identità storica annualmente ricordata nelle feste ebraiche e ravvivata nell'impegno unitario assunto nella Conferenza di Basilea del 1897;
  3. una connessione storica con un zona ben definita dell'ex territorio turco, i cui confini non dovevano essere inventati secondo il capriccio dei vincitori, ma esistevano già delineati in documenti esistenti da secoli in antichi testi sacri che le stesse nazioni vincitrici consideravano autorevoli.
E qui bisogna dire che avvenne uno dei primi miracoli che hanno punteggiato la storia del sionismo. Si direbbe che le Potenze Alleate vincitrici, nonostante tutti i loro calcoli politici, e pensando di perseguire i propri interessi nazionali, siano state spinte dagli eventi a riconoscere gli elementi identitari presenti nel popolo ebraico. Il testo del Mandato per la Palestina, come elaborato nella Risoluzione di Sanremo del 1920, e successivamente approvato all'unanimità dal Consiglio della Società delle Nazioni nella riunione del 1922, è l'espressione chiara di questo riconoscimento, e, insieme all'Articolo 22 del Patto delle Nazioni, costituisce la fondamentale base giuridica della legittimità internazionale dello Stato d'Israele.
Riportiamo alcuni commi del Preambolo del Mandato per la Palestina (p. 56):
    ... le principali Potenze Alleate si sono accordate, al fine di dare effetto alle disposizioni dell'Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni, per affidare a un Mandatario, scelto dalle dette Potenze, l'amministrazione del territorio della Palestina che precedentemente appartenne all'Impero turco entro i confini che potranno essere da loro determinati.
Si noti che il Mandante non è costituito dalla Società delle Nazioni, ma dalle Potenze Alleate che, avendo costituito un Patto registrato da detta Società, si accingono ora a dare effetto a uno dei suoi articoli. Sono infatti le principali Potenze Alleate quelle che prendono le decisioni.
In un Mandato, gli elementi fissi sono due: il Mandante, cioè le Potenze Alleate, e il Supervisore, cioè il Consiglio della Società delle Nazioni. Gli elementi variabili sono invece: il Mandatario e il Beneficiario. Nel caso del Mandato per la Palestina il Mandatario era la Gran Bretagna e il Beneficiario era il popolo ebraico. Il Preambolo continua così:
    ... le principali Potenze Alleate si sono anche accordate che il Mandatario debba essere responsabile per dare effetto alla dichiarazione originalmente fatta il 2 Novembre 1917 dal Governo di Sua Maestà Britannica e adottata dalle dette potenze, in favore della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebraico...
Dopo aver chiaramente indicato Mandatario e Beneficiario, il Preambolo indica i motivi di questa scelta:
... con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebraico con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese...
Queste parole sono di un'importanza capitale: per nessun'altra nazione nata in Medio Oriente dopo la Grande Guerra si potrebbero dire le stesse cose. Le Potenze Alleate riconoscono una connessione storica esistente da secoli tra un popolo e una terra: questo significa che la connessione precede i fatti recentemente avvenuti e non è determinata ma soltanto riconosciuta dalle nazioni. Non si dice all'ebreo Weizmann: "Se ti comporti bene e resti nostro amico ti concediamo di diventare Re di una nazione che costituiremo su quella terra per quelli che stanno lì", come più o meno hanno fatto con i fratelli arabi Hussein, ma riconoscono che esistono già le basi per ricostituire la loro nazione in quel paese. La nazione ebraica in Palestina quindi non è stata inventata dalle Potenze Alleate vincitrici, ma riconosciuta come appartenente storicamente al popolo ebraico sulla terra che in quel momento era chiamata Palestina.

(Notizie su Israele, "Israele: erede sfruttato, raggirato e bastonato")


In Sudan una cristiana condannata a morte per apostasia

Una donna di 27 anni in Sudan e' stata condannata a morte per impiccagione da un tribunale perché accusata di apostasia: era figlia di genitori misti (padre musulmano, madre cristiana). Tanto per gradire, il giudice la ha anche condannata a essere frustrata per cento volte. Molte ambasciate e ong di Paesi occidentali hanno protestato in Sudan affinché la donna fosse rilasciata, ma il rigido codice della sharia impedisce che la figlia di un musulmano possa essere cristiana. Del resto la colpa più grave per Mariam era stata di sposare un uomo cristiano, che le e' costato l'accusa di adulterio.

(l'Occidentale, 16 maggio 2014)


Al Conservatorio di Milano la Giornata Mondiale della Lingua Ebraica

Una serata che ripercorre la nascita della lingua ebraica, il simbolo di un popolo. I relatori d’eccezione sono Haim Baharier, studioso d’ebraismo, Sara Ferrari, studiosa di lingua ebraica e Alberto Cavaglion, storico.

Haim Baharier
Sara Ferrari
Alberto Cavaglion
Maria Modena Mayer
Lunedì 19 maggio, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano si terrà la serata dedicata alla Giornata mondiale della lingua Ebraica.
La lingua è l’essenza stessa della cultura ebraica, ed è per questo che è così importante raccontarne la rinascita.
La serata è un’occasione imperdibile per accostarsi alla cultura ebraica attraverso le parole di Haim Baharier, maestro di ermeneutica biblica, studioso di linguaggio allievo del grande filosofo Emmanuel Lévinas e di Léon Askenazi.
Sara Ferrari, docente di lingua e letteratura ebraica presso l’Università degli Studi di Milano, ci parlerà del sogno che Eliezer Ben Yehuda concretizzò con la nascita dell’ebraico moderno.
Ad Alberto Cavaglion, critico letterario e studioso di storia contemporanea, il compito di approfondire il contesto storico.
Modera l’incontro la professoressa Maria Modena Mayer che ha ricoperto per anni, presso l’Università degli studi di Milano, le cattedre di Filologia e Lingue semitiche comparate e lingua e letteratura ebraica.
Il proseguimento musicale della serata è affidato alla straordinaria voce vellutata di Yonit Shaked Golan, per la prima volta in Italia. Sarà accompagnata al pianoforte da Zvi Semel, della Jerusalem Academy of Music and Dance.

Il prossimo 19 maggio ci sarà la giornata mondiale della lingua ebraica. Una lingua è viva non tanto perché molti la parlano, ma perché si è costretti in quella lingua, con le radici che si sono “salvate”, a produrre significati in e per questo nostro tempo. L’ebraico moderno è un corpo a corpo fra tradizione e modernità, tra fedeltà e innovazione. Un vocabolario che si costruisce nel tempo e che esprime lo sforzo di trovare significati e dare parole di ora ai temi e ai sentimenti di questo nostro presente. A esserci ora, attraverso le parole, in questo nostro tempo con la testa, oltreché con la volontà, attraverso i segni di una lingua che allo stesso tempo dice di essere senza tempo.
David Bidussa, storico sociale delle idee
Locandina

(MI-Lorenteggio.com, 15 maggio 2014)


L'amico necessario

di Daniel Funaro

Fa sorridere che ad applicare la censura preventiva a un libro sia proprio chi nelle università dovrebbe invitare a leggerli i libri e commentarli e magari a rifletterci anche sopra. Quello che non stupisce però è che poi gli interventi abbiano sempre come scopo quello di difendere l'intellighenzia ebraica del mondo, cioè coloro che a parer di alcuni sarebbero lo spirito critico di un popolo così umile e scemo da non aver compreso che la delegittimazione d'Israele è necessaria per prevenire l'oltranzismo d'Israele e per salvaguardare la nostra integrità morale. Hai capito che fortuna? Lo fanno per noi e manco ce ne eravamo accorti. Zeev Sternhell in una recente intervista sull'Unità sostiene che Israele pratica l'apartheid, Amos Oz manda lettere ai terroristi auspicandone la liberazione, Daniel Barenboim flirta con il nemico, ma lo fanno per il nostro bene. Così, dicono i loro difensori d'ufficio, salvaguardano anche l'ebraismo e Israele dal rischio del pensiero unico, e combattono contro questa moderna inquisizione che li condanna. Perché invero la loro critica a Israele è sacrosanta e benedetta, per cui se loro paragonano Israele ai nazisti è democrazia, ma se tu sostieni che loro sono ebrei che odiano se stessi no: tu sei violento e antidemocratico.
E se poi ti azzardi a contestare che parte della notorietà di alcuni scrittori israeliani sia dovuta anche alle loro posizioni politiche contro Israele, allora pecchi di lesa maestà. Perché se in alcuni salotti tocchi Abraham Yehoshua, Oz o David Grossman allora non hai più diritto a entrarci e allora per qualcuno son dolori e quindi è meglio difenderli a prescindere da ciò che sostengono. Giulio Meotti allora diventa l'amico per cui non si ha bisogno di nemici, ma poi, che cosa lo diciamo a fare, Moni Ovadia e Gad Lerner rappresentano invece l'esempio della straordinaria vitalità dell'ebraismo. Beati loro che ancora fanno finta di crederci e che negano, senza un pizzico di vergogna, che noi di amici come Meotti ne avremmo davvero tanto bisogno.

(moked, 15 maggio 2014)


Altri commenti al libro di Giulio Meotti possono essere trovati qui.


Damasco: Hamas aiuta i ribelli a costruire tunnel

Hamas "aiuta i combattenti dell'opposizione in Siria a scavare tunnel". E' quanto dichiara ad Aki-Adnkronos International una fonte governativa siriana, secondo la quale il movimento di resistenza islamico palestinese "non solo ha fornito know-how e addestramento", ma i suoi militanti "sono venuti da Gaza in Siria appositamente per aiutare i combattenti siriani" a costruire tunnel.
Dal canto suo Hamas "si e' giustificato di fronte ai responsabili dell'intelligence siriana affermando che chi fa questo agisce a titolo individuale e che il movimento non c'entra nulla, anche se si tratta di palestinesi provenienti da Gaza", aggiunge la fonte, precisando che "gli apparati di sicurezza siriani non hanno accettato questa giustificazione e continuano a considerare Hamas non gradito".
"Non e' possibile verificare le affermazioni degli apparati di intelligence siriani - sottolinea la fonte - ma questo e' cio' che essi riferiscono a molti dei palestinesi e degli arabi vicini al regime". Riempire i tunnel di esplosivo e farli poi saltare in aria è una delle ultime tecniche di guerra usate dai ribelli anti Bashar al-Assad, come dimostra l'attentato dell'8 maggio contro l'hotel Carlton di Aleppo, nel nord ovest della Siria, costato la vita ad almeno 50 soldati. Qui i ribelli hanno piazzato grandi quantita' di esplosivo in alcuni tunnel scavati sotto l'hotel utilizzato come caserma dalle forze armate.

(Adnkronos, 15 maggio 2014)


Pontinia, l'associazione culturale il Chinino presenta il libro di Emilio Drudi sugli Ebrei a Littoria

L'associazione culturale di Pontinia Il Chinino, in collaborazione con il Map, Museo dell'Agro Pontino, e l'associazione Visual Track, presenterà il libro di Emilio Drudi, "Non ha dato prova di serio ravvedimento. Gli ebrei perseguitati nella provincia del duce", (ed. Giuntina, Firenze 2014) sabato 17 maggio alle ore 18 presso il Map, in Piazza Kennedy, a Pontinia.
All'interno degli eventi che l'associazione intende organizzare per gli ottanta anni dalla fondazione di Pontinia, l'incontro si pone come obiettivo la divulgazione di quella che finora era rimasta una pagina poco conosciuta della storia del nostro territorio. Con la curiosità del giornalista e la precisione accademica dello storico, Drudi racconta le vicende personali di 46 ebrei italiani residenti in provincia di Littoria tra il 1938 e il 1944.
L'opera è nata, infatti dopo un'attenta ricerca di archivio dove l'autore analizza e rende pubblici i carteggi e le informative della sicurezza pubblica (Carabinieri, Prefetti, Federali, Questori) nei confronti dei cittadini ebrei. Inoltre Druidi, affianca ai documenti di archivio anche la ricerca sul campo, intervistando gli eredi dei perseguitati.
Il libro pone in risalto l'accanimento delle autorità nel reprimere l'ebraicità nella provincia di Littoria, che nella mente di Benito Mussolini doveva essere il laboratorio del nuovo italiano
fascista. Il sequestro della radio, il ritiro delle licenze commerciali, il divieto di assumere badanti o altre odiose limitazioni della vita quotidiana marcano l'impossibilità delle persone schedate di poter continuare a vivere una vita normale come era avvenuto fino all'introduzione delle leggi razziali.
Oppure mette in risalto l'ipocrisia di una burocrazia che continua il suo corso anche quando la situazione politica e istituzionale sta crollando sotto i colpi di una guerra che oramai il fascismo non può più vincere. E mentre gli alleati bombardano l'Italia e il cibo inizia a scaseggiare, da Roma continuano a partire direttive e circolari per aggiornare questi elenchi e per risalire, con indagini serrate in giro per l'Italia, alle residenze di quelli ebrei che nel frattempo avevano cambiato paese per motivi di lavoro o personali. Ma fa anche emergere come la rete di solidarietà, nata dalla realtà paesana e contadina, si sia prodigata in favore dei perseguitati, trovando eroi del calibro di Quirino Ricci ed Emilio Ceci, solo per citarne alcuni.
La presentazione avverrà alla presenza dell'autore Emilio Drudi e del prof. Giorgio Maulucci.

(h24notizie, 15 maggio 2014)


Sondaggio ADL: il 93% dei palestinesi nutre sentimenti antisemiti

Nel mondo una persona su quattro professa tradizionali pregiudizi negativi verso gli ebrei; sette su dieci non sanno cosa sia la Shoà o pensano che sia un'esagerazione.

Il Medio Oriente è la regione più antisemita del pianeta. In particolare, il 93% dei palestinesi condivide pregiudizi anti-ebraici. È quanto emerge dai risultati di un sondaggio globale sull'antisemitismo resi noti martedì. L'indagine, condotta dalla Anti-Defamation League in più di 100 nazioni e territori, ha rilevato fra l'altro che, su base mondiale, quasi la metà degli adulti non ha mai sentito parlare della Shoà e più di un quarto condivide pregiudizi negativi sugli ebrei.
"Per la prima volta abbiamo una misura attendibile di quanto sia pervasivo e persistente, oggi, l'antisemitismo nel mondo - dice Abraham H. Foxman, direttore della Anti-Defamation League - I dati del Global 100 Index ci permettono di guardare al di là dei singoli episodi e della retorica, e di quantificare la prevalenza di atteggiamenti anti-ebraici in tutto il mondo. Ora possiamo identificare quali sono le zone più critiche dell'antisemitismo e, per contro, i paesi e le regioni del mondo dove il pregiudizio e l'odio verso gli ebrei sono sostanzialmente assenti".

(israele.net, 15 maggio 2014)


La Knesset discute del Genocidio armeno

GERUSALEMME - Il Parlamento israeliano ha discusso la questione del Genocidio armeno nella seduta plenaria di martedì 13 maggio. "Questa discussione" ha tenuto a sottolineare il Presidente del Parlamento israeliano, Yuli Edelstein, "non intende accusare nessuno Stato moderno. Piuttosto, essa mostra che noi ci identifichiamo con le vittime del massacro e i suoi effetti tremendi". La discussione - riportano fonti israeliane e armene - è stata provocata dalla mozione presentata da Zehava Gal-On, portavoce del Partito di sinistra Meretz, nella quale si chiedeva al governo israeliano di riconoscere il Genocidio armeno prima che si arrivi a commemorare nel 2015 il suo centesimo anniversario. "Noi non stiamo lanciando accuse: noi stiamo agendo come ebrei che riconoscono la verità e le sofferenze di un altro popolo" ha aggiunto Edelstein, aggiungendo che "non possiamo negare la storia e dobbiamo tenere i valori umani fuori dalle cautele diplomatiche e politiche".
Rispondendo alla mozione parlamentare, il Ministro del Turismo Uzi Landau (del partito Likud) ha affermato il dovere morale di "riconoscere, come ebrei e israeliani, tutte le tragedie umane, incluso il Genocidio armeno". Alla fine della discussione, la questione è stata affidata al Comitato parlamentare per gli Affari esteri e della Difesa. Tale scelta è stata contestata dalla promotrice della mozione Gal-On, che l'ha subito classificata come un escamotage per "seppellire" la discussione riguardo a un pronunciamento ufficiale dello Stato d'Israele sulla questione del Genocidio armeno.

(Agenzia Fides, 14 maggio 2014)


A Expo l'albero rabdomante

Da Israele la pianta che si cerca l'acqua nel deserto

di Robert Hassan

  
Un albero «che si cerca da solo l'acqua» nel deserto: è il progetto che verrà presentato dall'associazione Keren Kayemeth LeIsrael Italia a Expo. «Si tratta di un sistema che stiamo sviluppando in Israele per l'irrigazione intelligente», osserva Shariel Gun, direttore generale di Keren Kayemeth LeIsrael Italia. «L'idea è quella di mettere dei sensori che riescono ad individuare quando il terreno è asciutto e quando l'albero ha bisogno di più acqua.
Abbiamo già definito l'idea ma non sappiamo ancora quanto tempo ci vorrà per la commercializzazione del prodotto», continua il direttore. «Un altro progetto che verrà presentato a Expo è l'utilizzo di acqua salata per le produzioni: l'acqua, dunque, non viene desalinizzata. Dopo diversi anni di ricerca, i nostri ricercatori hanno scoperto alcuni tipi di piante, frutta e verdura che possono crescere in acqua salata e hanno anche verificato qual è la percentuale massima di sale che possono usare», conclude Shariel Gun.
Tra gli obiettivi dei progetti del Keren Kayemeth LeIsrael Italia rientrano anche quelli di: garantire un uso corretto ed efficiente delle risorse naturali attraverso lo sviluppo delle conoscenze; adeguare le conoscenze agricole, le colture, i metodi e le tecnologie per le condizioni particolari di ciascuna area; fornire ai residenti delle aree agricole una fonte di reddito. I laboratori dell'associazione relativi alla Ricerca&Sviluppo in Israele sono tra i più avanzati al mondo e si concentrano sullo studio di nuove tecnologie di arricchimento della vegetazione in regioni critiche e sul potenziamento delle difese sostenibili contro l'attacco di nuove minacce per l'ambiente. Considerate le fondamenta per lo sviluppo di nuovi prodotti a beneficio della popolazione, i centri Reserch &Development, oltre che a risolvere gli aspetti cruciali della lotta alla desertificazione, mirano a ricercare soluzioni pratiche per questioni agricole comuni agli agricoltori del deserto e a sviluppare avanzate tecnologie di produzione che permettono la nascita di nuovi prodotti. Questi centri, inoltre, sono una preziosa fonte di scambi internazionali: scienziati e ricercatori infatti fanno sempre più riferimento agli studi realizzati in Israele.
La maggior parte del territorio israeliano è arido: questa situazione ha sviluppato le competenze del Paese nel settore dell'agricoltura e nella gestione delle acque. Situato sui margini di una fascia desertica, Israele quindi ha sempre risentito di scarsità d'acqua: le risorse idriche del paese includono solo il fiume Giordano, il lago di Tiberiade e alcuni sistemi fluviali minori. Sono anche sfruttate sorgenti naturali e bacini d'acqua sotterranei con estrazioni in quantitativi controllati onde prevenire il prosciugamento. Per usufruire al massimo di tutte le risorse d'acqua dolce sono stati sviluppati metodi di sfruttamento di risorse marginali d'acqua tramite il riciclaggio di acque di scarico, l'uso di pioggia provocata artificialmente e la desalinizzazione di acque salmastre.

(ItaliaOggi, 15 maggio 2014)


Nuovi frammenti proteici possono proteggere dall'Alzheimer

Ricercatori israeliani scoprono nuovi frammenti proteici che possono proteggere il cervello dai devastanti danni causati da placca e grovigli. La scoperta può portare allo sviluppo di nuovi farmaci candidati per curare la grave malattia neurodegenerativa.

La prof.ssa Illana Gozes
La malattia di Alzheimer è caratterizzata da una drammatica perdita di memoria e lucidità (o coscienza) di chi ne è colpito. A oggi, nonostante tutti gli sforzi, non si è ancora riusciti a trovare una cura. Sebbene, di passi avanti ne siano stati fatti. E oggi, un nuovo studio risulta promettente nel possibile sviluppo di un nuovo farmaco in grado di proteggere il cervello dai devastanti danni causati alle cellule cerebrali da placca e grovigli.
Pionieri di questa nuova scoperta sono i ricercatori israeliani prof.ssa Illana Gozes e il prof. Avraham Gildor, i quali hanno trovato in nuovi frammenti proteici proprietà protettive per la funzione cognitiva.
Diversi anni fa abbiamo scoperto che PNA, un frammento di una proteina essenziale per la formazione del cervello, ha dimostrato la sua efficacia in studi clinici di Fase 2 su pazienti con decadimento cognitivo lieve, un precursore dell'Alzheimer - spiega la prof.ssa Gozes - Ora, stiamo indagando se ci sono altre nuove sequenze simil-NAP in altre proteine. Questa è la domanda che ci ha portato alla nostra scoperta».
La ricerca Gozes e Gildor dell'Università di Tel Aviv è stata incentrata sulla rete dei microtubuli, che sono una parte fondamentale delle cellule nel nostro corpo. Questi microtubuli agiscono come un sistema di trasporto all'interno delle cellule nervose: trasportano proteine essenziali e permettono la comunicazione tra cellula e cellula.
Accade però che in malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, la SLA e il Parkinson, questa rete si frantumi, intralciando le abilità motorie e la funzione cognitiva.
NAP opera attraverso la stabilizzazione dei microtubuli, i tubi all'interno della cellula che mantengono la forma cellulare - sottolinea Gozes - Essi servono come "binari" per il movimento di materiale biologico. Questo è molto importante per le cellule nervose perché hanno lunghi processi, e altrimenti precipiterebbero. Nella malattia di Alzheimer, questi microtubuli crollano. I frammenti di proteine appena scoperti, proprio come PNA prima di essi, lavorano per proteggere i microtubuli, proteggendo così la cellula».
Lo studio, pubblicato sul Journal of Alzheimer, è stato condotto anche su modello animale e ha mostrato risultati promettenti. «Abbiamo testato un composto (un frammento tubulina) - spiega Gozes - E abbiano visto che proteggeva contro i deficit cognitivi. Quando abbiamo guardato i modelli afflitti da demenza al cervello c'è stata una riduzione nella proteina PAN genitrice, ma in seguito al trattamento con il frammento tubulina, la proteina è stata ripristinata a livelli normali».
Abbiamo chiaramente osservato l'effetto protettivo del trattamento. Abbiamo inoltre assistito agli effetti di riparazione e protettivi di totalmente nuovi frammenti proteici derivati da proteine essenziali per la funzione delle cellule, in colture di tessuti e su modelli animali», conclude Gozes.
Ora non resta che attendere che i ricercatori possano condurre dei test clinici per osservarne gli effetti sull'uomo che, si spera, siano positivi così come lo sono stati in questo studio.

(La Stampa, 15 maggio 2014)


Kerry e Indyk hanno spinto Abbas fra le braccia di Hamas

I palestinesi sostengono che per i musulmani, i territori palestinesi si estendono dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo): includendo tutto l'attuale Israele. Secondo il loro punto di vista, Tel Aviv sarebbe un territorio illegalmente occupato, al pari degli insediamenti ebraici nel West Bank. Questa visione è corroborata dalla visione musulmana, profondamente radicata nella giurisprudenza islamica denominata Waqf, secondo cui ogni territorio una volta sotto il controllo dei musulmani, deve essere per sempre controllato da musulmani. Secondo il diritto islamico, «Se una persona rende qualcosa "Waqf", essa cessa di essere di proprietà di quella persona, e ne' egli ne' chiunque altro può donarla o venderla ad altre persone»....

(Il Borghesino, 15 maggio 2014)


L'altra metà di Gaza

di Marco Pedersini

  
Sabah Abu Ghanem, 14 anni, fa surf ogni mattina, con la sorella. Si alzano presto, per poter tornare dal mare in tempo per la scuola. Sono brave, hanno vinto molte gare ma i concorrent.i, però, sono sempre gli stessi: le due ragazze vivono a Gaza e dalla Striscia non si esce, nemmeno per una gara di surf, Sono costrette a restare in questi 45 chilometri di spiaggia, da dove Israele, a nord, è poco più di una distesa di luci alle quali non ci si può avvicinare.
   Ma essere donna, a Gaza, significa soffrire più degli altri. Oltre a essere sfavorita dalla sharia applicata da Harnas, devi portare il dolore di tuo marito o di tuo padre che non trovano lavoro, sapendo che c'è sempre un occhio che ti guarda. « Vorrei andarmene, almeno per un giorno, in un posto in cui non mi conosce nessuno» ha confessato Doaa Abu Abdo, 27 anni, assistente di produzione del servizio fotografico pubblicato in queste pagine. Quasi quattro mogli su 10, a Gaza, dichiarano di essere state picchiate nell'ultimo anno, ma è un dato che va arrotondato per eccesso, visto che due terzi delle intervistate ha detto di voler far passare sotto silenzio le violenze subite. E se parlassero, la legge islamica, seguita alla lettera, le metterebbe in posizione svantaggiata rispetto al marito, per dirla con un eufemismo.
   La riconciliazione tra Hamas e Fatah (i palestinesi più moderati della Cisgiordania) ha portato una ragione di speranza. Anche in gesti che paiono minori, come sfogliare un giornale. Dall'inizio del mese, a Gaza sono tornati i giornali stampati in Cisgiordania. Notizie dall'esterno: è quello che le donne volevano. Ogni martedì, a partire dal 2012, avevano manifestato a decine in un parco di Gaza, chiedendo la fine delle divisioni. Vestite di nero, velate, sventolavano la bandiera palestinese urlando: «Unità nazionale, unità nazionale». Saada Hajo, 60 anni, proclamava: «Vogliamo finirla con divisioni e spargimenti di sangue». Missione compiuta.

(Panorama, 15 maggio 2014)


Miniera turca, Israele offre assistenza sanitaria e umanitaria

Team del Magen David Adom, la Croce Rossa israeliana, già pronti

GERUSALEMME, 14 mag. - Israele ha offerto assistenza sanitaria e umanitaria alle autorità turche dopo l'esplosione alla miniera di Soma, nell'ovest della Turchia, con un bilancio di 245 morti e 120 persone ancora sotto terra. "Immediatamente dopo la catastrofe in Turchia, abbiamo trasmesso alla Mezzaluna rossa turca la nostra proposta di assistenza e i team del Magen David Adom sono pronti a essere dispiegati, se riceveranno l'autorizzazione", ha spiegato Eli Bin, direttore della stessa Magen David Adom.
Il presidente israeliano Shimon Peres, in visita a Oslo, ha inviato una lettera di condoglianze al suo omologo turco. "Quando c'è una tragedia, occorre fare tutto il possibile per garantire un reciproco aiuto", ha scritto Peres nella lettera.

(TMNews, 14 maggio 2014)


Pellegrini ebrei tornano a Ghriba dopo polemiche

In migliaia sono attesi come ogni anno nell'antica sinagoga sull'isola di Djerba

Pellegrini ebrei nella Sinagoga di Ghriba, sull'isola di Djerba in Tunisia
TUNISI - Sospeso nel 2011, l'anno del rivoluzione tunisina, e ripristinato nel 2012 seppur in un clima di stetta sorveglianza da parte delle forze dell'ordine, torna anche quest'anno il tradizionale pellegrinaggio degli ebrei nella millenaria sinagoga di Ghriba, nell'isola di Djerba.
Seppur proceduta da una polemica sollevata da chi teme che la concessione di visti per il pellegrinaggio a cittadini israeliani implicasse una normalizzazione dei rapporti tra Tunisi e lo Stato di Israele.
Organizzato ogni anno il 33o giorno dalla Pasqua ebraica, questo rituale rappresenta il cuore delle tradizioni della comunità ebraica tunisina la quale, anche se molto ridotta in termini numerici, resta ben integrata all'interno della società.
Una delle leggende fa risalire l'origine della sinagoga di Ghriba alla distruzione del tempio di Salomone a Gerusalemme, quando alcuni ebrei, fuggendo dalla Palestina, si rifugiarono proprio a a Djerba nel 586 A.C.
Per quest'anno, dal 16 maggio, è previsto l'arrivo di 2000 pellegrini ebrei, ha annunciato il presidente della comunità ebraica tunisina, Perez Trabelsi. Ogni anno Djerba accoglie migliaia di ebrei, provenienti in gran parte da Israele e Europa, per quello che si traduce in un sostanzioso contributo alle entrate del turismo religioso, tradizionalmente ricco.
Secondo René Trabelsi, responsabile del tour operator Royal First Travel che organizza l'accoglienza per l'evento, gli ebrei provenienti dall'estero saranno circa mille, cui dovrebbe aggiungersi un altro migliaio dalla Tunisia.
Il pellegrinaggio, sospeso appunto nel 2011 per l'instabilità della fase post-rivoluzionaria, fu ripristinato nel 2012 in un clima di alta sorveglianza da parte delle forze dell'ordine, e non fece registrare alcun incidente. All'epoca si temevano in particolare gli attacchi da parte di estremisti salafiti, molto attivi per tutto il periodo in cui il Paese era stato governato da un'alleanza tripartita guidata da Ennahda, il partito islamista che nei mesi scorsi ha fatto un passo indietro lasciando il posto al nuovo governo tenico di Mehdi Jomaa Gli organizzatori si aspettavano per quest'anno un'affluenza di circa 4000 persone, ma gli arrivi si sono probabilmente ridotti per la risonanza di una polemica scoppiata alcune settimane fa su di una pretesa normalizzazione delle relazioni con lo Stato di Israele, per la concessione del visto di ingresso ai cittadini israeliani. Visti in realtà sempre concessi in occasione del pellegrinaggio, anche se la Tunisia non intrattiene rapporti con Israele dal 1996 per il suo sostegno alla causa palestinese. La polemica, sollevata da qualche esponente politico, è approdata nell'Assemblea Costituente con una mozione di sfiducia nei confronti di due ministri, che successivamente è stata ritirata.
Ma la polemica ha probabilmente intimorito molti potenziali visitatore rischiando di danneggiare l'immagine della Tunisia, che invece - ha detto il ministro dell'Interno Lotfi Ben Jeddou - da "Paese aperto e tollerante, accoglierà, come ha sempre fatto in passato, i pellegrini ebrei che vorranno pregare nella sinagoga di Ghriba". Lo stesso ministro ha effettuato ieri una visita a Djerba, per verificare lo stato dei luoghi e mettere a punto un imponente dispositivo di sicurezza per prevenire qualsiasi incidente.

(ANSAmed, 14 maggio 2014)


Il museo ebraico di Ferrara trasloca

In attesa del restauro dell'edificio e delle sinagoghe, il materiale storico verrà trasferito per almeno due anni in altra sede.

di Gian Pietro Zerbini

È ufficiale. Il museo ebraico che si trova nel complesso di via Mazzini verrà trasferito per alcuni anni in un palazzo di proprietà comunale o statale. In attesa del via libera ai lavori per il lungo restauro dell'edificio, che comprende oltre al museo anche sinagoghe, sale di studio e di ritrovo, tutto il prezioso e storico materiale custodito nel museo di via Mazzini troverà dimora per almeno un paio d'anni in un'altra struttura ancora in fase di studio. Ieri mattina alla comunità ebraica c'è stato un primo incontro tra il presidente Michele Sacerdoti e il vicesindaco e assessore alla cultura Massimo Maisto per definire i passaggi del trasferimento museale.
Dopo le scosse del maggio 2012 buona parte del primo piano e soprattutto della parte elevate dell'edificio della comunità ebraica di via Mazzini 95 sono state dichiarate inagibili per le lesioni strutturali ancora ben visibili nel museo e nelle sinagoghe.
«Dopo gli interventi effettuati dai tecnici - spiega il presidente della comunità ebraica ferrarese Sacerdoti - sono stati stimati danni complessivi per 1 milione di euro. Entro luglio dovrà essere presentata la documentazione per avviare i lavori di ripristino. Occorreranno ancora come minimo un paio d'anno per vedere i locali risanati».
Nell'edificio compaiono ancora molti rinforzi e puntelli e in alcune stanze come nella grande sinagoga, sono rimasti ancora i segni del terremoto con calcinacci a terra e crepe nei soffitti e alle pareti.
«Stiamo studiando una soluzione per ospitare il museo ebraico di via Mazzini - ha spiegato il vicesindaco Maisto - abbiamo pensato a casa Romei ma ci sono ancora lavori in corso, non è il caso di trasferlirlo al Meis anche perché lo spazio in via Pangipane è destinato solo a mostre temporanee». Tra le ipotesi palazzo Bonacossi o un'ala del Castello.

(la Nuova Ferrara, 14 maggio 2014)


Due opinioni su "Ebrei contro Israele"

La storica Foa contro il libro di Meotti. Il semiologo Volli a favore.

Non ho letto il libro, lo confesso, mi sono limitata a leggere la lunga anticipazione che ne ha fatto il Foglio. Parlo dell'ultimo libro di Giulio Meotti, "Ebrei contro Israele". Ma, da queste pagine, sembra proprio che a essere considerata "in guerra con Israele" sia l'intera intellighenzia ebraica del mondo, a partire dalla fondazione dello stato d'Israele in poi, quelli che il titolo del giornale chiama sprezzantemente gli intellò: non solo, quindi, per intenderci, i maggiori intellettuali ebrei italiani, francesi, americani, ma in particolare gli intellettuali israeliani. E non solo Pappe e la Zertal, per citare i più radicali tra i post sionisti, ma tutti o quasi: Segev, Sternhell, un'infinità di professori della Hebrew University e delle altre università israeliane. E naturalmente gli scrittori, Yehoshua, Grossman e Amos Oz, e ancora Barenboim e via discorrendo. Sembra che qualunque ebreo scriva o insegni in un'università in qualunque parte del mondo appartenga alla categoria degli antisionisti, e quindi, nell'ottica del signor Meotti, degli antisemiti o almeno dei potenziali antisemiti. Se Meotti è un buon esempio dei nostri amici, viene proprio da chiedersi, chi ha bisogno di nemici?
Anna Foa, storica (il testo è apparso sul portale degli ebrei italiani Moked)

*

Perché vi sono degli ebrei che odiano Israele? Perché ebrei che odiano gli ebrei? Molti di quelli che odiano Israele dicono di non essere razzisti e quindi di non poter odiare gli ebrei, per ragioni di principio, anzi si offendono quando glielo dici. Ma di fatto Israele è lo stato degli ebrei: rinasce sui luoghi storici dove per milletrecento anni si è sviluppata la civiltà ebraica, dove si è scritta la Bibbia, dove sono vissuti i Profeti e i Re di Israele; raggruppa ormai la metà della popolazione ebraica nel mondo e per gli altri rappresenta la sicurezza e il sogno di sempre. Difficile dunque odiare Israele senza coinvolgere gli ebrei che ne decidono democraticamente la politica e vi si identificano. Perché dunque quest'odio che da Israele si estende agli ebrei o, più probabilmente, dagli ebrei si focalizza su Israele? Lo schema che emerge nelle loro parole piene di spocchia è sempre quello di una parte giusta e civile che cerca di distinguersi da una parentela incivile e barbara e ingiusta; la prima peraltro è quella che sta al sicuro e per il momento non corre rischi e pertanto si unisce al coro di coloro che accusano l'altra parte, anzi punta ad esserne l'avanguardia, in modo che nessuno possa accusarli di esserne complici. Nel loro petto freme la saggezza, la virtù, l'idealismo; sono insieme ottimi ebrei che rispettano la tradizione (come la deformano loro) e cittadini esemplari dell'Europa o degli Stati Uniti o talvolta perfino di Israele. Vorrebbero rieducare i reprobi, ma non ci riescono per l'ostinatezza e la cecità di costoro, dunque loro malgrado si trovano a richiedere per questi criminali una giusta punizione, a dover appoggiare i loro nemici, di cui solo la loro crudeltà non vede le ragioni, ad approvare il boicottaggio, lo stesso che il nazifascismo aveva imposto ai loro parenti. Tanto più il coccodrillo si agita e spalanca la bocca, quanto più gli ebrei antisemiti si danno da fare per distinguersi e condannare chi si trova sulla stessa zattera, cercando di spingerlo giù, dando ragione agli attacchi del rettile. Non sono migliori ma peggiori di quelli che condannano, molto più egoisti e meschini. Non saranno probabilmente mangiati loro dal coccodrillo, ma solo perché gli altri, i cattivi, hanno imparato a difendersi e senza volerlo si trovano a difendere anche loro. Ma vale la pena di farne il nome, di indicarli non al coccodrillo ma almeno all'opinione pubblica, perché essa sappia come si muovono e cosa dicono. Aprire anche in Italia questo discorso è il grande merito di questo libro.
Ugo Volli, docente di Semiotica all'Università di Torino

(Il Foglio, 14 maggio 2014)


«Gli ebrei diventino tutti cittadini di Israele»

di Alain Elkann

Riproponiamo, a distanza di quattro anni, un articolo di Alain Elkann che a suo tempo destò una certa attenzione, ma non troppo. Davanti all'invito a diventare tutti cittadini di Israele, i commenti di parte ebraica furono quasi tutti del tipo: bello ma irrealizzabile. E naturalmente non mancarono le analisi dettagliate delle molte difficoltà che nel concreto si presenterebbero. Ma la realizzabilità pratica, così come la si può immaginare e prevedere, costituisce davvero l'elemento essenziale di un appello come questo? Non insegna niente la storia di Israele a questo riguardo?

  
Alain Elkann
Se noi ebrei vogliamo esistere ed essere forti, dobbiamo capire che c'è uno Stato ebreo di cui Gerusalemme è la capitale. Non siamo più un popolo errante che viene dal deserto o dalla Diaspora. Siamo ebrei con una nazione dove ci sono dei politici, dei rabbini, dei professori , degli artisti, dei medici, degli operai, e poi commercianti, marinai, attori, cantanti, ballerini, giuristi, soldati, contadini, tutti ebrei e cittadini israeliani.
   Israele è un Paese minacciato da numerose nazioni ostili, con dei detrattori e qualche amico. Spesso, anche gli ebrei della Diaspora condannano la politica degli israeliani e le loro attività belliche. Ciononostante, i nostri figli nel mondo intero dovrebbero sentirsi toccati, e diventare soldati in Israele, all'età richiesta e quando la necessità si fa sentire.
   Tutti gli ebrei dovrebbero conoscere le stesse paure e le stesse speranze per i loro bambini. Significa che tutti gli ebrei della Diaspora dovrebbero lasciare le loro case e stabilirsi in Israele? Sì, forse non per sempre, ma almeno per un certo periodo. Gli ebrei dovrebbero prevedere di mandare i loro bambini in Israele per un anno di "parentesi utile", l'anno generalmente utilizzato per un periodo decisivo di formazione.
Gli ebrei possono non condividere la politica israeliana a condizione che si considerino come israeliani.
Gli ebrei possono non condividere la politica israeliana a condizione che si considerino come israeliani. Ma è pericoloso per tutti gli ebrei appartenere alla stessa nazione o avere lo stesso passaporto? Per 2000 anni, l'essere ebrei significava qualcosa di più di una religione, una legge morale, dei libri, una sinagoga e una tradizione orale del "popolo di una nazione". Durante un passato recente, gli ebrei sono stati obbligati a indossare una stella gialla con su scritto "Juden" o "ebreo". Adesso, gli ebrei possono essere fieri di essere cittadini israeliani, che parlano l'ebraico, leggono giornali, guardano la televisione e ascoltano la radio nella propria lingua. E' un cambiamento radicale per persone che non potevano diventare cittadini influenti nei Paesi dove vivevano ed erano pienamente accettati. Spesso parlano e scrivono molto bene nella loro lingua d'adozione. Conrad, un ebreo polacco, è diventato un grande scrittore di lingua inglese; Canetti, Musil, Zweig o Kafka scrivevano in tedesco e Bellow, Mailer e Roth in inglese. Svevo, Moravia e Bassani scrivevano in italiano, Sabato in spagnolo. Proust era uno dei maggiori scrittori del suo tempo. Ciascuno di questi autori era inestricabilmente legato alla sua lingua e alla sua cultura. Dunque Roth, Appelfeld, Oz, Grossman, Levitt, Wiesel, Glucksmann, Piperno, Levy sono tutti scrittori ebrei che scrivono in lingue differenti di cui anche l'ebraico fa parte. Dovrebbero essere tutti cittadini israeliani.
   Anche se gli ebrei sembrassero cittadini del Paese in cui sono andati a scuola o dove vivono, non dimenticano mai che sono una minoranza, considerata diversa perché ebrea. Non approfitterò di questa occasione per dilungarmi sui numerosi pregiudizi di cui gli ebrei di tutti i tempi sono stati vittime.
   Se la mia lingua materna è l'italiano, il francese, l'inglese, lo spagnolo, il russo, il tedesco, il polacco, perché dovrei diventare un israeliano che parla l'ebraico? Perché 62 anni fa, il mondo è cambiato quando Israele è diventato lo Stato degli ebrei. Questa idea utopica s'è concretizzata in una realtà a volte pericolosa, a volte entusiasmante. Come un ebreo potrebbe ignorare il fatto che questo paese, il paese dei suoi antenati, quello da cui è stato esiliato per 2 mila anni, è di nuovo governato da ebrei?
La maggioranza degli ebrei non ha voglia di abbandonare la posizione sociale acquisita nella Diaspora.
Senza dubbio la maggioranza degli ebrei non ha voglia di abbandonare la propria posizione sociale, acquisita nella Diaspora, e di rinunciare al proprio lavoro, ma devono capire che non hanno più scelta. Hanno un paese che appartiene loro, e se lo desiderano possono acquisire la doppia nazionalità. Se un ebreo vuol veramente diventare un ebreo autentico, deve diventare israeliano.
   Questo può turbare la quiete degli ebrei che hanno vissuto felici per generazioni nei loro Paesi, ma è accaduto un avvenimento straordinario e inatteso (e forse non sempre desiderato): l'esistenza dello stato ebraico di Israele.
   Non penso che questa trasformazione si debba produrre nell'immediato, ma è un passo necessario per scoraggiare i detrattori e i nemici degli ebrei. Se gli ebrei finissero per sentirsi realmente cittadini israeliani, diventerebbero più forti, perché accetterebbero il loro destino. Certamente, questo implicherebbe di perdere i numerosi vantaggi acquisiti nei loro Paesi, soprattutto quello di essere diversi, strani, a volte unici, e dunque interessanti. Al posto di tutto questo, diventerebbero ebrei fra altri ebrei con un passaporto israeliano, un numero di sicurezza sociale e un partito politico.
   Ciò che scrivo non sarà molto apprezzato, perché la maggior parte della gente adora lamentarsi e restare così com'è. Per natura, non ama il cambiamento. Dunque se sono russo o francese, perché dovrei diventare israeliano? Se sono un uomo del Nord o dell'Ovest perché diventare un cittadino dell'Est? Se mio padre e mio nonno erano soldati in Italia o in Francia, perché diventerò un soldato israeliano?
Gli ebrei avrebbero potuto sparire per sempre. Quindi anche se gli israeliani sono criticabili, è una fortuna che esistano.
Gli ebrei hanno sofferto l'Olocausto, la stella gialla e la soluzione finale, in questa stessa Europa dov'erano così ben accettati e assimilati. E' in questa Europa che si sono creati i ghetti e li si sono aboliti, in questa Europa che gli ebrei sono stati uccisi a milioni e in cui solo una piccola minoranza coraggiosa ha reagito. Ricordiamoci che ci sono ancora persone con un numero tatuato sulle braccia, perché sono stati disumanizzati e marchiati per essere uccisi. Gli ebrei avrebbero potuto sparire per sempre. Come possiamo dimenticarlo? Quindi anche se gli israeliani sono criticabili, è una fortuna che esistano. E' loro dovere lottare per la sicurezza, per il diritto di esistere e di permettere a tutti gli ebrei di vivere insieme, e di prendere coscienza della loro appartenenza ad Israele, quale che sia il luogo in cui vivono.
   Scrivo questo perché sono stanco di essere diverso, di pregare solo o di ascoltare le preghiere degli altri. Vivo in Italia, un Paese dove si chiamano gli esseri umani cristiani. E gli altri? Nessuno qui conosce le feste ebraiche. E' vero che fino alla creazione dello Stato di Israele non avevamo altra scelta che essere una minoranza, a volte tollerata e a volte perseguitata. Ma adesso che abbiamo un territorio ebraico, perché non approfittare dei piaceri di un'identità ben definita? So che è difficile cambiare destino, abitudine e Paese, ma gli ebrei devono prendere una decisione. Siamo una religione monoteista che attende il messia o siamo il popolo di una nazione? Saremo ebrei come altri sono greci, italiani o tedeschi?
Non credo che dovremmo vivere tutti in Israele, ma credo che dovremmo tutti essere israeliani.
Gli ebrei prima erano un popolo che dipendeva da una nazione con un'unica religione, legge e lingua. Poi quando sono stati costretti a dividersi hanno mantenuto la loro religione e le loro tradizioni in famiglia e in sinagoga. Con la creazione dello Stato di Israele le cose sono cambiate e siamo diventati un popolo con un Paese e un lingua. Ovviamente, non è molto semplice comprendere l'idea di essere ebrei e israeliani, da almeno 2000 anni, siamo abituati a considerarci solo ebrei. Ripeto, non credo che dovremmo vivere tutti in Israele, ma credo che dovremmo tutti essere israeliani.
   E' molto importante immaginare un futuro e il modo in cui dovremmo collocarci nel mondo. Alcuni ebrei vorranno seguire la tradizione e sceglieranno di non diventare cittadini di Israele, ma personalmente credo che saranno una minoranza. I nostri nemici e i nostri detrattori ci rispetterebbero di più, se fossimo uniti nel credere che israeliani ed ebrei sono la stessa cosa. In quanto popolo monoteista più antico meritiamo rispetto. Noi ebrei dovremmo essere orgogliosi delle nostri tradizioni, della nostra storia e della nostra posizione nel mondo. Il mondo di oggi è umanamente debole perché ha concentrato tutti gli sforzi nella tecnologia, nella scienza, nelle vacanze e nel fare soldi. I veri valori sembrano essere scomparsi e tutto è diventato immediato, veloce, rapido, giovane, salutare, facile e comodo. Solo i fanatici hanno una visione del mondo che usa le strategie di potere, l'omicidio e la paura in nome di Dio.
   A partire dalla Seconda guerra mondiale l'America è stata l'unica vera amica degli ebrei. Mi ricordo bene una volta in cui due anziani ebrei stavano discutendo metà in ungherese e metà in yiddish in una lavanderia di New York. Ho chiesto a uno di loro: "Da dove venite?", mi ha risposto sorpreso "Che cosa intendi? Siamo americani". Perché un cittadino americano di successo, rispettato nel suo paese e felice della sua vita, dovrebbe sentirsi come un cittadino israeliano solo perché è ebreo? Forse lui o lei potrebbe rispondere che non c'è mai stato un presidente israeliano negli Stati Uniti, considerando che Shimon Peres è il presidente dello Stato di Israele.
Con la creazione dello Stato di Israele le cose sono cambiate e siamo diventati un popolo con un Paese e un lingua. Ovviamente, non è molto semplice comprendere l'idea di essere ebrei e israeliani, da almeno 2000 anni, siamo abituati a considerarci solo ebrei. Ripeto, non credo che dovremmo vivere tutti in Israele, ma credo che dovremmo tutti essere israeliani.
Perché qualcuno che vive tranquillo e felice altrove dovrebbe sentirsi israeliano? Perché è ebreo e in Israele c'è uno stato ebraico basato su principi ebraici.
Perché qualcuno che vive tranquillo e felice in California o a Boston dovrebbe sentirsi israeliano? Dovrebbe perché è ebreo e in Israele c'è uno stato ebraico basato su principi ebraici. Essere ebrei in Israele non significa essere una minoranza in un paese sicuro, ma appartenere ad una maggioranza che affronta delle responsabilità e dei pericoli. Gli intellettuali nella Diaspora considerano che hanno il diritto in quanto ebrei di criticare la politica del primo ministro israeliano. Se questi intellettuali fossero cittadini di Israele, potrebbero votare contro il primo ministro e il suo partito, potrebbero combattere per le loro opinioni ed eventualmente cambiare la politica di Israele dall'interno.
   E' difficile per me scrivere questo perché io stesso sono una contraddizione vivente. Io vivo tra Italia e Francia e passo parecchio tempo negli Stati Uniti e in altri Paesi. Ho sia il passaporto francese che quello italiano, e faccio da consigliere ad importanti politici italiani. Come giornalista intervisto le persone per una televisione italiana, come scrittore ho scritto libri in italiano. Quindi, che autorità morale ho per invitare gli ebrei a diventare israeliani, se io stesso non rinuncio alle mie occupazioni e ai miei vantaggi nella Diaspora? Forse scrivendo questo "pamphlet" ho iniziato il processo di avvicinamento ad Israele , per cambiare la mia vita e ad accettare la vita ebraica. Forse avvicinandomi maggiormente ai miei amici Appelfeld, Oz and Grossman mi sentirò a casa e sarò in grado di discutere con loro in modo uguale di Israele, politica, letteratura, famiglia, bellezza, hotel, sogni, desideri, passato, futuro, Dio, e di molti altri aspetti della vita. Forse vivere a Gerusalemme significherebbe adottare una normale vita ebraica e finalmente accettarmi per chi sono. Non credo che Israele potrebbe rappresentare solo il luogo dove potrei essere sepolto. Potrebbe esser il posto dove potrei amare, pensare e scrivere.
   Naturalmente rimarrò il figlio, nato a New York, di un francese ebreo e di un'italiana ebrea, e uno scrittore italiano ingaggiato per scrivere in italiano. Per questa ragione ho scritto queste pagine nel mio trascurato inglese, perché volevo esprimere i miei sentimenti sulla mia condizione di ebreo oggi in una sorta di "Esperanto", che non è il mio italiano letterario o l'ebreo.
Un ebreo non può più esistere senza sentire, pensare e sapere che Israele è di nuovo il Paese degli ebrei.
In altri termini, volevo esprimere dei sentimenti profondamente personali sul fatto che un ebreo non può più esistere senza sentire, pensare e sapere che Israele è di nuovo il Paese degli ebrei. Un ebreo che vive in Italia con un passaporto italiano non è un esiliato, è qui per scelta. Può in qualunque momento diventare un ebreo israeliano, cosa che può contribuire a cambiare il destino del popolo ebreo dopo 2000 anni di esilio forzato.
   Non so perché ma sento che gli israeliani sopravviveranno e prospereranno. Finiranno per diventare un Paese del Medio Oriente governato da ebrei, come altri Paesi confinanti sono governati da arabi. Alla fine troveranno un modo per vivere insieme, in pace. Non bisogna dimenticare che gli ebrei sono un popolo del deserto, che Abramo ha lasciato il suo focolare per partire nel deserto. Allora perché non torneremo alle nostre radici e alle nostre origini? Gli arabi, gli ebrei e i cristiani troveranno un "modus vivendi". Servirà del tempo, scorrerà ancora sangue e ci saranno anche delle guerre, ma sopravviveremo.
   Dovremmo essere molto fieri, d'avere un paese nostro, e dunque dovremmo sostenerlo e restare uniti. E' sempre un errore sottolineare le differenze. Dobbiamo rispettare le differenti tradizioni accumulate nei paesi della diaspora, considerarle come un'eredità e una diversità culturale. Non dobbiamo rifiutare queste differenze, ma celebrarle. Ascolta Israele, questa è la via! Ma come impegnarci quando siamo gravati di pesanti responsabilità e differenti progetti in altri Paesi. Si dice che gli ebrei sono intelligenti, che hanno prodotto grandi eruditi, filosofi, scrittori, poeti, giuristi, politici e rabbini. So che è difficile, ma bisogna lavorare insieme a trovare una via per essere uniti in quanto ebrei, fieri e senza paura. E' solo una questione di tempo prima che l'antisemitismo venga totalmente sradicato. Abbiamo la grande opportunità di diventare come gli altri popoli, con religione e tradizioni proprie. Lasciatecelo fare, ma ricordate di farlo come israeliani, perchè Israele è ancora il Paese degli ebrei.
   Dio ci benedica.

(La Stampa, 10 giugno 2010)


La nuova fobia antisemita

A colloquio con l'ambasciatore d'Israele Naor Gilon. Il libro di Giulio Meotti, il boicottaggio in occidente, il pericolo Iran e il destino del popolo ebraico. "Oggi è politicamente corretto in Europa dire io odio Israele" .

ROMA - Prima di lasciare l'incarico di inviato dell'Onu nei Territori palestinesi, Richard Falk ha incitato la comunità internazionale e le aziende a unirsi al boicottaggio d'Israele. Falk è soltanto una delle tante personalità ebraiche anti israeliane raccontate nel libro di Giulio Meotti "Ebrei contro Israele" (Salomone Belforte Editore). Ne parliamo con l'ambasciatore d'Israele in Italia, Naor Gilon. "Questo nuovo tipo di antisemitismo prende di mira la collettività ebraica d'Israele. Noi ebrei siamo da sempre animati da pluralismo e anche oggi vediamo come in Israele un ex primo ministro sia stato condannato a sette anni per corruzione. Siamo una grande democrazia. Ma quest'odio non riguarda il 1967, ma l'esistenza di Israele. E ne sono responsabili anche degli ebrei, presenti ad esempio sulla flotilla che portava solidarietà ad Hamas".
   E' la delegittimazione agli occhi dell'opinione pubblica internazionale. "Si vogliono convincere gli artisti a non esibirsi in Israele. Si vuole dipingere Israele come illegittimo, immorale, ingiusto. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha denunciato questo nuovo odio antisionista". Un nuovo, incredibile sondaggio di First International Resources, commissionato dall'Anti Defamation League, rivela che un quarto della popolazione mondiale concorda con i peggiori stereotipi antisemiti. Emblematico il caso dell'Olanda, dove soltanto il cinque per cento è d'accordo con i classici stereotipi antisemiti, ma ben il 43 per cento è fortemente anti israeliana. "L'antisemitismo è una fobia, una malattia", ci spiega l'ambasciatore Gilon. "Non puoi decifrarlo razionalmente. Sicuramente pesa la crisi economica o la presenza islamica in Europa. Ma come spiegare che in Italia estrema destra ed estrema sinistra siano unite da quest'odio per Israele? Oggi in Europa non è politicamente corretto dire io odio gli ebrei'. Ma lo è dire io odio Israele". Con il fallimento dei negoziati fra israeliani e palestinesi c'è il rischio che Gerusalemme venga messa sotto accusa negli organismi internazionali, come la Corte dell'Aia. "I palestinesi hanno la maggioranza automatica alle Nazioni Unite, dove le democrazie sono minoranza. I negoziati prevedevano che i palestinesi non aderissero alle agenzie dell'Onu. Eppure hanno violato quell'accordo. Ora però il procuratore dell'Aia, Luis Moreno Ocampo, li ha avvertiti: se vi rivolgete alla Corte sarete accusati dei lanci di missili sui civili israeliani". I negoziati sono falliti, come in passato, sull'accettazione di Israele come stato ebraico. "E' questo che significa due stati per due popoli", ci dice Gilon. "Non uno stato e mezzo. Israele deve essere riconosciuto come la patria del popolo ebraico". Teheran resta il cuore dell'instabilità mediorientale. "II presidente Rohani ha ricoperto numerosi incarichi nella Rivoluzione e nessuno crede che il regime abbia cambiato volto. Tutto è deciso dalla Guida suprema, Ali Khamenei. In occidente si teme di aver messo troppo sul piatto nei colloqui sul nucleare iraniano. Per questo il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che è meglio nessun accordo a un pessimo accordo. L'Iran deve restare lontano anni dalla costruzione della bomba atomica".
   Nel commentare il livello di giudeofobia nei paesi europei il direttore dell'Anti Defamation League, Abraham Foxman, ha detto: "Settant'anni dopo l'Olocausto ci saremmo aspettati che l'antisemitismo fosse più basso". L'ambasciatore Gilon chiude con una nota personale: "La famiglia di mia madre era tedesca da dodici generazioni. Poi, un giorno, gli dissero che non lo erano più. Non possiamo fidarci del resto del mondo. Per questo gran parte degli ebrei sa che Israele è il loro unico paese. Israele è la promessa creata nonostante l'Olocausto, non a causa dell'Olocausto. Eppure, dopo la Shoah, gli ebrei sono più sicuri grazie a Israele".

(Il Foglio, 14 maggio 2014)


Hamas insegna in tv ai bambini a «sparare a tutti gli ebrei»

In un programma per bimbi della tv di Hamas, Al-Aqsa, si invitano i piccoli palestinesi a prendere a pugni, lanciare pietre e sparare a tutti gli ebrei. Il video risale al 2 maggio.

Hamas educa alla violenza fin dalla tenera età. In una trasmissione televisiva dedicata ai bambini sulla tv di Hamas, Al-Aqsa Tv, si invitano i piccoli palestinesi a sparare a tutti gli ebrei, picchiarli e a lanciare pietre contro di loro. Il video che testimonia lo "spirito educativo" di Hamas risale al 2 maggio 2014 ed è stato ripreso dall'istituto di ricerca Palestinian Media Watch. Non è la prima volta che la tv dell'organizzazione terroristica che governa a Gaza pubblicizza l'uso della violenza contro gli ebrei in programmi tv destinati ai bambini.
Di seguito, il video e la traduzione.




- Conversazione telefonica fra Nahul l'ape e Qais, un bambino di Jenin (Cisgiordania).
Nahul l'ape, (adulto in costume): Ascolta, mio amico. Ci sono ebrei dove abiti tu?
Bambino (Qais): No. Non al momento.
Nahul: Ho sentito che vengono da te ogni giorno.
Bambino: Sì, ma non oggi.
Nahul: Ascolta, amico; fai così con le mani (mostra i pugni), e quando vengono di nuovo da te, picchiali; fagli la faccia rossa come un pomodoro.
Bambino: Inshallah, così possiamo liberare la Palestina.
Nahul: Inshallah.

- Nahul parla con la presentatrice tv, una bambina di nome Rawan
Nahul: Al mio amico Qais, Rawan, gli ho detto di prendere una pietra, e quando gli ebrei arrivano, di gettargliela addosso.
Presentatrice: Certo, i vicini ebrei.
Nahul: Per abbatterli.
Presentatrice: Se i vicini sono ebrei o sionisti? Certo…

- La bambina presentatrice Rawan parla con Tulin, un'altra bambina nello studio.
Presentatrice: Tulin, perché vuoi diventare un poliziotto? A chi ti ispiri?
Tulin: A mio zio.
Presentatrice: Quale zio?
Tulin: Ahmed.
Presentatrice: Lui è un poliziotto? Ok, e cosa fa un poliziotto?
Nahul (adulto con il costume di ape): Dà la caccia ai ladri, e alla gente che crea problemi.
Presentatrice: E spara agli ebrei. Giusto?
Bambina: Sì.
Presentatrice: Vuoi essere come lui? Inshallah, quando sarai grande.
Bambina: Così posso sparare agli ebrei.

- Nahul l'ape ride.
Presentatrice: Sparare a tutti gli ebrei? A tutti gli ebrei?
Bambina: Sì.
Presentatrice: Bene.

(Tempi, 14 maggio 2014)


La Legione ebraica

di Francesco Lucrezii

Di grande interesse è stato l'incontro, svoltosi lo scorso giovedì 8 maggio, al Palazzo Serra di Cassano di Napoli, in occasione del 100o anniversario della Prima Guerra Mondiale e del 66o anniversario dell'Indipendenza di Israele, dedicato al tema "La Legione Ebraica nella Prima Guerra Mondiale. Alle origini dello Stato di Israele" (promosso dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dall'Associazione Italia-Israele di Napoli e dal Lions club "Napoli 1799", con la partecipazione, oltre al conferenziere Stefano Magni, di Rav Scialom Bahbout, Ugo Maria Chirico, Daniele Coppin, Giuseppe Crimaldi, Luciano Minieri).
Magni ha illustrato, attraverso un'affascinante ricostruzione storica, ricca di particolari poco conosciuti, le controverse vicende politiche, militari e diplomatiche che portarono al riconoscimento ufficiale, da parte dell'Impero britannico e poi della Società delle Nazioni, dell'esigenza della nascita di quel "focolare nazionale ebraico in Palestina" che poi sarebbe diventato lo Stato di Israele.
Iniziata come un conflitto fra soli imperi europei, la Grande Guerra - come ricordato da Magni - coinvolse l'Impero Ottomano e si estese anche al Medio Oriente per una serie di eventi fortuiti. Il movimento sionista si inserì nel conflitto con un corpo combattente nell'estate del 1917: la Legione Ebraica, forte di 10mila uomini, inquadrata nell'esercito britannico, il cui obiettivo era la liberazione della Palestina dal dominio ottomano. Fu il primo corpo combattente interamente costituito da ebrei, premessa necessaria alla futura indipendenza. E di fondamentale importanza, per gli esiti del conflitto, fu la costituzione, nella stessa Palestina, nel 1917, dietro le linee ottomane, di una rete di spionaggio, costituita dai fratelli Aaron e Sarah Aaronsohn (il cd. gruppo "NILI"), che permise all'esercito britannico di acquisire le informazioni indispensabili (per esempio, riguardo alla collocazione delle rare sorgenti acquifere del deserto) per l'avanzata nel territorio sconosciuto e inospitale. Furono gli ebrei, molto più che gli arabi, a collaborare con successo alla causa dell'Intesa nel Medio Oriente. Tale contributo sembrò ottenere un riconoscimento con la famosa Dichiarazione Balfour, del 2 novembre 1917, con cui, com'è noto, il governo di Sua Maestà dichiarava il proprio sostegno alla costituzione del "focolare nazionale ebraico". Ma si trattò di una breve illusione, perché la fine della guerra pose fine ad ogni speranza: gli inglesi, ben presto, si disinteressarono della causa sionista. E, durante gli anni terribili del nazismo, centellinando i visti d'ingresso in Palestina, col famigerato 'libro bianco', abbandonarono gli ebrei d'Europa al loro destino.
Quei 30 anni intercorsi fra la fine della Grande Guerra e la proclamazione dell'indipendenza dello Stato ebraico avrebbero potuto essere evitati. E, con loro, avrebbe potuto essere risparmiata al popolo ebraico e all'umanità intera l'immane catastrofe della la Shoah, che ha, tra le sue cause, anche questo tragico errore, su cui sarebbe opportuno, ancora oggi, riflettere.

(moked, 14 maggio 2014)


Il discorso radiofonico di David Lloyd George nel 1939


Ebrei a San Marino: i documenti sono stati consegnati allo Yad Vashem

di Giovanna Bartolucci

La documentazione relativa alla presenza di rifugiati ebrei a San marino è stata consegnata alle autorità dello Yad Vashem di Gerusalemme. La cerimonia è avvenuta all'interno dell'ente nazionale per la Memoria della Shoah: oltre a preservare la memoria di ognuna delle sei milioni di vittime per mezzo dei suoi archivi, della biblioteca, della Scuola e dei musei, ha il compito di ricordare i Giusti fra le Nazioni, cioè coloro che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei. E San Marino è proprio una "piccola luce nell'oscurità europa", ha ricordato l'ambasciatore di Israele a disposizione, Yosef Gershon, consegnando il materiale conservato negli archivi nazionali e privati del Titano. Il lavoro di raccolta è stato organizzato dalla segreteria agli affari Esteri e dall'interessamento del Segretario Valentini, che Haim Gertnerm, il direttore generale dello Yad Vashem, ha ringraziato pubblicamente.

(SMTV San Marino, 13 maggio 2014)


«Suono le note scampate alla Shoah»

Francesco Lotoro è un cacciatore di partiture musicali particolari: recupera e archivia la musica composta nei Lager durante la Seconda Guerra Mondiale.

di Stefano Landi

Francesco Lotoro e Rosa Sorice
in "Kleines Wiegenlied" (piccola ninnananna)
Di giorno studia, la notte compone. Per il sonno resta il minimo indispensabile. Francesco Lotoro suona le opere rimaste chiuse dietro una sbarra, quelle che non sono sopravvissute alla storia. Dai primi campi di concentramento nazisti del '33 a quelli aperti dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
  Vent'anni di musica da riportare alla luce. Lotoro ha 48 anni e ha iniziato la sua missione 25 anni fa. Ha studiato al conservatorio di Bari, poi a Budapest e Parigi. Ma il viaggio che gli ha cambiato la vita arriva nel 1990, a Praga. Per un lavoro metodico bisognava partire da lì. Quindici giorni, poi avanti per Brno, Vienna e Berlino, altri due mesi. «Internet non esisteva ancora, per scoprire bisogna muoversi, incontrare i nipoti, le vedove dei musicisti vittime dei campi: uno per uno» racconta. Le case dei sopravvissuti sono miniere di materiale. Qualcuno collabora, ma c'è anche chi il ricordo preferisce tenerselo sullo scaffale impolverato o in fondo a un cassetto.
  «Restituisco tutto alla fine del lavoro, ma molti eredi non colgono il significato artistico di certi pezzi di carta. Spesso devo spiegare dalla A alla Z il mio lavoro. Capita spesso che mi dicano che quella cartaccia non è sopravvissuta a un trasloco». Ogni volta si torna a casa con centinaia di fogli, libri: la valigia strapiena. Un sottobosco di compositori minori scoperti tra le righe.
  «Studio ogni cosa che trovo, non sono un collezionista». Una caccia al tesoro. Manoscritti, fotocopie, scansioni, quaderni che perdono pezzi, ma anche pezzi «incisi» a carbonella su carta igienica, come la musica scritta da Rudolf Karel, prigioniero della resistenza polacca. Un'impresa decriptare la calligrafia, con il tratto largo che sfora il pentagramma. Alcuni materiali sono lacunosi. «Non parlo tante lingue, ma molte ne leggo: seguo frammenti e cerco di creare protesi». A volte si parte da registrazioni su audiocassette preistoriche. «Mi è capitato di chiamare reduci che avrebbero potuto conoscere musiche interrotte. Una signora di 90 anni mi ha cantato al telefono una melodia che mancava: l'ha ripetuta per quatto volte e il testo corrispondeva ai pezzi che avevo in mano».
  Si comincia dalla musica e dietro si scoprono storie umane, componenti sociali. Ad oggi sono più di 4 mila le opere trovate e trascritte su pentagramma. In gran parte sono finite nell'Enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae (Kz Music) che sta vendendo copie dalla Tasmania agli Stati Uniti. Ancora 13 mila quelle da decifrare. «Non tanto vendite commerciali, ma sono le università e le biblioteche ad essere interessate» spiega. Lotoro vive in affitto alle porte di Barletta in un appartamento ricavato nella zona industriale in un ex fabbrica di coni gelato. Lui e la moglie sono gli unici due ebrei sui 100 mila abitanti della città. La casa è travolta dall'archivio. «Alcuni ricercatori dall'estero mi chiedono di venire per studiare il lavoro, ma qui non c'è spazio, ci sto a malapena io: sogno di trovare un istituto che sia aperto alla gente, a Barletta ci sarebbe la casa natale del direttore d'orchestra Carlo Maria Giulini». Di soldi ne girano pochi. Tutto autogestito.
  «La casa discografica mi ha dato una mano quando ero sommerso dai debiti. Arriva qualche donazione dall'America, ma non ho nemmeno il tempo di pensare a come farmi sovvenzionare il progetto» racconta. E di soldi ne servirebbero. Perché ormai il materiale arriva ogni settimana, dalla Danimarca all'Argentina. Gli antiquari furbi sanno vendere i pezzi pregiati. Qualche concerto in giro. Lotoro è stato a Praga, Roma, Tirana, Atlanta come spesso al conservatorio di Foggia dove insegna e si guadagna lo stipendio con cui manda avanti il progetto. È appena tornato dall'ennesimo giro del mondo: Israele, Strasburgo dove ha parlato al Consiglio d'Europa e Canada, dove ha ritrovato opere scritte nel campo di internamento canadese di Petawawa.
  «Prima di partire per Montreal ho incontrato Jack Garfein, regista e produttore di Ben Gazzara e Arthur Miller. A 13 anni ad Auschwitz si salvò per un incrocio di destini: per 70 anni ha conservato nella mente una melodia in lingua yiddish che uno dei 612 ragazzi deportati con lui creò nel lager. Era a Trani per un film, ha voluto incontrarmi per cantare quella canzone che ho fissato al pentagramma». Lo sconforto monta spesso. Per questo progetto ha sacrificato tutto se stesso. La moglie Grazia gli dedica il tempo che avanza dal lavoro alle Poste per riordinare un archivio sterminato. «Questa musica appartiene all'umanità: mi deprime il disinteresse della gente, ma i musicisti è difficile che mollino». Così a volte sembra di nuotare nell'aria. «Vivo per il sogno di vedere un giorno questa ricerca finita e sapere che in futuro questa musica verrà suonata».

(Corriere della Sera, 13 maggio 2014)


Una persona su quattro, nel mondo, è d'accordo con gli stereotipi contro gli ebrei

L'antisemitismo è diffuso ovunque, secondo un sondaggio condotto per l'Anti-Defamation League in 101 Paesi più i territori palestinesi.

L'antisemitismo è un problema globale. E' quello che emerge da un sondaggio in tutto il mondo sponsorizzato dall'Anti-Defamation League, visto che circa un quarto della popolazione considera "probabilmente veri" alcuni stereotipi sugli ebrei. Dal sondaggio che sarà pubblicato in giornata, di cui parla in anteprima il Wall Street Journal, emerge che il 26% degli intervistati in 101 Paesi più i territori palestinesi sostiene la correttezza di almeno sei giudizi negativi sugli ebrei, tra cui quello secondo cui "sono più fedeli a Israele che alla loro patria" e che "hanno troppo potere nel mondo degli affari".
L'organizzazione che si batte contro l'antisemitismo e i pregiudizi ha incaricato First International Resources di condurre il sondaggio, che ha coinvolto 53.100 persone che parlano 96 lingue, considerato il più esteso mai fatto sull'antisemitismo. I risultati mostrano, secondo il direttore della Anti-Defamation League, Abraham Foxman, che l'antisemitismo è ancora molto diffuso e che gli unici a ricevere un giudizio peggiore sono i musulmani: mentre il 38% degli intervistati vede favorevolmente gli ebrei e il 21% sfavorevolmente, per i musulmani le percentuali sono rispettivamente del 47% e 24 per cento; i cristiani, invece, hanno un 62% di giudizi favorevoli e un 15% di giudizi sfavorevoli.
   I Paesi del Medio Oriente e dell'Africa, che in generale hanno sempre avuto rapporti difficili con Israele, sono quelli dove si registra il tasso più alto di giudizi antisemiti, intorno al 74 per cento. Al di fuori di queste aree, il Paese dove c'è la percentuale più alta di consensi per gli stereotipi sugli ebrei è la Grecia, con il 69%, dato che dimostra come l'antisemitismo tenda a crescere nelle difficoltà economiche. Negli Stati Uniti, invece, solo il 9% si è detto d'accordo con almeno sei degli undici pregiudizi proposti; il Paese però dove si è registrata la percentuale più bassa è il Laos, con lo 0,2% degli intervistati che ha mostrato di avere un'opinione non positiva degli ebrei. Com'era prevedibile, i giudizi contro gli ebrei sono più popolari nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, dove il 93% delle persone ha detto di condividerli, seguiti dall'Iraq con il 92 per cento.
   Il sondaggio, però, non ha trovato una correlazione tra l'antisemitismo e l'antisionismo, ovvero l'opposizione allo Stato d'Israele. Anche se molti leader ebrei affermano che solo l'antisemitismo può spiegare la durezza degli attacchi contro Israele, molti oppositori delle politiche di Israele respingono l'assioma che le critiche al Paese riflettano il pregiudizio nei confronti degli ebrei. In Olanda, per esempio, il 43% della popolazione ha un approccio negativo nei confronti di Israele, ma solo il 5% considera reali almeno sei pregiudizi su cui è stato interpellato.
Il motivo è semplice: dirsi antisemiti oggi è immorale, mentre dirsi antisionisti è segno di una più elevata moralità.
Preoccupante è che il 35% degli intervistati non abbia mai sentito parlare dell'Olocausto, in particolare i giovani; il 66%, in tutto, non ne ha sentito parlare o non crede che le ricostruzioni storiche siano accurate.

(america24, 13 maggio 2014)


Verona - Imbrattata con una svastica la sede degli ex Deportati

  
VERONA — «Alla nostra età, con quello che abbiamo passato nella nostra vita, quello che ti accade cerchi di annullarlo… Perché ti fa rabbrividire…». Avrebbe dovuto vedere i suoi occhi ieri mattina, chi ha vergato quella svastica. E tramite i suoi occhi, avrebbe dovuto vedere cos'era un campo di concentramento. E forse quella runa che è diventata il simbolo di un eccidio, non l'avrebbe segnata. Sono stati i suoi i primi occhi a vederla ieri mattina. Quegli occhi che per cinque mesi, quando lui aveva vent'anni, hanno visto il male assoluto, quello di uno dei tanti campi di sterminio nazisti. Il suo era quello di Flossenburg. «Quando l'ho vista mi veniva qualche cosa… Qualche cosa che non posso neanche dire…». S'incrina la voce, a Gino Spiazzi. E far incrinare la voce a uno come lui non è facile. Ci è riuscito chi ha vergato quella svastica. Quella che Spiazzi ha trovato a ricoprire l'insegna della sezione veronese dell'Aned, l'associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, in via Arnolfo di Cambio 17. E' il presidente, Gino Spiazzi. E ieri davanti a quella croce uncinata nera il passato è tornato. «Voi non vi rendete conto, di quello che è stato un mondo fuori dal mondo…».
  No, nessunopuò rendersene conto. E meno che meno lo fa chi vorrebbe lapidare la memoria a furia di svastiche. Sul posto è arrivata la Digos. Sono appena 5 mesi che la sede dell'Anpi è in quella strada, a ridosso dello stadio. Per anni è stata in corso Porta Palio, incastrata tra le caserme. E non era mai successo nulla. Fino a ieri mattina. E' aperta due mattina alla settimana, la sede dell'Aned. Il lunedì e il martedì. Ma negli altri giorni sono vari gli iscritti che la frequentano. Da una prima ricostruzione quello sfregio potrebbe essere stato fatto tra venerdì sera e domenica notte. Oltre alla svastica, sono stati cancellati, sempre con dello spray nero anche gli orari d'apertura. In quella strada i residenti lamentano continue aggressioni a ridosso delle partite. «Vetri rotti, scritte sulle auto e sui muri sono una costante», dice chi ci abita. Che di simbolismi nazi-fascisti ormai è diventato esperto, a furia di vederli replicare su ogni superficie disponibile della via. La polizia ha avviato un'indagine e verranno vagliati i filmati delle telecamere della zona, per cercare di individuare i responsabili. E dopo gli sfregi al cimitero ebraico e alla sinagoga, adesso tocca a chi ha conosciuto l'orrore dello sterminio. «Quest'ennesima azione di stampo nazista desta grande preoccupazione negli ex deportati veronesi - viene detto in un comunicato dell'Aned - , perché non è la prima volta che in città appaiono simili scritte riportano simboli analoghi a quelli di gruppi di destra eversivi. Così come ci preoccupa la minimizzazione di simili episodi avvenuti in città, attribuiti a "quattro idioti": a Verona i conti con il fascismo e il nazismo, purtroppo, non sono ancora definitivamente chiusi. Anzi aggressioni, intimidazioni, dichiarazioni e manifestazioni fasciste e squadriste non hanno ricevuto la necessaria e unanime condanna».
  «Più di qualche volta - racconta Tiziana Valpiana, vicepresidente della sezione scaligera - mi sono chiusa dentro quando era da sola in sede. Soprattutto in concomitanza con le partite quella zona diventa pericolosa, frequentata da loschi figuri...». E a lui, al presidente Spiazzi, l'ex deportato Gino Spiazzi, ieri montava soprattutto l'amarezza. «Non è una svastica e via. E' un problema che da affrontato seriamente. Da tutti, nessuno escluso. Da una politica che è sempre in fibrillazione, ma non risolve nulla. Dagli insegnanti che non fanno memoria... E come ci si può stupire se i giovani si disinteressano o, peggio, prendono derive estremiste? ». Quelle che fioriscono si muri della città. Ma anche in vari episodi di violenza intollerante. «L'azione - fa sapere l'Aned è tanto più odiosa perchè prende di mira chi ha già atrocemente sofferto a causa dell'ideologia nazista e fascista. Solo a Verona e provincia oltre 300 persone che si sono volute cancellare nei forni crematori e nelle camere a gas e i cui nomi e la cui memoria questa associazione intende tenere costantemente in vita ». Nonostante i rigurgiti di svastiche e i conati nostalgici di un passato sconfitto dalla storia.

(Corriere del Veneto, 13 maggio 2014)


Turchia: importanza della posizione di Gerusalemme per la pace in Medio Oriente

Il 12 maggio, il ministro degli Esteri turco Ahmet Davuto?lu ha affermato che se non si risolverà il problema della posizione di Gerusalemme, in Medio Oriente non si potrà raggiungere una situazione pacifica.
Nel corso della "Conferenza internazionale su Gerusalemme" tenutasi lo stesso giorno ad Ankara, capitale turca, Ahmet Davuto?lu ha osservato che se il problema della posizione di Gerusalemme non verrà risolto, in Medio Oriente non sarà possibile raggiungere la pace. Egli ha ribadito che Gerusalemme è territorio palestinese e che la Turchia sostiene la Palestina affinché diventi membro ufficiale dell'Onu.
Infine, durante la conferenza, Ahmet Davuto?lu ha invitato la comunità internazionale a rafforzare l' assistenza umanitaria nei confronti della Palestina.

(CRI online, 12 maggio 2014)


"... Gerusalemme è territorio palestinese". Il dato biblico è ancora una volta confermato: Gerusalemme è il punto centrale della politica mondiale. Le nazioni pretendono la gestione della città che Dio fin dall'inizio ha destinato al suo popolo Israele. Andranno avanti, fino allo scontro finale. E ne avranno la peggio. M.C.


Oracolo, parola dell'Eterno, riguardo a Israele. Così parla l'Eterno che ha disteso i cieli e fondata la terra, e che ha formato lo spirito dell'uomo dentro di lui: «Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa di stordimento per tutti i popoli all'intorno; e questo concernerà anche Giuda, quando si cingerà d'assedio Gerusalemme. E in quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti, e tutte le nazioni della terra s'aduneranno contro di lei. In quel giorno, dice l'Eterno, io colpirò di smarrimento tutti i cavalli, e di delirio quelli che li montano; io aprirò i miei occhi sulla casa di Giuda, ma colpirò di cecità tutti i cavalli dei popoli. E i capi di Giuda diranno in cuor loro: 'Gli abitanti di Gerusalemme sono la mia forza nell'Eterno degli eserciti, loro Dio'. In quel giorno, io renderò i capi di Giuda come un braciere ardente in mezzo alla legna, come una torcia accesa in mezzo ai covoni; essi divoreranno a destra e a sinistra tutti i popoli d'ogn'intorno; e Gerusalemme sarà ancora abitata nel suo proprio luogo, a Gerusalemme».
(Dal libro del profeta Zaccaria, cap. 12)







 

Ebrei ultraortodossi manifestano al cenacolo

Alcune centinaia di ebrei ultraortodossi si sono riuniti vicino al cenacolo a Gerusalemme per chiedere che venga mantenuta la sovranità israeliana su questo luogo in cui Papa Francesco celebrerà la messa tra meno di due settimane. Là dove i cristiani ricordano l'ultima cena di Gesù, gli ebrei venerano la Tomba del Re David.

Sul cartello: «Peres, Bibì! la tomba di David Re d'Israele NON È IN VENDITA!!!»
"Nel momento in cui si toccasse lo status quo di questo luogo, avverranno cose nefaste", ha avvertito il rabbino Avraham Goldstein, accusando il governo israeliano di voler restituire il cenacolo al Vaticano.
Il luogo fa parte di un negoziato tra Israele e la Santa Sede, più interessata ad avere la gestione che la proprietà. Il 30 aprile del 2013 il presidente israeliano Shimon Peres, nel corso di una sua visita in Vaticano, disse che sulla controversia il 99% delle questioni era stato risolto,
Circa vent’anni fa, quando gli accordi di Oslo stavano per essere conclusi, Shimon Peres disse qualcosa dello stesso tipo: “Ormai la pace è fatta: è soltanto una questione di pochi confini tra villaggi”.
ma nessun accordo è mai stato ufficializzato. I manifestanti hanno indetto una nuova protesta per il 22 maggio, tre giorni prima dell'arrivo del Papa.

(Giornale del popolo, 13 maggio 2014)


Concorsi oleari: riparte TerraOlivo 2014 Jerusalem

Il concorso, che si terrà alle pendici del Monte degli Ulivi della città Santa di Gerusalemme nel periodo 16/18 giugno 2014, sarò curato anche quest'anno dalla collaudatissima squadra guidata da Raul Castellani (Argentina), Antonio G. Lauro (Italia) e Moshe A. Spak (Israele).

Nonostante le origini dell'olivo siano tuttora oggetto di dibattito tra gli studiosi di tutto il mondo, fonti storiche, reperti archeologici e recenti studi, tra cui il ritrovamento di frantoi primitivi in Siria ed in Israele che confermano l'utilizzo dei frutti dell'olivo fin dal 5000 a.C., hanno evidenziato come la culla dell'olivicoltura sia stata, originariamente, l'area caucasica comprendente l'odierna Turchia orientale, l'Iran occidentale, il Libano, il nord Israele, la Siria ed il nord Iraq....

(Teatro Naturale, 13 maggio 2014)


Basket - Maccabi Tel Aviv in semifinale e pronto per la F4 di Milano

di Alessio Teresi

Il Maccabi Tel Aviv si qualifica per le semifinali del campionato israeliano battendo in trasferta l'Hapoel Gilboa Galil 65-94 e chiudendo la serie sul 3-1.
Protagonista della serata Alex Tyus autore di 18 punti e 7 rimbalzi, 13 punti anche per Hickman e Smith(+11 rimbalzi)e 11 della coppia Rice e Ohayon.
Gli uomini di Blatt attendono ora la vincente dello scontro tra Hapoel Tel Aviv e Hapoel Eilat, ma soprattutto possono volare tranquilli a Milano per giocarsi venerdi pomeriggio la semifinale contro il Cska che aprirà la Final Four di Eurolega di Milano.

(All Around, 12 maggio 2014)


Oltremare - Sde Dov
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Sde Dov pare tutto meno che un aeroporto. Più simile a un magazzino che per strani motivi ha una sala d'attesa. O al cortile di una scuola elementare all'ora del ricevimento genitori. Bambini sovraeccitati scorrazzano con israeliana anarchia e decisamente senza scarpe, madri tirano fuori da borsoni a tracolla dei passeggini ogni genere di mercanzia alimentare e non, padri infastiditi dal concetto stesso di attesa parlano al cellulare o comperano ai bambini ghiaccioli nell'unico bar, grande quanto uno stanzino per le scope ma superaccessoriato di caramelle e cioccolatini. Il caffè è pessimo, ma a me Sde Dov piace moltissimo. È la faccia stessa di questo paese: piccolo e stracolmo, sempre in movimento anche se si tratta di prendere un aereino piccolo piccolo e farsi lanciare da una fionda gigante fino a Eilat. Il top della libertà, da queste parti: volare, ma non lasciare il paese. Per "Dov" si intende Dov Hoz, pioniere dell'aviazione israeliana, cognato del Moshè Sharett che fu poi il secondo Primo Ministro d'Israele. I due facevano parte di una non sempre allegra combriccola di telavivesi che incrociò le proprie vite negli anni Venti e Trenta, anni di piccole unità clandestine poi confluite nell'esercito regolare dopo il '48, compravendite di terre con arabi inturbantati, costruzioni di piccole villette mono o bifamiliari che oggi stanno facendo la fortuna di restauratori o di costruttori di grattacieli. Gli aeroporti sono di solito luoghi remoti, cui si arriva per lunghi rettilinei autostradali. Non Sde Dov: stando in spiaggia a Tel Aviv si è a poche centinaia di metri dalla pista di atterraggio, che si allunga di poco oltre la fine del Namal, il porto subito a nord del centro città. Il mistero che si portano dietro gli aerei in decollo o atterraggio, lo si può osservare stando placidamente sdraiati in costume da bagno, sempre che i bambini di accompagnamento non piantino la grana che loro, gli aerei, vogliono vederli proprio toccare il suolo. E allora via, passeggiata di dieci minuti oltre il faro, e effettaccio assicurato.

(moked, 12 maggio 2014)


Sde Dov


Individuato da scienziati israeliani un gruppo di geni legati alla sindrome di Prader-Wi

WASHINGTON - Un team di scienziati della The Hebrew University di Gerusalemme, Israele, ha individuato un gruppo di geni legati alla sindrome di Prader-Willi (Pws), un raro disordine che include disabilita' cognitive e obesita'. La ricerca e' stata pubblicata sulla rivista Nature Genetics. Lo studio potrebbe aiutare a far luce sulle cause di questa malattia. La sindrome di Prader-Willi si verifica quando un gruppo di geni che si trovano sulla copia del cromosoma 15 ereditato dal padre vengono silenziati. Nissim Benvenisty e colleghi hanno usato cellule staminali create da pazienti con la sindrome di Prader-Willi per scoprire perche' i geni paterni silenziati sono cosi' importanti. I risultati delle indagini hanno mostrato che un piccolo gene chiamato IPW e' necessario per il corretto funzionamento di un gruppo di geni su un cromosoma interamente differente. Inoltre, gli scienziati hanno anche scoperto che questi geni sono attivi solo sulla copia del cromosoma ereditata dalla madre.

(AGI salute, 12 maggio 2014)


Giappone e Israele contro la minaccia nucleare di Nordcorea e Iran

Il premier Netanyau a Tokyo, con Abe discute di Medio Oriente

TOKYO - Due Paesi, Giappone e Israele, accomunati dalla presenza di due vicini ingombranti come Corea del Nord e Iran, sospettati di progettare l'arma nucleare. La minaccia atomica è uno degli argomenti al centro dei colloqui bilaterali tra i primi ministri Shinzo Abe e Benjamin Netanyau a Tokyo, durante la visita di cinque giorni del premier israeliano nel Paese asiatico. "Avete definito lo sviluppo di armi nucleari e missili balistici da parte della Corea del Nord un pericolo reale e presente e io condivido del tutto la vostra posizione" dice Netanyau rivolto al collega, ribadendo poi l'opinione sulla minaccia iraniana."Non possiamo permettere che gli ayatollah vincano, non possiamo permettere che il primo Stato terrorista del mondo possa fabbricare armi nucleari: sarebbe un grave pericolo per la pace nel mondo e non dobbiamo permettere che accada". Tra i temi sul tavolo degli incontri la delicata questione palestinese: in un comunicato congiunto si sottolinea la necessità di una soluzione dei due Stati per assicurare stabilità e prosperità al Medio Oriente."La ripresa recente dei colloqui di pace interrotti creerà benefici per entrambe le parti - ha ribadito Abe - c'è bisogno del massimo autocontrollo, per non prendere decisioni unilaterali come i nuovi insediamenti, che siano da impedimento ai negoziati. Il Giappone continuerà a giocare un ruolo attivo nel sostenere la soluzione dei due Stati che porti a una coesistenza pacifica di entrambe le parti". I due premier hanno confermato la necessità di cooperare nel campo della cyber security e della difesa.

(TMNews, 12 maggio 2014)


La natura come terapia psicoanalitica: confronto Israele-Italia

L'orticoltura utilizzata come mezzo professionale in programmi di terapia e riabilitazione

di Gianni Avvantaggiato

Linda Salomon utilizza la terapia orticolturale con bambini israeliani in età scolare
È quella voglia, quel desiderio, che tutti noi abbiamo, di scappare dalla città e tornare a vivere nei campi. È la predisposizione biologica, come diceva già l'etologo Konrad Lorenz, Premio Nobel per la medicina, a ricercare il contatto con la natura. È la biofilia: una sensazione innata negli esseri umani, che all'uomo procura benessere emotivo e fisico, lo fa sentire a proprio agio.
  Secondo Linda Salomon, responsabile del programma di terapia orticolturale al Kibbutzim College of Education in Israele, l'orticoltura - il giardinaggio utilizzato come mezzo professionale in programmi di terapia e riabilitazione - è un potente strumento terapeutico, che punta sull'istintiva attrazione dell'essere umano per la natura - la biofilia, appunto -, per aiutare le persone a migliorare il loro benessere, fisico e mentale. La terapia orticolturale può essere usata in psicanalisi per alleviare dolore e sofferenza in momenti di crisi, lavorare sui conflitti della persona e favorire la crescita interiore.
  Nella Terra di Davide, il giardinaggio era usato empiricamente nell'approccio terapeutico ma il 1998 è una data importante per la medicina frontaliera perché viene fondata la Israeli Horticultural Therapy Association e nello stesso anno l'associazione ambientalista The Council For A Beautiful Israel - associazione senza scopo di lucro fondata nel 1968 dal Ministero degli Interni Israeliano - decide di sostenere la realizzazione di un giardino terapeutico in un ospedale, raccogliendo soldi destinati allo specifico progetto. Il giardino terapeutico fu un grande successo e attirò l'attenzione dei media, tanto da portare alla fondazione della IHTA e a conferenze e momenti di scambio tra professionisti.
  E proprio nei giorni scorsi, a Roma capitale, si è svolta una giornata di studio e di scambio di esperienze tra specialisti italiani ed israeliani che, in ambiti diversi, hanno sviluppato competenze specifiche
 
Bambini israeliani in terapia orticolturale
nell'applicazione dell'orticoltura al trattamento e alla riabilitazione di disabilità fisiche, psichiche e cognitive. L'incontro si è svolto venerdì 9 maggio scorso, in occasione delle celebrazioni di Yom Ha-Hazmaut 5774 (il 6 maggio si celebra l'indipendenza dello Stato d'Israele).
  Il convegno dal tema "La terapia orticulturale nella riabilitazione psichiatrica in Italia e in Israele: esperienze a confronto", è stato presentato da Beautiful Israel Italia, in collaborazione con la Cattedra di Psichiatria dell'Università di Roma Tor Vergata e con il patrocinio dell'Ambasciata d'Israele in Italia.
  Insieme con Linda Salomon è intervenuto Alberto Sonnino, psichiatra-psicoanalista della società psicoanalitica italiana. Erano presenti anche Merav Nir marketing manager di Beautiful Israel e Patricia Teitelbaum, presidente del Beautiful Israel in Belgio
  Salomon ha spiegato di aver utilizzato la terapia con bambini israeliani in età scolare le cui famiglie sono state evacuate dalle loro case all'epoca del ritiro da Gaza. I bambini - ha spiegato la scienziata - sono stati
I bambini sono stati aiutati a trovare un nuovo equilibrio grazie al lavoro con la terra, all'opportunità di seminare, piantare e (simbolicamente) mettere "nuove radici" nel giardino della scuola
aiutati a trovare un nuovo equilibrio grazie al lavoro con la terra, all'opportunità di seminare, piantare e (simbolicamente) mettere "nuove radici" nel giardino della scuola. Esperienza che poi hanno trasferito nelle loro abitazioni. Salomon ha anche lavorato con i figli degli immigrati clandestini, dei rifugiati e dei Palestinesi che vivono a Tel Aviv. E la terapia è stata adottata nelle scuole per aiutare i ragazzi ebrei di origine etiope (i nuovi immigrati in Israele), a integrarsi socialmente con gli altri bambini.
  Sonnino, invece, ha annunciato il progetto "Il Giardino della Mente" curato dalla Cattedra di Psichiatria di Tor Vergata, diretta da Alberto Siracusano. Un luogo sia mentale sia fisico all'interno degli spazi dell'università che sarà inaugurato dopo l'estate 2014, dedicato ad attività finalizzate alla riabilitazione di gruppo.
  Il Giardino della Mente si avvarrà delle professionalità di medici psichiatrici, tecnici della riabilitazione psichiatrica, psicologi, botanici e sarà inserito nel programma del corso di laurea triennale in Tecnica della riabilitazione psichiatrica.

(Ambient&Ambienti, 12 maggio 2014)


Un schifo morale, non terrorismo

Molte famiglie ebree sarebbero ben felici di riportare in vita i loro cari uccisi in attentati terroristici in cambio di qualche graffito offensivo sui muri delle loro case.

Gli attacchi comunemente noti in Israele con una locuzione grossomodo traducibile come "fargliela pagare" sono uno schifo morale e sono contro ogni valore ebraico. Gli autori di queste azioni si pongono al di sopra della legge, ledono persone innocenti, trascinano segmenti pacifici di una minoranza dell'opinione pubblica nella spirale dell'odio e del conflitto, gettano benzina sul fuoco della discordia tra ebrei e musulmani. Gli attacchi della serie "fargliela pagare" fanno il gioco dei nemici di Israele, in patria e all'estero, e rafforzano le tesi di chi demonizza Israele. Sono azioni che hanno la capacità potenziale di ampliare le dimensioni del terrorismo anti-ebraico e anti-israeliano, sia all'interno di Israele che in altri paesi, e di convincere ad aderirvi persone che di per sé se ne starebbero ai margini del conflitto....

(israele.net, 12 maggio 2014)


La Terra promessa delle startup

Dal biotech alla sicurezza ogni anno in Israele nascono 800 imprese

di Enrico Netti
  

In Israele la partita dell'innovazione si gioca a tutto campo. Non a caso, puntando su formazione, hi-tech, venture capitale tante idee da far germogliare, il Paese è al secondo posto dopo gli Stati Uniti per numero di start up. Un ecosistema unico dove si concentrano, in base alle ultime rilevazioni del centro di ricerca Ivc,oltre 11mila tra start up, incubatori, fondi di private equity e venture capital (anche esteri), business angel. Oggi le start up attive sono oltre 5mila, quasi raddoppiate rispetto al 2009 (erano 2.800), e ogni anno in media nascono 800 nuove iniziative imprenditoriali. La linfa vitale arriva copiosa da idee ed elevati livelli di istruzione della popolazione, ma soprattuno da consistenti risorse finanziarie, private e pubbliche, messe a disposizione dei neoimprenditori. E anche laddove questi sostegni non siano immediatamente frubili, a far germogliare una nuova impresa innovativa ci pensa il denaro prestato da parenti e amici, a cui si aggiungono, in un secondo momento, il venture capital e i finanziamenti forniti dallo Stato. E che il fermento imprenditoriale sia diffuso lo confermano eventi come il Tau innovation day, che domani si svolgerà presso il Dipartimento di imprenditoria dell'Università di Tel Aviv, con oltre 40 startup che si presenteranno a investitori, imprenditori e potenziali partner. La prossima settimana, poi, sarà la volta dell'Israel innovation conference (MiXiii): tre giorni tutti dedicati all'hi-tech e al biomedicale, due settori strategici per il Paese.
   «Israele è un modello unico, grazie al supporto che il Governo offre all'innovazione - spiega Astorre Modena, managing partner di Terra Venture partner, fondo che punta sulle energie pulite e rinnovabili .Sono stati varati programmi a supporto della ricerca dove, a fronte di un investimento di 100mila dollari di capitale di rischio nella start up si aggiungono fmo a 500mila dollari dello Stato. Non c'è nulla di così vantaggioso e questo modello attrae investitori da tutto il mondo».
   I fondi pubblici mettono a disposizione circa 375 milioni di dollari l'anno, in grado da soli di dar vita a centinaia di startup. Lo Stato individua pure le aree strategiche (dal biotech alle nanotecnologie, dalla sicurezza all'energia e alle scienze della vita) e i programmi approvati ricevono per la Ricerca & sviluppo una quota di finanziamenti tra il 20 e il 50 percento. I venture capitalist, dal canto loro, arrivano a supportare tra il 30 e il 50% del capitale.
   In Israele scommettere sulle nuove idee imprenditoriali non è inusuale. È la strategia seguita da Jonathan Pacifici, general partner di Wadiventures, un acceleratore d'impresa che nel primo anno di attività ha raccolto tre milioni di dollari e investito in 15 società. «Non forniamo molta liquidità, circa 50 o 100mila dollari per una quota tra il 7 e il 10% della nuova società - precisa Pacifici -. L'aspetto fondamentale è che assistiamo e supportiamo il fondatore nelle decisioni più importanti, aiutandolo inoltre a presentare la sua idea sul mercato europeo, grazie ai rapporti che abbiamo con investitori, banche e società di telecomunicazioni». Le proposte non mancano: ogni giorno Pacifici e Modena ricevono due o tre progetti, anche se non tutti superano il primo esame.
   Ma chi non riesce ad attingere al capitale di rischio non si perde d'animo e, spesso, fa ricorso alle risorse, finanziarie e non, di familiari, amici e amici di amici, oppure a fondi esteri, come raccontano alcuni startupper incontrati a Tel Aviv dal Sole 24 Ore. Danny Weissberg, Ceo e cofondatore di Voiceitt (sviluppo di una app che in tempo reale "elabora" le parole pronunciate da persone con gravi deficit traducendole in frasi comprensibili), ha ricevuto fondi dagli Usa e dal Governo. Sono stati invece degli investitori polacchi che, insieme a un gruppo di amici, hanno supportato i primi passi di Biovo, fondata da Elad Einav e Oron Zachar, che sta ultimando un dispositivo biomedicale per pazienti soggetti a ventilazione meccanica.
   «In Israele l'innovazione è nel Dna delle persone» ricorda Moshe Mamrud, presidente e Ceo del Gruppo Tadiran (energia, climatizzazione ed elettrodomestici), che qualche mese fa ha personalmente investito alcuni milioni di dollari in una startup Usa impegnata sul fronte delle soluzioni per il risparmio energetico degli edifici. II suo è un continuo scouting e dopo una lunga ricerca ha incontrato Domenico Catanese, fondatore di Prima Vera, azienda milanese con know how e competenze nell'efiìcientamento energetico. Una sinergia che il prossimo 20 maggio sfocierà nella costituzione a Tel Aviv di una società che parteciperà a una gara per l'ottimizzazione e la fornitura del fabbisogno energetico di 11 ospedali del Paese (si veda II Sole 24 Ore del 17 febbraio 2014).
   Investire nell'innovazione in Israele si rivela un buon affare anche quando gli attori e i numeri in gioco sono grandi. Due settimane fa Intel, per l'impianto di Kiryat Gat, ha annunciato un piano di nuovi investimenti da 6 miliardi. Una decisione che secondo il ministro delle Finanze israeliano, Yair Lapid, porterà alla creazione di migliaia di posti di lavoro diretti e a decine di migliaia di nuovi occupati nell'indotto.

(Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2014)


Qualcomm offre 300 mllioni di dollari per i chip dell'israeliana Wilocity

Qualcomm è in trattativa avanzata per rilevare il produttore di chip israeliano Wilocity, secondo quanto riporta il sito finanziario TheMarker. Il colosso Usa avrebbe offerto una cifra intorno a 300 milioni di dollari, ma le parti non avrebbero ancora trovato un accordo. Qualcomm è già azionista di Wilocity, azienda fondata nel 2007 e specializzata nella produzione di chipset wireless che permettono trasferimenti di dati a elevata velocità.

(La Stampa, 12 maggio 2014)


Questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri, e non facciamo come Caino, che era dal maligno, e uccise il suo fratello. E perché l'uccise? Perché le sue opere erano malvage, e quelle di suo fratello erano giuste. Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in sé. Da questo abbiamo conosciuto l'amore: che Egli ha dato la sua vita per noi; noi pure dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se uno ha dei beni di questo mondo, e vede il suo fratello nel bisogno, e gli chiude le proprie viscere, come dimora l'amor di Dio in lui? Figlioli, non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e in verità. Da questo conosceremo che siamo della verità e renderemo sicuri i nostri cuori dinanzi a Lui.

Dalla prima lettera dell'apostololo Giovanni, cap. 3







 

II segno degli ebrei alla guerra di Spagna

di Furio Colombo

Si deve a Gianfranco Moscati, studioso e collezionista di vicende ebraiche contemporanee, un piccolo libro con molti inaspettati e quasi ignoti documenti sulla partecipazione di volontari ebrei nelle brigate internazionali che si sono battute contro l'insurrezione fascista di Francisco Franco nella "guerra di Spagna". I Volontari ebrei combattenti nella guerra civile spagnola e la compagnia Botwin è il volume di appena 55 pagine (con moltissimi documenti), che "La Collezione Granfranco Moscati" ha appena pubblicato, a cura del medico e storico torinese Gustavo Ottolenghi, già autore di Storia postale dell'antisemitismo nazista e di Racconti ebraici.
  Dal momento che la rivolta militare e fascista contro la Spagna repubblicana appare ormai con chiarezza come il debutto militare del nazismo e del fascismo, nella storia europea, non avrei più usato il termine "guerra civile". Come hanno ricordato a lungo i reduci di una parte e dell'altra di quella guerra sanguinosa, spietata e profetica, ciò che è accaduto in Spagna e che ha bloccato per decenni quel Paese congelato dal franchismo, è la prima crudelissima parte della seconda guerra mondiale, e prefigura tutto citi che stava per accadere. Della Compagnia Botwin, (che prende il nome da un giovane sindacalista polacco condannato a morte negli anni Venti) sappiamo adesso dal libro che ha avuto sette comandanti, tutti morti in combattimento in un solo anno (1938), che ha avuto un organico di 160 uomini, e ne ha persi 66 in combattimento. È vero, la partecipazione ebrea alla guerra di Spagna è stata molto più alta, 7.760 volontari su 35 mila delle Brigate Internazionali. Ma la Compagnia Botwin aveva la sua bandiera con la scritta del nome in ebraico, il suo inno, in yddish. E un giornale (con titoli in ebraico) che riuscirono a pubblicare per oltre un anno. Un cippo ricorda la Compagnia del parco di Barcellona. Ma, fanno notare Moscati e Ottolenghi, non è materia che si studi nelle scuole o a cui siano stati dedicati capitoli nei tanti testi sulla guerra di Spagna.
  Eppure cosi pochi uomini lasciarono un segno in alcuni eventi indimenticabili: sono combattenti della Compagnia Botwin molti dei miliziani che appaiono nelle celebri fotografie di Robert Capa e Gera Taro. E fu Irving Groff, l'uomo che condusse l'attacco al ponte sul Guadalquivir, a ispirare a Hemingway la figura del protagonista in Per chi suona la campana. Ma se avrete fra le mani questo piccolo libro, leggete le didascalie sotto le fotografie dei comandanti e dei combattenti ebrei in Spagna. Coloro che non sono morti in Spagna (i più fucilati dai franchisti) e sono riusciti a fuggire in Francia, sono stati internati dai francesi e poi consegnati ai nazisti e fmiti nei campi di sterminio. Altri sono caduti nella Resistenza. Altri ancora, vi dice lo studio e la ricerca di Ottolenghi, sono morti combattendo nel ghetto di Varsavia, e nella Resistenza europea. Tutto ciò spiega, credo, l'importanza della pubblicazione.

(il Fatto Quotidiano, 12 maggio 2014)


Dreyfus, processo da thriller

Robert Harris parla al Salone del Libro di Torino del suo "L'ufficiale e la spia", racconto del caso che scosse la Francia dell'800. All'analisi storica l'autore unisce un'atmosfera da suspence sul ruolo svolto dal colonnello Georges Picquart. Un testo attuale che fa riflettere sugli scandali di oggi e sul potere dei media. L'immediatezza delle notizie del tempo e il confronto con la velocità di Internet, il rimando al fenomeno Wikileaks.

di Renato Minore

Robert Harris
Ad ascoltare le arringhe di accusa e difesa e i moltissimi testimoni, a registrare ogni minima emozione dell'imputato, in quell'aula di Rennes c'erano trecento giornalisti. Dice Robert Harris: «La Francia aveva messo in piedi un vero press-center, i servizi erano inoltrati subito in America, dove il New York Times scriveva lunghi pezzi». Un processo costruito anche come una gran macchina spettacolare quello ad Alfred Dreyfus, accusato di aver passato ai tedeschi informazioni militari segrete. Gran parte dell'opinione pubblica francese si era schierata contro di lui, ebreo alzaziano. Ma la colpevolezza era stata costruita dai servizi segreti francesi e coperta dalle massime autorità militari. «Ma se Dreyfus era stata la vittima (continua Harris) l'eroe vero fu un altro militare, il colonnello Georges Picquard che rischiò addirittura la vita, per accertare la verità».
   L'ufficiale e la spia, l'ultimo romanzo del cinquatasettenne scrittore inglese (Mondadori: presentato al Lingotto in uno degli incontri più affollati), racconta ancora una volta quel caso, legato anche al J'accuse di Zola. Ma lo fa dal punto di vista di uno dei protagonisti, l'ufficiale Georges Picquart che, seppure antisemita, mise a repentaglio la carriera per far emergere l'innocenza di Dreyfus.

INTRIGHI - La storia sembra uscita dalla fantasia di Dumas, piena d'intrighi, con un'ingiusta detenzione e lo sforzo eroico per stabilire i fatti. Picquard, chi era costui? Trova il tempo per criticare un dipinto di David "esempio atroce di kitsch imperiale". Si risparmia il pathos dell'incontro finale con chi ha salvato, dicendo che Dreyfus non era tipo da ringraziare e lui non si aspettava alcun ringraziamento. Per Harris era «estremamente intelligente, conosceva sei lingue. Aveva un rapporto epistolare con Dostoevskij, amico di Mahler conosceva Zola. Era pronto a distruggere la sua carriera per una questione di coscienza».

SCANDALO - Insomma, se si entra nella storia con il suo sguardo, il thriller si fa più incalzante? Harris non ha dubbi: «Centoventi anni la era uno degli uomini più famosi, oggi è completamente dimenticato. Lui è il motore della storia. Dreyfus invece è passivo, le cose gli accadono. Vive un dilemma morale, se dire sì ai superiori o alla coscienza». Ma allora il caso Dreyfus è una sorta di archetipo che si è replicato dopo, in tante altre occasioni? Per Harris è il primo grande scandalo politico moderno. «C'era il telefono, le fotografie, i giornali. Durante il processo i giornalisti si affacciavano alle finestre e dicevano le novità, le ultimissime notizie, i ragazzi le prendevano al volo e correvano immediatamente al telegrafo. Un po' come si fa oggi con Twitter». Un'ultima cosa: c'è spazio per prossimi o futuri casi Dreyfus? «Wikeleaks è stato un segnale. Scoppieranno sempre su Internet. Una volta che l'informazione è digitalizzata, diventa impossibile tenerla segreta: prima o poi, tutti sanno tutto di tutti».

(Il Messaggero, 12 maggio 2014)


Quegli ebrei (di sinistra) che odiano Israele

La sinistra letteraria e giornalistica è posseduta da una furia antigovernativa che è nello stesso tempo il riflesso e il motore della sua fama.

dii Fiamma Nirenstein

Amos Oz è uno scrittore meraviglioso, e pure un gran bell'uomo anche al compimento del suo 75esimo compleanno, celebrato al teatro Zafta, raffinato punto d'incontro dell'elite intellettuale della sinistra israeliana a Tel Aviv.
   E questo è un dato di fatto come lo è il disgusto che suscita il gruppo di qualche decina di idioti di estrema destra che ultimamente di notte imbratta le porte delle moschee e persino di qualche chiesa (è successo anche in questo weekend a Gerusalemme) con scritte tipo «morte agli arabi» o cretinate anticristiane: sono estremisti che inducono violenza e odio antisraeliano. Se sommiano questi due addendi, ne è uscita fuori una smodata ma non inconsueta battuta di Amos Oz: lo avrebbe potuto dire qualsiasi dei mostri sacri della letteratura israeliana, alla David Grossman, o alla Aleph Beth Yoshua, artisti meravigliosi che hanno nutrito tuttavia nel corso di questi anni il peggior odio antiebraico, o antisraeliano se si vuole, con esclamazioni pacifiste molto distratte, molto autoreferenziate, avulse da qualsiasi senso di realtà.
   Amos Oz ha detto fra l'altro al compleanno che i giovani idioti, abitanti degli insediamenti sono da paragonarsi a neonazisti. Neonazisti ebrei! Ebbene si, doce Oz: sognavamo un Paese normale, persino con i suoi ladri e le sue prostitute (è la citazione di un famoso discorso di Ben Gurion) ora abbiamo anche i neonazisti. È uno stimolo e una conferma per tutto quel mondo di odiatori professionali che paragonano gli israeliani ai nazisti e i palestinesi a ebrei. Ci sono state molte proteste, perché è evidente che quei giovani sono estremisti, ma non mai come quel Marwan Barghouty in prigione con cinque ergastoli per ripetuti eccidi di civili ebrei: Amos Oz invece di dirgli che si è comportato, lui sì, come un nazista, gli mandò in regalo un suo libro «sperando di vederlo fuori e in pace». E di Hamas il grande scrittore
Il termine "grande" è del tutto fuori luogo. Oz sarà forse un "bravo" scrittore, ma la grandezza è un altra cosa.
ha scritto «non è solo un'organizzazione terrorista», ma anche il rappresentante di un'idea.
   Così accade da sempre in Israele: la sinistra letteraria e giornalistica è posseduta da una furia antigovernativa che è nello stesso tempo il riflesso e il motore della sua fama. L'ammirazione diffusa in tutto il mondo, parte senza dubbio della bravura letteraria, ma anche dal consolidato antagonismo, a volte furioso, verso il suo Paese. Quando un gruppo che odia Israele in qualsiasi parte del mondo vuole rifarsi a una fonte autorevole, cita sempre il giornale Ha'aretz e gli scrittori suddetti: «Lo dice anche un'autorevole fonte israeliana». L'elenco dei detrattori di Israele lo fa al completo il libro nuovo di Giulio Meotti «Ebrei contro Israele» uscito in questi giorni da Salomone Belforte Editore: una torsione psicologica fa della più bella creazione storica degli ebrei, Israele, il bersaglio di un accanimento dai contenuti risibili e dalle conseguenze micidiali: diventa una bomba nelle mani dei suoi nemici, quelli davvero terroristi e anche neonazisti.

(il Giornale, 12 maggio 2014)


L'ambasciatore in Vaticano: "Sono atti isolati Bergoglio sarà il benvenuto"

di Marco Ansaldo

CITTA' DEL VATICANO - "Siamo tutti in attesa della sua visita. Papa Francesco verrà ricevuto in Israele con molto calore da parte di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Sarà un ospite onorato nel nostro Paese». Zion Evrony, ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede, seguirà naturalmente il viaggio del PonteficeaGerusalemme. Ma non mostra eccessivi segni di preoccupazione. Diplomatico sperimentato, è a Roma dall'agosto 2012.

- Ambasciatore Evrony, il patriarca Fund Twval parla di "atmosfera avvelenata" in Israele a sole due settimane dalla visita del Papa in Medio Oriente. E così?
  «Israele è una democrazia e la comunità cristiana in Israele gode di piena libertà di religione e di culto proprio perché lo Stato rispetta e protegge la libertà religiosa e i cristiani sono cittadini con uguali diritti. Israele è l'unico paese del Medio Oriente con una popolazione cristiana in crescita (circa 2000 l'anno). La comunità cristiana è infatti aumentata da 34.000 nel 1948 a 157.000 attuali. Ciò è in netto contrasto con la condizione delle comunità cristiane in altre aree del Medio Oriente».

- I vescovi oggi si dicono però preoccupati degli "atti divandalismo non puniti" contro edifici cattolici. Atti che rappresentano, sostengono, "anche un colpo alla democrazia compiuto dalla stessa Israele". Lei che cosa risponde?
  «Che i recenti atti di vandalismo contro luoghi cristiani in Israele sono commessi da alcuni estremisti. Essi non rappresentano la politica del governo o le opinioni o i sentimenti della maggioranza degli israeliani. Questi atti sono stati condannati dai leader religiosi e politici. Le forze di sicurezza stanno cornpiendo il massimo sforzo per individuare i responsabili e perseguirli seconda i termini di legge».

- Ma la visita di Francesco in Israele avrà comunque condizioni di sicurezza della massima garanzia?
  La visita di Papa Francesco è di importanza storica. Tutte le autorità competenti in Israele (l'Ufficio del Presidente, l'Ufficio del Primo Ministro, il Ministero degli Affari Esteri e le forze di polizia e di sicurezza) sono coinvolte nell'organizzazione della visita di Papa Francesco in coordinamento con Vaticano».


Se c’era un imbroglio dietro l'amicizia sventolata da Barack Obama nella sua ultima visita in Israele, si può essere certi che in questo caso l’imbroglio è ancora maggiore. Dovrebbe anche essere più evidente, ma nonostante la proverbiale, astuta, quasi diabolica capacità di capire le situazioni attribuita agli ebrei, ci sono casi in cui si mostrano di un’ingenuità addirittura commovente. Ma purtroppo dannosa, non solo per loro. M.C.


Israele, lo scandalo degli ebrei

Sul nostro sito si può trovare un articolo, risalente al tempo della prima guerra del golfo contro Saddam Hussein, che ha come titolo “Israele: lo scandalo dei gentili”. "Israele, lo scandalo degli ebrei" potrebbe essere invece il sottotitolo del libro di Giulio Meotti, "Ebrei contro Israele", uscito pochi giorni fa. Per quanto possa sembrare strano alle orecchie dei gentili, si direbbe che le cose stiano proprio così. Non resta che verificare leggendo il libro. Con il consenso dell'editore, ne riportiamo la prefazione di Ugo Volli e un lungo estratto.

PREFAZIONE
di Ugo Volli
  
ed. Belforte Salomone
Perché vi sono degli ebrei che odiano Israele? Perché ebrei che odiano gli ebrei? Molti di quelli che odiano Israele dicono di non essere razzisti e quindi di non poter odiare gli ebrei, per ragioni di principio, anzi si offendono quando glielo dici. Ma di fatto Israele è lo Stato degli ebrei: rinasce sui luoghi storici dove per milletrecento anni si è sviluppata la civiltà ebraica, dove si è scritta la Bibbia, dove sono vissuti i Profeti e i Re di Israele; raggruppa ormai la metà della popolazione ebraica nel mondo e per gli altri rappresenta la sicurezza e il sogno di sempre. Difficile dunque odiare Israele senza coinvolgere gli ebrei che ne decidono democraticamente la politica e vi si identificano. Perché dunque quest'odio che da Israele si estende agli ebrei o, più probabilmente, dagli ebrei si focalizza su Israele?
  È ben vero che in Italia vi sono stati dei giornalisti che hanno scelto per la loro rubrica di opinioni il titolo L'Antitaliano (quel Giorgio Bocca che da giovane fu fra i due o trecento eletti del regime fascista a firmare il Manifesto della Razza) e che vi sono stati intellettuali americani sempre entusiasti di denunciare "l'imperialismo USA" (per esempio quei Chomsky e Falk che hanno un posto d'onore anche fra gli ebrei antisemiti analizzati in questo libro); e così anche per altri Paesi. Ma non si è trattato né per quantità né per qualità di fenomeni paragonabili all'"odio di sé" di intellettuali e giornalisti e di certi gruppi di politici e perfino di rabbini ebrei o al sistematico tentativo di danneggiare il proprio Paese che caratterizza l'azione di molte ONG israeliane e dei personaggi ebrei di quelli descritti da questo libro.
  La domanda è perché, qual è la ragione di questo triste privilegio. Il popolo ebraico è quello, fra coloro che sono sopravvissuti alla storia, che ha subito di gran lunga più persecuzioni. Israele è, fra gli Stati esistenti, uno di quelli la cui istituzione è stata più giustificata giuridicamente e che ha trattato meglio le proprie minoranze. Perché tanto odio non solo da fuori ma anche dal proprio interno?
  Gli interessati, che di solito negano di essere antisemiti affermando di essere solamente critici nei confronti di Israele, delle sue politiche e magari solo del suo governo (ma lo fanno con tutti i governi, si dice che l'ultimo governo appoggiato da Haaretz sia stato quello del Mandato britannico...), sostengono in genere di agire per giustizia o per fedeltà all'autentica tradizione ebraica. Israele sarebbe nato da un "peccato originale": per i religiosi più estremi, la ribellione contro l'esilio inteso come punizione divina per i peccati del popolo ebraico; per i laici, la violenza inferta dalla "colonizzazione" ebraica in Palestina, in particolare la "pulizia etnica" che sarebbe stata fatta durante la guerra del 1948. L'argomento teologico è ininfluente qui e comunque è fortemente minoritario anche negli stessi ambienti religiosi: lo sostengono esplicitamente solo alcuni ultraestremisti come la setta dei Naturei Karta (quelli che girano con la kefià e la bandierina palestinese a mo' di distintivo), mentre gli altri ultraortodossi sembrano protestare soprattutto contro la laicità dello Stato di Israele e cercare allo stesso tempo di strappare privilegi economici e normativi.
  La pretesa di condannare un "peccato originale" o successive "oppressioni coloniali" da parte degli antisionisti di sinistra sta ancor meno in piedi. Israele è nato in seguito a una doppia decisione internazionale (quella della Società delle Nazioni nel 1922 e quella dell'ONU nel 1947), cioè con una legittimazione che non ha avuto quasi nessun altro Stato del mondo. Ha stabilito i limiti della propria amministrazione sulle linee di armistizio determinate dalla sua vittoriosa autodifesa nelle guerre che gli Stati vicini gli hanno mosso e si è dimostrato disposto a negoziarli in cambio della pace ogni volta che è stato possibile. Non ha effettuato pulizie etniche, come si vede dal fatto che il 20% dei suoi cittadini sono arabi e un milione e mezzo di arabi vive nei territori sotto il suo controllo al di là della Linea Verde dell'armistizio del 1949, indisturbati se non si dedicano al terrorismo. Certo, vi sono state vittime civili e profughi, inevitabili in tutte le guerre, ma questi "danni collaterali" di conflitti sempre subiti e mai cercati da Israele sono inevitabili nel fuoco della guerra e infinitamente minori ai disastri nati dalle guerre mondiali in Europa o dalla separazione fra India e Pakistan, per non parlare della ex-Jugoslavia o del Ruanda. Anche se una propaganda infinitamente ripetuta, in parte gestita dai Paesi arabi e condivisa anche dagli ebrei antisemiti, ha convinto molti del contrario, la politica di autodifesa dello Stato di Israele sotto l'attacco di guerre e terrorismo può essere considerata un modello di gestione umanitaria del conflitto.
  Perché allora tanto odio? Non bisogna stancarsi di ripetere questa domanda. Una spiegazione è quella in termini di psicologia politica che tenta Kenneth Levin nel suo libro The Oslo Syndrome: fra i bambini maltrattati e fra le vittime di rapimenti spesso si nota una dipendenza psicologica dai propri torturatori, una dipendenza che a volte diventa adesione. È la "Sindrome di Stoccolma" (chiamata così da un episodio emblematico di questo tipo accaduto fra gli ostaggi di una rapina a una banca nella capitale svedese). Sottoposti alla pressione soverchiante del disprezzo antisemita da parte della società circostante da cui vorrebbero essere riconosciuti e accettati, vi sono ebrei che ne accettano, anzi ne esagerano, l'odio. È il caso esemplificato in maniera estrema dall'ebreo austriaco Otto Weininger, morto suicida a ventitré anni nel 1903 dopo aver pubblicato un libro molto influente, Geschlecht und Charakter ("Sesso e Carattere"), in cui la Cristianità è descritta come "la più alta espressione del più grande destino", mentre l'Ebraismo "la più vile codardia".
  Un'altra spiegazione, che in fondo completa la prima, è la metafora del coccodrillo: attaccato dal grande rettile un naufrago privo di scrupoli può illudersi di salvarsi saziando la sua fame coi propri compagni di sventura, indicandoglieli, spingendoli giù dalla fragile zattera dove convivono, alleandosi in sostanza con lui. È un'illusione: la fame dei coccodrilli, almeno di quelli antisemiti, non ha fondo. Ma la tentazione è forte. Come è forte l'altra tentazione e illusione connessa, quella di pensare di essere superiori e diversi dalle prime vittime dell'odio antisemita e quindi di avere ragione ad alimentare il mostro antisemita coi propri fratelli. La pensavano così cent'anni fa i tedeschi assimilati nei confronti degli immigrati dall'Europa Orientale, da dove peraltro erano venuti anche i loro nonni o bisnonni. La stessa reazione hanno oggi gli ebrei progressisti e internazionali di Tel Aviv nei confronti dei coloni, che devono fronteggiare l'ostilità araba esattamente come a suo tempo avevano fatto i nonni e i bisnonni dei virtuosi pacifisti; l'hanno quei compunti ebrei "democratici" americani o italiani di cui si parla in questo libro (per fortuna una minoranza) verso gli israeliani tutti, che non sono capaci secondo loro di fare la pace e di smettere così di metterli in imbarazzo nei loro salotti e nelle sezioni di partito.
  Lo schema che emerge nelle loro parole piene di spocchia è sempre quello di una parte giusta e civile che cerca di distinguersi da una parentela incivile e barbara e ingiusta; la prima peraltro è quella che sta al sicuro e per il momento non corre rischi e pertanto si unisce al coro di coloro che accusano l'altra parte, anzi punta ad esserne l'avanguardia, in modo che nessuno possa accusarli di esserne complici. Nel loro petto freme la saggezza, la virtù, l'idealismo; sono insieme ottimi ebrei che rispettano la tradizione (come la deformano loro) e cittadini esemplari dell'Europa o degli Stati Uniti o talvolta perfino di Israele. Vorrebbero tanto rieducare i reprobi, ma non ci riescono per l'ostinatezza e la cecità di costoro (vizi che l'antisemitismo ha sempre attribuito agli ebrei), dunque loro malgrado si trovano a richiedere per questi criminali una giusta punizione, a dover appoggiare i loro nemici, di cui solo la loro crudeltà (altro vizio ebraico) non vede le ragioni, ad approvare il boicottaggio, lo stesso che il Nazifascismo aveva imposto ai loro parenti.
  Tanto più il coccodrillo si agita e spalanca la bocca, quanto più gli ebrei antisemiti si danno da fare per distinguersi e condannare chi si trova sulla stessa zattera, cercando di spingerlo giù, dando ragione agli attacchi del rettile. Hanno torto, non sono migliori ma peggiori di quelli che condannano, assai più ciechi e ostinati degli altri, soprattutto molto più egoisti e meschini. Non saranno probabilmente mangiati loro dal coccodrillo, ma solo perché gli altri, i cattivi, hanno imparato a difendersi e senza volerlo si trovano a difendere anche loro. Ma vale la pena di farne il nome, di indicarli non al coccodrillo ma almeno all'opinione pubblica, perché essa sappia come si muovono e cosa dicono. Aprire anche in Italia questo discorso è il grande merito di questo libro.

Estratto dal libro "Ebrei contro Israele"
    «Lo hanno chiamato J-Call (European Jewish Call for Reason) ma è la versione in salsa europea di J-Street, la lobby ebraica liberal e pacifista nata nel 2008 in risposta all'American Israel Public Affairs Committee e che si è opposta, per dirne una, alle sanzioni contro la Repubblica islamica dell'Iran. J-Call dice di essere un "appello alla ragionevolezza" per la pace tra Israele e i palestinesi. Ma la ragionevolezza è stata riassunta nella critica al governo del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Gli intellos ebrei firmatari impartiscono lezioni sul "futuro di Israele", ma dimenticano il programma nucleare dell'Iran, i missili Scud consegnati a Hezbollah e i razzi che Hamas continua a lanciare da Gaza. Dicono "siamo al di sopra delle divisioni partigiane", ma rivendicano di essere "la sinistra ebraica della Diaspora", da non confondere con "la sinistra al governo in Israele", come spiega il professore Ze'ev Sternhell, uno dei promotori.
       L'appello di J-Call è un riassunto di vecchie posizioni ideologiche. Il pericolo per Israele è "l'occupazione e il proseguimento ininterrotto degli insediamenti in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, che sono un errore politico e una colpa morale", recita il testo dell'appello sottoscritto da più di tremila persone. "La sopravvivenza di Israele in quanto Stato ebraico e democratico [...] è condizionata alla creazione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente". "L'allineamento sistematico alla politica del governo israeliano è pericoloso perché va contro i veri interessi dello Stato ebraico".
       Nato in Francia, l'appello è stato condannato dal CRIF, l'istituzione che rappresenta le comunità ebraiche francesi. J-Call "sarà ampiamente usato da quelli che sono i veri nemici di Israele", ha spiegato il presidente del CRIF Richard Prasquier. Emmanuel Navon, professore all'Università di Tel Aviv, ha risposto sul proprio blog su The Jerusalem Post: "Barnavi e i suoi amici stanno puntando il loro dito accusatore contro la persona sbagliata [...]. Restando compulsivamente attaccati alla loro ideologia fallimentare, i firmatari di J-Call non sono meglio delle loro bestie nere politiche. Il messianismo politico, di destra o di sinistra, è sempre cattiva fede. J-Call è un appello alla cattiva fede". O, come ha scritto Fiamma Nirenstein, una delle poche voci ragionevoli dell'Ebraismo italiano, "J-Call mette i nemici di Israele, e sono più di sempre e più agguerriti, nella condizione di delegittimare e attaccare lo Stato ebraico, dicendo: 'Anche molti ebrei sono dalla nostra parte'. Se questo era lo scopo dei firmatari, lo hanno raggiunto".
       Durissimo anche il saggista e accademico Giorgio Israel: "Si ripete qualcosa di analogo al periodo fascista. Negli anni '30 una parte dell'Ebraismo italiano prese le distanze dal Sionismo attaccando l'idea d'Israele, in parte in buona fede, in parte per ingraziarsi i torturatori". L'appello è stato promosso in Italia prima dal gruppo Martin Buber-Ebrei per la Pace (di cui fanno parte Giorgio Gomel, l'architetto Luca Zevi, lo scrittore Victor Magiar e il saggista Stefano Levi Della Torre) poi dai torinesi di Ha-Keillà e da David Bidussa, storico e appartenente alla "famiglia" degli intellettuali di sinistra della comunità ebraica milanese. Gomel, in particolare, si è reso protagonista di un episodio incredibile di "odio di sé ebraico".
       Era il 2011 quando due palestinesi sterminano una famiglia ebraica nell'insediamento di Itamar, in Cisgiordania. Quella sera una ragazzina israeliana di dodici anni era fuori casa con degli amici fino a mezzanotte, in un villaggio vicino al proprio. Tornò a casa. Nessuno rispose. Entrò con un vicino e vide sua madre, il padre e tre fratelli (di undici e tre anni e l'ultimo di tre mesi) uccisi con la gola squarciata. I Fogel furono annientati quella notte. Pochi giorni più tardi la Comunità Ebraica di Roma aveva annunciato, dopo una prima visita ad Itamar, un secondo appuntamento con un evento chiamato Happening e barbecue con i nostri fratelli di Itamar. Gomel scrisse quindi una lettera pubblicata sul mensile Shalom: "Itamar non è un posto da barbecue e i suoi abitanti non sono sentimentalmente i 'nostri fratelli'". I Fogel, tutti, fino al neonato decapitato, erano esseri umani inferiori alle vittime arabe e per questo meno degni di indignazione da parte non solo dell'Occidente, ma anche dell'intellighenzia ebraica di sinistra.
       La firma più illustre di J-Call Italia è quella del giornalista Gad Lerner. Nel libro Scintille, dove si definisce "levantino d'Europa", Lerner non rinnega l'Ebraismo, lo celebra piuttosto come qualcosa che ha a che fare esclusivamente con la tolleranza, con la mescolanza delle etnie e delle religioni (leggi: Islam), con l'ibridazione delle culture, con l'idea d'esilio, di Diaspora e di meticciato. Lerner offre la propria saga familiare come un'esortazione al cosmopolitismo, che pure è uno dei tratti che hanno reso grande la cultura ebraica del Novecento e nei secoli. Ma così facendo, condannando l'esito sionista dopo la Shoah, Lerner si pone sotto la costellazione di quella stessa catastrofe che ha sostituito al ghetto le camere a gas. Nulla dalle sue pagine lascia trapelare amore e orgoglio per come la costruzione esclusiva del monoteismo giudaico abbia partorito democrazia e diritti umani in Occidente. Non c'è alcun allarme sulla volontà iraniana di incenerire Israele né sull'odio nuovo e antichissimo che investe anche gli ebrei della Diaspora (leggi: la strage di Mumbai). Non c'è compiacenza per il grado di felice integrazione di etnie, lingue ed esperienze diverse in Israele, per la forza delle sue istituzioni e della cultura laica e religiosa. Non c'è traccia di generosità verso l'esperimento sionista, un paese che respira fra la vita e la morte da sessant'anni e che fin dai propri albori ha combattuto duramente restando una grandissima democrazia.
       È in un esotico altrove che Lerner colloca la propria biografia umana e familiare. Il titolo del libro deriva da "gilgul", che secondo la Qabbalah ebraica è il frenetico movimento delle anime vagabonde. Con queste "scintille", che ripercorrono la propria storia dalla Polonia al Libano, Lerner accusa Israele di "inadeguatezza" e compie una sottile inconfessata apostasia rispetto a questo Paese e al suo destino, secondo lui vittima della "nozione soffocante di nemico". Nel libro Lerner se la prende anche con chi, come le famiglie israeliane vittime degli attentati, ha voluto mostrare le immagini di morte dopo che sono passati i kamikaze. "La morbosità con cui si celebra il dolore è insinuante fino a obnubilare i sensi", scrive Lerner, che vorrebbe dissacrare la sofferenza delle migliaia di civili assassinati dai terroristi suicidi. "I servizi filmati trasmessi alla televisione dopo gli attentati indugiano sulle membra violate dei cadaveri, sulle pozze di sangue, sui feriti che urlano".
       L'avventura sionista, una benedizione per gli ebrei e l'Occidente, non ha registrato una vocazione unanime all'interno dell'Ebraismo. Ma i modelli che Lerner offre al lettore, per quanto tutti dignitosi, servono solo a esaltare "la crisi del Sionismo". Come il marxista ebreo Ernst Bloch, che d'Israele diceva, forse allarmato dalla sua trasformazione in Stato-guarnigione: "Che senso ha rivoluzionare l'Ebraismo per partorire una Serbia o un Montenegro in più?".»
(Notizie su Israele, 11 maggio 2014)


Il giorno in cui Jimmy Carter fu messo a tacere

di Yehuda Avner

Il testo che segue è il commovente resoconto, fatto da un testimone oculare, di un incontro avvenuto nel 1977 alla Casa Bianca tra Menachem Begin e Jimmy Carter. L'autore, Yehuda Avner, è stato ambasciatore di Israele nel Regno Unito e consigliere di quattro primi ministri israeliani, tra cui Menachem Begin. L'articolo è apparso la prima volta nel settembre 2003 sul "Jerusalem Post", e nella presentazione che abbiamo letto su un altro sito si dice: "Come tutti i ministri israeliani da Ben Gurion a Shamir, e contrariamente a quelli che sono venuti dopo, Menachem Begin aveva fede, visione strategica, spina dorsale di fronte alle pressioni, e una politica ispirata a principi di lungo respiro invece che una tattica guidata da immediate e gratificanti convenienze".
La traduzione in italiano di questo articolo è presente già dal 2003 sul nostro sito, ma abbiamo pensato di riproporla perché può favorire ancora oggi, o forse proprio oggi, utili riflessioni.


 
Menachem Begin e Jimmy Carter
Jimmy Carter, il coltivatore di noccioline, dirigeva in modo austero la Casa Bianca. Coerente con le sue radicate convinzioni calviniste, si era immedesimato nel ruolo di cittadino-presidente. Aveva abolito il Saluto al Presidente, ridotto nettamente il budget per i ricevimenti, venduto lo yacht presidenziale, sfoltito la flotta di limousine, e, in generale, teneva lontano dal suo palazzo ogni tipo di frivolezze e pretenziosità. Si portava sempre da solo la borsa.
   Così, quando nel luglio 1977 accolse alla Casa Bianca il Primo Ministro Menachem Begin con una vistosa, regale cerimonia, con 19 colpi a salve di saluto, una sfilata di tutte le forze armate e una coreografica parata di pifferi della "Army Old Guard Fife" e di tamburi dei "Drum Corps" nella livrea bianca dell'Esercito Rivoluzionario, i media si chiesero a ragione se questa gentilezza era oro puro o semplice adulazione. L'ambasciatore americano Samuel Lewis pensava che ci fosse un po' di entrambe le cose: "Il presidente è convinto che da Begin si otterrà qualcosa di più con il miele che con l'aceto", disse.
   I colloqui infatti ebbero un discreto avvio. I due leader e i loro consiglieri si scambiarono i punti di vista su questioni cruciali come la pace israelo-araba, l'illegittima azione sovietica nel Corno d'Africa, la minaccia dell'OLP nel sud del Libano.
   Poi ci fu la pausa. Il presidente e il premier sorserggiavano il caffè in silenzio, studiandosi a vicenda come per tacito consenso, in preparazione di quello che sarebbe avvenuto dopo.
   E quello che avvenne dopo fu una presentazione estremamente dettagliata del credo del Likud sui diritti inalienabili del popolo ebraico su Eretz Israel.
   Essendo quello il primo summit tra un premier del Likud e un presidente americano, Menachem Begin era deciso a far sì che Jimmy Carter ascoltasse con le sue orecchie la voce di quello che lui rappresentava. Il Segretario di Stato, Cyrus Vance, una persona di solito molto tranquilla, cominciò un ad agitarsi un po' quando sentì dire che Israele non avrebbe rinunciato né alla Giudea, né alla Samaria, né alla striscia di Gaza. Obiettò che questo avrebbe vanificato tutti i piani di pace per la conferenza di Ginevra. E anche il presidente pensava la stessa cosa.
   Carter indossò la maschera dell'educazione e rimase immobile ad osservare i suoi appunti scritti in ordinata calligrafia, vincolato alla sua responsabilità di inquilino della Casa Bianca. Ma dalle sue mascelle serrate si poteva capire che tratteneva l'irritazione. Nel suo acuto accento georgiano dopo poco disse: "Signor Primo Ministro, la mia impressione è che la sua insistenza sui vostri diritti in Cisgiordania e a Gaza potrebbe essere interpretata come un indizio di mala fede. Potrebbe essere un'evidente manifestazione della vostra volontà di rendere permanente l'occupazione militare di quelle aree. Questo farebbe cadere ogni speranza di trattative. Sarebbe incompatibile con le mie responsabilità di Presidente degli Stati Uniti se non glielo dicessi nel modo più chiaro e schietto possibile. Signor Begin," gridò con un'esasperazione che accendeva i suoi azzurri occhi di ghiaccio, "non ci può essere nessuna occupazione militare permanente di quei territori conquistati con la forza."
   Noi funzionari israeliani, seduti attorno alla tavola delle conferenze nella Sala del Consiglio dove si teneva la riunione, ci scambiavamo sguardi con la coda dell'occhio. Ma Begin si era ben preparato a quell'incontro con il Presidente del post-Watergate e del rinnovamento morale: Carter, il predicatore con tendenza all'autogiustizia.
   Si appoggiò allo schienale, e con occhi ingannevolmente miti alzò lo sguardo sopra il capo del Presidente, fissando l'antico lampadario di bronzo che pendeva sulla grande tavola di quercia. Non stava per perdere le staffe. Sapeva che lui e il Presidente si muovevano su traiettorie differenti, e che il confronto sull'insediamento nella biblica Terra Promessa era senza sbocchi. Carter era un osso duro, come lui. Non si sarebbe piegato.
   Tuttavia, doveva fare qualcosa per persuadere quell'uomo pronto a giudicare, che pensava di avere il compito di raddrizzare le cose, quell'energico decisionista con la mente empirica di un ingegnere. Doveva cercare di convincerlo che lui voleva veramente e onestamente la pace, e che i territori non erano soltanto una questione di diritti storici, ma anche di sicurezza vitale.
   Così, quando tornò a posare lo sguardo su Carter il suo atteggiamento era grave e deciso.
   "Signor Presidente," disse, "voglio dirle qualcosa di personale, non su di me, ma sulla mia generazione. Quello che lei ha udito poco fa riguardo ai diritti del popolo ebraico sulla Terra di Israele, a lei può sembrare accademico, teorico, perfino discutibile. Ma non alla mia generazione. Per la mia generazione di Ebrei, questi legami eterni sono verità irrefutabili e incontrovertibili, antiche come il tempo che è trascorso. Essi toccano il cuore stesso della nostra identità nazionale, perché noi siamo un'antica nazione che torna a casa. La nostra è come una generazione biblica di sofferenze e coraggio. Siamo la generazione della Distruzione e della Redenzione. Siamo la generazione che si è risollevata dall'abisso senza fondo dell'inferno."
   La sua voce era magnetica, il suo tono profondo e pensoso, come se attingesse a generazioni di ricordi. L'ardore di quel linguaggio provocò l'intensa attenzione di tutta la tavola.
   "Eravamo un popolo senza speranza, signor Presidente. Siamo stati dissanguati, non una o due volte, ma per secoli e secoli, sempre di nuovo. Abbiamo perso un terzo del nostro popolo in una generazione: la mia. Un milione e mezzo di loro erano bambini: i nostri. Nessuno è venuto in nostro soccorso. Abbiamo sofferto e siamo morti da soli. Non abbiamo potuto fare niente. Ma adesso possiamo. Adesso possiamo difendere noi stessi."
   Improvvisamente si alzò in piedi, con la faccia dura come l'acciaio.
   "Ho una carta," disse con decisione. Un assistente aprì bruscamente una carta di un metro per due tra i due uomini. "Non c'è niente di speciale da dire su questa carta," continuò Begin. "E' una normale carta del nostro paese, che mostra la vecchia linea di armistizio che esisteva fino alla Guerra dei Sei Giorni, la cosiddetta Linea Verde." Fece correre il dito lungo la vecchia frontiera che arrivava serpeggiando fino al centro del paese. "Come vede, i nostri cartografi militari hanno semplicemente indicato l'infinitesima misura di profondità difensiva che abbiamo avuto in questa guerra."
   Si appoggiò sulla tavola e indicò la zona montagnosa colorata in marrone scuro che copriva il settore nord della carta. "I Siriani occupavano la cima di questi monti, signor Presidente. E noi eravamo in basso." Il suo dito indicò le alture del Golan e si fermò poi sulla stretta striscia verde di sotto. "Questa è la valle di Hula. E' larga appena 10 miglia. Dalla cima di queste montagne loro cannoneggiavano le nostre città e i nostri villaggi, giorno e notte."
   Carter osservava, con la mano sotto il mento. L'indice del Primo Ministro si mosse verso sud, in direzione di Haifa. "La linea dell'armistizio è distante appena 20 miglia dalla nostra più grande città portuale", disse. Poi arrivò a Netanya: "Qui il nostro paese si riduce ad un'esigua cintura larga meno di 10 miglia."
   Il Presidente annuì. "Capisco," disse.
   Begin però non era sicuro che lui capisse. Il suo dito tremava e la sua voce rimbombava: "Nove miglia, signor Presidente. Inconcepibile! Indifendibile!"
   Carter non fece alcun commento.
   Il dito di Begin si posò poi su Tel Aviv e cominciò a martellare la carta: "Qui vivono milioni di Ebrei, 12 miglia da un'indifendibile linea di armistizio. E qui, tra Haifa al nord e Ashkelon al sud" - il suo indice andava su e giù lungo la pianura costiera - "vivono i due terzi di tutta la nostra popolazione. E questa pianura costiera è così stretta che un'incursione di una colonna di carri armati potrebbe dividere in due il paese in pochi minuti. Perché chi tiene queste montagne" - e il suo dito picchiava sulle colline di Giudea e Samaria - "tiene in pugno la vena giugulare di Israele."
   I suoi occhi scuri e attenti percorsero le facce impietrite dei potenti uomini che sedevano davanti a lui, e con la convinzione di uno che aveva dovuto lottare per ogni cosa che aveva ottenuto, dichiarò seccamente: "Signori, da queste linee non si torna indietro. Con un vicinato così crudele e spietato come il nostro, nessuna nazione può rendersi così vulnerabile e sopravvivere."
   Carter si piegò in avanti per ispezionare meglio la carta, ma continuò a non dire niente. I suoi occhi erano indecifrabili come l'acqua.
   "Signor Presidente," continuò Begin in un tono che non ammetteva repliche, "questa è la carta della nostra sicurezza nazionale, e uso questo termine senza enfasi e nel senso più letterale. E' la carta della nostra sopravvivenza. La differenza tra il passato e il presente sta proprio qui: sopravvivenza. Oggi gli uomini del nostro popolo possono difendere le loro donne e i loro bambini. Nel passato non hanno potuto. Infatti, hanno dovuto consegnarli ai loro carnefici nazisti. Siamo stati terziati, signor Presidente."
   Jimmy Carter alzò la testa: "Che significa questa parola, signor Primo Ministro?"
   "Terziati, non decimati. L'origine della parola 'decimazione' è uno su dieci. Quando una legione romana si rendeva colpevole di insubordinazione, uno su dieci veniva passato a fil di spada. Nel nostro caso è stato uno su tre: terziati!"
   Poi, con occhi umidi e voce risoluta, ostinata, pesando ogni parola, dichiarò: "Signori, io faccio un giuramento davanti a voi nel nome del Popolo Ebraico: QUESTO NON SUCCEDERÀ MAI PIÙ!" E si lasciò cadere sulla sedia.
   Strinse le labbra che cominciavano a tremare. Fissò la carta, lottando per trattenere le lacrime. Serrò i pungni e li premette così forte contro la tavola che le sue nocche diventarono bianche. Rimase lì, a capo chino, col cuore rotto, dignitoso.
   Un silenzio di tomba si fece nella sala. Afferrato dalla sua personale memoria dell'infernale Shoà, Begin guardava oltre Jimmy Carter, con uno strano riserbo negli occhi. Era come se il suo sguardo penetrasse quel 'nato di nuovo', quel Presidente battista del sud, partendo dall'interno di sé stesso, da quel profondo, intimo luogo ebraico di infinito lamento e eterna fede: un luogo di lunga, lunga memoria. Lì si era rifugiato, in compagnia di Mosè e dei Maccabei.
   Il Presidente Carter abbassò la testa e rimase in un atteggiamento di rispettoso, gelido silenzio. Gli altri guardavano altrove. Improvvisamente si fece udire il ticchettio dell'antico orologio sulla mensola di marmo del cammino. Un'eternità sembrava che passasse tra un tic e l'altro. Il silenzio pesava. Come un colpo di fulmine era arrivata la notizia della determinazione nazionale a non tornare mai più indietro da quelle linee.
   Gradualmente, con movimenti lenti il Primo Ministro si drizzò in tutta la sua altezza e la stanza riprese vita. Delicatamente Carter suggerì di fare una pausa, ma Begin disse che non era necessario. Aveva fatto il suo dovere.

(Jerusalem Post, 12 settembre 2003 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Domandatemi di Auschwitz

Parla Renate Lasker-Harpprecht, 90 anni. sopravvissuta all'orrore. "Io, ebrea 70195 di Auschwitz"

di Giovanni di Lorenzo

Renate Lasker-Harpprecht
Fino ad ora, di Renate Lasker-Harpprecht avevo sentito parlare soltanto da suo marito, il grande scrittore Klaus Harpprecht, che scrive ancora oggi per Die Zeit. È stato lui a segnalarci che sua moglie aveva bisogno di parlare finalmente in modo approfondito della sua lotta per la sopravvivenza durante il nazionalsocialismo. Dagli anni Ottanta Renate Lasker-Harpprecht vive con suo marito in Costa Azzurra, dove si è svolta questa intervista. Sediamo nel suo salotto, il cielo sull'insenatura si è coperto di nuvole, e ben presto piove a scrosci. Durante le ore successive Renate Lasker-Harpprecht non si lascia mai sopraffare dai suoi sentimenti. Beve caffè, fuma e a tratti trova l'espressione giusta solo in francese, inglese o italiano.

- Suo marito mi ha detto che non ha quasi mai parlato, nemmeno con lui, del periodo da lei trascorso nel lager.
«Non ne parliamo particolarmente spesso».

- A novant'anni, le capita mai di raccontare un po' più facilmente di prima quello che le è successo ad Auschwitz e a Bergen-Belsen?
«Sì, ma solo con certe persone. E non necessariamente con Klaus: con lui ho l'impressione che sappia comunque tutto. Ho anche paura di annoiare».

- Non aveva paura che il raccontare le avrebbe fatto troppo male? Che la gente avrebbe reagito con insensibilità o superficialità?
«Non parlerei mai con gente che potrebbe reagire in modo superficiale. Ma spesso mi chiedono perché non ho parlato con i miei conoscenti o amici. E moltissime persone che si stupiscono della mia risposta non me l'hanno chiesto».

- La gente non voleva saperne molto?
«I tedeschi non volevano saperne».

- Come se lo spiega?
«Da un lato, tutti in qualche modo si vergognano, perché si tratta della Germania. Ma fanno anche qualcosa che mi irrita profondamente: cominciano immediatamente a parlare del loro terribile destino in guerra. Dei bombardamenti subiti. Allora interrompo il discorso.Il defunto scrittore Hans Sahl ha coniato una frase che uso sempre quando serve: "Siamo gli ultimi, facci delle domande!"».

- Lei è cresciuta a Breslavia. Quando ha notato per la prima volta l'ostilità nei confronti degli ebrei?
«A differenza di mia sorella Anita io non ho sperimentato alcuna inimicizia personale. E, cosa che a quei tempi era molto importante, io, per dirla in modo il più possibile garbato, non ho un aspetto particolarmente ebraico. Non ho il naso adunco, non ho i capelli corvini (ride). Invece, mia sorella in fondo è un tipo sefardita, ha capelli nerissimi e il naso aquilino. Brutta storia».

- E i suoi compagni di scuola, erano maldisposti?
«No, non direi. Ma c'erano quei favolosi genitori che volevano infilarli immediatamente nella Gioventù Hitleriana. Avevoun'amica che portava un grande nome: Hella Menzel, una discendente di Adolph von Menzel».

- Il celebre pittore?
«Sì, e con lei avevo legato. Si era fermata spesso a dormire da noi, e non di rado io andavo da lei. Poi è arrivato lo sconquasso nazista. Io desideravo continuare a frequentarla, ma quando un giorno andai a trovarla, venne alla porta la cameriera e disse: "La signora non desidera che lei entri in questa casa". Ci rimasi un po' male, ma...».

- Non ha più rivisto Hella Menzel?
«Sì, l'ho incontrata di nascosto qualche volta. Ma poi le ho detto: "È meglio smetterla, finirai per litigare con i tuoi genitori!". Credo che si sia un po' vergognata, perché era davvero una brava ragazza».

- So che è accaduto di ben peggio. Però esserere spinta sulla porta di casa dev'essere stato molto mortificante per lei, che era una ragazzina.
«Naturalmente. Ma poi tutto passa abbastanza in fretta, e ci si fa il callo. Altrimenti non si andrebbe avanti».

- Come ha reagito suo padre quando è iniziata la discriminazione degli ebrei?
«E successo all'improvviso. Chi, prima del 1933, avrebbe chiamato qualcuno "porco ebreo"? Mio padre si era identificato con la Germania. Diceva "Prima o poi convinceranno quel pazzo che non abbiamo voluto tutto questo!". Per questo non si è dato molto da fare per emigrare. Si era recato con la nave in Israele, che allora si chiamava Palestina, per visitarla Ma poi era tornato indietro».

- Non voleva andarci a vivere?
«No. Immagini: un noto ed eccellente avvocato si trasferisce in un Paese del tutto diverso. Cosa ci va a fare?».

- Nemmeno il pogrom della Notte dei cristalli del 1938 ha convinto i suoi genitori che non c'era tempo da perdere?
«Certo. Si vedevano sempre meno ebrei per le strade. Ma non era affatto semplice lasciare il Paese. Gli altri Paesi non erano disposti ad accogliere tanto facilmente emigrati ebrei. Mio padre ha tentato di portarci in Italia. Era un grande amico della cultura italiana. E c'era quasi riuscito! Avevamo anche già spedito i nostri mobili con un enorme container. Non sono più saltati fuori. Non avevamo più mobili, dovevamo lasciare casa nostra, abbiamo vissuto stretti stretti da parenti con i quali non eravamo in grande familiarità. Anita e io fummo destinate al lavoro coatto».

- I suoi spazi diventavano, letteralmente, sempre più stretti. Aveva molta paura? Oppure l'ha rimossa?
«Sicuramente ci ha aiutato a sopravvivere il fatto che, in fondo, eravamo incoscienti. Abbiamo sempre vissuto alla giornata».

- Perché era così giovane?
«Eravamo così giovani. E dovevamo vedercela con i problemi quotidiani. Quando scoppiò la guerra, dovemmo sfacchinare terribilmente. Anita e io abbiamo lavorato in una cartiera dove si produceva carta igienica. Prima mi avevano mandato alla raccolta rifiuti, che era ancora peggio. Dovevamo cercare le parti in metallo trai rifiuti, fra topi e gatti morti».

- Il 9 aprile 1942 i suoi genitori furono deportati. Sapevano già che sarebbero stati arrestati?
«No, non furono arrestati, e nessuno bussò alla porta. I miei genitori ricevettero una comunicazione: "Domani alle ore tot dovrete recarvi al campo di raccolta .. ". E ci sono andati. Hanno ubbidito. Invece, molta più gente sarebbe dovuta scappare».

- Sono andati loro stessi al macello?
«Sì, sono andati al macello. La sera prima, i miei genitori hanno fatto i bagagli, si poteva portare con sé dieci chili di vestiti, più o meno. Poi ci siamo salutati. Mio padre ha dettato a mia sorella una sorta di testamento. A un certo momento io sono andata a dormire. Me ne vergognerò sempre, ma non ce la facevo più. Mia madre era seduta nella stanza accanto e piangeva. La sentivo. Sapeva che non avrebbe più rivisto le sue bambine».

- I suoi genitori immaginavano come sarebbe stato terribile il lager?
«Immagino che durante il trasporto i miei genitori abbiano sentito abbastanza. Abbiamo saputo poi che erano stati portati in un lager vicino a Lublin. Un giorno un gruppo di persone fu portato davanti a una fossa. Furono costretti a denudarsi, dopodiché spararono loro alla nuca e caddero nella fossa. È probabile che i miei genitori siano stati uccisi così. Non so se i loro resti siano poi stati esumati e sepolti in una tomba comune».

- Nel libro di sua sorella, al quale ha contribuito con qualche ricordo, ho letto che già prima della sua deportazione ad Auschwitz lei aveva saputo che giravano terribili voci sul lager.
  «Sì, in carcere. Mia sorella e io avevamo subìto un processo...».

- Avevate falsificato dei documenti di viaggio per alcuni prigionieri di guerra francesi e voi stesse avevate cercato di fuggire. Lei fu condannata, separata da Anita e portata in prigione...
  «E, grazie a Dio, mi ritrovai in una cella singola. Nel carcere ero l'unica ebrea e non dovevo "infettare" gli altri. Fu una benedizione. Prima del processo avevamo dormito addossati gli uni agli altri in una cella. Ancora oggi non riesco a sopportare le masse di persone. Una notte ebbi un mal di denti terribile e fui portata dal medico del carcere. Nella sala d'attesa sedeva accanto a me una ragazzina. Le chiesi sottovoce da dove veniva. Rispose: "Da Auschwitz". Non potevo crederle».

- Aveva un' idea di cosa fosse Auschwitz?
  «Sì, sì. Auschwitz era il capolinea. Pensai: come ne è venuta fuori? Che sia una spia? E le chiesi se era vero quello che la gente raccontava di Auschwitz, se era davvero così spaventoso. E la ragazza mi rispose: "È molto peggio". Allora ho saputo quello che mi attendeva».

- Lei giunse ad Auschwitz nel 1943.
  «In carcere sentii all'altoparlante: "RENATE SARAHLASKERCON TUTTE LE SUE COSE!". Ciò significava che bisognava presentarsi con la gavetta e gli zoccoli di legno. Mi trovai di fronte a un uomo della Gestapo che mi disse, letteralmente: "Bene, adesso vieni ad Auschwitz. Per favore, firma qui che vieni volontariamente". E firmai. Quella notte ebbi paura».

- In tanta angoscia aveva almeno un rifugio mentale?
  «Avevo una certa fede che mi ha aiutato. Non ne ho mai parlato, nemmeno con mia sorella. Dunque, ho pregato: "Buon Dio...". La mattina dopo, fummo portati alla stazione centrale su un treno per prigionieri. Sedevo di nuovo da sola, probabilmente perché non volevano che una ragazza ebrea sedesse accanto agli altri. Poi siamo arrivati ad Auschwitz».

- Qual è stata la sua prima immagine di Auschwitz?
  «L'intero lager era illuminato a giorno, perché all'epoca i tedeschi sapevano che gli Alleati non lo avrebbero bombardato, e avevano ragione. Vidi delle SS, dei kapò e dei cani. Poi fummo portati in una grande sala dove mi spaventai molto, perché agli angoli erano sistemate delle docce. Avevo sentito che tutti i lager per la gassazione erano fatti così, che la gente vi veniva ammassata, e che da queste docce il gas...».

- Se ne parlava già?
  «Sì. Ormai era notte, tutto era buio, e venne dentro un mucchio di donne completamente nude. Allora mi spaventai di nuovo terribilmente, perché pensavo che se entravano qui nude... Non era solo per via delle docce... Era anche per via delle prigioniere che entravano. Avevano un'aria così spaventosa che mi chiesi: avrò mai un aspetto così?»

- Che aspetto avevano le prigioniere?
  «Non avevano più capelli, ed erano pelle e ossa. Fecero la doccia e furono mandate di nuovo fuori. E la mattina dopo cominciò il giorno di lavoro. Dovetti spogliarmi e sedere su una sedia. Allora mi furono rasati i capelli».

- Da un' altra detenuta?
  «Lo facevano tutte le detenute. Mi tatuarono anche un numero sul braccio: 70195. Anita era arrivata una settimana prima. Lei ha il 69388. Curiosamente, il suo numero è ancora chiarissimo, mentre il mio è sbiadito. Mentre sedevo su quella sedia e mi venivano rasati i capelli vidi che sulla terra accanto a me c'era un paio di scarpe nere. Avevano la tomaia di pelle e stringhe rosse. Pensai tra me che conoscevo quelle scarpe! Perciò chiesi alla ragazza che mi rasava "Sai con quale convoglio è arrivata quella?". "Si, lo so bene, adesso quella ragazza è nell'orchestra"».

- Intendeva l'orchestra di ragazze di Auschwitz, dove sua sorella suonava il violoncello.
  «In preda all'eccitazione, quella ragazza corse nella baracca messa un po' meglio delle altre, dove abitava l'orchestra. Cercò Anita e le disse: "Credo che ci sia tua sorella!". Poi uscirono e ci abbracciammo. Cosi ho ritrovato mia sorella, tra centinaia di migliaia di persone».

- Che impressione le fece?
  «La vedevo per la prima volta con la testa rasata. Aveva un aspetto abbagliante, perché aveva quell'ombra scura della radice dei capelli sulla sua testa calva, con quegli angoli da intellettuale, a destra e a sinistra, come mio padre. Poi mia sorella rientrò, perché l'orchestrina doveva suonare marcette due volte al giorno. Quell'orchestra era formata solo da dilettanti. Perciò Anita venne accolta con entusiasmo. Non era ancora una musicista professionista, ma era molto brava».

- L'orchestrina doveva accompagnare musicalmente ogni giorno l'uscita e il rientro dei detenuti che lavoravano fuori dal lager, ma doveva anche suonare regolarmente per il personale delle SS. Mi pare che sua sorella abbia addirittura eseguito un assolo per il terribile medico del lager, Josef Mengele.
  «Sì, la Träumerei di Schumann. Sono certa che l'ha eseguita magnificamente. Mengele non mi ha fatto niente personalmente, ma era un tipo orribile. Se c'è una cosa inconcepibile nei nazisti tedeschi, se si vuole parlare per cliché, è questa mescolanza di fanatismo assoluto, indottrinato da un folle, e questa estrema sensibilità romantica».

- Dopo che ebbe ritrovato Anita, cosa le successe?
  «Ricevetti degli orrendi vestiti, degli zoccoli. Era dicembre, un freddo gelido. E mi mandarono nella cosiddetta quarantena, che toccava a tutti i nuovi detenuti».

- Perché dovette andarci?
  «Forse quelli delle SS speravano che i prigionieri morissero prima di essere gassati, oppure avevano paura che essi portassero qualche infezione. Dormivamo in quelle cuccette di legno a tre piani. Le più deboli giacevano sempre al piano più basso, perché era più facile uscirne. Io, però, avevo ancora un po' di muscoli nelle gambe e finii nel piano più alto. C'era soltanto una coperta stracciata e un po' di paglia non ero sola, eravamo in quattro, più o meno. Nella baracca c'era un enorme trogolo. Tutte avevano la diarrea, e c'era una puzza immonda, non la si può chiamare diversamente. Mi accorsi ben presto che le detenute si derubavano a vicenda».

- Ma cosa c'era da rubare?
  «Gli indumenti, oppure un pezzo di pane. Di notte non mi sono mai tolta le scarpe, perché temevo che altrimenti, quando mi fossi vegliata, non le avrei più trovate. Molti che ne avevano la possibilità scambiavano il cibo con le sigarette. Perché nel lager c'era tutto».

- Tutto?
  «C'era tutto. Si, poi venne Natale e i tedeschi delle SS, sentimentali come quasi tutti i tedeschi, naturalmente hanno celebrato il Natale anche ad Auschwitz. Al centro del lager c'era un grande albero di Natale».

- In quel piazzale dell'appello?
  «Sì. Un enorme albero di Natale. Io, che ero una ragazzina, avevo una voce molto aggraziata ed ero stata scelta, anche grazie alle relazioni di mia sorella, per cantare la canzone di Natale sotto quell'albero».

- Quale?
  «Leise rieselt der Schnee. Ma non se ne fece nulla, perché un giorno caddi a terra durante l'appello. E quando riaprii gli occhi ero nell'infermeria del lager. Pensai che era la fine. Nel mio letto c'era un'altra donna. Ma ormai era morta, giaceva senza vita accanto a me». (Tace).

- Lei dice: pensai che era la fine...
  «Sì, ero davvero molto malata, avevo la febbre, la diarrea e deliravo. Avevo il tifo esantematico. Molti di quelli che non sono stati uccisi sono morti di questa malattia. Un giorno entrarono le donne e gli uomini delle SS a ordinarci di lasciare i letti. Tra tutta quella gente smagrita selezionarono quelli che dovevano andare a destra e quelli che dovevano andare a sinistra. A sinistra significava gassazione. Io venni smistata immediatamente a sinistra. Allora reagii bene e, chinatami verso un SS che non sembrava particolarmente feroce, sussurrai: "Sono la sorella della violoncellista". Allora mi diede un calcio nel sedere e mi spedì dall'altra parte. Perciò devo la vita a mia sorella».

- Che però, per quanto la cosa possa suonare assurda, quei giorni desiderò la morte: così ha scritto nelle sue memorie.
  «È vero. Eravamo delle larve. Non avevamo niente da mangiare e avevamo diarrea sanguinosa. Quando mia sorella mi vide in quelle condizioni miserabili voleva davvero che io mi addormentassi... e fine».

- Ma sua sorella è andata poi da Maria Mandl, la sovrintendente del lager femminile. Ha raccolto tutto il suo coraggio e le ha chiesto di impiegarla come staffetta.
  «E lo sono diventata: ho poi trasmesso messaggi tra gli SS. La Mandl preferiva mia sorella, perché era una delle poche che parlavano ancora correttamente tedesco. Ed era molto importante non mostrare paura. Non ne ho mai mostrata».

- Era una donna rozza?
  «No, affatto. Era una persona di bell'aspetto. La si vedeva poco, ma era là, quando quella ragazza ebrea a cui subentrai come interprete e il suo amico polacco furono impiccati».

- Intende la belga Mala Zimerbaum? Potrebbe raccontare la sua storia?
  «Dovevamo allinearci due volte al giorno davanti alla baracca, in file da cinque, dopodiché venivamo contati da un kapò e da una donna delle SS a cui era stato assegnato il comando di un blocco. Questo controllo durava molto a lungo, perché occorreva conteggiare chi era morto e chi era ancora vivo. Una sera rimanemmo in piedi per ore e non successe nulla. Poi risultò che nel campo degli uomini e in quello delle donne mancavano due persone».

- Ma per ogni campo?
  «Sì, da noi mancava Mala. E nel campo degli uomini questo Edeck».

- Edek Galinski, il fidanzato di Mala. Questo caso è documentato.
  «A quel punto suonarono le sirene. Erano scappati. Nelle nostre baracche improvvisammo danze di gioia, perché volevamo tutte bene a Mala. E pregammo soltanto che ce la facessero. Ma qualche giorno dopo, quando presi servizio, vidi Mala davanti al portone del lager. Credo che fosse incatenata».

- La fuga era fallita.
 
Renate con la sorella Anita nel 1930
  «Quell'estate ad Auschwitz faceva un caldo terribile. Quando le passai davanti mi sussurrò qualcosa; non capii perfettamente, ma compresi che mi chiedeva di procurarle una lametta. Cercai di fargliela avere, ma senza successo. È chiaro, però, che qualcuno gliene procurò un'altra. Qualche giorno dopo ci fu un appello generale, di nuovo con le sirene. Nella piazza centrale del lager avevano innalzato una forca. Dovevamo assistere tutte a quella punizione esemplare e convincerci che nessuno aveva la possibilità di fuggire dal lager. Un uomo delle SS portò Mala sulla forca. Allora lei fece un balzo in avanti, si tagliò i polsi e schiaffeggiò quell'SS, che fu tutto macchiato di sangue, da capo a piedi. Però, Germany being Germany o, come diciamo noi, KZbeingKZ, non le vollero concedere la morte di mano propria. Le bendarono le ferite, la portarono nel cortile del crematoria e le spararono. Poi sostituirono tutti i detenuti che avevano svolto funzioni maggiori e minori nel lager. Questi furono mandati a spaccare pietre. Ebbi di nuovo fortuna, poiché i sorveglianti sapevano che mia sorella suonava nell'orchestra. Pensarono: se una sta qui, l'altra non scapperà. Quindi ho ottenuto il lavoro di Mala».

- Il gesto di ribellione di Mala vi ha impressionato?
  «Sì, tremendamente. Ma era anche del tutto irrealistico immaginare che a qualcuno la fuga potesse riuscire».

- Tra i detenuti c'era una qualche forma di solidarietà? Oppure ad Auschwitz ognuno pensava solo a se stesso?
  «Ognuno pensava solo a se stesso, senza dubbio. Ma nella baracca di mia sorella c'era qualche ragazza che aveva fatto causa comune. Questo mi ha sempre impressionato molto. A parte mia sorella, erano tutte francesi. Una, che non dimenticherò mai, si chiamava Elaine, e anche nell'inverno più freddo si lavava con la neve. Noi non ci siamo più lavate, perché avevamo troppo prurito. Lei, però, si sfregava da cima a fondo con la neve, ogni giorno. Questo l'ha tenuta in vita. Inoltre era una buona violinista, anche questo l'ha aiutata».

- E le ebree nelle loro baracche erano unpo' solidali tra loro?
  «Solo quando tra due nasceva un'amicizia. E poi quello che conta di più non è chi è solidale, ma chi odia al minimo e chi odia al massimo. Fa una grande differenza. Naturalmente, non si può dire: "tutti i polacchi, o tutti i russi ci hanno odiato". Ma dopo la guerra, durante una discussione, ho fatto un'osservazione che ha suscitato molta rabbia. Ho citato un esempio da Auschwitz, da me vissuto personalmente: uno o due giorni dopo il mio arrivo, c'erano vicino a me due ragazze polacche. E chiesi: "Da dove viene questa puzza terribile?". Era il camino del crematorio. Ne usciva un fumo untuoso, nero. E quelle risposero: "Sono i tuoi genitori, che passano per il camino". Se si è avuta un'esperienza del genere, si fa presto a generalizzare. Klaus, mio marito, diceva sempre, con un po' di ironia, che io sono razzista perché ce l'ho con i polacchi. Però adesso mi è passata».

- I detenuti polacchi erano particolarmente astiosi?
  «No. Le peggiori erano le russe. Erano le più forti».

- Intende le detenute russe?
  «Sì. Con i maschi non avevamo nulla a che fare. Le russe non hanno fatto che picchiarci e portarci via il pane. Cose del genere non si dimenticano. E non voglio nemmeno dimenticarle».

- Ha mai colto un moto umano nei suoi guardiani?
  «Sì, in un uomo delle SS, che rispondeva al bel nome di Kasernitzky. Accadde più tardi, a Belsen. Faceva la guardia quando provai ad andare a prendere di nascosto dell'acqua. Si girò dall'altra parte. L'acqua era tremendamente cara. E poi, quando lavoravo in ufficio a Belsen, c'era un poliziotto che mi metteva un gran pezzo di pane nel cassetto. Ogni giorno».

- Sa perché lo faceva?
  «Non lo so. Comunque, dopo la guerra mi ha chiesto una dichiarazione a suo favore. E sono stata contentissima di scrivergliela. Si era davvero comportato da brava persona. Quando tra il personale del lager di Belsen si diffusero le voci che la guerra per i tedeschi non stava andando molto bene, anche loro naturalmente diventarono più gentili. Non ci minacciavano più con i cani ed erano un po' meno brutali. Non ci fece una grande impressione, ma era così».

- Come si spiega che quasi tutti i sorveglianti e le sorveglianti abbiano completamente ignorato quella sofferenza?
  «Anche a me piacerebbe saperlo. Faccio una piccola digressione, Un giorno giunse ad Auschwitz un grande convoglio italiano. Per qualche motivo una bambina era sgattaiolata via: una bambina molto dolce, biondissima. Sicuramente non era arrivata da sola, ma improvvisamente me la sono vista vicina. E mi sono presa cura di quella bambina, lo posso ben dire. La trovavo incantevole. Aveva così fiducia in me. Le ho dato da mangiare, riuscivo a occuparmi di lei, perché avevo qualche libertà nel lager. Un giorno però ho perso di vista la piccola, mi ero ammalata di nuovo. Quando fui di nuovo in piedi avevano già ucciso la bambina. Per tornare alla sua domanda: come si può? Questo dipende un po' anche dalla mentalità delle diverse nazionalità. Non credo che in Italia — e anche lì tirava una brutta aria — avrebbero fatto cose così spaventose con i bambini».

- Dei circa sei milioni di ebrei uccisi nell'Olocausto una vittima su quattro era un bambino. Crede che un simile orrore affondi le radici anche nella mentalità di un popolo?
  «Anche, sì. In certe generazioni e in certi strati sociali».

- Sa come si chiamava quella bambina italiana?
  «Il nome cominciava con la emme. Marta, o qualcosa del genere. Era una bambina ebrea».

- Nel lager, diceva, ci si poteva procurare tutto. Com'era possíbile?
  «Nel lager tutti i luoghi dove si lavorava avevano un nome. La baracca dove ci si poteva procurare tutto si chiamava "Canada". Alle persone che erano giunte nel lager avevano tolto tutte le loro cose. E molti detenuti, soprattutto polacchi e greci, si erano cuciti negli orli dei vestiti monete d'oro e cose simili. Tutto questo era immagazzinato in Canada. E i kapò, che tra i detenuti erano senz'altro quelli che se la passavano meglio, si prendevano tutte le cose che gli portavano i gruppi di prigionieri assegnati al Canada, alla cava di pietra o al campo. Questo era uno dei motivi per cui li detestavamo».

- I kapò imboscavano tutto?
  «Certo, certo».

- E cosa se ne facevano di quella ricchezza?
«Corrompevano».

- Cioè ottenevano una fetta di pane in più?
  «Sì, sì. Avveniva attraverso cento canali. Purtroppo non sono mai riuscita a farlo. Ho rubato regolarmente una sola cosa: verdura fresca. Le detenute che lavoravano nel campo si nascondevano un mucchio di cipolle e di aglio. Era molto importante nel lager, poiché soffrivamo di una assoluta carenza di vitamine. All'improvviso mi erano comparsi dei buchi nelle gambe».

- Piaghe da mancanza di vitamine?
  «Sì, ho ancora le cicatrici. Ogni volta che questi gruppi di prigionieri tornavano dal campo venivano perquisiti e le cose fresche finivano in un mucchio. E quando i detenuti andavano nella baracca, noi messaggeri e staffette ci servivamo. Ne valeva la pena. Ma non ho mai visto un granello d'oro».

- Mi rendo conto che questa domanda può suonare addirittura odiosa: ai tempi del lager ha mai fatto qualcosa di cui si vergogna?
  «Sì. Lei la considererà una quisquilia, ma io me ne vergogna ancora oggi. Un giorno qualcuno — non so più chi — mi regalò una mezza tavoletta di cioccolata. Ero incredibilmente felice. Erano anni che non vedevo qualcosa del genere. E mi dissi: ora vado da Anita e ci dividiamo questa cioccolata. Invece, durante il cammino me la mangiai tutta quanta. È l'unica cosa di cui mi vergogno».

- Una simile piccolezza!
  «Ma dimostra mancanza di carattere e di disciplina. Non va».

- Era possibile corrompere gli SS?
  «Sì, perché non gridassero e non picchiassero le persone che non spalavano abbastanza velocemente. Dominava una brutalità inimmaginabile. Anita e io lo abbiamo vista in piccolo nel trasporto da Auschwitz a Belsen. Siamo state trasportate su un carro bestiame, ma abbiamo dovuto fare e piedi l'ultimo tratto».

- Chilometri e chilometri...
  «Fino a quando abbiamo raggiunto il campo di concentramento. E chi cadeva per strada e non riusciva più a rialzarsi semplicemente lo finivano... ( si interrompe). A volte mi frena il timore di poter dire delle cose che in qualche modo potrebbero ferire».

- Cosa intende?
  «Non lo so. Perché abbiamo la tendenza a generalizzare — come prima, quando parlavo del fatto che i tedeschi amano tanto la musica. Ma tant'è: o si parla o non si parla».

- Credo che lei non debba avere alcuna remora. La marcia verso Belsen è avvenuta nel 1944, da un inferno all'altro.
  «A Belsen la gente non veniva più gasata, ma...».

- Moriva di malattia e debilitazione...
  «Sì, e per il disgusto di se stessa. Eravamo così sudici. Eravamo pieni di pidocchi, avevamo sempre la diarrea. Le ragazze e le donne con il ciclo mestruale non avevano niente per... Però, c'era qualcosa nella minestra che bloccava le mestruazioni. La davano anche ai soldati al fronte. Non era acido cloridrico, ma una roba terribilmente salata. Non avevamo più nessuna volontà, non eravamo più in grado di fare niente, perché eravamo così disgustate di noi stesse. Anche questo non lo dimenticherò mai: questo disgusto di se stessi, l'orribile humiliation... come si dice?».

- Umiliazione.
  «...e l'umiliazione che ci hanno fatto subire. Non l'ho mai dimenticato e non lo voglio nemmeno dimenticare. Dopo la liberazione di Belsen, gli inglesi hanno fatto qualcosa di molto buono: hanno portato nel lager la gente del posto più vicino. Un ufficiale scozzese mi ha chiesto: "Vuoi che te ne tiri fuori qualcuno? Potete farne quello che volete". Gli ho risposto: "Grazie, ma non mi interessa affatto". Ho guardato quella gente come al cinema».

- Come si comportarono quei tedeschi entrando nel lager?
  «Hanno voltato lo sguardo, le donne senz'altro, e anche gli uomini, quando li hanno portati davanti alle fosse comuni. Per i cadaveri putrefatti, Belsen puzzava come non ho più sentito. Avevamo dovuto trascinare i cadaveri in quelle fosse. Ci avevano dato delle corde molto grosse con le quali dovevamo legare i polsi dei morti. Poi con quelle corde abbiamo trascinato i cadaveri attraverso il lager. Ma non ne potevamo più. Siamo riusciti a smaltire cinquanta cadaveri al giorno. Alla fine i morti furono spinti tutti assieme nelle fosse con i bulldozer. Bisognava tenere in ordine».

- E quando i tedeschi di quel posto lì vicino hanno vista quei mucchi di cadaveri e le fosse: come hanno reagito?
  «Non riuscivano a capire. Abitavano a pochi chilometri...».

- ...e non sapevano?
  «Ovviamente lo sapevano! Ma la gente aveva paura di dire qualcosa. È la miseria di tutte le dittature. Da un certo punto in poi non potevano mettere più piede nella Landa di Luneburg. Romanticismo della brughiera del cavolo! Odio la Landa di Luneburg e non voglio mai più rivederla. Abbiamo marciato per chilometri fino al lager. Anche attraverso i villaggi. Non mi dirà che i tedeschi non sapevano che c'era un campo di concentramento».

- È vero che dopo la liberazione da parte degli inglesi è dovuta rimanere ancora un anno a Belsen?
  « Sì, ma non è stato così brutto, perché non abbiamo più vissuto in una di quelle baracche. Grazie agli inglesi, abitavamo in una casa vera e propria. L'avevano sequestrata. Per i criteri di oggi era molto modesta, ma pur sempre una vera casa, con la cucina. Anita e io avevamo di nuovo un aspetto abbastanza curato. Avevamo di nuovo i capelli e indossavamo qualcosa di decente. Ed eravamo continuamente in viaggio. Mia sorella ha anche testimoniato nel primo tribunale per i crimini di guerra di Luneburg».

- Dopo la guerra ha vissuto dapprima in Gran Bretagna, dove ha trovato lavoro presso il servizio tedesco della Bbc, in un primo momento come segretaria, poi come moderatrice. Successivamente, ha faticato molto per riavere il passaporto tedesco.
  «Non avevamo più documenti, niente di niente. Poco prima della liberazione di Belsen le SS cercarono di bruciare tutto. Allora i pennacchi di fumo non uscivano dal crematorio, ma dall'ufficio. Ovunque svolazzavano qua e là pezzetti di carta bruciacchiati. Quando percorsi il viale del lager mi volò davanti ai piedi un documento un po' più integro. Lo raccolsi: era la mia carta d'identità tedesca».

- Se lo si vedesse in un film, si direbbe...
  «...che non può essere vero. Io, però, non ho conservato quel documento. A quel tempo non ero così sentimentale come forse lo sarei oggi. Quando poi Klaus e io ci siamo trasferiti a Colonia e io volevo riavere il mio passaporto tedesco, per principio, perché ne avevo diritto, dovetti riempire tanti di quei formulari che non si può immaginare. Ero stata incarcerata con l'accusa di falsificazione di passaporti. Un tribunale doveva emettere una sentenza. Sembrava uno scherzo. È andata avanti per molto».

- Non ha tremato di rabbia?
  «No. Probabilmente questo è uno dei motivi per cui riesco a mantenere in una certa misura il controllo di me stessa. Non riuscivo più a irritarmi per cose del genere».

- Le è stato difficile tornare in Germania?
  «No. Ben presto dopo la liberazione mi sono imposta di non far decidere da Hitler il resto della mia vita. Per questo non ho avuto problemi con i giovani tedeschi che ho conosciuto nel servizio estero della Bbc di Londra. E mi trovavo bene anche con la maggior parte delle persone che lavoravano con me alla televisione tedesca, a Colonia. Avevo qualche problema con Höfer».

- Il giornalista televisivo Werner Höfer? A quell'epoca certamente non si sapeva che nel 1943 aveva approvato la condanna a morte di un giovane pianista.
  «No, allora non lo sapevo. Era stato invitato alla nostra festa di matrimonio a Colonia. Aveva bevuto uno sproposito, e mi stava addosso. Mi guardò fissa negli occhi e mi disse: "Bella ebrea". Roba da vomitare. Per il resto, però, non ho avuto difficoltà, come ho detto. Uno dei pochi vantaggi dell'età è il fatto che non ho più tollerato niente. Ultimamente sono andata in un caffè qui del posto, cosa che al contrario di Klaus faccio spesso, per incontrare degli amici».

- Alla Croix-Velmer la conoscono molto bene...
  «Ah sì, lì mi conoscono tutti. A un tavolo accanto al mio sedevano due brave persone che conoscevo e un terzo uomo, un vecchio bacucco. Parlavano della crisi economica. Allora ho sentito chiaramente qualcosa. Ho ancora un ottimo udito. E questo terzo si è messo a dire: "È tutta colpa degli ebrei!". Allora ho respirato profondamente, mi sono alzata e ho detto a quel tipo: "Le dispiace ripeterlo?". Ha borbottato qualcosa e se n'è andato. Con questa gente sbotto: "Non ho il naso adunco, non puzzo d'aglio. Che altro vuoi?"»

- Riescono le parole a descrivere l'orrore che lei e tanti altri avete sofferto ad Auschwitz? Alcuni, anche fra i sopravvissuti, dicono che la lingua non ne è capace.
  «È vero».

- Ma con i suoi racconti lei riesce a far rivivere quello che è successo ad Auschwitz e a Belsen.
  «Trova? Dipende anche da chi ascolta. Tempo fa mi hanno chiesto di parlare in una scuola francese. Ho chiesto alla direttrice: "Come posso spiegare a bambini di dieci anni cos'è l'Olocausto?"».

- Ci ha comunque provato?
  «L'ho fatto, sì. La maestra mi ha tranquillizzato: "Questi bambini vedono cose terribili, alla televisione o su internet, e non si metteranno a gridare"».

- E come hanno reagito?
  «Ieri ho incontrato al mercato due bambine di quella classe, graziosissime, con i capelli lunghi. La più grandicella ha detto: "Quello che ci ha raccontato è stato molto impressionante". Io volevo soprattutto che quei bambini non si annoiassero. È importante raccontare ai bambini di dieci anni storie dove c'è a little action (ride). Perciò dapprima ho raccontato a questa classe come ho ritrovato mia sorella, la storia delle scarpe. Ed è piaciuta molto. Poi ho raccontato come sono morti i miei genitori: "Non voglio spaventarvi; a voi non succederà niente di simile. Ma immagina che tua mamma e tuo papà...". Silenzio di tomba. Questo silenzio mi ha colpito molto, perché sapevo che i bambini ascoltano davvero».

- Nelle poche interviste che ha rilasciato lei ha più volte preso in giro gli ex detenuti dei campi di concentramento che si scompigliano i capelli e piangono quando parlano di Auschwitz.
  «Sì, questo mi fa impazzire».

- Non ne hanno diritto?
  «No».

- Perché no?
  «Non lo so, mi vergogno per loro quando lo vedo. Auschwitz non consente la commozione di vecchi e di vecchie. Io la penso così, ma forse sono ingiusta».

- Deve fare i conti con un sentimento che ribolle anche in lei?
  «Noo! Io ribollo quando vedo alla televisione le storie commoventi che non mi riguardano personalmente. Di recente hanno dedicato una settimana al tema del cancro e hanno trasmesso un film su un ospedale per bambini. Quando l'ho visto non ho potuto fare a meno di piangere amaramente. Forse ho pensato anche alla piccola italiana, è senz'altro possibile. Ma quando persone che hanno vissuto tutto questo e hanno raggiunto un'età avanzata si mettono al centro di un'ex baracca di Auschwitz e si scompigliano i capelli, non lo sopporto. In francese si dice pudeur».

- Pudore.
  «Proprio, grazie. Bisogna tenere il becco chiuso. O lo si fa, o si sta fuori. Quando tornai per la prima volta ad Auschwitz dopo la mia "vacanza" in quel posto, fummo invitati dall'ambasciata israeliana a Berlino. Anita e io abbiamo viaggiato attraverso quella campagna. Accompagnavo un ufficiale gravemente ferito nella guerra del Kippur che camminava a fatica. Con lui mi sono trattenuta ancora di più, perché sapevo che mia sorella gli avrebbe sicuramente parlato di quei tempi in modo diverso da me: più rigorosa, più intransigente, più emotiva».

- Voleva evitare i sentimenti di sua sorella?
  «Sì, in qualche modo volevo fare a modo mio. Quell'ufficiale aveva davvero vissuto in guerra cose terribili, ma non avrebbe potuto sopportare di attraversare quelle stanze: la stanza delle scarpe, quella dei capelli, la stanza con le valigie. Quella che mi interessava di più era la stanza dei tatuaggi dove ho trovato le scarpe di Anita».

- Crede ancora alle persone, in generale?
  «No, per la verità no. Ho imparato a osservare attentamente. Ora vedo attraverso le persone. Sembrerà semplicistico, ma so già come si sarebbero comportati se fossero state sedute con me in una cella».

- Lo sente?
  «Sì. Se la gente in qualche modo mi è antipatica. Allora mi chiedo: cosa farebbero? Mi farebbero qualcosa? Oppure: mi denuncerebbero perché ho mangiato tutta la cioccolata? Forse sono reazioni troppo elementari e troppo spontanee, ma perlopiù ci azzeccano».

(la Repubblica, 11 maggio 2014)


Ebrei per scelta in Uganda

di Daria Gorodisky

Esiste una San Nicandro Garganico in Africa. Proprio come è accaduto nel comune pugliese (ben raccontato da John A. Davis in Gli ebrei di San Nicandro, edito da Giuntina), sempre negli anni Venti un gruppo di abitanti dell'Uganda orientale ha abbracciato l'ebraismo dando vita alla congregazione degli Abayudaya. Nulla a che vedere con le comunità che rivendicano l'appartenenza a una delle mitiche dieci tribù perdute di Israele. Di quelle si è occupato per decenni Tudor Parfitt, docente alla London University e a Harvard, cercandole in tutti i continenti e in situazioni tali che è stato definito «il vero Indiana Jones»; e ne ha scritto in oltre 20 straordinari libri (l'ultimo, Black Jews in Africa and the Americas, Harvard University Press). No, gli Abayudaya non vantano lontane radici, ma una libera scelta. E le cose stanno così: alla fine dell'Ottocento l'Uganda diventò protettorato britannico anche grazie all'aiuto di forze militari locali guidate dal valoroso Semei Kakungulu. Per ringraziarlo, i britannici lo designarono governatore di una provincia a est dove lui fondò Mbale, oggi una delle tre principali città ugandesi. Dagli scritti storici di Arye Oded, che è stato a lungo ambasciatore israeliano in Uganda, si apprende che a quel punto Kakungulu comincia a dedicarsi solo allo studio biblico, e un giorno del 1919 dichiara pubblicamente: «Da oggi sono ebreo». Lo seguono quasi l'intera famiglia e circa duemila discepoli. L'ex guerriero però sa che non padroneggia ancora tutti gli elementi culturali e liturgici ebraici, quindi cerca contatti con qualunque ebreo si trovi a passare da quelle parti, chiede istruzioni e strumenti introvabili nella zona: dalla Torah — come si sa, è cosa ben diversa dal Vecchio Testamento cristiano — agli scialli di preghiera, ai filatteri... Gli Abayudaya così possono osservare rigorosamente leggi e tradizioni giudaiche; continuano a farlo dopo la morte di Kakungulu (1929), e nonostante le feroci persecuzioni del dittatore Idi Amin durante gli anni Settanta. Poi tra il 2001 e 2002 Si convertono secondo i dettami dell'ebraismo ortodosso. E oggi sono ancora li, in alcuni villaggi a nord di Mbale: in so0 circa, ma fieri del pieno riconoscimento ricevuto dal Rabbinato israeliano e del legame consolidato con l'ebraismo occidentale.

(Corriere della Sera, 11 maggio 2014)


Spiaggia, Picasso e sinagoga, Tel Aviv regina del Mediterraneo

di Elena Barassi

Tel Aviv
Il National Geographic la cita tra le prime 10 beach cities al mondo, Condenast l'ha inserita nelle top ten da visitare assolutamente per gli amanti dell'architettura, per il New York Times è oggi la capitale più cool del Mediterraneo.
   E se anche questo non fosse sufficiente, anche Easy Jet ora fa rotta su Tel Aviv via Milano e Roma.
   A poche ore di volo dall'Italia, la prima città ebraica moderna in Israele, la collina della Primavera, questo il suo significato, ha da poco compiuto 100 anni, anche se solo più in là, volgendo lo sguardo verso sud, si incrocia il porto di Jaffa, la cui storia risale a più di 5000 anni. La Miami del Medio Oriente è oggi una metropoli cosmopolita, dove tradizione e modernità si incontrano, tra l'architettura contemporanea e le vie dei tempi antichi. Un centro multi culturale unico in cui differenti artisti e culture hanno trovato un punto d'incontro privilegiato.
   Sì perché qui l'arte ed il design rivestono un ruolo di primo piano. Ad iniziare dalla Città Bianca, uno degli esempi più riusciti dello stile architettonico Bauhaus, tanto da essere inserita nel 2003 nel patrimonio dell'Unesco. Bianco, un bianco intenso fa da contrappunto alle linee essenziali di questi edifici squadrati risalenti al dopoguerra che si snodano tra Rothschild Boulevard e il Dizengoff Center.
   E se qui gli occhi rimangono rivolti verso l'alto in ammirazione di questi austeri edifici, poco lontano si entra nel vivo della Soho del Mediterraneo. Neve Tzedek, primo quartiere ebraico della città, è oggi l'area di incontro dell'avanguardia del fashion, design e perfino della danza moderna, grazie alla lungimiranza di Martha Graham che qui ha fondato l'accademia cult Suzanne Dellai Centre. Un incredibile intreccio di vie in cui si susseguono gallerie d'arte, bistrot dal fascino retrò e atelier di designer. Imperdibili quello di Ayala Bar, (www.ayalabar.co.za) designer di gioielli, e Agas e Tamar (www.agasandtamardesign.com) sulla Shabazi Street, le cui creazioni sono indossate da Demi Moore o Heidi Klum.
   L'antica città ottomana di Jaffa, un tempo famosa solo per il suo pittoresco marché aux puces, brilla oggi all'insegna dell'arte e del design. Un dedalo di viuzze che discendono verso il porto su cui si affacciano una miriade di botteghe di interior designer, gioielli d'arte e gallerie. E immancabili locali dove gustare la classica cucina kosher. Per una shakshuca coi fiocchi si va da Dr. Shakshuka3, (Beit Eshel, Jaffa), mentre per un humus superlativo, e un energetico succo di melograna ci si sposta nel regno dello street food, il Carmel Market, un trionfo di spezie e verdure locali. Da non perdere a Jaffa una visita all'Ilana Goor Museum (www.ilanagoormuseum.org/eng), una ex sinagoga dove, con un po' di fortuna, potrete incontrare personalmente l'eclettica artista che possiede una collezione privata di indubbio fascino.
   Le opere di Picasso, Chagall e Kandinsky si trovano nel Tel Aviv Museum of Art (www.tamuseum.org.il), a fianco della più vasta collezione di arte israeliana di tutto il paese, mentre per il design e la cultura contemporanea si fa tappa al Museo del Design (www.dmh.org.il) di Holon, un sobborgo di Tel Aviv, che porta la firma di Ron Arad, designer e architetto di origine israeliana ma di fama internazionale.
   Stanchi di arte e cultura? Il luogo migliore per il relax e per gustare il sunset è la spiaggia, ben 14 km di litorale, parte integrante della città, su cui sfrecciano fin dall'alba una miriade di runner. La migliore per i surfisti e per un tramonto mozzafiato è l'Hilton Beach, i modaioli scelgono Banana Beach, mentre quella più esclusiva è l'Hatzuch Beach.
   Per rimanere nel cuore di Neve Tzedek con vista sul Mediterraneo, si sceglie l'Hotel David InterContinental (www.ihg.com/intercontinental/hotels/gb/en/tel-aviv) da 200 euro a notte la camera, colazione compresa, mentre l'Hotel Montefiore, (www.hotelmontefiore.co.il) 328 euro a notte a camera, in un edificio degli anni '20 nel cuore della White City è un boutique hotel di design molto raffinato. Da Milano si vola con El Al (www.easyjet.com/it) da 193 euro. Per info: Ufficio Israeliano del Turismo, www.goisrael.it).

(il Giornale, 11 maggio 2014)


Giornale pro Hamas in vendita in Giudea-Samaria dopo sette anni di bando

Torna nelle edicole della Giudea-Samaria, dopo 7 anni di messa al bando, il giornale 'Falasteen', apertamente a sostegno del movimento islamico palestinese di Hamas che governa dal 2007 la striscia di Gaza. Si tratta di un ulteriore segnale che l'Autorita' Palestinese a guida di Fatah e che governa la Giudea-Samaria, ha voluto dare nella direzione della riconciliazione palestinese. La decisione di permettere la distribuzione di 'Falasteen' è stata presa tre giorni dopo che Hamas ha permesso dopo 6 anni di interdizione la vendita nelle edicole della striscia di Gaza del giornale al-Quds, principale quotidiano palestinese stampato in Giudea-Samaria.

(Fonte: Aki, 10 maggio 2014)


Netanyahu tra i veterani dell'Armata Rossa

Festa patriottica a Natania con l'orchestra delle forze armate di Israele tra inni, bandiere con la falce e martello e divise stracolme di medaglie.

di Maurizio Molinari

A Natania i festeggiamenti dei veterani dell'Armata Rossa nello stesso giorno in cui in Russia si ricorda la vittoria contro la Germania di Adolf Hitler.
GERUSALEMME - Divise sovietiche, inni patriottici, bandiere con la falce e martello e dozzine di veterani della Grande Guerra Patriottica, con un tappeto di medaglie sul petto. Non siamo nella Russia di Leonid Breznev ma a Natania, la città israeliana dove il premier Benjamin Netanyahu ha partecipato di persona ai festeggiamenti dei veterani dell'Armata Rossa nello stesso giorno in cui in Russia si ricorda la vittoria contro la Germania di Adolf Hitler.
Se l'evento si è svolto a Natania è perché in questa città sul Mediterraneo, dove la percentuale di immigrati russi è molto alta, il leader del Cremlino Vladimir Putin venne nel 2012 per inaugurare proprio il monumento ai caduti dell'Armata Rossa. All'epoca il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, anch'egli ex sovietico, lo accolse dicendogli: "Israele è l'unica nazione fuori dall'ex Urss dove sorge un monumento all'Armata Rossa". E davanti al monumento, Netanyahu ora ripete: "Israele è l'unica nazione fuori dall'ex Urss dove si rende omaggio ai veterani dell'Armata Rossa". Dopo di lui è stato il ministro dell'Immigrazione, Mervin Lender, a prendere la parola per riconoscere ai veterani dell'esercito sovietico di "aver consentito a Israele di nascere grazie alla vostra vittoria contro il nazifascismo". Se nella memoria collettiva degli israeliani c'è il contributo di sangue dei 14 milioni di soldati sovietici caduti contro Hitler - come anche il fatto che fu l'Armata Rossa a liberare Auschwitz - la scelta di Netanyahu di dare particolare enfasi all'eroismo russo rientra nell'intento di rafforzare il legame politico con il Cremlino.
Gli accordi per lo sfruttamento del gas naturale nel Mediterraneo hanno gettato, nel 2012, le basi per un balzo in avanti dell'interscambio commerciale, e da gennaio Netanyahu ha mostrato crescente attenzione per le mosse di Putin in Medio Oriente: apprezzando la scelta di non aver fornito a Bashar Assad missili anti-aerei di ultima generazione e discutendo più volte con lui del negoziato sul nucleare iraniano. La crisi ucraina ha accelerato tale approccio: Gerusalemme ha evitato di criticare Mosca per l'intervento in Crimea, ha respinto le pressioni di Washington che le chiedeva di farlo, e sulle sanzioni Usa-Ue ha scelto un profilo cauto al punto da far affermare a Lieberman che "su questa vicenda non ci esprimeremo". Sono diversi i motivi che spingono Israele su tale linea: dai resoconti degli ebrei ucraini sull'antisemitismo che serpeggia fra i nazionalisti di Kiev alla consapevolezza che Mosca può ambire a riempire alcuni degli spazi lasciati vuoti dall'America in Medio Oriente. Benjamin Netanyahu sa di non poter gareggiare con Teheran nell'aperto sostegno alle politiche russe in Siria ed Ucraina: da qui la scelta di puntare sul "soft power" dei russofoni, ovvero oltre un milione di cittadini israeliani, per creare un proprio canale privilegiato con il Cremlino. Si spiega così anche le festa patriottica di Natania, con l'orchestra delle forze armate di Israele che ha accompagnato il cantante rock russo Andrei Makarevich che, superati i 60 anni, si fregia del titolo di "artista del popolo russo". L'intento è di portare l'eroismo russo ad integrare l'identità israeliana: si spiega così il fatto che Ion Degen, leggendario carrista sovietico nella Seconda Guerra Mondiale emigrato in Israele negli anni Settanta, ha fatto da guida ai veterani russi a Latrun, teatro di una delle battaglie più cruente della guerra di indipendenza del 1948.

(La Stampa, 10 maggio 2014)


L'anno scorso, alcuni dei reduci che combatterono con l'Armata rossa durante la seconda guerra mondiale hanno voluto reindossare per un giorno le loro divise e - medaglie bene in mostra - si sono messi in posa per uno scatto ricordo nelle loro case, in Israele. C'è chi ha scelto di posare sulla poltrona del salotto buono, chi a tavola, chi sul proprio letto. Il primo veterano che compare nelle immagini è l'ex comandante al fronte di Stalingrado Tchudnovsky Itzhak. (ripreso da Repubblica)


In Medio Oriente occorre ora realismo

di Emanuele Ottolenghi

L'ennesimo tentativo di Obama di persuadere Israele e Autorità Palestinese (ANP) a raggiungere uno storico accordo di pace è svanito. Prevedibilmente, adesso è iniziato il gioco del rimpallo di responsabilità. Aggiungendo un altro capitolo all'arcinoto copione di insuccessi in Medio Oriente, stavolta l'amministrazione Obama ha scelta di sposare la reazione istintiva dell'alleato europeo puntando il dito contro Gerusalemme, nel momento in cui Israele ha pubblicamente biasimato il segretario di Stato USA Jon Kerry.
Senza dubbio ogni tentativo ha le sue qualità peculiari: il consueto mix di tempistica scellerata, scontro di personalità ed eventi esogeni imponderabile che rendono ogni round di negoziati argomento di riflessioni, dibattiti, resoconti e recriminazioni. Tuttavia ci sono degli elementi che accomunano questi tentativi, se si prescinde da nomi e date: oggi l'inviato speciale USA Martin Indyk, in passato George Mitchell; ma dinamiche, opposizioni e conclusioni sono sempre le medesime....

(Il Borghesino, 10 maggio 2014)


Gli "angeli" di Abu Mazen, velo, basco e kalashnikov

Le 23 guardie del corpo del leader palestinese addestrate dagli italiani

di Maurizio Molinari

 
Le guardie del corpo di Abu Mazen addestrate dai nostri carabinieri
GERUSALEMME - Scalano torri con funi di corda, si gettano dall'alto per abituarsi al pericolo, guidano auto veloci e si addestrano a proteggere i leader: il fiore all'occhiello della guardia presidenziale palestinese sono 23 donne-soldato destinate a difendere Abu Mazen. A comandarle è Minar Qemal Daramer, 43 anni, di Ramallah, madre di nove figli con sulla mimetica la scritta «Palestine» e il logo «Swat» delle armi speciali. «Avevamo molte richieste, abbiamo scelto queste 23 ragazze perché sono le più determinate» ci spiega durante una pausa degli addestramenti.
«Per far parte della guardia presidenziale devono essere superiori alla media - aggiunge - sommando forza fisica, sensibilità, intelligenza, passione per la patria e almeno una laurea». Le donne-soldato - tutte classe 1991 - vengono addestrate dall'unità dei carabinieri comandata da Massimo Mennitti. Per comprenderne le tecniche siamo entrati nella base di Gerico dei 2600 militari della guardia nazionale trovando Akia, Salan, Hanin, Sabra e Dalia mentre simulano la difesa di un leader. L'attacco può avvenire mentre il vip stringe le mani in una cerimonia, attraversa un cortile, scende dall'auto, entra in ufficio o percorre scale e corridoi: in ogni occasione c'è un carabiniere che simula l'aggressione e loro reagiscono. Lo schema si ripete nei test di guida sicura, quando viene insegnato alle soldatesse come superare ostacoli improvvisi. «Sono molto motivate», assicura Mennitti. Per comprendere da dove nasce tale grinta basta ascoltarle. Zakia dice di «voler proteggere tutti i palestinesi, uomini e donne». Salan vede nell'uniforme la conferma che «le donne sono al centro della nostra società». E aggiunge: «Sono qui per dimostrare quanto valiamo». Hanin definisce «un sogno» la possibilità di «servire la Palestina» e Sabra promette: «Darò tutto alla mia nazione». A concludere è Dalia: «Se volete sapere cos'è la Palestina dovete guardarci». Vengono da Jenin, Nablus e Gerico. È il velo a svelarne la fede: le musulmane lo indossano fra divisa e berretto mentre le cristiane non lo hanno. Fra gli addestratori c'è chi le definisce «una sorta di ninja» perché non si tirano mai indietro anche quando gli ufficiali palestinesi le sottopongono a situazioni estreme.
Fra i 30 mila militari palestinesi le donne sono circa 900 e le 23 «guardie presidenziali» ne riassumono lo spirito. «Tengono a dimostrare di non essere da meno degli uomini», spiega Daramer, secondo cui «la società palestinese si distingue per reggersi su donne forti e le forze armate ne traggono vantaggio». È una caratteristica che le avvicina più alle soldatesse israeliane che non alle fedelissime del colonnello libico Muammar Gheddafi. Anche perché il legame con la Palestina, per le reclute di Gerico, prevale su tutto il resto. È il tassello di un mosaico più ampio: Gerico è la città militare dell'Autorità nazionale palestinese, proprio come Ramallah ne è il centro politico. Per spazi, caserme e reparti è qui, nella Valle del Giordano, che le forze armate di Abu Mazen stanno nascendo.

(La Stampa, 10 maggio 2014)


Anche i hassidim fanno yoga

di Mara Accettura

Quando Rachel e Avraham Kolberg hanno aperto la loro scuola di yoga Iyengar nel quartiere ultraortodosso di Ramat Beit Shemesh, a 30 chilometri da Gerusalemme, le chance di successo erano veramente scarse. La coppia è strettamente osservante - pura tradizione hassidica Breslov - ma dieci anni fa lo yoga - in particolare le sue connessioni all'Induismo - era visto come una minaccia alla religione, una sorta di idolatria. «Dicevano che era un luogo impuro, che insegnavamo un culto strano e che iniziavo le ragazze a pratiche proibite», ricorda Rachel. Chi frequentava aveva problemi fisici gravi e/o un permesso speciale dal rabbino, non facile da ottenere. Per intenderci solo qualche anno fa una ragazza ha dovuto smettere perché rischiava l'espulsione da scuola. Nemmeno il fatto che c'erano (e ci sono) classi separate per i due sessi e non si parlasse in modo specifico di spiritualità ammorbidiva le posizioni delle autorità. La scuola era una scheggia impazzita, e la coppia, allora trentenne, guardata con sospetto.
   Le cose sono cambiate un paio di anni fa, quando un rabbino ha mandato sua moglie in avanscoperta. Lei ha fatto una lezione. E il miracolo è accaduto. «Era entusiasta. Scioccata. E andata dal marito e gli ha detto "questa non è solo una buona pratica, dovrebbe essere obbligatoria perché rende le donne più sane, più forti. Con lo yoga possono diventare delle madri e delle mogli migliori"», continua Rachel. Da allora la scuola ha più di 100 allievi, di tutte le età, dai bambini agli anziani, con una percentuale di donne del 60%.
   Beninteso, insegnare in una comunità così chiusa presenta delle sfide. Certo non ci si può mettere a sbandierare gli yoga siam (gli aforismi di Patanjali) di filosofia indiana, darsi alla meditazione e fare del chanting tradizionale in sanscrito. Ma i Kolberg sembrano aver trovato una terza via, cauta ed efficace, che ha schivato i pregiudizi. «Insegniamo attraverso il corpo. Corpo e mente sono integrati. Non essere violenti quando si pratica un'asana porta a non essere violenti nei confronti degli altri. La concentrazione profonda su una parte del corpo apre le porte alla spiritualità. Non abbiamo una sessione dedicata alla meditazione ma shava-sana - la posizione del cadavere - è in se stessa una forma di meditazione», dice Avraham. E lei aggiunge: «La filosofia dello yoga è davvero universale. Quando Patanjali dice di credere in Dio non dice in quale. E' compito tuo riempire quella casella».
   La maggior parte degli allievi sono hassidici o ultraortodossi che non avrebbero mai immaginato di trovarsi un giorno nella posizione del cane a testa in giù. Insieme sul tappetino con studenti meno religiosi riescono a parlare una lingua comune. Molti hanno una scarsa percezione del proprio corpo. «Sono disconnessi, non conoscono come sono fatti né i nomi di alcune parti del corpo, e non sanno come muoversi nello spazio. Lo yoga alza il livello di consapevolezza», dice Avraham.
   In Occidente lo yoga è talmente diffuso che si pratica persino in palestra. Donne e uomini insieme, in tenute minimal, alimentano attraverso questo esercizio l'industria miliardaria del fitness. Di spirituale rimane poco. Nella scuola dei Kolberg i due sessi praticano separati. «Per noi è normale. Uomini e donne stanno insieme solo in famiglia», dice lui. E molti rifiutano di mettersi in tenute sportive, più comode, preferendo fare lezione coi vestiti tradizionali. E' buffo vederli ma Avraham insiste: «Va bene così, vogliamo che tutti si sentano a proprio agio. Ci sono uomini che hanno problemi al collo, alla spina dorsale, alle ginocchia, donne che vogliono una pratica dolce per la gravidanza. E anche casi di Parkinson e sclerosi multipla. Tutti sembrano trarne un beneficio: vanno via con un senso di calma e pace.
   Rachel, nata in Unione Sovietica, è arrivata in Israele nel 1990, a 17 anni. Da brava russa è stata una bambina ginnasta. Suo padre era un insegnante di spagnolo e traduttore ufficiale in russo di Fidel Castro. Lei e Avraham si sono conosciuti a vent'anni: lui fotografo, lei pittrice, insegnavano al Beit Berl School of Art. Insieme hanno sei figli, l'ultima di 4 mesi e mezzo. Già studenti di yoga dal 1997, nel 2000, con un bimbo di tre anni al seguito, sono andati in India, a Pune, per praticare con B.KS. Iyengar. 96 anni, Iyengar è uno dei padri dello yoga contemporaneo, uno stile statico, di massima precisione che si avvale di attrezzi come cinture, corde, blocchi e sedie per consentire a qualunque tipo di corpo di ottenere una posizione perfettamente allineata. «In India abbiamo preso il virus dello yoga», dice lei. Ma al ritorno il rabbino la ammonì duramente. «Mi disse che quello per lo yoga era un desiderio da reprimere. Non dovevo lavorare ma stare con i miei bambini. Così ho fatto per un paio d'anni, ma da sola e con quattro figli a casa stavo diventando matta».
   Oggi i Kolberg, tutti e due insegnanti certificati Iyengar, hanno creato una comunità intorno alla pratica, tanto che spesso gli studenti vanno a stare con loro durante lo shabbath. Da poco hanno anche comprato un pezzo di terra sempre li, tra le colline della Giudea, dove stanno erigendo una nuova scuola, più grande. «Vogliamo creare un centro Beit Shemesh per fare ritiri, aperto agli studenti di tutto Israele, e anche fuori», conclude lui.

(la Repubblica, 10 maggio 2014)


Ebrei contro Israele, l'analisi di Giulio Meotti

Un libro che mette sotto accusa gli ebrei che delegittimano lo Stato d'Israele

ROMA - Ebrei che si schierano contro Israele, contro la sua politica e spesso il suo diritto ad esistere. A loro è dedicato ''Ebrei contro Israele'' (Edizioni Salomone Belforte & C., pp. 120, Euro 14) di Giulio Meotti, giornalista, da domani nelle librerie. Ogni giorno, si legge nella quarta di copertina, ''ebrei famosi - scrittori, artisti, accademici - descrivono Israele come un'entità ''razzista'' e ''occupante'' che deve essere smantellata. Da quarant'anni molti di loro hanno assunto ruoli chiave nella campagna di delegittimazione dello Stato ebraico.
Quando questi ebrei delegittimano Israele sui giornali, in televisione, nelle università, essi contestano l'essenza stessa della sua esistenza, che viene definita ingiusta e priva di fondamento sul piano morale. Ma, delegittimando Israele, questi ebrei giustificano anche un ultimo passaggio della storia ebraica, quella in cui sarà giusto e buono far scomparire lo Stato d'Israele. Per la prima volta un libro li mette sotto accusa''.

(ANSAmed, 9 maggio 2014)

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Un esempio attuale di come ebrei possano mettersi sconsideratamente contro Israele ci è offerto dal romanziere Amos Oz.

Amos Oz: gli ultras ebrei sono una versione locale di neonazisti

Gli ultras ebrei che nelle ultime settimane hanno moltiplicato gli attacchi ed i vandalismi contro arabi, musulmani e cristiani, sono ''la versione locale dei neonazisti''. Lo ha affermato, secondo la radio militare, il romanziere Amos Oz, uno dei più autorevoli esponenti della sinistra israeliana. "Tag Mehir" (il prezzo da pagare) e "I giovani delle colline" (frange radicali del movimento dei coloni
il semplice fatto di usare questo termine sbagliato, volutamente offensivo e calunnioso, costituisce per i “coloni” un’attenuante.
) sono, a suo avviso, "termini edulcorati di un mostro che dobbiamo ora chiamare con il suo nome: sono gruppi neonazisti ebraici". Oz ha aggiunto che il loro comportamento aggressivo verso le minoranze non è in alcun modo differente da quello mantenuto da gruppi neonazisti nel mondo.

(ANSAmed, 9 maggio 2014)


Gli ormai fin troppo facili e diffusi accostamenti al nazismo sono quasi sempre deplorevoli e fuorvianti, anche quando si riferiscono a movimenti anti-israeliani, perché se si vedono nazisti da tutte le parti, allora se ne potrebbe dedurre che il nazismo non è stato poi una cosa così grave e singolare come si continua a dire. Ma che questo venga fatto da un ebreo israeliano in riferimento ad azioni di altri ebrei israeliani, certamente deplorevoli ma con motivazioni ben diverse da quelle dei nazisti, è di una gravità inaudita. Intellettuali o no, ebrei di questo tipo non meritano alcuna stima. E qualcuno glielo dovrebbe dire. M.C.


Israele celebra l'anniversario dell'indipendenza a San Marino

Concerto al Santa Chiara che vuole farne conoscere musica e cultura

  
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E' dagli inni nazionali che aprono il concerto, sottolineando che Consolo era di origine ebrea e dall'"in bocca al lupo" a Valentina Monetta dagli esponenti israeliani che si capisce lo stretto legame tra i due stati. Ci sono le più alte cariche istituzionali, il segretario Valentini e l'ambasciatore Naor Gilon. Ma chi meglio dei due ambasciatori musicali, il flautista Guy Eshed e il pianista Binyamin Greilsammer, per portare la cultura e la poesia in note del loro paese. Eseguono "canti senza parole" di un compositore della loro terra. Per la prima volta insieme a San Marino, Eshed flauto solista del maggio musicale fiorentino e Grielsammer che si sta perfezionando al conservatorio di Trieste.

(SMTV San Marino, 9 maggio 2014)


Paramedico israeliano riceve il "President's Award" per aver salvato dei siriani

Dal blog dell'IDF (Esercito israeliano): "Ogni anno, su migliaia di candidati, il Presidente di Israele onora i soldati più importanti della IDF. Questi soldati sono fonte di ispirazione per i loro coetanei, perché hanno agito come leader dimostrando il più alto grado di eccellenza."
Quest'anno il premio è toccato a Noga Erez, un paramedico militare che lavora nell'ospedale da campo che si trova sulla lina di confine con la Siria. Quale altra nazione darebbe una delle sue più alte onorificenze a qualcuno che salva la vita di persone di un paese nemico?

(Elder of Ziyon, 8 maggio 2014)


Gerusalemme tra arte, teatro e musica

Un ricco calendario di eventi sono in programma a maggio e giugno per animare la città sacra per antonomasia.

di Flaminia Giurato

E' la città sacra per antonomasia, ma anche la città riunificata, la città eterna costruita migliaia di anni fa, la città che da millenni attira milioni di pellegrini. Non solo offre una forte esperienza religiosa e spirituale, ma anche divertimento e piacere, luoghi interessanti e la possibilità di vivere appassionanti avventure. Accanto al fascino della storia e dell'archeologia, le sorprendenti attrattive turistiche aspettano chi ama la cultura, l'arte, il teatro e la musica, l'architettura e la gastronomia. E' a Gerusalemme che si uniscono arte, storia e tradizione, ed è Gerusalemme una città capace di offrire sempre un ricco e variegato calendario di eventi.

- Gerusalemme svela un altro dei suoi misteri
  Visitare la capitale d'Israele a maggio e giugno significa avere la possibilità di vivere esperienze che spaziano dall'ecologia alla scrittura, dalle arti figurative alle performance luminose, tutto per incontrare i più svariati interesse dei visitatori. Si inizia con l'Eco Tourism Weekend, in programma dal 15 al 17 maggio, che prevede un tour della città in bicicletta per scoprire la storia di Gerusalemme e dei suoi parchi municipali, accanto a numerose attività da svolgere con i più piccoli, per imparare l'importanza della cura all'ambiente e l'attenzione al riciclo. Segue dal 18 al 23 l'International Writers Festival, una settimana di conversazioni tra autori israeliani, tra cui il poeta locale Yehuda Amichai e autori internazionali, forum e workshop letterari. Anche in questo caso sono previste numerose attività anche per i bambini, per avvicinarli alla disciplina della scrittura.
  Di altro genere il Musrara Mix Festival, dal 20 al 22 maggio, giunto alla 14a edizione e caratterizzato quest'anno dal tema "Analogico": si tratta di una manifestazione di arte interdisciplinare con arti figurative, fotografia, teatro e musica. E' invece arrivato a quota 53 edizioni l'Israel Festival, che copre il periodo dal 29 maggio al 14 giugno e che ogni anno presenta un filo conduttore che collega le perfomance di teatro, musica e danza che si intrecciano per le strade e i luoghi più suggestivi di Gerusalemme, tra cui la Piscina del Sultano, la Prima Stazione, il Musero di Israele, il Teatro, il Centro Internazionle dei Congressi, i centri culturali Machon Hartman e Gerard Behar, oltre al YMCA e i dintorni di Ein Kerem.
  Va in scena invece dall'11 al 19 giugno il Festival della Luce, tra le vie della Città Vecchia, dove protagonisti sono vie, muri e finestre che vengono investiti da installazioni luminose, a volte anche tridimensionali, spettacoli di luci e suoni e video proiettati. Questo evento è arricchito anche dalla presenza di numerosi mercatini di artigiani delle luci e dalla possibilità di visitare numerosi siti turistici aperti fino a tardi. Per maggiori informazioni sulla città e le sue proposte, si può visitare il sito www.itraveljerusalem.com/it

(La Stampa, 9 maggio 2014)


Assad sta vincendo. Un successo per l'Iran, una minaccia per Israele

L'abbandono della città di Homs da parte di ribelli e il suo conseguente passaggio nelle mani dell'esercito regolare siriano, consegna ad Assad una vittoria quasi decisiva nel conflitto che ormai da tre anni insanguina la Siria.
E' uno schiaffo prima di tutto all'Arabia Saudita e al Qatar che avevano puntato tutto sui ribelli per abbattere il regime filo-iraniano di Assad. Indirettamente è uno schiaffo alla politica di Barack Obama che aveva tacitamente approvato il piano saudita e aveva pubblicamente appoggiato i ribelli anche se poi non è stato capace di far nulla per aiutarli concretamente. Ma soprattutto si delinea una vittoria del fronte degli Ayatollah iraniani che con uomini, mezzi e denaro hanno appoggiato massicciamente Assad in collaborazione con gli alleati di Hezbollah....

(Right Reporters, 9 maggio 2014)


Scritte anticristiane su una chiesa di Gerusalemme

Scoperte stamane sulla parete esterna dell'edificio

GERUSALEMME - Graffiti di tono anticristiano, scritti in ebraico, sono stati scoperti stamane sulla parete esterna della Chiesa rumena di Gerusalemme. Lo rendono noto i mezzi di comunicazione locali. Ieri le stesse fonti avevano affermato che i servizi di sicurezza locali hanno rafforzato le misure preventive per impedire che la imminente visita in Israele di papa Francesco sia turbata da episodi di ostilità verso la comunità cristiana da parte di estremisti ebrei.

(ANSA, 9 maggio 2014)


Sull'amore degli arabi per i palestinesi

Gli arabi sono storicamente molto più dediti a sabotare in ogni modo e con ogni mezzo Israele; che non a preoccuparsi delle sorti dei "fratelli" palestinesi. Che da decenni vivono in luridi campi profughi in Egitto, in Siria, in Giordania, e nello stesso West Bank: senza cittadinanza, senza diritto, senza possibilità di esercitare diverse professioni, in condizioni penose di dipendenza economica e sudditanza psicologica dei paesi ospitanti. Se non carne da cannone, massa disperata da utilizzare cinicamente contro lo stato ebraico....

(Il Borghesino, 9 maggio 2014)


Gerusalemme - La Roma liberata in mostra

Una mostra per raccontare la Campagna d'Italia e la partecipazione dei soldati ebrei negli eserciti alleati durante la seconda guerra mondiale. Il Museo di Arte ebraica italiana U. Nahon di Gerusalemme celebra così il settantesimo anniversario dalla Liberazione della Capitale che cadrà il prossimo 4 giugno e propone una riflessione sul ruolo dei tanti che dalla futura Israele furono pronti a sacrificare la vita per sconfiggere il nazifascismo. "Desideriamo che il pubblico possa conoscere una pagina di storia troppo spesso trascurata, una pagina di storia di entrambi i paesi" spiega Cecilia Nizza, responsabile per la Cultura della Hevrat Yehudé Italia, punto di riferimento degli italkim nello Stato ebraico. Pannelli con le storie, foto, video, consentiranno al pubblico di scoprire non soltanto cosa fu la Brigata ebraica, ma anche tutto ciò che la precedette, grazie al lavoro del curatore, lo storico Samuele Rocca, autore de "La Brigata Ebraica, e le unità ebraiche nell'esercito britannico durante la seconda guerra mondiale" (Soldiershop Publishing 2012) e la collaborazione di Miriam Hajun, direttrice del Centro di Cultura di Roma, Bice Migliau, Ghidon Fiano, Ruth Steindler. "Ci auguriamo che la mostra possa arrivare anche nelle scuole e nelle università qui in Israele, dove sono tante le storie di coloro che combatterono, e in Italia, a maggior ragione dopo gli episodi che si registrano in occasione del 25 aprile contro la memoria della Brigata ebraica" sottolinea ancora Nizza. Tra gli approfondimenti, anche il ruolo delle donne durante la guerra.
La prospettiva dell'iniziativa, che prosegue fino al prossimo 5 giugno nelle sale del complesso di Rehov Hillel, è quella di allargare la riflessione anche in vista dell'appuntamento, il prossimo anno, con il settantesimo anniversario dalla fine della seconda guerra mondiale. Un'occasione per ricordare quanto affondi le radici nella storia lo straordinario ponte tra Italia e Israele.

(moked, 8 maggio 2014)


Roma: intesa tra il liceo ebraico e l'istituto agrario sullo studio della filiera Kosher

ROMA - Il liceo ebraico Renzo Levi e l'istituto tecnico agrario Emilio Sereni questa mattina hanno firmato il protocollo d'intesa che vedrà impegnati professori e alunni in una collaborazione volta ad ampliare la conoscenza e l'applicazione della cultura ambientale. A firmare il documento, nell'Aula Magna del Renzo Levi, i presidi Rav Benedetto Carucci Viterbi e la professoressa Patrizia Marini. Il protocollo determinerà lo scambio di esperienze tra le scuole per accrescere la conoscenza culturale oltre che tecnica, giuridica, amministrativa e professionale degli studenti nella filiera di coltivazione, produzione e commercializzazione di prodotti Kosher, e incrementerà la conoscenza e le relazioni con enti ed istituti con finalità analoghe in Israele.
"Già dall'anno scolastico 2013-14 - spiega una nota - la scuola secondaria di secondo grado Renzo Levi ha avviato un progetto sperimentale denominato 'Per fare tutto ci vuole un fiore…', dedicato a un gruppo di giovani diversamente abili per facilitare l'avvicinamento al mondo floro-vivaistico grazie alle collaborazioni con l'Orto Botanico di Roma e l'Università La Sapienza. Con la firma di oggi l'istituto Emilio Sereni si impegna a partecipare al progetto 'Per fare tutto ci vuole un fiore…' mettendo a disposizione le proprie strutture e i propri docenti; nel corso del 2014 verranno organizzati presso l'Istituto Tecnico Agrario stage per il gruppo dei ragazzi coinvolti nel progetto sperimentale. Verranno inoltre promosse attività finalizzate alla divulgazione delle regole alimentari ebraiche all'interno dell'istituto agrario".
Presenti all'incontro gli studenti delle scuole, il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, l'assessore alle Scuole della Comunità Ebraica di Roma, l'assessore alle Politiche per la disabilità della Comunità Ebraica di Roma, Loretta Kajon, e Daniela Pavoncello per l'Ucei. "E' un sogno che si realizza - ha spiegato l'assessore Kajon - viviamo in un mondo dove i ragazzi si chiedono cosa devono fare appena usciti dal periodo di formazione scolastica e con questo protocollo diamo alcune prime risposte concrete alle loro domande. Grazie al coordinamento tra la nostra Comunità e l'istituto Sereni costruiamo un pezzo importante del domani dei nostri ragazzi".

(Adnkronos, 8 maggio 2014)


Parata dei veterani della II Guerra Mondiale a Gerusalemme

70esimo anniversario dalla Shoah, per non dimenticare


ROMA - Il 70esimo anniversario della vittoria della Russia sulla Germania nazista, e la fine della Seconda Guerra Mondiale: a Gerusalemme sfilano i veterani israelo-russi. Si rende omaggio alle vittime della Shoah. I bambini intonano canti in memoria delle vittime; gli anziani indossano le divise corredate da numerose medaglie. Generazioni a confronto per fare memoria. "Non dimenticheremo mai quei momenti. Di fronte a Hitler e alla Germania abbiamo sopportato momenti difficili", dice questo veterano. Ogni anno Israele celebra la memoria dell'Olocausto il 27esimo giorno del mese di Nisan, nel calendario ebraico. In questo giorno ristoranti e bar sono chiusi. E la comunità ebraica si ferma per non dimenticare.

(TMNews, 8 maggio 2014)


Viaggio nella terra promessa. La porta dell'Asia

di Damiano Martin

Un po' di eccitazione. Un po' di panico. Stanchezza, inevitabile. Tutto sommato un viaggio normale, sto solo andando da un'altra parte della Terra, a tre ore di volo da Milano Malpensa. Non fosse che quella Terra è quella promessa da Yahweh un po' di anni fa a un sumero, chiamato Abramo, a cui promise una discendenza numerosa come la sabbia nel mare e le stelle nel cielo. E da un certo punto di vista non aveva tutti i torti.
  Il viaggio rimane negli standard di un italiano a zonzo per il mondo: interrogatorio, prassi del tutto normale se viaggi con la compagnia aerea di punta israeliana, tiratore scelto sopra il check-in, posti scomodi, cibo in scatola, scadente e forse scaduto. Atterraggio all'aeroporto Ben Gurion. Controlli, battute a mesto sfondo politico (risate della guardia) e poi fuori.
  È una terra di mezzo Tel Aviv. Vista dall'aereo si mostra come una città moderna, con gli edifici simmetricamente costruiti secondo una logica ben precisa, a formare delle grandi figure geometriche: quadrati, rettangoli, divise da linee di asfalto regolari e continue. Sorprende, invece, quando si esce dall'aeroporto: ciò che mostra dall'alto rimane, ma crea una aspettativa familiare, occidentale, che inganna. È un bluff che si percepisce nell'aria. Non è negli edifici perfettamente squadrati. Non nei muri fatiscenti e scrostati. Non si intuisce nella varietà multietnica, né negli inusuali ebrei ortodossi che, seppur pochi, girano per le strade. È così: una porta tra l'Occidente e l'Oriente, una città post-industriale abitata da genti mediorientali. È qualcosa di inaspettato che sta a metà. Tutto poi viene nascosto dal buio della notte: allora la città si illumina, nasconde i bizzarri personaggi che la passeggiano, si fa metropoli.
  Ripartiamo, il giorno dopo, da Tel Aviv, detta la Collina di Primavera, lasciandoci alle spalle il suo fascino smezzato, i suoi edifici occidentali colorati di arabo, alla volta di Cesarea Marittima. Sulla strada che esce da Tel Aviv, Theodor Herzl saluta dalla sua privilegiata posizione. La strada mantiene l'aspetto della città: strade a più corsie che attraversano le aride colline, steppa, arbusti e palme, dov'è più curata, la terra col colore della sabbia e dell'argilla. Anche Cesarea mantiene le stesse fattezze. Non attraversiamo il centro città ma ci dirigiamo alle rovine romane: il fu anfiteatro, ricostruito in tempi moderni ma che mantiene la struttura originaria; le fondamenta del palazzo di Erode il Grande, il suo fondatore in onore di Cesare Augusto, e la zona dell'ippodromo. Rimangono solo poche pietre scolorite dal sole. Attraversiamo l'ex zona portuale dei tempi imperiali, dove salpò Paolo di Tarso per il suo viaggio verso Roma.
  "Nel momento in cui, a Roma, un uomo si faceva dio per le proprie genti, qui un Dio si spogliava della sua onnipotenza per farsi uomo tra noi".
  Lasciamo Cesarea, il suo lungomare mediterraneo, le sue rovine romane, per raggiungere il monte Carmelo, al monastero delle suore Carmelitane, nel ricordo di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa d'Avila. Ai suoi piedi si stende Haifa. Qui, a suo tempo, alloggiarono Napoleone e le sue truppe, sconfitto da turchi e inglesi nel tentativo di conquistare la Palestina. Noi ci concediamo semplicemente il pranzo, per poi ripartire: San Giovanni d'Acri.
  San Giovanni d'Acri: l'ultima roccaforte cristiana prima della presa da parte dei Mamelucchi nel 1291. Fortezza (quasi) inespugnabile, con le mura a picco sul mare. Ecco che l'ambiguità di Tel Aviv, Cesarea e Haifa si scioglie: Akka è una città araba. Risulta sempre strano vedere persone dalla carnagione scura guidare grosse macchine occidentali, ma qualche ragazzo si diverte a correre per strada con piccoli cavalli; quasi ci si aspetta di vedere qualche cammello. La cittadella è stata da poco riscoperta e riportata alla luce: mostra grandi stanze dove i crociati, forse, pregavano, o riposavano, o si preparavano alla battaglia. I passaggi segreti sono stretti e bassi. Da uno di questi usciamo nel suk di Acri: piccoli negozi angusti pieni di cianfrusaglie, vestiti, cappelli. Alcuni tizi, con il loro banchetto pieno di frutta, spremono al momento pompelmi e arance con un arnese a leva, e spizzicano qualche parola italiana: un piccolo sacrificio per aumentare gli introiti. Si festeggiano i matrimoni: anche le spose musulmane vestono sfarzosi abiti bianchi a testa scoperta e accuratamente conciata (e pesantemente truccata) che risaltano sulla pelle scura, e danzano insieme alle altre donne velate, mentre le vecchie guardano sedute su sedie di plastica. Festeggiano lungo le stradine del mercato, davanti a case basse, grigie e sporche, tenute d'occhio da un tizio che dalla propria dimora, steso su un materasso, beve da una latta, camicia sbottonata e alluci al vento, immerso dagli stracci. Ripartiamo.
  Nazareth torna sui passi delle prime città, appollaiata su una collina; qui però le abitazioni sono meno moderne, più fatiscenti, più vicino a un cliché arabo che impiegherà del tempo a morire. È venerdì: gli ebrei si preparano a chiudere anzitempo i loro negozi, sta per iniziare lo shabbat, il riposo assoluto tra il tramonto del venerdì e il tramonto del sabato. Ci concediamo in cinque gelato e caffè, ordinato a fatica a delle affascinanti ragazze ebree dalla pelle scura e dal fare occidentale. Questa cosa farà fatica a entrarmi negli occhi.
  La sera, nella passeggiata notturna verso la basilica dell'Annunciazione, complice lo shabbat il buio si mangia gli ebrei e gli arabi si lasciano a festeggiamenti con musica alta e grida. Le macchine hanno il clacson facile: le strade sono strette e la guida spericolata, molto "mediterranea". Mentre batto le ultime lettere spero che le ultime grida di feste si spengano.

(il Vivi Padova, 6 maggio 2014)


Ondata di maltempo in Israele: pioggia e disagi in tutto il Paese

Israele da ieri e' sotto la pioggia: un'ondata di maltempo che ha creato problemi un po' in tutto il paese, specialmente nel sud, Negev compreso, dove molte strade sono bloccate. La pioggia - in questa quantita', inusuale per la stagione - dovrebbe continuare, secondo le previsioni riportate dai media, tutto oggi. Le temperature, alte in queste periodo, si sono abbassate drasticamente. Nel deserto di Arava, nel Negev, 70 escursionisti americani sono bloccati da ieri notte per gli allagamenti e i soccorritori stanno tentando di raggiungerli per portarli via. La Radio militare ha segnalato che a Gerusalemme sono caduti circa 40 millimetri di pioggia, mentre 45 quelli nel Negev. Anche a Tel Aviv - dove stamattina la circolazione era molto sostenuta - le precipitazioni sono state abbondanti.

(MeteoWeb, 8 maggio 2014)


Quali affinità tra Israele e Maremma? Lo svela una conferenza

GROSSETO - Prima iniziativa della neonata Associazione Italia Israele della Maremma che si presenta alla cittadinanza con un incontro pubblico alla scoperta della Terra di Israele. L'appuntamento è per oggi giovedì 8 maggio ore 17.30 presso la sala conferenze del Museo di Storia Naturale della Maremma in strada Corsini n. 5 a Grosseto. "Geografia, cultura, turismo, economia, storia, curiosità e affinità con la Terra di Maremma" è il tema della conferenza su Israele. Introdurrà gli argomenti Luigi Favilli, socio fondatore e presidente dell'Associazione Italia Israele della Maremma. Seguirà una presentazione di Israele tra cultura, storia, sacralità, paesaggi, emozioni e immagini a cura di Arianna Bernabini, esperta turistica per Israele. Poi toccherà ad Alessandro Fichera, archeologo dell'Università degli studi di Siena, responsabile dei lavori alla chiesa della Natività. Infine un aperitivo di saluto insieme a tutti i partecipanti.
«Israele è un paese di grande tradizioni, dalla storia plurimillenaria ma fortemente orientato al futuro - commenta Luigi Favilli, presidente della Associazione Italia Israele della Maremma - caratteristiche che lo avvicinano alla Maremma, terra antica che guarda all'avvenire con voglia di fare, di crescere, di superare le difficoltà del momento. Sono più i temi che uniscono l'Italia e la Maremma in particolare ad Israele della distanza geografica che ci separa. Consideriamo la storica presenza ebraica in Maremma, a Pitigliano, Sorano, Sovana, Scarlino, dove la cultura ebraica è ancora viva. Erano questi i rifugi sicuri nella tollerante Toscana granducale e anche prima dai rischi periodici corsi dai cittadini israeliti di altri stati dell'Italia preunitaria».
La prima iniziativa grossetana dell'Associazione Italia Israele della Maremma vuole anche celebrare il 66o anniversario dell'Indipendenza dello Stato di Israele che si celebra il 6 maggio. Un'occasione per avvicinare due popoli mediterranei impegnati nella costruzione del progresso attraverso la democrazia.

Associazione Italia Israele della Maremma
Via Ximenes 16 - Grosseto
Email aiim.gr@virgilio.it

(Il Giunco, 8 maggio 2014)


Con la StrAlessandria una corsa per aiutare i carabinieri a Gerico

"Catarifrangenti salveranno i bimbi nella città palestinese"

di Valentina Frezzato

  
ALESSANDRIA - Rapporti ancora più stretti tra Alessandria e la gemellata Gerico in vista della StrAlessandria: mentre si vendono le magliette, e si punta a superare i seimila iscritti alla corsa podistica (l'anno scorso si toccò quota 6200), si aspetta anche il sindaco della città palestinese. Ma non solo per i saluti di rito e ciò che era stato programmato da tempo: probabile anche un incontro con il comandante dei carabinieri, interessato ad aiutare i bambini, pensando alla loro sicurezza. Tutto parte da un articolo: «Un mese fa ho letto proprio sulle pagine de La Stampa - spiega Silvio Bottazzo dell'Ics - che i carabinieri italiani si occupano della formazione delle forze dell'ordine palestinesi a Gerico. Ho comunicato la scoperta al comandante cittadino, che si è subito messo in contatto con il colonnello che si occupa di queste operazioni laggiù, scoprendo che era un suo compagno di corso».
Da cosa nasce cosa e l'incontro tra il rappresentante dell'Arma e il sindaco di Gerico è diventato non solo un piacere ma anche un'occasione per stringere rapporti utili ai colleghi che operano proprio in quella zona.
«Per adesso - continua Bottazzo - non ci sono ancora incontri ufficiali fissati, ma si sa già di cosa si parlerà: i carabinieri non si occupano solo di formazione e stanno prendendo a cuore un problema legato alla sicurezza dei più piccoli, che andando in bicicletta in zone poco illuminate rischiano la vita ogni giorno». Sono segnalati molti incidenti di questo tipo, che sarebbero evitabili con piccole accortezze: ad esempio, dei giubbotti con bande catarifrangenti facilmente reperibili in Italia. «Noi abbiamo già impegnato il ricavo della StrAlessandria in altri progetti (la cifra ammonterà a circa quindicimila euro), ma non è escluso che una parte non venga utilizzata proprio per l'acquisto di questi gilet o giubbotti visibili anche al buio».
Senza dubbio, la StrAlessandria diventerà l'occasione più giusta per lanciare una campagna seria in questa direzione, coinvolgendo magari anche gli sponsor che ogni anno rendono possibile la corsa podistica e con l'appoggio dei carabinieri per reperire tutti i fondi necessari.

(La Stampa, 8 maggio 2014)


Dunque, veniamo a sapere che “i carabinieri italiani si occupano della formazione delle forze dell'ordine palestinesi a Gerico”, e che stanno pensando di fornire ai bambini palestinesi “giubbotti con bande catarifrangenti” per la “sicurezza dei più piccoli, che andando in bicicletta in zone poco illuminate rischiano la vita ogni giorno”. Ma siamo proprio sicuri che per la Fedelissima Arma dei Carabinieri italiani non ci siano cose più importanti da fare in Italia? M.C.


Ecco la prova che i palestinesi hanno deliberatamente affossato le trattative di pace

Il consigliere per la sicurezza nazionale ha fatto avere a Usa e UE un documento di Saeb Erekat che smentisce la versione palestinese dell'impasse negoziale.

Yossi Cohen, consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu
In una lettera inviata lo scorso 22 aprile alla Casa Bianca, all'Unione Europea e a numerosi ambasciatori, Yossi Cohen, consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro Benjamin Netanyahu, accusa i palestinesi d'aver affossato i negoziati di pace e acclude quella che definisce la prova evidente che i rappresentanti dell'Autorità Palestinese si predisponevano a far naufragare il negoziato ben prima che Israele, alla fine di marzo, congelasse la scarcerazione del quarto gruppo di palestinesi detenuti per terrorismo....

(israele.net, 8 maggio 2014)


Tel Aviv, per giovani e gourmet una città che non dorme mai

Mercati, ristoranti e nuovi chef all'insegna di una cucina fusion come la cultura d'Israele.

di Margo Schachter

 
Un chiosco di frutta e verdura nel mercato di HaCarmel a Jaffa
Un lungomare illuminato, fitto di auto, ragazzi in bicicletta e anziani con i nipoti a passeggio, locali gremiti e dj suonano in spiaggia. Così per chilometri, dalla pittoresca rocca araba di Jaffa fino al vecchio porto, con la sua foodhall e i ristoranti aperti 24 ore.
   Questo è un normale venerdì sera a Tel Aviv e la città che non dorme mai è al massimo del suo splendore. Mentre altrove tutto si ferma per il riposo del sabato, nella capitale della Mecca del divertimento pulsa la vita. Questa è «la Bolla», come viene definita questo affascinante microcosmo multiculturale, dove mare, sole, mercati e streetfood mediorientali convivono con l'ombra dei grattacieli e il ritmo della modernità Tel Aviv si affaccia sul Mediterraneo, spiaggia dopo spiaggia e grattacielo dopo grattacielo, lungo vie trafficate e angoli di casbah fitti di locali, caffè e negozi.
   Si incontrano ragazzi hippy-freak con passeggini e cani nei quartieri di Sheinkin e fra le viuzze con case in miniatura tutte colorate e un po' bohémienne di Neve Tzedek, dove nel 1909 è sorta la città. Gli impiegati vanno avanti indietro per il viale su cui affacciano le eleganti case in puro stile Bauhaus di Rothschild Boulevard e sulla Dizengoff, strada che collega centro «commerciale» della città al nuovo quartiere neo-chic di Basel, in un progredire di boutique di stilisti israeliani. Ma c'è anche l'aria del Maghreb del centro storico di Jaffa con il suo sito archeologico, i rigattieri e le boutique di artigianato, il mercato delle pulci e lo Souk HaCarmel strabordante di frutta e verdura colorata, il paradiso dei foodie.
   Gli appassionati d'arte restano stupidi dalla collezione del Contemporary Art Museum e dall'architettura impossibile del Holon Design Museum disegnato da Ron Arad, e ci si può perdere fra le tante gallerie private con mostre di artisti emergenti.
   Per la party-generation la notte è costellata di locali, concerti, discoteche e di insegne di ristoranti e supermarket aperti (e frequentati) 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La gente è sempre in giro, vige la cafè-culture alla Starbucks e si mangiano per strada falafel fritti al momento o hummus di ceci in cui tuffare una pita ancora tiepida. Gli israeliani amano la colazione e Bededict è la sua istituzione, un posto dove da anni si serve solo quello, giorno e notte. In generale si mangia molto bene, ovunque e a buon prezzo, ma freme anche una vera e propria scena di giovani chef come David Frenkel del Pronto o Meir Adoni di Catit grazie ai quali si sta facendo notare a livello internazionale la cucina israeliana - programmaticamente fusion, come la vita di questo piccolo Paese e mille tradizioni che qui si sono incontrate.
   Il venerdì è il giorno in cui esserci: si può andare al settimanale mercato dell'artigianato con argenti, vasellame, pelletteria e suppellettili handmade a Nahalat Binyamin; si può cercare brocantage Anni Cinquanta a Kikar Dizengoff; fare la spesa di frutta, verdura, abbigliamento e varie al suk del Carmel; infilarsi al Dizengoff Center per scegliere una delle specialità gastronomiche preparate al momento in un improvvisata fiera dello streetfood multiculturale che riempie di odore di curry e di spezie l'intero grande magazzino.

(La Stampa, 8 maggio 2014)


Concerto per i bimbi in fuga dalle guerre

I RoyKlezmorim in Santa Maria Gualtieri

I RoyKlezmorim
PAVIA - Santa Maria Gualtieri torna ad essere palcoscenico della musica impegnata, questa sera alle 21.15, con "RoyKlezmorim in concerto!", un evento di raccolta fondi organizzato dal gruppo di volontari pavesi di Terre des Hommes Italia, in favore del progetto "Faro", con cui la onlus aiuta migliaia di bambini e ragazzi in fuga dalla povertà e dalla guerra.
Nato nel 2008 in occasione della Giornata della Memoria, il guppo di musica ebraica RoyKlezmorim ha consolidato negli anni il suo repertorio, fondendo il klezmer e brani della tradizione yiddish-ebraica, con quello dei gruppi più aperti a contaminazioni contemporanee, per approdare ad una combinazione autonoma e originale. Il punto di partenza è il genere musicale di tradizione ebraica che deve il suo nome alla fusione delle parole "kley" e "zemer" (letteralmente "strumenti di canto") e che riesce a mettere d'accordo strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono dalle differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Nel mondo ebraico degli shtetl e dei ghetti, lo strumento principale era il violino, ma nel klezmer hanno acquistato un sempre crescente rilievo il clarinetto e gli ottoni, in particolare la tromba, le percussioni e gli strumenti melodico percussivi, come il cymbalon, e altri strumenti, come il cello, usato in funzione di bassetto portatile.
E come nella tradizione klezmer si fondono le esperienze della musica popolare balcanica, russa e polacca (in certi casi premessa al jazz, visto che il klezmer contribuirà alla formazione di questo nuovo genere musicale, quando gli ebrei perseguitati si trasferiscono in America), così i Royklezmorim sono un insieme di musicisti che arrivano dalle più disparate esperienze musicali, unificati da un radicato senso antirazzista e di "orgoglio plebeo". Il loro mantra è una frase presa in prestito dal compositore statunitense di origini ebree Leonard Bernstein: "La nostra risposta alla violenza sarà fare musica più intensivamente, in modo più bello, più devoto che mai", mentre la line up è così composta: Alice "Ali" Marini (violino e seconde voci), Fernando "Rouge" Rossi (clarinetto), Ambrogio "Dalou" Dalò (chitarre e mandolino), Paolo "Rive Gauche" Malusardi (fisarmonica e tastiere), Marco "Mordecaj" Sannella (contrabbasso), Giacomo "Deba" De Barbieri (percussioni) ed Elisa Mandirola (voce solista). Ingresso a offerta libera.

(la Provincia, 8 maggio 2014)


Kasherut protagonista tra cultura e opportunità

 
"Kasher, Il cibo dal cielo alla terra e la via ebraica all'alimentazione." Questo il titolo della tavola rotonda che a Cibus, il salone internazionale dell'alimentazione che si svolge ogni due anni a Parma, ha raccolto grande interesse. A raccontare le mille sfaccettature dell'argomento - su cui in confronto proseguirà oggi pomeriggio in città, nel Palazzo del Governatore - erano presenti Jacqueline Fellus, consigliere e componente della giunta dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e assessore delegato allo sviluppo di questo specifico argomento; Patrizia Giarratana, del Ministero dello Sviluppo economico; Giorgio Giavarini, presidente della Comunità ebraica di Parma e consigliere UCEI; Milo Hasbani, consigliere UCEI; Roberta Anau, agriscrittrice e Benedetta Guetta, foodblogger, moderati da Guido Vitale, coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell'Unione. La kasherut vista come sinonimo di qualità e rigoroso rispetto di principi etici forti. Una opportunità commerciale che può aprire ai produttori italiani le porte di un mercato immenso e in continua espansione. Un mercato internazionale già consapevole del valore commerciale ed economico della produzione kosher certificata, ma anche alla costante ricerca di nuovi stimoli. La cultura italiana del cibo, già famosa in tutto il mondo, aggiunge con il suo fascino un elemento in più, che grazie alla certificazione nazionale di kasherut può diventare un formidabile volano per le aziende che intendano intraprendere il precorso di certificazione su cui stanno lavorando l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il ministero dello Sviluppo Economico.

(moked, 8 maggio 2014)


Palermo: piantato un ulivo simbolo della resistenza palestinese

Un albero di ulivo simbolo della resistenza palestinese crescerà a Villa Niscemi, sede di rappresentanza del Comune di Palermo. Lo ha piantato il sindaco Leoluca Orlando, insieme a Rosa Schiano, giovane attivista dell'International Solidariety Movement, che ha vissuto due anni sulla Striscia di Gaza, lavorando a fianco di contadini e pescatori palestinesi e riportando anche le violazioni dell'esercito israeliano sulla popolazione civile. ''In Palestina ci battiamo per favorire lo sviluppo economico della regione, siamo quasi degli scudi umani - ha raccontato Rosa Schiano - soprattutto in quelle zone vicine a Israele. In questi anni ho stretto dei legami molto forti con i contadini palestinesi e una di queste famiglie mi ha donato due alberi, simbolo di solidarietà e resistenza, da portare in Italia. Uno lo abbiamo già piantato a Napoli, presso il Liceo 'Elsa Morante' di Scampia, il secondo ho avuto il piacere di portarlo qui a Palermo''. "Questo atto simbolico - ha detto il primo cittadino - conferma l'amicizia che lega la comunità palermitana a quella palestinese e che ci consente di essere sempre di più capitale della pace e dell'accoglienza".

(la Repubblica, 7 maggio 2014)


E’ difficile soffocare il disgusto che provocano simili manifestazioni di buonismo. E’ puro odio anti-ebraico sublimato dal riferimento alla “pace”. M.C.


San Marino - "Canti senza parole" per l'indipendenza dello Stato di Israele

SAN MARINO - In occasione della ricorrenza del 66o anniversario dell'indipendenza dello Stato di Israele, venerdì prossimo, 9 maggio, alle ore 18, presso l'antico Monastero di Santa Chiara, si terrà il concerto "Canti senza parole".
Promosso dalla Segreteria di Stato agli Affari Esteri, unitamente all'Ambasciata d'Israele a San Marino e organizzato dalla Camerata del Titano, il concerto per flauto e pianoforte proporrà una serie di brani di musica israeliana di ieri e di oggi, eseguiti da due musicisti conosciuti a livello internazionale: Guy Eshed e Binyamin Greilsammer.
L'ingresso al concerto è libero; per motivi legati alla sicurezza è richiesta la prenotazione del posto (Dipartimento Affari Esteri, tel. 0549.88.22.19; oppure: ambasciatadisrael@gmail.com)

(SanMarinoFixing, 7 maggio 2014)


Gurlitt ha lasciato tutto a un museo di Berna

ROMA, 7 mag 2014 - Cornelius Gurlitt, il collezionista tedesco del cosiddetto "tesoro nazista", oltre mille opere d'arte considerate perdute e ritrovate nel 2012 dalla polizia bavarese, ha lasciato il suo inestimabile patrimonio al Museo dell'Arte di Berna, in Svizzera. Lo ha annunciato la stessa direzione del museo, che ha appreso la scioccante notizia dopo la morte dell'uomo, deceduto ieri a 81 anni a Monaco di Baviera.
Gurlitt, aveva raggiunto un accordo con il governo tedesco per aiutarlo a rintraccaire i legittimi proprietari delle opere, molte delle quali estorte o trafugate agli ebrei dal Terzo Reich.
I lavori, che valgono centinaia di milioni di dollari, erano stati sequestrati nel febbraio del 2012 e circa 200 dipinti di artisti come Monet, Manet, Cezanne e Gauguin furono ritrovati nella casa di Gurlitt, a Salisburgo.
Suo padre Hildebrand li aveva acquistati negli anni trenta e quaranta quando lavorava come commerciante d'arte dai nazisti che vendevano i beni sequestrati alle famiglie ebree.

(ASCA, 7 maggio 2014)


A Milano un imam incita alla distruzione d'Israele. Pisapia non pervenuto
   
di Stefano Magni

  
L'imam Raed Al-Danna
All'avvicinarsi del 66mo compleanno dello Stato di Israele, c'è qualcuno che gli vuole fare la festa, nel senso cattivo del termine. Non lo fa nelle segrete stanze, ma in pubblico. E, nonostante tutto, pochissimi se ne accorgono.
  Sfogliando fra le pagine Web del Memri, istituto che traduce sistematicamente tutti i discorsi più controversi in lingua araba, troviamo infatti questo video tratto da un servizio della Tv satellitare araba Al Jazeera dove un imam con tono stentoreo tuona da un palco: «A Gaza ci sono uomini grandi e fieri, con i piedi ben piantati nel terreno, che hanno capito che l'oscurità e lo Stato ebraico svaniranno, e che il sole del mattino sorgerà sulla Palestina». E subito dopo promette: «Torneremo al mare di Jaffa, alle spiagge di Haifa, alle palme di Beit Shean e alle colline di Lod e Ramla (tutte località israeliane ). Nella benedetta moschea di al-Aqsa, noi attendiamo le legioni dei conquistatori: attendiamo gli eserciti dalla Tunisia, dalla Giordania, dall'Egitto, dall'Iraq, dal Maghreb e dall'Hijaz (Arabia )». Chi si occupa di Medio Oriente, di video così ne vede una caterva. C'è però un piccolo particolare che cattura l'attenzione. Proprio all'inizio del video si legge "Islamic Conference in Milan, Italy". Milano? Non c'è nessun'altra Milano all'infuori di Milano. Non è come Venice, che può essere l'omonima città negli Usa. Milan è proprio Milano ed è pure specificato che è in "Italy", non è né in Afghanistan, né nello Yemen. È qui, in casa nostra, che si predica la "riconquista" di Jaffa e Haifa, Beit Shean, Lod e Ramla. Ovviamente, dopo aver ucciso o scacciato gli ebrei che ci abitano: gli jihadisti fan sul serio, come dimostrano nella vicina Siria.
  Non stiamo parlando di un predicatore qualunque, ma dell'imam Raed Al-Danna della moschea al-Aqsa di Gerusalemme, terzo luogo più importante nella religione musulmana, nel nome del quale si concentra la lotta islamica contro Israele, un po' come il Santo Sepolcro era per i Crociati, nove secoli fa. «Attendiamo un capo musulmano la cui voce aneliamo ascoltare - ha continuato Al-Danna - che gridi agli eserciti di liberazione nel cortile di al-Aqsa: dovete dire la preghiera del pomeriggio solo a Safed, Haifa o Jaffa; dovete dire la preghiera del pomeriggio solo a Lod e a Ramla (ancora tutte località israeliane )». E il video finisce con un tripudio di "Allah u Akhbar!" (Allah è grande) e sventolio di bandiere palestinesi. Tutto ciò succedeva il 27 aprile, due giorni dopo il 25 aprile, festa della liberazione trasformata da molti in un'occasione per inneggiare sempre alla Palestina. E nemmeno un mese prima della festa di indipendenza di Israele, caratterizzata sempre da una massiccia presenza di forze dell'ordine.
  The Times of Israel ne ha dato notizia. La giunta Pisapia non ha detto nulla, da quel che risulta dalla stampa. Ma possiamo sempre esserci sbagliati noi. Sindaco Pisapia, qualcosa da dichiarare su dichiarazioni estremamente incendiarie pronunciate nella città che Lei amministra? Perché finora ci sembra di non aver sentito niente, anche se di questo discorso ne stanno parlando fino in Israele. Ma possiamo, speriamo, di essere noi ad esserci sbagliati.

(l'intraprendente, 7 maggio 2014)


Intel realizza in Israele un investimento record

di Massimo Galli

Intel crede fermamente in Israele, dove tra l'altro ha un impianto produttivo nel sud del paese, a Kiryat Gat. Ed è pronto a investire 4,1 miliardi di euro per ammodernare questa fabbrica di microprocessori. Così il gigante americano è diventato il principale datore di lavoro privato nella nazione mediorientale: oggi impiega circa 9.800 persone che sono distribuite fra quattro centri di ricerca e sviluppo e due siti produttivi.
E pensare che nel 1974, l'anno dello sbarco in terra israeliana, Intel aveva soltanto cinque dipendenti a tempo pieno.
Il ministro dell'economia Naftali Bennett, al settimo cielo, ha dichiarato che si tratta di uno dei più grossi investimenti, se non il più importante, nella storia del paese, che conta complessivamente meno di 8 milioni di abitanti. Una presenza di qualità, come ha evidenziato l'amministratore delegato di Intel, Brian Zrzanich: Israele ospita un microcosmo dell'azienda a stelle e strisce ed è il solo paese dove è possibile trovare un campione rappresentativo del gruppo.
I detrattori di Intel sostengono che il governo di Tel Aviv ha versato somme generose agli americani in cambio della propria presenza di peso, ma l'esecutivo replica che ne è comunque valsa la pena: l'operazione appena annunciata permetterà di creare alcune migliaia di posti di lavoro diretti e decine di migliaia di impieghi indiretti. Negli ultimi dieci anni Intel ha investito circa 10,5 miliardi di dollari (7,5 mld euro) in Israele.
La filiale israeliana gioca un ruolo di prim'ordine. Nel 2012 le vendite all'estero di Intel hanno rappresentato un quinto dell'intero export di alta tecnologia della nazione e il 10% di tutte le esportazioni in ambito industriale. A livello di prodotto, Israele è sempre stato all'avanguardia: dagli stabilimenti locali sono usciti il microprocessore 8088, scelto da Ibm per i primi personal computer. Poi è stata la volta del Pentium Mmx e di Centrino, ideato per i modelli portatili. E pensare che, a proposito di quest'ultimo, la direzione americana di Intel era inizialmente scettica, ma fu convinta dall'equipe israeliana.
Ora la crisi globale ha sparigliato le carte e anche un colosso come Intel sta soffrendo la concorrenza agguerrita, specialmente nei comparti delle tavolette e degli smartphone. Ma la fiducia della casa madre nel lavoro degli israeliani e i notevoli investimenti programmati sono il segno che dai centri di ricerca sono attese novità in grado di far recuperare qualche ritardo.

(ItaliaOggi, 7 maggio 2014)


Green Therapy: Israele e Italia a confronto

Convegno: venerdì 9 maggio 2014 - Clinica S. Alessandro, Via Nomentana 1362, Roma

ROMA - Green Therapy in Israele e in Italia, ovvero i benefici dell'orticoltura, disciplina che puntando sull'istintiva attrazione dell'essere umano per la natura (biofilia), cerca di alleviare il dolore e la sofferenza lavorando sui conflitti della persona e favorendo la crescita interiore. Di questo si parlerà nel corso del convegno "La terapia orticolturale nella riabilitazione psichiatrica in Italia e in Israele: esperienze a confronto", organizzato in occasione delle celebrazioni per la nascita dello Stato d'Israele, venerdì 9 maggio, a Roma, alla Clinica S. Alessandro, dalle ore 9.00 alle 14.00. L'iniziativa - organizzata da Beautiful Israel Italia in collaborazione con la Cattedra di Psichiatria dell'Università di Roma Tor Vergata e con il patrocinio dell'Ambasciata d'Israele in Italia - prevede una giornata di studi allo scopo di favorire lo scambio di esperienze tra specialisti italiani e israeliani che, in ambiti diversi, hanno sviluppato competenze specifiche nell'applicazione dell'orticoltura al trattamento e alla riabilitazione di disabilità fisiche, psichiche e cognitive.
A intervenire, fra gli altri, Linda Salomon, terapista in Orticoltura e Arte, responsabile del programma di terapia orticolturale al Kibbutzim College of Education in Israele e Alberto Sonnino, psichiatra-psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana.

(ANSAmed, 7 maggio 2014)


Newsweek: allarmante lo spionaggio industriale israeliano verso gli Stati Uniti

ROMA - L'attivita' di spionaggio israeliano all'interno dei confini degli Stati Uniti ha raggiunto livelli allarmanti. Lo riporta un servizio del magazine Newsweek, secondo il quale il principale obiettivo delle attivita' di intelligence riguarda i segreti tecnici e industriali, ma anche di aggiramento della legislazione per consentire ai cittadini israeliani di ottenere il visto di ingresso per gli Usa.
"Nessun altro paese alleato degli Stati Uniti continua a passare il segno delle attivita' spionistiche come fa Israele", ha rivelato al settimanale un ex membro dello staff del Congresso, che ha raccontato di aver preso parte a diversi briefing del Dipartimento per la sicurezza nazionale, del Dipartimento di Stato, dell'FBI e del Direttorio nazionale di controspionaggio. Nel corso di queste riunioni le agenzie di intelligence avrebbero riferito di attivita' di spionaggio industriale condotte da israeliani o da compagnie israeliane in collaborazione con societa' americane.
Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha respinto le accuse. "Si tratta di bugie e falsita', completamente prive di fondamento", ha detto negando

(ASCA, 7 maggio 2014)


Premiato il maestro Francesco Lotoro, con le note dei campi di concentramento

Al pianista barlettano il Premio Cultura 5774

«È detto che quando una cultura, delle tradizioni, non vengono praticate da più di tre generazioni, esse si perdono inesorabilmente. Ecco perché quello che sta accadendo nel Meridione d'Italia, dopo un vuoto di presenza ebraica durato oltre 500 anni, si può chiamare quasi un miracolo». Così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha salutato l'assegnazione del Premio Cultura 5774 a Francesco Lotoro, uno dei grandi protagonisti della rinascita ebraica nel Sud, pianista e artefice della grande raccolta delle musiche prodotte nei campi di concentramento durante gli anni della seconda guerra mondiale. A introdurre la premiazione nel corso del Moked 5774, il grande ritrovo dell'ebraismo italiano che si è svolto in questi giorni a Milano Marittima, è stato il Consigliere UCEI Victor Magiar, che ha ricordato proprio come "è arrivato il momento che l'epico lavoro iniziato da Lotoro da solo entri in una struttura e in un'organizzazione".
«Questo riconoscimento è il premio più bello, perché proviene da casa mia - ha sottolineato Lotoro - Il Meridione ha un grosso debito nei confronti dell'ebraismo, soprattutto un debito di bagaglio umano, che oggi possiamo ritrovarci a colmare. Oggi la geografia dell'Italia ebraica è più completa». A colloquio con Pagine Ebraiche Lotoro ha anche raccontato il suo percorso per riportare salvare dall'oblio le musiche concentrazionarie: «Fu all'inizio degli anni '90 che scoprii le musiche provenienti dal campo di Terezin. Da allora quella che poteva rimanere una semplice curiosità si è trasformata in una missione di vita. Queste musiche sono la prova della sconfitta spirituale e intellettuale del nazismo. Ecco perché devono uscire di campi».

(Traniviva, 6 maggio 2014)

*

Das Auschwitz Lied

Rosa Sorice
 
Francesco Lotoro
Tra i canti prodotti nei campi di sterminio nazisti è particolarmente noto “Das Auschwitz Lied”, che si presume sia stato scritto da Camilla Mohaupt, deportata ad Auschwitz e Bergen Belsen. Il testo è un adattamento alla melodia di un noto lied tedesco, "Wo die Nordseewellen trecken an den Strand", che veniva cantato anche dai soldati tedeschi caduti in prigionia durante la prima guerra mondiale.
Qui presentiamo il testo di Camilla Mohaupt, con la nostra traduzione in italiano, cantato in modo meravigliso dalla soprano Rosa Sorice con l'accompagnamento al pianoforte di Francesco Lotoro.
Vale la pena di seguirlo attentamente, parola per parola:


Zwischen Weichsel und der Sola schön verstaut
Zwischen Sümpfen, Postenketten, Drahtverhau
Liegt das KL-Auschwitz, das verfluchte Nest,
das der Häftling hasset, wie die böse Pest.
Tra la Vistola e il Sola ben nascosto,
tra paludi, torri di guardia, filo spinato
si trova il campo di Auschwitz, il nido maledetto,
che il prigioniero odia, come la peste.

Wo Malaria, Typhus und auch andres ist,
wo dir große Seelennot am Herzen frisst,
wo so viele Tausend hier gefangen sind
fern von ihrer Heimat, fern von Weib und Kind.

Dove c'è malaria, tifo e altro ancora,
dove l'angoscia dell'anima ti divora il cuore,
dove migliaia e migliaia sono intrappolati qui
lontani dalle loro case, lontani da moglie e figli.

Außer Läusen, Flöhen, plaget auch Fieber Dich,
viele tausend mussten sterben kümmerlich,
ja du wirst gequälet hier bei Tag und Nacht
und bei jedem Schritte ein Posten dich bewacht.

Oltre a pulci, pidocchi, anche la febbre ti consuma,
migliaia sono morti qui miseramente,
sì, qui tu sei tormentato giorno e notte
e ad ogni passo una sentinella ti sorveglia.

Häuserreihen steh‘n gebaut von Häftlingshand,
bei Sturm und Regen musst du tragen Ziegeln, Sand,
Block um Block entstehen für viele tausend Mann,
Alles ist für diese, die noch kommen dran.
Block um Block entstehen für viele tausend Mann,
Alles ist für diese, die noch kommen dran.

File di case, costruite dalle mani dei prigionieri,
tra tempesta e pioggia devi portare mattoni, sabbia,
blocco su blocco vengono su per migliaia di uomini,
tutto è fatto per quelli che devono ancora venire,
blocco su blocco vengono su per migliaia di uomini,
tutto è fatto per quelli che devono ancora venire.

Traurig siehst Kolonnen du vorüberziehn,
Vater, Mutter kannst du oft dazwischen seh‘n
darfst sie nicht mal grüssen, es brächte dir den Tod
so vergrößerst dadurch nur das ihre Not.

Tristemente vedi passare le colonne,
Padre, Madre, spesso li puoi riconoscere tra gli altri, ma non puoi salutarli, sarebbe per te la morte,
così accresci soltanto la loro pena.

Traurig ziehn die Reihen nun an dir vorbei,
schallend hörst Befehle du, wie "Ein, zwei, drei!"
Hier etwas zu sagen hast Du gar kein Recht,
wenn Dein Mund auch gerne um Hilfe schreien möcht.

Tristemente passano le file davanti a te,
imperiosi risuonano i comandi: "Uno, due, tre!"
Qui tu non hai alcun diritto di dire qualcosa,
anche se la tua bocca vorrebbe gridare
aiuto.

Vater, Mutter! Ob ihr noch zuhause seid?
Niemand weiss von unsrem großen Herzeleid,
träumen darfst Du hier nur von dem Elternhaus
aus dem das Schicksal jagte dich so schnöde hinaus.

Padre, Madre! Chissà se siete ancora a casa?
Nessuno sa del nostro grande dolore del cuore.
Qui tu puoi soltanto sognare la casa dei genitori
da cui così vilmente il destino ti ha cacciato
fuori.

Sollte ich dich Heimat nicht mehr wiederseh‘n
und wie viele andere durch den Schornstein geh‘n
seid gegrüßt ihr Lieben am unbekannten Ort
gedenket manchmal meiner, die ich musste fort.
Seid gegrüßt ihr Lieben am unbekannten Ort
gedenket manchmal meiner, die ich musste fort.

Se non dovessi più rivederti, o casa,
e come molti altri dovessi passare per il camino,
ricevete, o cari, il mio saluto nel luogo sconosciuto,
pensate ogni tanto a me, che son dovuto andare,
ricevete, o cari, il mio saluto nel luogo sconosciuto,
pensate ogni tanto a me, che son dovuto andare.

(Notizie su Israele, 7 maggio 2014)


In quel tempo Gesù prese a dire: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai savi e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli fanciulli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre, e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo ed imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.
Matteo 11:25-30



 

Israele: Festa dell'Indipendenza

In Israele si festeggia la 66ma Festa dell'Indipendenza, per ricordare la nascita dello stato nel 1948. La spiaggia di Tel Aviv è affollata di cittadini avvolti nella bandiera nazionale, che assistono al volo acrobatico degli aerei militare. Per i bambini, c'è la tradizionale mostra di armi a Efrat, vicino a Betlemme, dove i più piccoli possono prendere in mano i fucili, provare le divise e salire sui carri armati dell'esercito. Di sera, le piazze di tutto il paese di riempiono di feste e fuochi d'artificio.

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(la Repubblica, 6 maggio 2014)


Yom HaZikaron

di Edna Angelica Calò Livne

Sono le 10,55. Fra qualche minuto ci sarà la sirena di Yom HaZikaron. Quest'anno accenderemo 23,169 candele per i caduti nel corso della storia dello Stato d'Israele.
Sono appena tornata dal Moked a Milano Marittima: nella testa e nel cuore una festa di volti, di musiche, il teatro Yiddish, gli Anusim, le Megillot, donne che danzano la Torah; piccole e grandi comunità antiche, rinate, risorte ed effervescenti. Ma ho bisogno di respirare profondamente Israele. Di vedere gli occhi dei bambini vestiti di bianco, il loro sguardo assorto davanti alla fiamma accesa del ricordo, di vedere la bandiera d'Israele e ricordare, in silenzio, accanto a tanti altri, chi abbiamo perso nelle guerre, nelle esercitazioni, negli attentati, per sopportare insieme il lutto e lo sconforto. Mancano due minuti, il tempo per arrivare al prato della sala da pranzo del Kibbutz, di solito è lì che ci si raduna per la cerimonia. Il prato è vuoto. Non è possibile: dovrebbero essere già tutti pronti per il Mifkad. Manca un minuto. Corro verso il campo di calcio della scuola. Di sicuro i ragazzi saranno già pronti. Quando arrivo non c'è nessuno. Scorgo vicino a un Beit Yeladim, la casa dei bambini, Hatem e Yussuf, due operai arabi che stanno lavorando alla ristrutturazione dei tubi sotterranei. "Avete visto qualcuno? Dove sono i bambini?". Hatem mi risponde: "Sono partiti per Hurfesh, il villaggio druso, faranno la cerimonia al cimitero del villaggio". Hurfeish e Beit Jean sono i due villaggi della Galilea che hanno avuto il maggior numero di vittime di soldati di Zahal. Spesso, a Yom HaZikkaron, i kibbutzim della zona commemorano le vittime insieme alle famiglie druse. Li ringrazio, mi volto, tre passi e il suono della sirena mi avvolge e comincia e girarmi vorticosamente dentro insieme al sangue nelle vene, come la linfa che mi dà vita. Non c'è nessuno intorno. Come Sara, davanti al Mar Morto, sento l'impulso di girarmi, di vedere cosa succede dietro di me. Hatem e Yussuf sono fermi, anche loro. In piedi, in silenzio, lo sguardo assorto.
Un nodo alla gola in questo momento che unisce tutti. Un messaggio, un nuovo impulso a continuare a costruire perché abbiamo il dovere di andare avanti e sperare. Soprattutto per coloro che, come scrive il poeta Bialik, "con la loro morte, ci hanno comandato la vita!".

(moked, 6 maggio 2014)


Klezmer jazz night, suoni e sapori di vita ebraica

Gabriele Coen
MILANO - Domani, mercoledì 7 maggio, lo storico locale Scimmie (via Ascanio Sforza, 49) presenta la serata "Klezmer jazz night, suoni e sapori di vita ebraica". È un progetto nato nel 2012 da un incontro fra il clarinettista, sassofonista jazz e compositore Gabriele Coen e Sergio Scappini, virtuoso della fisarmonica.
Gabriele Coen torna sul palcoscenico milanese delle Scimmie dopo dieci anni di assenza, Sergio Scappini si esibisce qui per la prima volta. Ospite anche Lydia Cevidalli, affermata violinista e studiosa di musica ebraica. Il repertorio è quello klezmer e sefardita rivisitato in chiave jazz, del folk dal nord Europa al Mediterraneo, condito di jazz, improvvisazione, virtuosismi funambolici e trascinanti.
Gabriele Coen ha da poco inciso un secondo cd per la Tzadik, la prestigiosa etichetta di John Zorn. "Yiddish Melodies In Jazz" è un album che, appunto, ricalca le orme di Zorn, David Krakauer e Ben Goldberg proponendo l'yiddish in jazz. Non a caso Gabriele Coen è fondatore dei KlezRoym - la più nota formazione italiana dedita alla ritualizzazione del patrimonio musicale ebraico. Una musica facile all'ascolto, adatta alla danza, composta da melodie di matrice mediterranea, balcanica, mediorientale, rielaborate con gusto e profonda conoscenza. La cena sarà servita dalle 19.30 e sarà un viaggio nella tradizione e nei gusti del popolo d' Israele. Il menù è costituito da una serie di piatti di assaggi di antipasti all'israeliana: humus, thina, falaffen, ghefilte fish, aringa, cetriolini, insalatina coi cetrioli, chack chouca alla tunisina, cui fa seguito il couscous vegetariano, i bocconcini di pollo al curry e la mousse Daphna.
Locandina

(Megamodo, 6 maggio 2014)


Premio Exodus 2014, il riconoscimento al Kibbutz Ramot Menashe

Le celebrazioni per ricordare la partenza dei profughi ebrei dal porto della Spezia alla volta di Israele. La cerimonia e una maratona di film. L'8 e il 9 maggio.

Due giorni di celebrazioni e proiezioni per il Premio Exodus 2014 che torna alla Spezia giovedì 8 e venerdì 9 maggio in un'edizione completamente rinnovata (Leggi il programma completo).
Il premio ricorda la solidarietà della città della Spezia, che negli anni immediatamente a ridosso del secondo conflitto mondiale e nonostante le difficoltà dovute ai bombardamenti, ha ospitato migliaia di profughi ebrei reduci dai campi di sterminio, sostenendoli nella partenza verso Israele. Non a caso La Spezia è conosciuta come Porta di Sion.
Il Premio 2014 sarà consegnato al Kibbutz Ramot Menashe, fondato nel 1948 a seguito dell'indipendenza di Israele per opera di 64 profughi sopravvissuti all'Olocausto in Polonia, che partirono proprio dalla Spezia l'8 maggio 1946....

(mentelocale.it, 6 maggio 2014)


Morto Cornelius Gurlitt, il custode del "tesoro nazi"

Aveva 81 anni. Uomo schivo e misterioso, conservava in casa migliaia di opere, tra cui molti capolavori perduti e trafugati dal regime di Hitler agli ebrei.

 
Cornelius Gurlitt
MONACO DI BAVIERA - E' morto nella sua casa di Monaco di Baviera, a 81 anni, Cornelius Gurlitt, il collezionista tedesco del cosiddetto "tesoro nazi", e cioè le oltre mille opere d'arte considerate perdute e ritrovate nel 2012 (ma la notizia è stata diffusa solo lo scorso novembre) dalla polizia bavarese. Uomo misterioso e molto schivo, Gurlitt custodiva nel suo appartamento di Monaco (ma anche in un'altra sua casa a Salisburgo, in Austria, come si è scoperto successivamente) un patrimonio inestimabile, veri e propri capolavori di cui si ignorava l'esistenza. Molti di questi erano stati trafugati dai nazisti agli ebrei, durante la dittatura di Hitler.

LA SCOPERTA - Parte delle opere ritrovate a casa Gurlitt furono infatti sequestrate dai nazisti a famiglie ebree o ai musei dei paesi europei occupati dalla Wehrmacht e dalle WaffenSS. Dopo tanti anni d'indagini gli investigatori nel 2012 (ma la notizia era stata data dal settimanale tedesco Focus solo a fine 2013, per quello che fu un sensazionale scoop) erano riusciti a trovare una pista calda. Dunque, avevano fatto irruzione nell'appartamento dell'ottantenne collezionista. Dove, dimenticati tra armadi, sgabuzzini e stanze ripostiglio, erano appunto conservati gli oltre mille capolavori.

I CAPOLAVORI - Tra le opere ritrovate a casa Gurlitt, c'erano capolavori di Chagall, Renoir, Matisse, Picasso, Toulouse-Lautrec, Nolde, Courbet, Beckmann, Liebermann, Dix. Gurlitt le aveva ereditate dal padre Hildebrand, celebre curatore e collezionista d'arte durante il nazismo, che a sua volta ne aveva preso possesso dopo i sequestri del regime di Hitler agli ebrei nell'ambito di una vera e propria guerra alla cosiddetta "arte degenerata".

LA TRATTATIVA - Subito dopo il ritrovamento, Cornelius Gurlitt aveva rivendicato con forza il legittimo possesso delle opere. Qualche settimana fa, però, aveva aperto agli eredi degli ebrei cui erano state trafugate, non escludendone la cessione, almeno di una parte di esse. La magistratura tedesca ha sinora stabilito che 458 opere custodite da Gurlitt sono state trafugate dai nazisti agli ebrei.

SALUTE CAGIONEVOLE - "Cornelius Gurlitt è morto ieri nel suo appartamento a Schwabing, con lui c'era un dottore", ha confermato il suo portavoce, Stephan Holzinger, in un comunicato, riferendosi a un lussuoso quartiere di Monaco. Da tempo le condizioni di salute di Gurlitt erano molto fragili. Qualche settimana fa aveva subito un complesso intervento al cuore e, poco dopo, aveva chiesto di ritornare a casa.

(la Repubblica, 6 maggio 2014)


Roma ebraica in festa per Yom HaAzmaut

Esiste una serata l'anno in cui la distanza tra Roma e Israele si annulla, in cui la folla in festa impugna con orgoglio le bandiere con la stella di David e in cui il tempo delle lacrime lascia spazio a quello della gioia. Ieri sera, Largo 16 Ottobre ha ospitato i festeggiamenti di Yom HaAtzmaut, giorno dell'Indipendenza dello Stato Ebraico. Per i sessantasei anni di Israele, la Comunità Ebraica è scesa in piazza in un'atmosfera vivace, allietata da banchetti e incontri, balli e canti. Tra i presenti, l'ambasciatore israeliano Naor Gilon, il Presidente della Comunità Riccardo Pacifici, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni e l'Assessore alle Politiche Giovanili Dr.ssa Giordana Moscati.
Per la prima volta però, dopo i tradizionali saluti dal palco, si è svolta la prima edizione del JMF1. Alla gara canora del "Jewish Music Festival" offerta a un pubblico non solo di religione ebraica, hanno partecipato giovani iscritti a una Comunità Ebraica italiana in età compresa tra i dieci e i ventitré anni. L'evento è stato realizzato dalla Comunità in collaborazione con l'Assessorato delle Politiche Giovanili, la Commissione Yom HaAzmaut 5774, il Dipartimento Educativo Giovani Cer, le Scuola Ebraiche e i Movimenti giovani e Associazioni Ebraiche.
I brani in lingua ebraica, cantati dal vivo dai concorrenti, sono stati valutati da un Comitato di professionisti che hanno selezionato i dieci finalisti nei giorni precedenti alla grande serata. Il pubblico ha partecipato con grande coinvolgimento, intervenendo con commenti e ovazioni per i concorrenti. La competizione, suddivisa in tre gironi, ha eletto Jasmin Mieli, la First Jew Vocalist. Sono inoltre stati premiati Giorgia Campagnano per aver favorito lo sviluppo e la crescita della cultura ebraica e musicale (Premio Coro Ha-Kol), Noah Di Porto per l'interpretazione più creativa (Premio Creativity del Bnei Akiva e Hashomer Hatzair), Aline Guetta per i contenuti, la letteratura e il senso delle parole (Premio Testo e Parole delle Scuole Ebraiche) e infine, Ludovica Sed per aver ricevuto più voti su Facebook (Premio Speciale Pubblico).
Tra i vincitori della lotteria, Hai Bendaud, un giovanissimo studente della Scuola Primaria Vittorio Polacco, si è aggiudicato un volo Roma Tel Aviv. "Ci ha aiutato tantissimo nella vendita dei biglietti e proprio nello scorso Shabbat ha letto l'Haftarà di Emor al Tempio Scolanova Beth Shalom lasciando tutti incantati con la sua voce. E' come se il JMF abbia premiato un altro piccolo giovane talento!", ha commentato Lidia Calò.

(Comunità Ebraica di Roma, 6 maggio 2014)


Israele ricorda 30.000 caduti senza lacrime

di Fiamma Nirenstein

Se volete capire cos'è davvero Israele, guardate a cosa sta è accaduto nelle ore di passaggio fra il Giorno del ricordo dei 23169 soldati uccisi nelle guerre dal '48 in poi, più i 10mila uccisi in attentati terroristici, e ieri sera, quando comincia Yom Azmaut, il 66esimo Giorno dell'Indipendenza: un'esplosione di canti, fuochi, felicità però mista alla gratitudine per quei ragazzi il cui il futuro è solo nei sogni dei loro cari.
«Per chi ha un caduto - ha detto Bibi Netanyahu che ha perso il fratello Yoni a Entebbe - ogni giorno è il Giorno della Memoria ». E ogni giorno è il giorno dell'Indipendenza. Il popolo ebraico, che ha conosciuto la Shoah (non il motore, ma l'ostacolo sulla strada della sua liberazione nazionale) e le persecuzioni (gli egiziani, i romani,i cristiani..) guarda con occhi innamorati alla sua creazione, un Paese che ha inventato i migliori sistemi di irrigazione, le migliori medicine, i computer più avanzati, la democrazia più abrasiva, che insegna la pace a scuola, un giardino in mezzo al deserto morale e fisico dell'odio che lo circonda.
Israele ha mescolato settantasette diaspore giunte nella miseria, ha subito il rifiuto arabo alla partizione.
Oggi, dai poco più di seicentomila cittadini che vivevano qui nel '48, è arrivata a una popolazione di 8 milioni e 120mila residenti, di cui un milione e settecentomila arabi, tutti uguali davanti alla legge, mentre i Paesi arabi sono tutti judenrein .
Di fronte a questi fatti, se Israele deve gestire con cautela una trattativa sempre rifiutata dai suoi interlocutori, solo gli sciocchi o gli odiatori possono non capire il perché.

(il Giornale, 6 maggio 2014)


Yom HaZikaron 2014     


Teheran: Whatsapp dell'ebreo Mark Zuckerberg non sarà vietata

TEHERAN - Il ministro iraniano dell'Informazione e delle Comunicazioni, Mahmoud Vaezi, ha annunciato che Whatsapp non sara' messa al bando nella Repubblica islamica, smentendo quanto affermato sabato dal capo della commissione iraniana per i reati sul web, Abdolsamad Khorramabadi. Vaezi, citato dall'agenzia Mehr, ha spiegato che il presidente Hassan Rohani ha posto il veto sulla recente decisione della commissione, secondo cui la popolare applicazione di messagistica andrebbe vietata perche' il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che l'ha acquistata due mesi fa e' "ebreo". La notizia dello stop alla messa al bando di Whatsapp e' stata confermata anche dall'agenzia Isna, citando fonti governative, secondo le quali l'esecutivo non ha intenzione di cambiare la politica in merito all'utilizzo di queste applicazioni.

(Adnkronos, 6 maggio 2014)


Guerra civile in Ucraina: la comunità ebraica pronta ad evacuare Odessa

di Domenico Camodeca

Come ammesso dallo stesso presidente ad interim Oleksandr Turcinov, nell'est dell'Ucraina imperversa una vera e propria guerra civile contro i filorussi che sta facendo decine di vittime. Sloviansk, circondata dalle truppe giallo-blu, è diventata la città simbolo della resistenza degli insorti vicini a Mosca contro quelli che vengono da loro stessi definiti i "nazisti ucraini". Il ministro dell'Interno di Kiev, Arsen Avakov, ha dovuto ammettere la morte di 4 soldati e il ferimento di una trentina. Imprecisato il numero dei caduti tra i russofoni. Da Mosca, intanto, avvertono l'Occidente che "è a rischio la pace in Europa" perché la guerra civile si sta estendendo anche nel sud del paese e Putin non ha certo intenzione di restare a guardare.
  La polveriera Ucraina rischia, infatti, di esplodere nella città di Odessa, già teatro dell'orrenda strage di venerdì 2 maggio, quando più di quaranta persone, in prevalenza filorussi, sono morti bruciati nell'incendio di un palazzo seguito a scontri furibondi tra le due fazioni. In quell'occasione rimasero feriti molti membri della nutrita comunità ebraica della città (circa 30mila persone) e ora il timore è che il risorgere di rigurgiti antisemiti possa portare ad un pogrom in stile nazista. La situazione in città è drammatica, i poliziotti rifiutano di usare la forza contro i russofoni che sono riusciti a liberare senza colpo ferire 67 loro compagni arrestati. Il governo di Kiev è stato così costretto ad inviare un battaglione delle forze speciali per cercare di non far cadere nell'anarchia Odessa, ma la situazione resta confusa.
  In questo clima si inserisce l'intervista rilasciata al quotidiano israeliano Jerusalem Post dal rabbino Refael Kruskal - capo dell'organizzazione Tikva che si occupa di gestire i servizi sociali per gli anziani e i giovani - e da altri autorevoli rappresentanti della comunità ebraica di Odessa. Gli ebrei dichiarano di essere pronti ad evacuare la città in caso la situazione dovesse deteriorarsi. La prima cosa da fare, dice Kruskal, sarebbe chiudere le sinagoghe e portare i bambini fuori da Odessa. Il rabbino teme che la violenza antiebraica possa esplodere il 9 maggio in occasione della ricorrenza della vittoria sovietica sui nazisti nel 1945.
  Anche Kira Verkhovsky, direttore del Migdal International Center of Jewish Community Programs, se pur con toni meno allarmistici, conferma l'intenzione di scappare in caso di nuove tensioni. Il principale piano di evacuazione prevede il trasferimento di parte della comunità nella città moldava di Kishinev utilizzando dei pullman.
  Ma quale fondamento storico-politico hanno in Ucraina le ataviche paure degli ebrei di subire un nuovo olocausto da parte dei nazisti? A battere sul tasto del nazionalismo radicale diffuso in Ucraina, soprattutto tra i sostenitori del nuovo governo come l'organizzazione Pravy Sektor, sono naturalmente i mass media legati alla Russia di Putin. Tipico esempio ne è il quotidiano filorusso in lingua inglese Russia Today che ha subito rilanciato la notizia dei preparativi della comunità ebraica per evacuare Odessa. Accuse di nazismo spesso strumentali, ma che trovano una loro giustificazione nel passato dell'Ucraina.
  Nell'ottobre del 1941, in piena Operazione Barbarossa, le truppe di occupazione naziste, supportate dall'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, sterminarono tra i 25mila e i 34mila ebrei nella zona di Odessa. In totale gli ebrei uccisi con la collaborazione della polizia ucraina furono 200mila. Tornando alla cronaca, Russia Today cita alcuni casi recenti di antisemitismo ad Odessa, come la profanazione del cimitero ebraico avvenuta il 10 aprile scorso. È comprensibile che, di fronte a questi fatti, la comunità ebraica di Odessa tema un ritorno al passato. La propaganda russa, inoltre, getta benzina sul fuoco denunciando le violenze commesse da forze "ultranazionaliste, estremiste e neonaziste" e consegna al presidente Putin un libro bianco sulla violazione dei diritti umani in Ucraina.

(InformazioneWeb, 6 maggio 2014)


Deserto del Negev: attivisti in bicicletta contro l'alta velocità

 
In bicicletta nel deserto del Negev contro l'alta velocità. Un gruppo di venti giovani attivisti della Società per la protezione della Natura in Israele ha scelto di pedalare per denunciare i "gravi danni ambientali" che "saranno causati" dalla ferrovia veloce fra Ashdod ed Eilat che il governo di Benjamin Netanyahu ha autorizzato a fine 2013, andando incontro alle pressanti richieste di Pechino. Per la Cina i 260 km di alta velocità nel Negev sono destinati a diventare un prezioso Canale di Suez alternativo, se quello reale dovesse essere bloccato da crisi o attentati, per il transito di merci fra Asia ed Europa ma per i venti adolescenti ciò che conta assai di più è "la devastazione che ci attende nell'unico grande deserto di Israele".
Da qui l'iniziativa di ritrovarsi a Dimona, dove si presume l'esistenza di una centrale atomica israeliana, per lanciarsi in un viaggio in bicicletta di 200 km in 6 giorni attraversando le località destinate a subire "il maggior impatto ambientale". Da qui le tappe a Hamachtesh Hakatan, Nahal Sif, Maaleh Akravim, Hai Bar Nature Reserve ed in altre località. "Se non blocchiamo questo progetto all'istante, i nostri figli penseranno che siamo caduti sui binari" afferma una dichiarazione degli ambientalisti, contrari alla linea ferroviaria veloce di 260 km da Beersheba a Eilat. A sostenere la loro sfida è il ministro dell'Ambiente, Amir Perez, che ha già tentato più volte - ma invano - di far cambiare posizione al governo sul progetto dell'alta velocità.

(La Stampa, 6 maggio 2014)


Una pillola per vincere la stitichezza

Un team di ricerca in Tel Aviv sperimenta una capsula vibrante che favorisce la peristalsi

di Andrea Sperelli

Buone vibrazioni. Quelle promesse da una nuova pillola concepita da un team di ricerca del Tel-Aviv Sourasky Medical Center guidato dal dott. Yishai Ron. La capsula vibra all'interno del colon aumentando la peristalsi, cioè quel movimento proprio dell'intestino che precede e stimola l'evacuazione.
La stitichezza colpisce circa il 10-15 per cento delle persone, soprattutto donne. Spesso i farmaci proposti dai medici non hanno effetto sul disturbo, mentre mostrano effetti collaterali fastidiosi.
La pillola è stata sperimentata su 26 pazienti affetti da stipsi, sia occasionale che cronica, che andavano in bagno solo due volte alla settimana in media. Dai risultati è emerso che nei pazienti colpiti da costipazione idiopatica cronica (CIC) e costipazione predominante da sindrome dell'intestino irritabile (IBS-C) la nuova capsula riesce a raddoppiare i movimenti intestinali.
Il dott. Ron, gastroenterologo del Tel-Aviv Sourasky Medical Center's Department of Gastroenterology and Hepatology, spiega: «nonostante l'uso diffuso di farmaci per trattare la costipazione, quasi il 50% dei pazienti sono insoddisfatti del trattamento sia a causa degli effetti collaterali, di problemi di sicurezza circa l'uso a lungo termine, o il fatto che semplicemente non funzionano».
I volontari hanno assunto la pillola due volte alla settimana e hanno compilato un questionario riguardante i movimenti intestinali e l'uso dei lassativi. Tutti i pazienti si erano preparati alla sperimentazione attraverso un periodo di due settimane in cui non hanno assunto lassativi.
I movimenti intestinali spontanei sono aumentati da due a quattro volte alla settimana, mentre i sintomi della costipazione si sono ridotti notevolmente, in particolare la difficoltà nel transito delle feci e l'evacuazione incompleta. Gli effetti collaterali sono stati minimi.
All'interno della capsula c'è un piccolo motore programmato per vibrare sei-otto ore dopo l'ingestione. Le stimolazioni della capsula causano la contrazione dell'intestino e il movimento delle feci, riattivando quel meccanismo che dovrebbe garantire in maniera naturale la corretta funzionalità intestinale.
«A volte, le terapie farmacologiche danno più problemi che sollievo per questi pazienti. I risultati di questo studio indicano la possibilità di un trattamento alternativo che evita i tipici effetti collaterali dei farmaci, come gonfiore e squilibrio elettrolitico, imitando la fisiologia naturale del corpo», spiega il dott. Ron.

(ItaliaSalute, 6 maggio 2014)


Hamas ha ucciso più palestinesi di Piombo Fuso ma tutti tacciono

Nella Striscia di Gaza Hamas ha ucciso più palestinesi di quanti ne siano morti nell'operazione Piombo Fuso. A dirlo non è un organismo occidentale o israeliano ma un gruppo per i Diritti Umani palestinese, il Palestinian Independent Commission for Citizens' Rights (PICCR).
Secondo quanto riferisce il PICCR nel suo annuale rapporto i palestinesi uccisi da Hamas a causa della loro idea politica diversa dal gruppo terroristico sono almeno 585 mentre i morti palestinesi durante l'operazione Piombo Fuso furono 412 (stando a fonti palestinesi). Strano che di questo i cosiddetti pacifisti non facciano menzione. Non solo, il PICCR ha constato che negli ultimi 12 mesi i Diritti della popolazione di Gaza (già scarsi) si sono ulteriormente ridotti a causa della durissima repressione attuata da Hamas verso coloro che ne contestavano la politica....

(Right Reporters, 5 maggio 2014)


Il giorno del ricordo in Israele

  
Israele sta osservando da ieri sera lo Yom HaZikaron (in ebraico "Giorno del Ricordo"): una giornata di lutto in ricordo dei soldati caduti nelle sue guerre, dal 1948, e di tutti gli altri caduti, comprese le vittime del terrorismo, uccisi nel lungo conflitto con i vicini arabi, a partire dalla fine del XIX secolo: in tutto 23.169 vittime.
''Senza il loro sacrificio noi, molto semplicemente, non saremmo qua'' ha detto il premier Benyamin Netanyahu aprendo le solenni celebrazioni che hanno incluso, ieri sera, il suono di una sirena in tutto il territorio nazionale. Oggi le sirene sono tornate a suonare per due minuti, mentre nei cimiteri hanno avuto luogo altre cerimonie.
Il lutto terminerà stasera, quando inizieranno i festeggiamenti popolari per il 66o anniversario della fondazione di Israele. La ricorrenza è per gli Israeliani una giornata tra le più importanti dell'anno: si celebra ogni anno nel quarto giorno del mese di Iyar, per consuetudine dal 1951 e per legge dal 1963.

(Panorama, 5 maggio 2014)


Israele - Un paese dalla felicità incompleta

"Non è stata una dichiarazione a fondare questa nazione. È nata sul sangue dei suoi figli e delle sue figlie, sul sudore dei pionieri e la visione dei suoi profeti". Ricorda il sangue versato, le fatiche del passato e il legame biblico con Israele, il presidente Shimon Peres nel suo discorso al Kotel, il Muro Occidentale. Lo fa nel corso delle celebrazioni di Yom HaZikaron, il Giorno del Ricordo, durante la solenne cerimonia in memoria dei caduti per la libertà dello Stato di Israele e per le vittime del terrorismo. "Oggi Israele è una nazione forte, un miracolo agli occhi degli ebrei, una meraviglia agli occhi del mondo - ha dichiarato Peres - Noi, gli israeliani, non siamo come gli altri. Già da una generazione la tristezza non ci lascia, anche nei momenti di gioia. La nostra felicità è sempre incompleta. Una nube di malinconia ci avvolge. È nascosta nel profondo ma emerge dai nostri occhi". Una malinconia che questa mattina ha attraversato milioni di israeliani, allo scoccare delle undici quando l'intero paese si è fermato. Due minuti di silenzio, scanditi dalla sirena, per ricordare quel sangue versato per Israele.

(moked, 5 maggio 2014)


Oltremare - Kikar Rabin
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Kikar Rabin è così centrale per noi telavivesi che è una fortuna che non sia troppo vicina al mare, alle spiagge, ai turisti spensierati e caciaroni. La piazza è il nostro punto di raccolta quando serve essere vicini nelle occasioni tristi come in quelle allegre.
Domenica sera ci siamo radunati per ricordare i caduti di tutte le guerre d'Israele, compresa quella mai finita contro il terrorismo. Stretti, come ogni anno, tutti in silenzio dopo ogni lettura o canzone, non importa quanto famoso l'attore o il cantante. Siamo tornati a casa col cuore gonfio e pochi ad occhi asciutti. Lo stesso palco, la stessa piazza, le stesse luci e gli stessi amplificatori serviranno stasera per rompere il lutto e festeggiare Yom HaAtzmaut. Stretti e accaldati, salteremo e batteremo le mani a ritmo con la musica liberatoria, e balleremo fino alla fine della notte.
Poi Kikar Rabin ritornerà normale, le due fontane una vuota e una piena di pesci e ninfee attireranno bambini e quei turisti che si avventurano verso l'entroterra. Il nome di Rabin risuona delle voci che attraversano la piazza rettangolare, ogni giorno che non è di assemblea telavivese. Ritorneremo in piazza ogni volta che succede qualcosa di straordinario.
Eravamo qui per il funerale di Arik Einstein; per il circolo di chitarre e musica simil-indiana che si ritrova ogni sei settimane per riempire di suoni morbidi il selciato ancora caldo dal sole; per la manifestazione dei migranti legali e illegali che lavorano le notti nei mille ristoranti della città ma non hanno uno status nè un visto; per il Giorno di Rabin, la manifestazione ormai diventata dei movimenti giovanili da Hashomer a Bnei Akiva compresi in ricordo di Itzchak Rabin, ammazzato in quell'angolo laggiù da uno di noi, un israeliano.
Rabin è diventato la sua piazza: un luogo che invita all'incontro, il cuore della città, il punto da cui parte ogni grido di dolore e di felicità, protesta e cambiamento. Bel destino, per un nome.

(moked, 5 maggio 2014)


I nipotini antisemiti dei vecchi nonni nazisti

di Michela Maisti

L'antisemitismo in Germania non è sepolto. A dirlo, questa volta, non sono le cronache, ma i risultati di uno studio del National Bureau of Economic Research americano. In base al quale il rigurgito razzista oggi sarebbe più sviluppato in tutte quelle aree della Germania che nel 1928 furono in prima fila nel dare il loro sostegno al partito nazista di Adolf Hitler. "Coloro che vivono negli stati federati che sostennero il nazionalsocialismo con oltre il 50% delle preferenze, sono il 7% più inclini a dichiarare la propria avversità nei confronti degli ebrei", riporta la ricerca. Per molti di loro inoltre avere un vicino di casa ebreo sarebbe addirittura "poco desiderabile". Incrociando i dati provenienti anche da altri studi condotti in precedenza, i ricercatori hanno evidenziato che lo sviluppo dell'attitudine razzista sarebbe legato a doppio filo all'incertezza economica e al modo in cui essa viene percepita. Più grande è la minaccia di precipitare nella crisi finanziaria e occupazionale, maggiore sarebbe la spinta verso l'intolleranza.

(West, 5 maggio 2014)


Castrovillari: dal 10 maggio una mostra sulla dottrina ebraica al Castello Aragonese

  
La sala museale del Castello Aragonese di Castrovillari accoglierà dal 10 maggio, giorno in cui sarà inaugurata alle ore 18 dal docente Giovanni Brandi Cordasco Salmena, docente di Diritto Romano ed Ellenistico presso Università di Urbino, al 2 giugno una particolare mostra di oggetti, simboli, immagini, documenti e rituali della dottrina ebraica dal titolo "Il Popolo del Libro. La dottrina della Giudecca".
Tutto ciò per spiegare la cultura e la religione ebraica, considerando che le vicende legate alle comunità ebraiche presenti in Calabria e nel Meridione d'Italia, come a Castrovillari il rione "Giudecca" esprime, tra l'alto medioevo il XVI secolo, continuano a suscitare ancora enorme interesse. "Con questa, poi, il capoluogo del Pollino- afferma il Sindaco Domenico Lo Polito- ribadisce la ricchezza culturale che pregna Castrovillari e la caratterizza da sempre come turistica per le connotazioni che offre."
Così l'iniziativa, patrocinata dall'Amministrazione comunale, organizzata dall'Associazione Mystica Calabria e curata da Mena Filpo e Ines Ferrante, vuole porre all'attenzione del pubblico non solo l'antica presenza giudaica nella nostra città, ma divulgare e rendere noti quegli aspetti, particolarmente suggestivi, della dottrina ebraica, degli atti rituali e della ricca e complessa simbologia, attraverso la testimonianza di manufatti e rappresentazioni ancora oggi in uso."
Nel percorso espositivo i visitatori potranno ammirare: il Taled, lo scialle bianco di lana o seta bordato di nero o azzurro, il Talmùd simbolo dell'evoluzione del pensiero ebraico, la menorah, il candelabro a sette bracci che ardeva davanti all'Arca Santa nel tempio di Gerusalemme, la yad, il bastoncino a forma di mano o di punteruolo con il quale si seguono le righe della Torah durante la lettura delle sacre scritture, il mezuzah, l'astuccio rigido posto sullo stipite della porta di casa e contenente una minuscola porzione del testo sacro scritto a mano, il besamin, ossia lo spargiprofumo per la benedizione della Havdalah (sul vino, sulla luce e sulle spezie) che segna la fine dello Shabbat.
Ed anche una foto importante che mostra una <menorah>, ossia il candelabro a sette bracci che ardeva davanti all'Arca Santa nel tempio di Gerusalemme, simbolo della fede ebraica. "Lo scatto", cortesemente concesso, riprende un piccolo frammento di affresco che si trova in una delle case della Giudecca di Castrovillari. Tale raffigurazione antica, che forse un tempo - spiegano gli organizzatori - doveva abbellire le pareti di un edificio e che sembra davvero avere dell'incredibile è presente sotto diversi strati di quel che sembrano pitture murali. Ad oggi potrebbe essere questo - aggiungono -, se confermato da ulteriori studi e analisi appropriate, l'unico reperto riferibile alla cultura materiale dei Giudei nella nostra città, che si conosca.
Non mancheranno, poi, in un allestimento suggestivo, documenti custoditi presso l'Archivio di Stato - sezione di Castrovillari relativi alla comunità ebraica che ha vissuto in città, nella Giudecca.
Ma anche informazioni sulle principali feste ebraiche fino al computo del calendario e alle pietanze che continuano ad essere prodotte e consumate.
"Se attualmente non si conoscono reperti riferibili alla cultura materiale dei Giudei nella nostra città, la Giudecca di Castrovillari o Judecha, secondo il dialetto e gli atti antichi,quell'insieme di viuzze strette e tortuose, di vicoletti bui e silenziosi, di portici e case in mattoncini rossi, alcune, un tempo, in comunicazione tra loro mediante stretti passaggi sopraelevati che permettevano di accedere da un'abitazione ad un'altra senza scendere sulla via pubblica- riferiscono Mena Filpo ed Ines Ferrante curatrici della mostra documentaria-, racconta una vita quotidiana animata da botteghe artigiane, da fundachi e da spetiarie, un quartiere medioevale fiorente dove le industrie della seta, della tintoria, del cotone e della carta determinarono il progresso della nostra economia locale, una comunità unita e integrata di cui oggi non solo conosciamo molti nomi e cognomi, Mosè Polito, Sabatello Iudeo, Aronne Iudeo, Scialo sacerdote, Abramo Russo, Salomone aromatario, ma anche molte attività svolte dai suoi membri, per lo più artigiani, mercanti, prestatori di denaro ne speziali."
"Intento, dunque, della mostra- aggiungono, concludendo, Filpo e Ferrante - è quello di osservare e studiare un popolo che si identifica in una fede, in una storia, in una legge e in un'ampia serie di tradizioni e che, anche nella nostra cittadina, dall'età tardo antica e altomedievale fino al 1541, epoca in cui vennero definitivamente allontanati, arricchirono Castrovillari con la loro cultura, il loro credo, caratterizzandola con orti, giardini, portici, una sinagoga, una scuola, che, forse, coincideva con la sinagoga stessa e, presumibilmente, fuori dalla cinta muraria, lungo la via che portava al Coscile, un cimitero."
L'Ufficio stampa del Comune di Castrovillari

(sibarnet, 5 maggio 2014)


Asti ricorda gli albanesi che salvarono duemila ebrei

Domani sera, 6 maggio, documentario e concerto al Cinema Nuovo Splendor


Dirigenti di AssoAlbania con al centro il sindaco Brignolo
ASTI - "Rescue in Albania", del regista Alush Gashi, è un documentario che racconta il salvataggio di duemila ebrei, arrivati nel "Paese delle aquile" da tutta Europa durante la seconda guerra mondiale, per cercare scampo alle stragi nazifasciste.
Per questo motivo, l'Albania è scritta nel Libro dei Giusti tra le Nazioni. L'elenco dei nomi è conservato nel museo Yad Vashem di Gerusalemme.
E "Rescue in Albania" - durata 29 minuti - verrà proiettato martedì 6 maggio, alle 21,15, al Cinema Nuovo Splendor , via Vassallo, angolo corso Alfieri.
Dopo il film, un coro composto da ragazzi canterà canzoni popolari albanesi.
Nel cinema, sarà allestita una mostra di Giulio Morra, fotografo della redazione astigiana del quotidiano La Stampa, con immagini scattate nel 1991nella ex caserma Colli di Felizzano, dove erano stati sistemati un gran numero di albanesi immigrati ad Asti.
Ci sarà anche il saluto del sindaco Fabrizio Brignolo.
La serata verrà condotta da Hasan Bulcari, regista teatrale.
L'iniziativa è nata dalla collaborazione tra l'Associazione Voci Astigiani, AssoAlbania, Progetto Bella ciao, Centro culturale albanese "Madre Teresa" e Cinema Nuovo Splendor, con il patrocinio del Comune. La partecipazione è libera a tutti.
"La manifestazione, si inquadra nell'attività di "Progetto Bella ciao" e di Voci Astigiane per le celebrazioni del Settantesimo della Liberazione - dice il presidente Giovanni Poppa - Un atto dovuto, nei confronti dei cittadini di un paese che, nel rispetto di un codice d'onore, a rischio della propria vita, nei lontani anni Quaranta, ha salvato migliaia di persone da morte sicura".

(La Stampa, 5 maggio 2014)


Il 17 giugno relazione finale su Palatucci

ROMA, 5 mag. - ''Consegneremo la relazione finale sul caso Palatucci il 17 giugno''. Lo dice all'Adnkronos lo storico Michele Sarfatti, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec Onlus) di Milano, l'ente che su mandato dell'Ucei sovrintende le ricerche su Giovanni Palatucci, riconosciuto dalla Chiesa servo di Dio. Con l'obiettivo di fugare le ombre sullo 'Schindler d'Irpinia', l'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane aveva promosso ulteriori ricerche sull'opera di soccorso svolta da Palatucci, dopo le polemiche sull'ultimo questore reggente di Fiume, morto a Dachau nel 1945 e dichiarato nel 1990 Giusto delle Nazioni per l'opera di soccorso prestata agli ebrei. ''A sei mesi dell'inizio dei lavori della nostra commissione -spiega lo storico Sarfatti - l'unica vera difficolta' che abbiamo incontrato e' la quantita' di materiale''. ''Stiamo vagliando documenti che vengono da diverse fonti - rimarca - e vogliamo raggiungere la massima certezza. Stiamo cercando documenti a Fiume, a Trieste, e negli archivi romani, spulciando letteralmente le testimonianze, scritte o in video, raccolte da vari istituti in Italia e all'estero. Altre testimonianze sono pervenute in queste settimane. Non spetta a noi giudicare la persona - mette in chiaro il coordinatore del gruppo di lavoro - a noi interessa solo conoscere i fatti relativi a Palatucci e all'insieme degli ebrei di Fiume''.

(la Repubblica, 5 maggio 2014)


Furto alle scuole della comunità ebraica di Milano

Rubate una placca d'argento e la corona che avvolge il rotolo della legge

MILANO, 4 mag - Una placca d'argento e una Keter, la corona che avvolge il rotolo della legge, sono state rubate la notte scorsa dalle scuole della comunità ebraica di Milano, in via Soderini. E' stato il rabbino che dirige l'istituto, intorno alle 5, ad accorgersi del furto nel suo studio e ad avvertire, stamani, gli agenti della Squadra volante della Questura che, al loro arrivo, hanno trovato una finestra forzata. La placca vale 150 euro e la corona 300, ma entrambe hanno una grande pregnanza simbolica.

(ANSA, 4 maggio 2014)


La Memoria degli ebrei di Saluzzo

di Daniel Reichel

TORINO - "Da questa casa di riposo in cui erano ospiti, i cittadini saluzzesi : Marco Levi, Emanuele Sionne Segre, Emma Segre, Moise Segre, furono prelevati dalle SS il 24 aprile 1944. Avevano 63, 64, 70 e 78 anni". Al loro ricordo è dedicata l'istallazione artistica inaugurata lo scorso 2 maggio presso la casa di riposo Emanuele Tapparelli d'Azeglio di Saluzzo. Un'opera realizzata dalla classe III DB del Liceo Artistico Soleri-Bertoni di Saluzzo, sotto la guida dell'artista saluzzese Piero Bolla e impulso dell'associazione culturale Giorgio Biandrata , che dimostra l'impegno della città piemontese - già attiva con diverse iniziative legate alla Memoria - a non dimenticare le vittime del nazifascismo. Così, alla presenza del sindaco di Saluzzo Paolo Allemano, del presidente della Comunità ebraica di Torino Giuseppe Segre, del vescovo Giuseppe Guerrini, la città, e in particolare i suoi giovani, hanno ricordato i concittadini ebrei che che settant'anni fa furono deportati ad Auschwitz, da cui non fecero più ritorno. Per l'occasione, il presidente Segre ha letto una lettera della nonna, Emma Segre, ultima missiva inviata dal campo di Fossoli, in cui ricorda le "buone sorelle" dalla casa di riposo Tapparelli.
   "Questa installazione intende onorare la memoria di persone vissute da sempre a Saluzzo e divenute nel 1938, per legge , improvvisamente straniere e nemiche", si legge nella targa che affianca l'installazione. "Onorerà davvero la loro memoria chi, dopo aver condannato i fatti di allora, non rinuncerà oggi a combattere ogni pregiudizio razziale e non accetterà senza reagire alcuna disuguaglianza di diritti imposta ad un gruppo umano, sulla base della sua origine".
   Quando il 24 aprile 1944 le SS bussano alla Tapparelli, sono sei gli ospiti ebrei della casa di riposo. I nazisti trascinano, per incarcerarli nelle Carceri Nuove di Torino, i coniugi Segre assieme a Emanuele Segre e Marco Levi. Riesce a salvarsi, Vittoria Segre, tenuta nascosta dal coraggio di suor Brigida. Anche Anna Segre Debenedetti non viene prelevata: morirà il giorno dopo la cattura dei quattro.
   Grazie all'impegno dell'associazione Giorgio Biandrata, del liceo Soleri-Bertoni - dei suoi professori e della dirigenza scolastica guidata da Alessandra Tugnoli - così come del Comune, questi nomi, queste persone, le loro storie rientrano nella memoria collettiva della città. La responsabilità di restituire dignità a un passato di tragedia viene trasmesso alle nuove generazioni, con il coinvolgimento in prima persona degli studenti. Per questo Saluzzo è impegnata da diversi anni a creare nel tessuto cittadino una coscienza condivisa rispetto alla tragedia che segnò la comunità ebraica e la società intera. Tra i progetti portati avanti dall'associazione Giorgio Biandrata, ricordiamo la traduzione in italiano, da parte degli studenti del Liceo Linguistico, di un libro scritto da Chaya Horowitz Roth, sopravvissuta con la sorella Gitta nella fuga di mille ebrei di St. Martin Vésubie e profuga a Valdieri nel settembre del 1943. Il libro si intitola "The Fate of Holocaust".
   Altra iniziativa, l'allestimento di una pièce teatrale intitolata "Lettera da Varsavia" sul tema della Memoria: la traduzione teatrale, realizzata da Valerio Dell'Anna, del libro di Kolitz Zvi "Jossl Rakover si rivolge a Dio" con protagonisti gli studenti di alcune classi del liceo di Saluzzo.

*

Di seguito la testimonianza di Emma Segre, che in una lettera - letta dal nipote Giuseppe Segre, presidente della Comunità di Torino, durante le celebrazioni presso la casa di riposo Tapparelli di Saluzzo - ricorda la generosità delle suore della casa di riposo presso cui era ospitata, prima di essere incarcerata e poi deportata ad Auschwitz, da cui non farà ritorno.
    Carissima e tanto buona Luciana, puoi immaginare come rimasi quando seppi che tu e Rina eravate state a Carpi ed io non riuscii a vedervi, rimasi male perché gran conforto avrei avuto a vedervi e aver notizie di tutte le persone a me tanto care… Ti ringrazio per ciò che ci hai portato, spiacente solo per il disagio che hai avuto… Noi bene di salute, ma il morale è molto depresso, l'ambiente non è certo atto a rialzarlo. Qua si parla con insistenza d'una prossima partenza e allora non avrò più il conforto di avere notizie vostre… Ti prego di un saluto caro al mio vecchio dottore; al fratello porgi i miei più sentiti auguri pel suo compleanno. Alla buona e tanto cara Rina i miei baci più affettuosi: penso ancora con commozione allo schianto suo nell'ora del distacco. Rispettosi saluti alle buone suore. Dì a suor Rachele che alla sera quando mi butto sul mio lurido giaciglio di paglia ricordo con nostalgia il morbido letto del Tapparelli e le affettuose attenzioni della buona suora: la ricordo sempre e invoco per lei e per tutte le pie suore e per i miei cari ogni bene.
    Baci, ricordami agli adorati bimbi, saluti e baci ad Eugenia.
    A te ed alla buona Rina i miei baci più affettuosi anche a nome di papà.
    Mamma Emma
(moked, 4 maggio 2014)


Moshe Yaalon: i vandalismi sono una forma di terrorismo

GERUSALEMME, 4 mag - I ripetuti episodi di vandalismo compiuti da attivisti dell'estrema destra ebraica sono ''una forma di terrorismo'' perche' mirano ad intimidire ''sia la popolazione araba sia lo stesso governo israeliano'' quando esso deve misurarsi con certe frange estremiste.
Lo ha affermato il ministro della difesa Moshe Yaalon, secondo cui è tuttavia errato attribuire una sorta di acquiescenza alla polizia e ai servizi di sicurezza di Israele.

(ANSA, 4 maggio 2014)


«Dopo le foto dei cristiani crocifissi in Siria il Papa risvegli le coscienze d'Occidente»

di Fiamma Nirenstein

Dopo le lacrime di papa Francesco sulle foto dei crocifissi di Raqqa, ieri vibrava nell'aria la paura dell'uomo che ha consegnato al mondo le foto-testimonianza dell'orrore siriano. Si chiama Abu Ibrahim Alraquaoui: ne scriviamo il nome coll'ammirazione dovuta agli eroi. I predicatori dell'Isi, l'organizzazione sconfessata per i suoi metodi da Al Qaeda stessa, ha raccontato Alraquaoui, promettono denaro contro informazioni per la sua cattura. Ma Abu Ibrahim promette di combattere i «nuovi Talebani» e ricorda i nomi dei crocifissi, Tamo al Nasser e Muhannad Makhb al Khlaf, studente, che hanno secondo l'Isi, ucciso tre jihadisti. Sette persone sono state uccise per rappresaglia, fra cui due ragazzini di 13 e 14 anni. Sono cristiani i crocifissi? Le foto raccontano la storia che Alraquaoui testimonia con le sue parole? Non è facile dirlo. Quando i ribelli parlano della crudeltà di Assad, dei suoi hezbollah e degli iraniani, o in-vece la parte governativa descrive gli orrori perpetrati dalle organizzazioni sunnite, è molto difficile verificare i fatti. Ma comunque le lacrime versate da Papa Francesco corrispondono a un dato di fatto: è in atto una persecuzione di cristiani senza precendenti nel mondo moderno.
L'Osce denuncia 100 milioni di cristiani perseguitati, la Commissione Epicospale dell'Ue, Comece, parla di una cifra doppia, 200 milioni. Ogni anno vengono assassinati per la loro fede 105 mila cristiani, uno ogni cinque minuti. Secondo il «Pew report», 111 Paesi li perseguitano. I luoghi in testa alla tetra classifica, dopo la Corea del Nord, sono l'Arabia Saudita, l'Afghanistan, l'Iraq, la Somalia, le Maldive, il Mali, l'Iran, lo Yemen, l'Eritrea. La Siria è passata dal trentaseiesimo all'undicesimo posto, la Libia dal 27 al 17, la Nigeria dal numero 50 al 24. I cristiani che in Siria erano due milioni ormai sono 400mila, e cercano di andarsene. Questi numeri grondano sangue di civili, e portano il segno dell'eroismo del rifiuto di convertirsi all'Islam. Speriamo che la grande occasione del viaggio di Francesco in medio Oriente trasformi le sue lacrime in una decisa presa di posizione. Forse toccherà a un Papa riscattare la vergogna di tutti i leader occidentali, che non hanno fatto nulla.
Speranza mal riposta. Il papa, per il solo fatto che è papa, cioè Re di un regno di questo mondo, sarà costretto a seguire la “Ragion di Stato” vaticana, come sempre è avvenuto nel passato, anche quello recente del nazismo.


(il Giornale, 4 maggio 2014)


Accordo Fatah-Hamas, colloqui a Gaza

Presto l'incontro Abu Mazen-Meshal nel Qatar

GAZA - I colloqui per la riconciliazione nazionale palestinese riprenderanno entro due giorni al massimo con l'arrivo a Gaza dell'emissario di al-Fatah Azzam al-Ahmad.
Lo ha detto un membro dell'Ufficio politico di Hamas, Mussa Abu Marzuk, arrivato nella Striscia per finalizzare la costituzione di un 'governo di intesa nazionale' composto da esperti di Gaza e Cisgiordania. Abu Marzuk ha aggiunto che il leader di Hamas Khaled Meshal incontrerà presto il presidente palestinese Abu Mazen nel Qatar.

(ANSA, 4 maggio 2014)


"Zuckerberg è un sionista americano", l'Iran dichiara guerra a Whatsapp

 
Mark Zuckerberg
TEHERAN - Le autorità della Repubblica islamica hanno deciso di mettere al bando la popolare applicazione di messagistica perché il fondatore di Facebook che l'ha acquistata due mesi fa è "ebreo"
La notizia del divieto all'uso della app - che trova grande risalto su tutta la stampa israeliana - è stata annunciata dal capo della commissione iraniana per i reati sul web, Abdolsamad Khorramabadi, che all'agenzia d'informazione ufficiale Irna ha spiegato che "la ragione dietro a questo provvedimento è l'acquisto di Whatsapp da parte del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che è un sionista americano".
L'annuncio di Khorramabadi ha innescato una forte polemica nel paese, con il governo che ha subito preso le distanze. Il ministro delle Comunicazioni, Mahmoud Mehr, ha dichiarato che l'esecutivo "è assolutamente contrario al divieto su Whatsapp".
Già lo scorso 19 marzo il sito d'informazione 'Parsine' aveva riferito che Whatsapp era stata oscurata in tutto l'Iran dai servizi di intelligence, ma il governo aveva smentito. A inizio anno la questione è arrivata all'attenzione anche della Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, il quale ha lanciato una fatwa che vieta in Iran le chat online tra uomini e donne non legati da vincoli parentali, bollando la pratica come "immorale".
Il provvedimento che vieta Whatsapp rilancia inevitabilmente il dibattito sull'uso dei social media in Iran, dove dal 2009, ovvero dalle proteste organizzate dall'Onda Verde contro la rielezione dell'allora presidente, Mahmoud Ahmadinejad, sono bloccati sia Facebook e Twitter. I due social network, infatti, nelle prime fasi della contestazione si rivelarono validi strumenti per l'opposizione, che li utilizzava per comunicare notizie all'estero e per organizzare le manifestazioni antigovernative. Da allora Facebook e Twitter sono accessibili solo attraverso particolari software in grado di aggirare i filtri.

(Adnkronos, 3 maggio 2014)


La negazione della storia ebraica è uno dei cavalli di battaglia della politica palestinese

Si nega il legame ultramillenario tra la terra e il popolo ebraico che ininterrottamente ha sempre vissuto a Gerusalemme.

di Fiamma Nirenstein

Fra le cose meravigliose contenute nella Bibbia ce n'è una che lascia senza fiato: la verità storica che ci riporta senza errori a ciò che accadde veramente tanto tempo fa. Per esempio, i due libri di Samuele e i due libri dei Re sono storia di altissima qualità, fra le opere maggiori di tutta l'antichità, dice Paul Johnson nella sua "Storia degli ebrei". Essi incorporano materiali degli archivi reali, i canoni egizi dei faraoni, i limmu o liste eponime degli assiri, ci mettono in grado di formulare datazioni e localizzazioni precise. Così sappiamo che Saul di certo fu ucciso intorno al 1005 a.e.v. e che Davide regnò fino al 966 e Salomone morì nel 926 o nel 925. Questi sono solo un paio di esempi di come la storia nazionale degli ebrei sia registrata luogo per luogo, data per data sin dagli inizi. Anche le descrizioni fisiche dei luoghi sono precise e se ne ritrovano tracce che escludono ogni dubbio sulla presenza ebraica prima di tutto a Gerusalemme da ben prima ancora della conquista di David, ma anche a Gaza, Ashkelon, Ashdod, Gath e a Dan, Betel, Betlemme, Hevron e molti altri luoghi nominati nei testi, e oggi certificati da un'archeologia molto ostacolata. Gerusalemme e il suo Tempio sono descritti con esattezza. Del Secondo tempio troviamo descrizioni precise in una quantità di letteratura ebraica, cristiana (Gesù al Tempio sembra di vederlo ancora oggi sulla scala su cui salì per il pellegrinaggio di tutti gli ebrei e le botteghe dove predicò ai mercanti), romana con Tacito, Giuseppe Flavio, e altri, e anche musulmana. E come tutti sanno una vera e propria fotografia della deportazione degli ebrei dal loro tempio con la Menorà sulle spalle la troviamo, prova irrefutabile e tragica, scolpita, nell'arco di Tito.
  Ma la memoria della presenza ebraica si è sempre rinnovata nei secoli perché in realtà gli ebrei, cacciati e perseguitati non hanno mai abbandonato i loro luoghi di origine né nella tradizione mantenuta nella diaspora con preghiere e riti, né nella realtà quotidiana. Il popolo ebraico non se n'è mai veramente andato dalla sua capitale come dicono le cronache storiche portando testimonianza incessante della sua passione. Scrive il reverendo James Parker, un'autorità sul rapporto fra ebrei e non ebrei: "i loro autentici titoli di credito furono scritti nella memoria dell'eroica resistenza di coloro che mantennero la presenza ebraica sulla Terra attraverso i secoli e nonostante tutti i momenti di sconforto".
  Già nel IV secolo si possono individuare quaranta comunità ebraiche dal Negev al Giordano, la massima aspirazione era vivere a Gerusalemme da cui i romani avevano bandito gli ebrei, l'imperatrice Eudocia dette di nuovo agli ebrei il permesso di pregare sulle vestigia del Tempio, nel 614 gli ebrei combatterono con i persiani contro il potere bizantino, nel VII secolo gli arabi che entrano a Gerusalemme portano testimonianza di una forte presenza ebraica e così i crociati nell'XI secolo e via via nei secoli i visitatori della Terra Santa sempre raccontano delle comunità di ebrei che vivevano sulle rovine del loro tempio. Nel XIX secolo la Palestina intera era scarsamente e raramente abitata mentre Gerusalemme contava già una maggioranza ebraica. Gli ebrei non se ne sono mai andati, nonostante persino la memoria sia stata ostacolata soprattutto a Gerusalemme. La capitale fu resa, in particolare da Arafat, un luogo di oblio e di negazione della realtà storica, benché essa fosse testimoniata persino dai libri musulmani che parlano delle Moschea di Al Aqsa ricordando, con orgoglio di conquistatori, che essa e la più famosa Cupola della Roccia sono costruite sui resti del Secondo Tempio costruito da Erode, beit al maqdis costruita sul beit ha miqdash, come dicono i libretti che descrivono per i turisti la Spianata delle moschee. I tentativi di espulsione degli ebrei da Gerusalemme non sono riusciti nei secoli: l'ultimo lo si è avuto, in forma sanguinosa non meno di tanti selvaggi tentativi precedenti, durante la seconda Intifada, quando ebbe luogo una strategia che univa il folle negazionismo sulla appartenenza storica degli ebrei a Israele a una caccia spietata sugli autobus, i ristoranti, i supermarket. Questa strategia disegnava una strada non casuale. Era una guerra di terrorismo e rifiuto della presenza ebraica e del suo diritto ad esistere, ed esso veniva proposto al mondo come colonialismo, come quello di Algeri contro i francesi, degno solo di essere cancellato con la violenza. Ovvero, era la stessa negazione del diritto del popolo ebraico al suo Stato nella sua terra che oggi causa il rifiuto di Abu Mazen ad ammettere nell'ambito del processo di pace l'esistenza di uno "Stato degli ebrei" come indispensabilmente chiede il governo israeliano.
  Abu Mazen non esprime, quando giura che non lo riconoscerà mai, una sua politica personale, ma una lunga storia di rifiuto, il "rifiuto arabo", come è stato chiamato. Durante la discussione su un documento cui avevo presentato ben 17 emendamenti a Strasburgo, nell'ambito del Consiglio di Europa, ho visto passare una risoluzione in cui era riconosciuta la richiesta di "due stati". Ho proposto che venisse cambiata in "due stati per due popoli", ma la risposta è stata negativa e per ignoranza, per pigrizia, per conformismo, per paura dell'opinione dei palestinesi e dei turchi presenti come osservatori, è passata questa formula. Che cosa significa? Significa che due stati possono esser creati nell'ambito di quella strategia degli "stadi", che per altro era stata teorizzata da Feisal Husseini insieme alla tesi del processo di pace come "cavallo di Troia", che può utilmente fornire ai palestinesi uno stato nei confini del '67. Ma lo stato numero due, quello previsto dalla risoluzione, che vuole semplicemente "due stati" può essere qualunque cosa, uno stato per due popoli, uno stato dei suoi cittadini, uno stato che non sia quello del popolo ebraico ma quello pronto a sparire prima o poi perché le carte geografiche possano finalmente avere ragione quando, come oggi avviene, dai muri delle scuole e degli uffici palestinesi, mostrano la "Palestina" come uno stato che comprende tutta Israele, cancellata invece dalla mappa. Abu Mazen ha fatto della negazione della storia ebraica, seguendo le tracce di Arafat, imbattibile nella propaganda, un suo importante cavallo di battaglia. Per lui la storia ebraica a Gerusalemme è "un mito fittizio"; Israele inventa la sua storia "con la forza bruta". I giornali palestinesi, ormai purtroppo ciecamente seguiti dalla stampa internazionale, parlano del "supposto tempio degli ebrei". Sa'eb Erakat ha spiegato a suo modo perché l'Autorità palestinese non intende accettare la richiesta di riconoscere lo "stato del popolo ebraico": "Questo negherebbe tutta la nostra narrativa" ha detto.
  E qual è questa narrativa? E' quella che conduce diritta all'impossibilità di un vero accordo di pace e si mette nella tradizione della costruzione fasulla di una storia in cui i palestinesi sono i padroni di casa, gli ebrei degli estranei usurpatori, autentici colonialisti, e persino agenti dell'imperialismo americano (fino ad oggi le manifestazioni che hanno chiesto a Abu Mazen di rispondere picche alle richieste di Obama accusano insieme di cospirazione americani e israeliani). L'accettazione del diritto degli ebrei ad avere qui, su questa terra, il loro Stato, è l'unico vero sistema per disinnescare quel rifiuto che in questi anni ha creato a ondate la convinzione di poter rispondere negativamente a qualsiasi proposta di pace (Rabin, Barak, Olmert, Clinton, Obama) mantenendo un sostanziale atteggiamento di rifiuto e quindi di guerra fino alla vittoria. Se si legge il sempre istruttivo PMW di Itamar Marcus, vediamo innumerevoli prove di questo.
  Fra il riconoscimento di Israele nel 1993 secondo l'accordo di Oslo e il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere, l'abisso è tutto da riempire. Scrive Marcus che l'ambasciatore dell'OLP in India Adli Sadeq spiega: "Non esistono due palestinesi in disaccordo sul fatto che Israele esista, ma riconoscere il suo diritto di esistere è molto diverso" (Al Hayat al jadida, 26 novembre 2011). I bambini palestinesi vengono educati a distinguere fra questi due concetti. I loro libri scolastici dicono che "La guerra del '48 finì nella catastrofe per cui la gang sionista rubò la Palestina e stabilì il cosiddetto Stato di Israele". I bambini di 8 anni imparano che tutta Israele è terra occupata dal 1948: "Non ci dimentichiamo mai che abbiamo una terra che è stata occupata nel 1948 e che un giorno ritornerà a noi". Quando Kerry, o chi altri, sostiene che è del tutto inutile insistere sul riconoscimento di uno Stato nazionale del popolo ebraico perché questo è già avvenuto con gli accordi di Oslo, deve prendere in considerazione che questi testi, questo modo di pensare, sono ben posteriori ad Oslo, e sono quello in cui è solidamente impiantata la "narrativa" di Sa'eb Erakat. Il futuro dipende da come si vede il diritto del popolo ebraico al suo Stato su questa terra. E' indispensabile quindi che la fine del conflitto sia vista nella prospettiva della conclusione della bugia per cui il popolo ebraico si è inventato la favola bella della sua origine mediorientale, mentre di fatto è costituito da un patchwork di nazionalità con la valigia pronta per tornare in Marocco, in Germania, in Italia, in Francia. Questa terra si chiama Israele da più di duemila anni nonostante tutti i nomi artificiosamente sovrappostigli, ed è la Terra del popolo ebraico, e finché questo fatto non verrà riconosciuto e assimilato anche dai giovani palestinesi, non c'è futuro per la pace.

(Shalom, aprile 2014)


Calcio - Il Maccabi Tel-Aviv si conferma in Israele

Il Maccabi Tel-Aviv si conferma campione di Israele per la seconda stagione di fila grazie al successo 2-1 in casa dell'Hapoel Beer Sheva. "Sogniamo la fase a gironi di Champions League", ha detto il direttore sportivo Jordi Cruyff.

di Boaz Goren

Il Maccabi Tel-Aviv FC si conferma campione di Israele per la seconda stagione di fila e conquista il suo 21esimo titolo imponendosi 2-1 in casa dell'Hapoel Beer Sheva FC secondo in classifica.
Il Maccabi, a cui bastava un punto per conquistare il titolo con tre turni di anticipo, passa in vantaggio al 12' con Eran Zahavi, che poi si ripete dal dischetto portando a 23 gol il suo bottino stagionale. Per i padroni di casa, il gol della consolazione arriva sempre su rigore grazie a Dovev Gabai.
Il Maccabi prenderà parte al secondo turno preliminare di UEFA Champions League, dopo essere approdato ai sedicesimi di finale di UEFA Europa League in questa stagione, con l'obiettivo di bissare l'approdo alla fase a gironi del 2004/05.
"Sono felice per i tifosi e per la proprietà - ha dichiarato il direttore sportivo del Maccabi Jordi Cruyff -. Siamo felici ed orgogliosi, sogniamo la fase a girni di Champions League".
Il tecnico Paolo Sousa ha aggiunto: "Abbiamo lavorato e lottato tutto l'anno per arrivare fino a qui. Ora vogliamo essere concreti anche in Europa, non solo per il club, ma per l'intero calcio israeliano. La stagione è stata dura e abbiamo attraversato anche dei momenti difficili".
Il proprietario del club Mitchell Goldhar ha dichiarato: "Sono felicissimo, [due titoli] diversi, ma ugualmente belli. Ora vogliamo un posto in Champions League".

(Uefa.com, 3 maggio 2014)


Perché dici tu, o Giacobbe,
e perché parli così, o Israele:
'La mia via è occulta all'Eterno
e al mio diritto non bada il mio Dio?'
Non lo sai tu? non l'hai tu udito?
L'Eterno è il Dio d'eternità,
il creatore degli estremi confini della terra.
Egli non s'affatica e non si stanca;
la sua intelligenza è imperscrutabile.
Egli dà forza allo stanco,
e accresce vigore allo spossato.
I giovani s'affaticano e si stancano;
i giovani scelti vacillano e cadono,
ma quelli che sperano nell'Eterno
acquistano nuove forze,
s'alzano in volo come aquile;
corrono e non si stancano,
camminano e non s'affaticano.
Dal libro del profeta Isaia, cap. 40







 

Israele, la rivolta digitale dei soldati

Su Facebook centinaia di foto per difendere il soldato che usò il fucile per allontanare un palestinese e fu ripreso da una telecamera, ora in carcere.

di Maurizio Molinari

 
La pagina Facebook in difesa del soldato David Adamov
GERUSALEMME - Ribellione digitale nell'esercito israeliano. La vicenda inizia a Hebron, in Cisgiordania, quando il soldato David Adamov usa il proprio fucile per allontanare e minacciare un palestinese che gli si avvicina, mentre altri palestinesi riprendono l'episodio con delle videocamere.
Il soldato imbraccia il fucile, brandisce l'arma contro il palestinese e c'è uno scambio di insulti. Le immagini vengono postate online dal gruppo pacifista "Youth Against Settlements" (Giovani contro gli insediamenti) e i comandi dell'esercito reagiscono facendo sapere di aver punito il soldato, che finisce in cella.
E' a questa notizia che scatta la rivolta digitale dei soldati. Viene creata una pagina Facebook a sostegno di "David il Nahalawi" - dalla brigata Nahal a cui appartiene - e in poche ore riceve centomila "likes" a cui si aggiungono centinaia di foto postate da soldati, in divisa o senza, da ogni angolo di Israele. C'è chi si fa fotografare con il volto coperto e chi in bichini, chi di schiena e chi in gruppo. Tutti con la scritta in ebraico "Io sono con David il Nahalawi".
C'è anche chi posta foto di neonati con la scritta-rivolta sulla fronte. E Naftali Bennet, leader dell'ala destra della coalizione di governo, aderisce anch'egli alla rivolta digitale. La tesi dei "rivoltosi" è che David Adamov si trovava in una situazione di rischio ed ha fatto bene a difendersi.
A questo punto i comandi israeliani cambiano versione, affermando che David Adamov è in cella "non per l'episodio di Hebron ma per aver aggredito due superiori" e di conseguenza sta scontando 20 giorni di detenzione. Il cambiamento di versione su "David il Nahlawi" tradisce le difficoltà di Benny Gantz, capo di Stato Maggiore, nel confrontarsi con la sfida di Facebook.
"E' importante non dimenticare, e lo diciamo in continuazione ai nostri subordinati, che Facebook non è uno strumento di comando" osserva Gantz, aggiungendo "sappiamo però che Facebook c'è e non scomparirà nel nulla".
Per media, commentatori e gente comune è il tema del momento. Per due ragioni. Primo: la rivolta digitale dei soldati svela un vulnus interno dell'esercito israeliano, composto in gran parte da giovani di leva che usano i social network. Secondo: la videocamera dei pacifisti a Hebron e i post su Facebook dei sodati descrivono un'intensificazione del duello nello spazio cibernetico per influenzare gli eventi in Medio Oriente.

(La Stampa, 3 maggio 2014)


Viterbo - Hila Oren conquista con Tel Aviv il pubblico di Palazzo dei Priori

«Talento, tecnologia e tolleranza. Il nostro motto è rappresentato da queste tre T» ha sottolineato Hila Oren.

Hila Oren
VITERBO - La città in cui nessuno va a dormire. Ha esordito in questo modo Hila Oren durante il suo incontro ieri sera a Medioera parlando di Tel Aviv. Secondo ospite internazionale della quinta edizione del festival di cultura digitale, l'amministratore delegato di Tel Aviv Global City, società in prima linea per l'attuazione dei progetti per il restyling e lo sviluppo commerciale, turistico e internazionale della città israeliana, ha letteralmente conquistato il pubblico di Palazzo dei Priori. "Talento, tecnologia e tolleranza. Il nostro motto è rappresentato da queste tre T - ha sottolineato la Oren, dopo aver brevemente presentato Tel Aviv attraverso un filmato -. Concediamo un visto speciale per avviare una start up, nella nostra biblioteca abbiamo creato un nuovo spazio per l'innovazione.
   Tel Aviv è la porta di accesso per Israele, così come NYC lo è per gli USA, sebbene le capitali siano Gerusalemme e Washington. Essere la porta di accesso per Israele richiede molte responsabilità. Tel Aviv e Medioera hanno un denominatore comune nel nome: entrambi coniugano passato e futuro". Hila Oren ha confidato di essere rimasta molto colpita da Viterbo che lei stessa ha definito città con grandi potenzialità.

(Medioera, 3 maggio 2014)



Roma - Torna la musica klezmer

Dreidel il 10 maggio alla comunità Beth Hillel

ROMA - ''Eyn... Tsvey... Dreidel.... la trottola gira'': tornano il 10 maggio per un appuntamento unico nella sala della comunita' ''Beth Hillel'' di Roma i Dreidel, trio di musica Klezmer composto da Marco Valabrega (violino), Marco Camboni (contrabbasso) e Gianluca Casadei (fisarmonica). Il gruppo prende il nome dal Dreidel, una trottola di legno che i rabbini usano durante la festa di Hanukkah per insegnare l'alfabeto ai bambini, e sta ad indicare ''l'avvolgente vorticare delle melodie tratte dal repertorio di musica ebraica, associate a brani di musica klezmer e a composizioni originali, quasi a voler marcare un'affinita' espressiva caratterizzata dalla vivacita' e dalla melanconia in un alternanza di sensazioni sonore, attinte a piene mani dalla tradizione musicale dei klezmorim, musicisti girovaghi ebrei che suonavano durante le feste e le festivita' ebraiche. Brani classici e originali con arrangiamenti molto curati per un viaggio da non perdere. red/mpd

(ASCA, 2 maggio 2014)


Il giudice arabo-israeliano che loda gli italiani

di Maurizio Molinari

 
Abu Taha Nasir
È nato sotto una tenda beduina nel deserto del Negev, ha studiato giurisprudenza a Napoli ed è in prima fila contro la criminalità organizzata in Israele: Abu Taha Nasir è il giudice arabo-israeliano che deve la sua formazione agli anni passati in Italia, dove afferma di aver imparato «come si combattono i reati gravi». Classe 1963, vestito grigio, voce bassa e perfetta conoscenza della lingua di Dante, Abu Taha Nasir deve la sua passione per la legge all'infanzia passata nei villaggi beduini del Negev a fianco del nonno, Haj Ahmed Abu Taha. «Era un uomo molto anziano, saggio e stimato dalle tribù - racconta - e quando c'erano dispute nei villaggi la scelta di dirimerle ricadeva su di lui, applicando tradizioni e leggi beduine».
   Dopo la laurea in scienze politiche all'Università di Ben Gurion di Beer Sheva, il maggior centro del Negev, Abu Taha tenta il master in legge, ma in Israele c'è il numero chiuso e per lui, che non ha fatto il servizio militare, l'unica strada è andare all'estero. «Gli israeliani vanno spesso in Italia a studiare medicina, io scelsi giurisprudenza» ricorda, spiegando che «prima prefezionai l'italiano all'ateneo per stranieri di Perugia, poi feci legge a Napoli e quindi mi laureai a Camerino».
   Sono anni che lo hanno segnato. Per più motivi. Anzitutto il rapporto con Napoli. «Non avevo grandi risorse, l'unico appartamento che potevo permettermi era una monocamera a Via Roma, nei quartieri Spagnoli», dice, sottolineando come «era una zona infestata dalla criminalità, ma nessuno mi toccò, mai, come non mai venni derubato, sebbene il mio appartamento era praticamente aperto». E' un'esperienza dalla quale ha tratto la convinzione che «gli italiani, anche i più poveri e violenti, rispettano gli stranieri». Ma non è tutto, perché, «appena a Napoli e Camerino seppero che ero un arabo-israeliano, decisero di non farmi pagare gli studi, dandomi un salario e facendomi mangiare gratis alla mensa universitaria». Se a questo si aggiunge che «i libri me li pagavano le Chiese locali», non è difficile indovinare perché Nasir Abu Taha affermi di «dover molto all'Italia». Dove ha appreso anche «un approccio alla criminalità organizzata fonte di costante insegnamento». Il riferimento è anzitutto al reato di «associazione mafiosa» che Israele ha adottato cinque anni fa, «dopo un'attenta osservazione dei risultati positivi avuti in Italia». Per Nasir Abu Taha questo «strumento legislativo italiano» è uno dei «mezzi più efficaci che oggi ho a disposizione per perseguire qui in Israele gang criminali estese, come quelle guidate nel Sud da personaggi come Domrani e Grinberg». «Molti dei nostri successi - assicura - si devono all'esempio che ci viene dall'applicazione della legge in Italia». Primo procuratore arabo in Israele, Abu Taha diventa giudice nel 2002 e, quando l'allora Capo dello Stato Moshe Katzav lo invita alla cerimonia di investitura, gli fa sapere che sarà accompagnato dal padre e dall'ambasciatore italiano. «Lo staff di Katzav fece un sobbalzo. Non capivano perché volevo un diplomatico italiano - rammenta - ma spiegai che se ero arrivato fino a lì lo dovevo all'Italia».
   Giudice di pace e quindi in Corte d'Assise a Beer Sheva, Abu Taha è destinato ad arrivare alla Corte Suprema di Israele, uno Stato di cui si sente parte, ma del quale critica alcune leggi. «Quando mi trovo davanti all'arresto di un palestinese dei Territori che viola la legge, venendo a lavorare in Israele, tendo a pronunciarmi per la sua liberazione - ammette - perché nella gran parte dei casi si tratta di persone che vogliono solo poter mantenere le proprie famiglie». «So bene che queste mie sentenze vengono poi rovesciate e annullate, ma continuo ad emetterle perché si tratta di persone che violano la legge pensando al cibo per mogli e figli», spiega durante un incontro nella residenza dell'ambasciatore italiano Francesco Talò. Al governo di Netanyahu critica il piano di «urbanizzazione delle tribù beduine» del Negev, affermando che «trasferire 45mila persone da villaggi nel deserto in case costruite con tutti i servizi può essere una decisione giusta», ma l'errore è «imporre dove questi villaggi devono essere», perché ciò significa inmolti casi «dover abbandonare aree a cui le famiglie tribali sono legate da generazioni».
   Sposato con una donna araboisraeliana, avvocato in Galilea, da cui ha avuto due figli, Abu Taha riconosce comunque allo Stato Ebraico il merito di «aver dato alla mia generazione di beduini arabo-israeliani opportunità di crescita ed affermazione». E non solo grazie a leggi in favore delle minoranze nazionali, «ma per il comportamento di singoli cittadini, come l'avvocato ebreo di Ashdod, che mi prese come praticante nel suo studio, scartando un mio coetaneo ebreo, figlio di un alto funzionario del governo». Abu Taha è convinto che «in fin dei conti a fare la differenza, nei rapporti umani come nella lotta al crimine, sono le decisioni dei singoli». Ed è a questa «capacità di operare a favore del prossimo», di cui è stato testimone in Italia negli Anni 80, che riconosce il merito di «avermi suggerito come operare, una volta divenuto primo giudice beduino».

(La Stampa, 3 maggio 2014)


Vercelli - "Dalla Shoah allo Stato di Israele"

Una mostra nel chiostro di Sant'Andrea. Installazioni, quadri e videoproiezioni per un percorso documentale e didattico con le opere di numerosi artisti.

di Giancarla Moreo

 
Roberto Gianinetti partecipa alla mostra «Dalla Shoah allo Stato di Israele»
VERCELLI - «Dalla Shoah allo Stato di Israele» è il titolo della mostra organizzata a Vercelli nel chiostro della basilica di Sant'Andrea. Un'esposizione che in realtà è un percorso documentale e didattico con opere che raccontano gli anni terribili della Seconda guerra mondiale. Una mostra per riflettere ma anche emozionare. Protagonisti numerosi artisti, che già avevano «interpretato» la Shoah. Sono Paola Bisio, Massimiliano Bottino, Carla Crosio, Carla Della Beffa, Davide Farina, Matteo Giammarinaro, Roberto Gianinetti, Serena Leale, Daniele Licata, Laura Mazzeri, Emanuela Pensotti, Simona Piccica, Paolo Quaglia, Francesca Tini Brunozzi e con la partecipazione di Federico Grassi.
«Dalla Shoah allo Stato di Israele» è stata inaugurata ieri e prosegue fino al 12 maggio: è aperta tutti i giorni dalle 9 sino alle 19. Spiega Margherita Borsa dello Snals: «L'esposizione mette in campo un insieme di energie: l'Università del Piemonte orientale, lo Snals, che è il sindacato nazionale autonomo lavoratori scuola, e il Liceo scientifico Avogadro di Vercelli». E proprio gli studenti della scuola di corso Palestro, coordinati dalla professoressa Anna Maria Zarbo, hanno elaborato un interessante percorso didattico.
Martedì 6 maggio cade la Yom Haatzmaut, la festa dell'indipendenza israeliana e l'evento sarà introdotto, alle 11, dal professor Giacomo Ferrari.
Nella stessa giornata, ma alle 19, Marco Ricciardiello ripercorrerà al Piccolo Studio le fasi storiche della formazione dello Stato di Israele.

(La Stampa, 3 maggio 2014)



Venticinue anni per il Suzanne Dellal Center di Tel Aviv

di Massimo Lomonaco

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TEL AVIV - "I sogni ballano ancora" nel tempio della danza israeliana, il Suzanne Dellal Center, nel cuore di Tel Aviv, che quest'anno compie 25 anni. Come avvio dei festeggiamenti, che durante tutto il 2014 si susseguiranno in onore di questa istituzione mondiale della danza contemporanea (e non solo), ci ha pensato un mostro sacro della coreografia come Barak Marshall riproponendo il suo pluripremiato 'Rooster', visto anche in Italia. Un balletto-teatro che mercoledì scorso ha incantato il pubblico in una performance unica e speciale.
Dodici ballerini in una sorta di mini piece teatrale - tratta da 'Bontsha il silenzioso', storia breve di Isaac Leib Peretz - hanno incarnato al meglio, grazie all'originalita' di Marshall, lo spirito del 'Dellal'. Un mix di ballo, musica, coreografia, arte scenica, scuola, che ne ha fatto un tempio internazionale dove crescono e arrivano i migliori. "Una delle piu' importanti e creative arene di danza della città e di Israele", non ha esitato a definirla, senza paura di essere smentito, Yair Vardi, da sempre Direttore del Centro e testimone della nascita del Dellal situato a Neve Tzedek (Oasi di Giustizia) quartiere di tendenza ed, ora, ultra chic della citta'. Un tempo primo sobborgo ebraico, povero, fuori l'araba Giaffa, Neve Tzedek incarna oggi in modo perfetto non solo il Dellal ma anche la creatività di Tel Aviv: un ginepraio di case tutte quasi ad un piano, molto mediterranee, dove centri sperimentali e boutique di tendenza si alternano a ristoranti alla moda in un vortice di ebraico e lingue straniere.
Del resto il 'Dellal' e' il centro stesso di Neve Tzedek: il complesso - nato nel 1908 come scuola per ragazze e ragazzi - é composto di varie palazzine in stile primo del novecento immerse nel verde con un largo spazio che separa i due corpi centrali. Si respira un'aria di altri tempi in una Tel Aviv segnata sempre più dal connubio di grattacieli ultramoderni e case in stile Bauhaus che punteggiano assieme, alla fine di Neve Tzedek, il lungo Viale Rothschild, asse su cui, dal mare verso nord, é nata e si é sviluppata la citta'. Il Centro prende il nome da Suzanne Dellal figlia - morta in giovane età - di una facoltosa famiglia ebraica inglese che nel 1989, in suo onore, donò la somma iniziale per rimettere in sesto il complesso allora piuttosto malandato. In 25 anni é diventato la 'Casa della cultura e della danza', Premio Israele nel 2010, sede tra l'altro della prestigiosa 'Batsheva Dance Company', fondata da un nome 'monstre' del balletto contemporaneo: Martha Graham. Per il 'Dellal' - festeggiato lungo l'anno dal meglio della danza israeliana e internazionale - questi primi 25 anni non sono che l'inizio perché - ha ripetuto Vardi - "i sogni ballano ancora".

(ANSAmed, 2 maggio 2014)


Tre milioni per un prezioso Chumash italiano: Bologna 1482, la Torah dei record

di Ada Treves

 
Polverizzato ogni record. Gli esperti di Christie's avevano previsto di poter arrivare fino al milione e mezzo di euro. Ma la Torah stampata a Bologna nel gennaio del 1482 è stata battuta a quasi tre milioni. Secondo Christoph Auvermann e Patricia De Fougerolle, direttore e specialista del dipartimento della famosa casa d'aste che ha trattato a Parigi il lotto di cui faceva parte il volume, si tratta del prezzo più alto mai pagato al mondo per un testo in ebraico, più alto di qualsiasi altro libro stampato mai venduto in Francia. L'acquirente, per ora anonimo, ha dovuto rilanciare più volte: il banditore ha accettato offerte via via più alte, provenienti dai tre clienti che se lo sono conteso, via telefono, fino a fermarsi a 2.785.500 euro.
Il volume battuto a Parigi il 30 aprile, spiega il sofer Amedeo Spagnoletto, proviene da una delle prime stamperie in Italia, preceduta comunque da quelle di Reggio Calabria, Roma e Piove di Sacco, che operavano già a negli anni '60 e '70 del XV secolo. L'interesse suscitato dipende da diversi fattori, non solo dalla completezza dell'opera.
Innanzitutto si tratta di un Humash completo - humash è il temine ebraico che indica la Torah in forma di libro, anziché come rotolo - un Hamishah Humshei Torah che comprende tutti e cinque i libri della Torah. Oltre all'edizione originale del Targum Babilonese (il Targum Onkelos, ossia la traduzione in aramaico) e il commento di Rashi, pubblicato una prima volta a Roma una dozzina di anni prima. Si tratta anche della prima volta al mondo in cui è stato stampata una Torah il cui ebraico comprendesse le vocali e i teamim, i segni della cantillazione.
"Un'altra particolarità - continua Spagnoletto - è data firme dei censori: in tre hanno approvato il volume. Prima Luigi da Bologna, frate dominicano, che ha approvato il volume nel marzo del 1599, poi Camillo Jaghel nel 1613 e fra Renato da Modena, nel 1626."
Le pochissime parole o frasi censurate, appartengono in prevalenza al commento di Rashi, e sono le uniche modifiche apportate, a parte la rilegatura esterna, considerata "modesta" che risale al XVIII secolo.
Importanti anche i nomi di Joseph Hayim ben Aaron Strasbourg Zarfati, indicato come editore, mentre Abraham ben Hayim da Pesaro è colui che ha collaborato con lo stampatore, Joseph ben Abraham Caravita, come esperto. Il volume è stato stampato in più copie su carta, ma solo alcune - tra cui quella venduta il 30 a Parigi - sono entrate nella tiratura più pregiata, su pergamena, prodotta così apposta per essere il più simile possibile ai manoscritti.

(moked, 2 maggio 2014)


Tunisia e Israele, tra aperture e problemi

Il rapporto complesso tra mondo arabo e Israele riguardo i visti turistici

La Sinagoga di Ghriba
Negli ultimi mesi, uno dei principali argomenti di dibattito politico in Tunisia è stato costituito dalle vicende legate alla concessione di visti turistici a cittadini israeliani giunti nel Paese nordafricano. Lo scorso 9 marzo, le autorità tunisine hanno vietato a un gruppo di circa 20 turisti israeliani di sbarcare da una nave crociera norvegese attraccata al porto di Tunisi, con la motivazione di non essere ospiti graditi al Governo tunisino. La notizia ha prodotto forte scalpore all'interno dell'opinione pubblica internazionale, creando un vero e proprio caso diplomatico e portando nuovamente al centro delle attenzioni il controverso rapporto tra Israele e i paesi del mondo arabo.
Da molti anni la Sinagoga di Ghriba, che si trova a Djerba, è meta dei pellegrinaggi di ebrei provenienti da Israele, dall'Europa e dagli Stati Uniti. Nonostante la Tunisia rifiuti ufficialmente di fare entrare cittadini israeliani sul proprio territorio nazionale, nei passati decenni tale divieto è stato aggirato tramite la concessione di visti speciali ai turisti provenienti da Israele. Dopo l'esplosione delle polemiche legate alla mancata concessione dei visti, la autorità tunisine hanno assentito, grazie all'intercessione dello stesso Premier Mehdi Jomaa, a fare entrare turisti israeliani direttamente con il proprio passaporto, senza ricorrere all'escamotage comunemente praticato. Il Primo Ministro ha giustificato la propria decisione, ritenendola necessaria per garantire maggiore trasparenza a pratiche che venivano messe in atto da anni. Mohammed Hamdi, leader della coalizione di centrosinistra Alleanza Democratica, ha affermato che i tunisini non hanno un problema con i «fratelli ebrei che giungono per il pellegrinaggio, ma con l'entità sionista che occupa i Territori palestinesi».
   La scelta di garantire il libero ingresso ai turisti israeliani ha scatenato le proteste del parlamento tunisino, che ha presentato a metà aprile una mozione in cui veniva richiesto al Ministro del Turismo Amel Karboul di riferire sulla questione visti di fronte all'Assemblea. La mozione, firmata da 80 membri del parlamento, non ha ricevuto sostegno ufficiale dai membri del partito di maggioranza, Ennahda, che si è astenuto dal tenere una posizione unita sulla questione e ha lasciato libertà di scelta ai suoi membri.
   Le relazioni tra Israele e Tunisia sono segnati dal bombardamento compiuto dalle Forze aeree israeliane in territorio tunisino nell'ottobre del 1985: jet israeliani compirono un raid su Hammam Chott, dove si trovava il quartier generale tunisino dell'Organizzazione di Liberazione Palestinese, uccidendo circa 60 persone. L'azione fu compiuta per rispondere all'assassinio di tre turisti israeliani compiuto alcuni giorni prima a Cipro da militanti dell'OLP. Come riporta la rivista web Tunisia Live, il membro dell'Assemblea Nazionale Samia Abbou ha attaccato il Governo, sostenendo che l'assegnazione di un lasciapassare ai turisti israeliani avrebbe costituito un tentativo di "normalizzare le relazioni con Tel Aviv", compiuto senza tener conto di quando gli israeliani hanno assassinato i "figli dei tunisini" nel 1985.
   La Sinagoga di Ghriba venne resa tragicamente famosa dall'attentato dell'11 aprile 2002, quando un membro del Gruppo Combattente Tunisino, organizzazione jihadista affiliata ad al-Qaeda, fece saltar in aria un camion carico di esplosivo nei pressi di un gruppo di turisti in procinto di entrare nel tempio. L'esplosione uccise 21 persone, 14 delle quali tedesche, e ne ferì oltre trenta. Al-Qaeda rivendicò in seguito l'organizzazione dell'attentato. Autore dell'attentato fu Niser Nawar, tunisino privo di precedenti penali proveniente dalla località meridionale di Ben Guerdane e con esperienze di studio e lavoro in Francia e Canada.
   Il ruolo del turismo all'interno dell'economia tunisina è fondamentale (il suo valore si attesta all'8% del Prodotto Interno Lordo), e tale centralità spiega gli sforzi compiuti dal Governo di Tunisi per donare nuova stabilità al Paese, mantenere aperte le proprie porte e garantire la ripartenza del settore turistico. La Tunisia sta compiendo un numero crescente di sforzi per cercare di far ripartire un'economia stagnante, la cui forza ha in passato poggiato sul flusso di cittadini stranieri che venivano nel Paese, attratti dalla sua tranquillità e ospitalità. L'instabilità seguita alla Rivoluzione del 2011 ha creato diffidenza e ridotto drasticamente l'arrivo di turisti, spaventati dal disordine dell'intera regione nordafricana: se nel 2010 erano giunti in terra tunisina 6,9 milioni di turisti, nel 2012 il numero era sceso a 6 milioni. Recentemente, il Ministro del Turismo Amel Karboul ha affermato che, secondo le recenti stime, la nuova stabilità del Paese garantirà un ritorno del numero di turisti ai livelli pre-rivoluzionari, circa 7 milioni. Ad aprile, il Governo statunitense ha annunciato di avere ritirato ufficialmente il "travel warning" emanato nel 2011 nei confronti della Tunisia, nel tentativo di sostenere la ripresa dei normali flussi turistici verso il Paese nordafricano. La notizia è giunta nei giorni successivi alla visita diplomatica del Premier Mehdi Jomaa a Washington.

(L'Indro, 2 maggio 2014)


Il buon senso del Papa può cambiare la storia d'Israele

Il rabbino Skorka e l'islamico Abboud accompagneranno il loro connazionale in Terra Santa.

di Alver Metalli

  
BUENOS AIRES - Abraham Skorka ci sarà, e con lui ci sarà l'islamico Omar Abboud. Il rettore del seminario rabbinico latinoamericano e l'ex segretario generale del centro islamico della repubblica argentina accompagneranno il Papa in Terra Santa. Un viaggio fortemente desiderato. Entrambi argentini, entrambi amici di vecchia data di Bergoglio, entrambi facitori di uno spazio di dialogo interreligioso made in Argentina che oggi è modello per la Chiesa universale. "Parte della nostra identità nazionale, un frutto coltivato con volontà da diversi dirigenti e leader religiosi" fa notare Abboud che riconosce " l'impulso centrale dell'allora cardinal Bergoglio nel creare spazi dove costruire una cultura dell'incontro".
   Il riferimento è all'Istituto per il dialogo di cui lui stesso fa parte. "Siamo una delle poche città al mondo dove la convivenza religiosa si è sviluppata nel modo che possiamo vedere". Skorka dal canto suo ricorda che nella prima visita a Roma, poco dopo l'elezione, quando l'idea del viaggio si affacciava, il neo-Papa fece riferimento a quanto realizzato a Buenos Aires: "Il nostro dialogo e la nostra amicizia è il segno che si può". Dall'iniziativa di Bergoglio - conferma Skorka - è nata quella storia di attenzione e rispetto che ha unito leader islamici e religiosi ebrei e che adesso porta in Israele due esponenti di entrambe le realtà. "Abbiamo fatto tante cose insieme - ricorda Skorka. Il Papa è un amico sincero del popolo ebraico".
    "Accompagnare Sua Santità in Terra Santa è per me un onore altissimo e insperato" gli fa eco Omar Abboud, che non disprezza il lavoro nelle villas miserias di Buenos Aires come i preti di Bergoglio. "Emozione" e "responsabilità" sono le due parole che Skorka usa con Vatican Insider per commentare la decisione di includerlo nella comitiva papale. Emozione per l'onore, responsabilità per l'occasione di "aiutare il Papa a trasmettere messaggi e segnali rilevanti per la pace". Ha appena scritto sul quotidiano argentino La Nación un elogio ai due papi santi: "Da nunzio a Istanbul Angelo Roncalli, poi Giovanni XXIII, ha dispiegato infaticabili sforzi per salvare ebrei. Karol Wojtyla, poi Giovanni Paolo II, ha avuto un impegno significativo con gli ebrei perseguitati. Sono stati esseri che hanno illuminato la strada di molti altri. Tra cui l'attuale papa Francesco".
    Entrambi, il rabbino argentino e l'imam islamico, sono consapevoli che il momento è delicato e la situazione non è più la stessa di quando il viaggio in Terra Santa venne annunciato.
    In mezzo c'è l'avvicinamento tra Abu Mazen e Hamas che proprio nei giorni dell'arrivo del Papa in Israele verrà formalizzato, l'irrigidimento di Israele, la sospensione del dialogo di pace. Un clima politico che caricherà di connotazioni politiche i gesti e le parole. "La sfida è più grande" commenta Skorka. "L'agire del Papa sarà conciliatore, prudente, volto a suscitare sentimenti di confraternità, al di là di ogni contingenza". C'è in gioco un lungo tratto di futuro, osserva. "Quello che la storia chiede è che ci sia un superamento". Confida "nell'affetto che il Papa sa trasmettere, nella sua capacità di disarmare gli odi, di andare all'essenziale".
    In mezzo, tra l'annuncio del viaggio papale sulle tracce di Paolo VI e la partenza oramai prossima, ci sono anche le parole inedite del Presidente dell'Autorità palestinese che ha definito il genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale "il crimine più efferato" dell'era moderna. La più forte condanna dell'Olocausto giunta da un Presidente palestinese che è stato criticato, in passato, per aver espresso dubbi sulla portata del massacro degli ebrei. Il valore delle parole pronunciate non sfugge a Skorka: "Sono le espressioni sensate e coraggiose che cambiano il corso della Storia".

(Vatican Insider, 2 maggio 2014)


Si va dunque verso quella "Chiesa universale" che oggi - dice l'articolo - ha in Argentina il suo modello, come testimonierebbe il fatto che il papa sarà accompagnato nella sua visita in "Terra Santa" [Israele naturalmente è bene non nominarlo, ndr] dal rabbino Abraham Skorka e dall'islamico Omar Abboud, entrambi argentini. In questa direzione universalistica si sta muovendo abilmente l'attuale papa argentino, che a questo scopo ha lanciato un'offensiva ecumenica a largo raggio. Con notevole disponibilità all'uso degli attuali strumenti informatici, il 14 gennaio scorso papa Bergoglio ha inviato via smartphone un messaggio al vescovo cattolico responsabile dell'International Ecumenical Officer per la Comunione delle Chiese Evangeliche, Anthony Palmer. Quest'ultimo ha mostrato il video in forma solenne ad una riunione di leader evangelici carismatici. Video 1
Dopo la visione del filmato, il presidente della riunione ha voluto che si registrasse un messaggio di risposta da inviare al papa. Video 2
Con ciò si conferma l'avvicinarsi di quella paciosa "chiesa universale" di cui in ambienti evangelici si parla già da decenni e che sarà uno delle segni della fine.
    "Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri; poiché quelli che dormono, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, lo fanno di notte. Ma noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell'amore e preso per elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo" (1 Tessalonicesi 5:3-9).

Israele - Usa, porte chiuse per J Street

Jeremy Ben-Ami, presidente di J Street
Respinta la richiesta di J Street di entrare nella Conferenza dei presidenti delle organizzazioni ebraiche americane. L'ente cappello, rappresentativo dell'universo ebraico d'oltreoceano, ha infatti votato contro l'ingresso di J Street, gruppo di pressione ebraico che si autodefinisce filoisraeliano e pacifista, accusato però di avere posizioni contrarie a Israele. Proprio il giudizio negativo sull'operato di questa organizzazione ha portato alla bocciatura della sua candidatura, con 22 voti contrari, 17 favorevoli. "L'attuale appartenenza alla Conferenza include organizzazioni che rappresentano e articolano le opinioni di ampi segmenti della comunità ebraica americana e siamo fiduciosi che la Conferenza continuerà a rappresentare l'intera comunità su importanti questioni nazionali e internazionali, come ha fatto da 50 anni a questa parte". Questa la risposta dei rappresentanti della Conferenza a seguito delle critiche, nate dopo l'esclusione di J Street, di non dare rappresentanza a tutte le anime del mondo ebraico americano. Questo è un giorno triste, per noi ma anche per la comunità ebraica americana così come per una prestigiosa istituzione, che ha deciso di chiudere le porte a un organizzazione che rappresenta un sostanziale segmento dell'opinione ebraica su Israele", il comunicato di J Street, in polemica con la Conferenza.
Nata come sei anni fa come un'alternativa all'Aipac (American Israel Public Affairs Committee), J Street ha attirato da subito le critiche di molte altre organizzazioni per le sue aspre posizioni riguardo le politiche del governo israeliano. Ad esempio l'aver appoggiato l'amministrazione Obama riguardo alle trattative sul nucleare con l'Iran o l'opposizione all'operazione militare israeliana a Gaza nel 2008.
Le parole di Farley Weiss, presidente del National Council of Young Israel, spiegano l'animo di chi si è fortemente opposto all'ingresso nell'organizzazione cappello: secondo Weiss, avere Jstreet all'interno della Conferenza ne depotenzierebbe il ruolo, intralciando la possibilità di presentarsi come una voce unica di fronte all'amministrazione americana.
C'è chi ha invece appoggiato l'ingresso di Jstreet, considerando le sue istanze rappresentativa di una parte della realtà americana. Tra questi, l'Anti- Defametion League, organizzazione impegnata nella lotta e monitoraggio del fenomeno dell'antisemitismo.

(moked, 2 maggio 2014)


Giappone, i neonazisti si scagliano contro cinesi e coreani

Il Paese del Sol Levante sta assistendo a una recrudescenza di simpatie naziste, la cui ultima manifestazione è stato il raduno che ha avuto luogo pochi giorni fa a Ikebukuro - Accanto agli slogan anti-coreani e anti-cinesi, e allo sventolio delle bandiere nazionali, sono comparse le svastiche.

TOKYO - I rapporti tesi con la Cina e con la Corea risvegliano l'orgoglio nazionale nipponico, i giapponesi si sentono accerchiati e incompresi, e, come spesso accade, prendono forza le frange estremiste. Il Paese del Sol Levante sta assistendo a una recrudescenza di simpatie naziste, la cui ultima manifestazione è stato il raduno che ha avuto luogo pochi giorni fa a Ikebukuro, nel quartiere di Toshima, una delle aree più vivaci e attive della capitale.
Accanto agli slogan anti-coreani e anti-cinesi, e allo sventolio delle bandiere nazionali, sono comparse le svastiche, e uno dei partecipanti a un certo punto ha gridato: "Riscatteremo l'onore dell'Impero giapponese e della Germania nazista!".
Questi neo-nazisti si dicono convinti che l'operato di Hitler è stato giustificabile, se non addirittura meritorio, in quanto non si trattava altro che del tentativo di proteggere la Germania dalla minaccia rappresentata dagli ebrei, così come - e questo è il passaggio decisivo - i giapponesi di oggi cercano di proteggere il proprio Paese dal crescente potere della Cina e della Corea.
Certo, il numero di chi professa un tale credo è assai basso, ma sarebbe sbagliato liquidarli come fanatici ignoranti della storia. "Navigando su Internet" dice Mitsuharu Akao, professore all'Università di Osaka specializzato in cultura ebraica, "non è difficile imbattersi in dichiarazioni ostili alla presenza di cinesi e sudcoreani in Giappone. Non è così infrequente poi che venga ventilata l'idea di cacciarli via tutti dal territorio giapponese, in nome della difesa dell'identità nipponica".
"Man mano che la Cina e la Corea del Sud hanno assunto importanza nell'ambito della politica e dell'economia mondiali" osserva ancora il professore "il Giappone si è sentito minacciato nelle posizioni raggiunte fino a quel momento e tollera anche con più fatica le accuse che questi Paesi gli rivolgono per quanto accaduto durante la Seconda guerra mondiale".
Vi sono gruppi su Internet che negano che il massacro di Nanchino - perpetrato dall'esercito giapponese nel 1937 ai danni della popolazione di quella città cinese - abbia mai avuto luogo. Sugli stessi siti si può leggere anche che la cruenta occupazione giapponese di buona parte dell'Asia non ebbe altro obiettivo se non quello di liberare le nazioni asiatiche dal giogo occidentale. Uno dei cavalli di battaglia di questa linea di pensiero è che libri-testimonianza delle atrocità del nazismo come "Il diario di Anna Frank" siano un falso scritto ad arte per screditare Hitler e i suoi.
Pochi mesi fa la casa editrice Nihonbungeisha Company ha distribuito in 8000 negozi di una catena di minimaket un libro dallo sconcertante titolo "La verità su Hitler che vi prenderà a tal punto da non farvi andare a dormire". Il testo, che - recitava la prefazione - intendeva gettare luce su quanto di buono il nazismo aveva fatto, è stato ritirato dal commercio dopo un mese, ma deve essere giudicato sintomatico dei nuovi orientamenti che serpeggiano nel Paese.

(FIRSTonline, 2 maggio 2014)


Tennis - Andy Ram annuncia il ritiro

Il doppista israeliano ha confermato di voler appendere la racchetta al chiodo dopo lo spareggio play-off di Coppa Davis contro l'Argentina.

di Giovanni Larosa

da sin., Andy Ram e Jonathan Erlich, la coppia di tennisti nota in Israele col nome di “AndiYoni”
Andy Ram, uno dei doppisti più importanti dell'ultimo decennio, ha annunciato di voler chiudere la sua carriera al termine del match play-off di Coppa Davis nel quale Israele ospiterà l'Argentina. "Credo sia giunto il momento di appendere la racchetta al chiodo dopo una lunga carriera - ha detto Ram di fronte alla grossa folla di connazionali radunatisi ieri in quel di Tel Aviv - Gioco a tennis da quando avevo 5 anni e oggi ne ho 34. E' stato un cammino davvero lungo nel quale ho potuto vivere diverse cose che non cambierei per nulla al mondo. Tutti gli infortuni, tutte le vittorie, non le dimenticherò mai".
Il trentaquattrenne lascia il mondo della racchetta come il più importante tennista della storia di Israele. Nella sua bacheca tanti trofei. Su tutti la soddisfazione e l'onore di essere stato il primo tennista israeliano a conquistare un titolo del Grande Slam. Nel 2006, infatti, vinse i Championships insieme a Vera Zvonareva. Un titolo cui seguì il Roland Garros del 2007, in coppia con Nathalie Dechy, e l'Australian Open 2008 nel doppio maschile, in coppia con l'inseparabile compagno Jonathan Erlich.

(Tennis World Italia, 2 maggio 2014)


Netanyahu: Israele dovrà essere per legge uno 'Stato ebraico'

Il Premier presenterà in parlamento una legge che fornisca un'àncora costituzionale

Il premier israeliano Benaymin Netanyahu presentera' in Parlamento una legge per fare di Israele ''uno stato ebraico''. Lo ha annunciato lo stesso premier oggi in un discorso a Tel Aviv nella Sala dell'Indipendenza in vista della Festa per la nascita dello stato. ''E' mia intenzione - ha detto - di sottomettere al Parlamento una legge che fornisca un'ancora costituzionale per Israele come stato nazionale del popolo ebraico''.
Netanyahu - che nelle recenti trattative di pace con i palestinesi ha posto con forza la richiesta, non accettata pero' dalla controparte - ha detto che lo stato di Israele ''preservera' sempre la piena eguaglianza, dei diritti individuali e civili, per tutti i suoi cittadini, ebrei e non, in un Paese ebraico e democratico''. In Israele, secondo il premier gia' ora questi diritti ''sono assicurati a tutti, cosa che ci mette a parte rispetto ad una grande fetta del Medio Oriente e anche oltre''. ''Con mio dispiacere, come abbiamo visto di recente - ha proseguito il premier mostrando di riferirsi ai negoziati con i palestinesi - ci sono coloro che non riconoscono questo diritto naturale. Essi tentano di minare la giustificazione storica, morale e legale dell'esistenza dello Stato di Israele come nazione del nostro popolo''. ''Una delle mie principali missioni come primo ministro - ha quindi aggiunto - e' quella di sostenere lo status di Israele come stato nazionale del nostro popolo''.

(ANSA, 1 maggio 2014)


Cinema israeliano a Cuneo

Dal 7 maggio al 28 maggio ore 21 tutti i mercoledì.

Organizzato dall'associazione Italia-Israele, presso il Centro incontri della Sinagoga, contrada Mondovì, ingresso libero, sino ad esaurimento posti.

7 maggio - "Munich". Con le sue cinque candidature agli Oscar, è la pellicola che Steven Spielberg ha dedicato all'attacco che la squadra isrealiana subì alle Olimpiadi di Monaco del 1972. I protagonisti sono gli agenti dei servizi segreti israeliani a cui venne affidato il compito di rintracciare ed uccidere gli 11 palestinesi che avevano determinato la morte di 11 atleti. Lingua: Italiano, anno: 2005, regia: S. Spielberg, durata: 163 minuti.

14 maggio - "FreeZone'' di Amos Gitai, è un film che affronta la complessità etnica e culturale dello Stato Ebraico. Il regista racconta questo melting pot attraverso l'esperienza di una giovane ebrea americana che intraprende un viaggio nella Zona franca, al confine della Giordania. Lingua: inglese, sottotitoli: italiano, anno: 2005, regia: A. Gitai, durata: 90 minuti.

21 maggio - "Adam Resurrected". Racconta con tinte caravaggesche, dove i pochi squarci di luce rendono più profondo e disperato il buio, l'emblematica storia della ''resurrezione'' alla vita di Adam, riuscito a scampare alla morte nei campi di sterminio, per la sua abilità di artista: un clown adibito a far ridere un gerarca, imitandone il cane, mentre la sua famiglia viene sterminata. Lingua: italiano, anno: 2008, regia: P. Schrader , durata: 106 minuti.

28 Maggio - "I leoni della guerra" è il film di Irvin Kershner ispirato ad uno dei più spettacolari interventi dei servizi segreti israeliani in sintonia con l'esercito. Insieme furono protagonisti della liberazione degli ostaggi trattenuti da un gruppo di terroristi che il 27 giugno 1976 dirottò a Entebbe un aereo di linea francese. Lingua: italiano, anno: 1977, regia: I. Kershner, durata: 150 minuti.

(Cuneocronaca, 1 maggio 2014)


Diritti delle minoranze ed eguaglianza: così la candidata a presidente di Israele

Dalia Dorner, membro della Corte Suprema, potrebbe succedere a Peres

di Maurizio Molinari

 
Dalia Dorner
GERUSALEMME - «E' arrivato il momento di avere un presidente donna». A parlare come Hillary Clinton è la donna-giudice della Corte Suprema di Israele che si è candidata a succedere a Shimon Peres, quando in giugno lascerà l'incarico di capo dello Stato. Nata in Turchia 80 anni fa, figlia di immigrati da Odessa che scelsero poi di emigrare in Israele, Dalia Dorner è stata nominata alla Corte Suprema nel 1994 e restandovi fino alla pensione, nel 2004.
Tenace difensore dei diritti personali, Dalia Dorner è una paladina del singolo nella società israeliana: dall'"affirmative action" per le minoranze all'eguaglianza fra sessi. E' una battaglia che l'ha portata più volte a sfidare i temi della società israeliata. A cominciare da quando si trovò a difendere un pilota della compagnia di bandiera, El Al, che voleva far viaggiare gratis il compagno gay.
Per i grandi giornali, come Haaretz, il tandem "Dalia for President" prospetta un «nuovo orizzonte» per lo Stato Ebraico. Ma la decisione sul presidente di Israele viene presa dalla Knesset, il Parlamento, e dunque ciò che conta sono i voti dei deputati. E dei partiti. Al momento Reuven Rivlin è il favorito nel Likud, Binyamin Ben-Eliezer nelle fila dell'opposizione e Dan Schechtman prevale nei villaggi e kibbutim ma Dalia non si preoccupa più di tanto: è convinta che «quando arriverà il momento» toccherà a lei portare in salvo il popolo ebraico.

(La Stampa, 1 maggio 2014)


Netanyahu: lo Shin Bet combatterà il razzismo

GERUSALEMME - Contro gli episodi di razzismo ai danni degli arabi e di altre minoranze in Israele da parte di estremisti ebraici scendera' in campo lo 'Shin Bet' (il servizio di sicurezza interno del paese). Lo ha annunciato il premier Benyamin Netanyahu condannando i cosiddetti 'price tag' (il 'prezzo da pagare'), l'ultimo dei quali avvenuto ieri nella cittadini araba di Fureidis. Sono atti - ha detto Netanyahu - contro tutti i nostri valori e useremo lo Shin Bet per prendere i responsabili''.

(ANSA, 1 maggio 2014)
   


Perché Kerry ha fallito in Medioriente

di Stefano Magni

Il 29 aprile avrebbe dovuto essere l'ultimo giorno utile per chiudere un accordo fra Autorità Palestinese e Israele. Sono passate 24 ore da quella scadenza e l'unico accordo firmato in Medio Oriente è quello fra i due partiti palestinesi, Al Fatah e Hamas, volto a formare un fronte unitario contro Israele. Non solo la situazione non è migliorata, ma è addirittura peggiorata. Mentre Barack Obama è ancora in Asia orientale, ad arbitrare il fallito negoziato è il suo segretario di Stato, nonché ex candidato alle presidenziali del 2004: John Kerry. Constatato il fallimento completo dei colloqui da lui stesso avviati, ad Amman, alla fine del 2013, il ministro democratico non trova niente di meglio da dire che una frase che sprizza pessimismo offensivo: "Ribadiremo la soluzione dei due Stati come l'unica vera alternativa. Perché uno Stato unitario (israeliano, ndr) finisce per essere uno Stato in cui vige l'apartheid, con cittadini di seconda classe, oppure uno Stato che nega a Israele la capacità di essere uno Stato ebraico". Lo ha detto proprio quando si celebrava la memoria delle vittime della Shoah, dimostrando una sensibilità pari a quella di un elefante nella cristalleria. La reazione non si è fatta attendere. Protesta da parte del governo Netanyahu, protesta del Partito Repubblicano e sollevazione dell'opinione pubblica ebraica e filo-israeliana in America, che è quasi tutta formata da elettori del Partito Democratico. Un disastro su tutta la linea.
  Ieri John Kerry, di fronte alla raffica di critiche, si è scusato pubblicamente affermando che "se potessi riavvolgere il nastro, userei una parola diversa". Probabilmente gli elettori democratici (negli Stati Uniti) si accontenteranno di queste scuse e continueranno a votarlo. Ma, a ben guardare, scuse non sono, perché non è certo la singola parola "apartheid", ma la logica del suo ragionamento. Riassumendo in poche parole: per Kerry, il problema è solo Israele. Questa tendenza è confermata anche da una precedente gaffe pronunciata da Kerry, quando i negoziati erano ancora aperti, nel momento in cui aveva detto che, in caso di un loro fallimento, non avrebbe potuto contrastare un boicottaggio internazionale contro Israele.
  Era una velata minaccia. Un po' come quando un boss ti "suggerisce" di fare come dice lui, altrimenti "non assicura l'incolumità" della vittima. E così era stata intesa in Israele. Da questo modo di ragionare, si può ben dedurre tutta la visione che i progressisti americani hanno della crisi in Medio Oriente. Secondo questa analisi la coesistenza sotto uno Stato democratico israeliano è impossibile. Stato ebraico e Stato arabo-palestinese devono essere divisi. Non perché vi sia una ostilità genetica fra i due popoli, ma perché gli israeliani, a un certo punto della loro storia (la Guerra dei Sei Giorni del 1967) hanno occupato i territori del Golan, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. L'origine del male, per i democratici, è solo quella. Questa percezione è anche la stessa che ha caratterizzato alcuni dei colloqui fra Obama e Netanyahu. Come nel 2011, quando il presidente Obama disse (poche ore prima che giungesse a Washington il suo ospite) che Israele, per risolvere il problema, avrebbe dovuto ritirarsi entro i confini pre-1967. È chiaro che, se il peccato originale è l'occupazione dei territori nel 1967, se il problema irrisolto è la vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni, la soluzione è il ritiro israeliano. Il mancato ritiro israeliano, secondo Kerry, porterebbe alla "segregazione" (apartheid) degli arabi che vivono nei territori, o la vendetta araba contro gli israeliani.
  Gli israeliani, tuttavia, vedono la loro storia da una prospettiva un po' diversa. E non hanno tutti i torti. Prima di tutto ricordano perché scoppiò la Guerra dei Sei Giorni. Siria, Giordania ed Egitto (e altri alleati esterni, fra cui l'Iraq) tentarono di distruggere Israele, di invaderlo e di spartirselo. Israele ebbe la capacità di prevenirli e sconfiggerli, prima che fosse troppo tardi. La Guerra dei Sei Giorni non fu il primo né l'ultimo conflitto di sopravvivenza dello Stato ebraico, che già aveva rischiato l'estinzione nel 1947-48 e la rischiò di nuovo quando venne invaso nel 1973. Solo l'acquisizione di armi atomiche da parte israeliana (anche se mai dichiarate) impedisce ai regimi arabi circostanti di compiere un altro tentativo, ma non di fornire armi e fondi alla guerriglia locale, coordinata da movimenti armati palestinesi. L'ideologia nazionalista araba è stata in gran parte soppiantata da quella islamica jihadista. Ma l'obiettivo di distruggere Israele è ancora esplicito, scritto nero su bianco nello stato di entrambi i movimenti palestinesi. E cambia nulla che il leader di Al Fatah, nonché presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) dichiari che la Shoah sia "il peggior crimine contro l'umanità": il programma del suo partito non è cambiato. I movimenti palestinesi hanno semplicemente accettato la fase intermedia della spartizione territoriale: Cisgiordania e Gaza sotto un'autorità autonoma e il resto spetta a Israele. Ma l'obiettivo finale è sempre una Palestina unita, araba e islamica, dal Giordano al Mediterraneo, da Eilat al confine libanese, da Tel Aviv al confine giordano.
  Il problema è dunque l'occupazione israeliana? O non, piuttosto, il programma dei movimenti armati palestinesi? È per fronteggiare la minaccia di questi ultimi, autori di migliaia di attentati contro civili inermi, che gli israeliani hanno adottato misure di sicurezza straordinarie, fra cui la costruzione della barriera difensiva (o "muro"). Ma di sicurezza si tratta, non di segregazione. Non c'è alcun apartheid nei confronti degli arabi che vivono in Israele. Non c'è alcuna discriminazione nei confronti degli arabi palestinesi (quelli che vivono nei territori), i quali possono avvalersi di servizi pagati dal contribuente israeliano. C'è semmai un difficile tentativo di spartirsi competenze fra i territori controllati dall'Autorità Palestinese, quelli controllati dal governo di Gerusalemme e quelli ad amministrazione mista. Ma non c'è alcuna segregazione etnica o religiosa. Anche in caso di permanenza di uno status quo senza confini concordati, non vi sarebbe discriminazione razziale: sono troppo ininfluenti i partiti israeliani che la vorrebbero e troppo forti le opposizioni. Se, al contrario, si dovesse arrivare all'unificazione di tutto il Paese sotto un'autorità palestinese, gli ebrei non vi troverebbero più posto. Prova ne è che gli insediamenti ebraici in terra palestinese (quelli che Kerry considera il peggior ostacolo alla pace) continuano ad essere sotto attacco, isole ebraiche circondate da un mare di ostilità. È in uno di questi insediamenti, a Hebron, che una famiglia intera israeliana è stata attaccata a raffiche di mitra, lo scorso 14 aprile (il padre, un poliziotto, è morto, moglie e figli feriti gravemente), l'episodio che ha aperto l'ultima crisi prima del fallimento dei negoziati. Al contrario, gli arabi che vivono in terra israeliana, in mezzo agli ebrei, non sono vittime di attentati.
  Dalla settimana scorsa, Hamas e Fatah sono ufficialmente alleati. Entrambi, come abbiamo visto, hanno l'obiettivo finale di liquidare Israele. Il che significa, fuor di metafora: cacciare gli ebrei dal Medio Oriente. Invece di mostrare una decisa solidarietà nei confronti di un alleato minacciato, Kerry ha pensato bene di accusarlo di razzismo. E gli israeliani dovrebbero accettarlo ancora come arbitro dei negoziati?

(L'Opinione, 1 maggio 2014)


Insieme a Cibus Parma

II giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche tra i protagonisti di Cibus a Fiere Parma, il punto di riferimento mondiale dell'alimentazione di qualità consolidatosi come evento di riferimento dell'agroalimentare in Italia e nel mondo. L'appuntamento con la diciassettesima edizione del Salone, che ha cadenza biennale, è dal 5 all'8 maggio a Parma. Per le molte decine migliaia di visitatori qualificati che affluiranno nei saloni (oltre 60mila nel 2012) anche la possibilità di una maggiore conoscenza dell'ebraismo italiano offerta da Pagine Ebraiche, Italia Ebraiche e DafDaf, le testate edite dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Degustazioni, workshop, convegni e tavole rotonde: numerosi gli appuntamenti di interesse per un pubblico di sempre maggior respiro internazionale. Obiettivo di Cibus, affermano gli organizzatori della manifestazione organizzata sull'asse Fiere di Parma-Federalimentare, è aumentare l'export del Made in Italy e allo stesso tempo "rivitalizzare il mercato interno".
La redazione di Pagine Ebraiche organizza un doppio incontro dedicato al cibo kasher e alla cultura ebraica dell'alimentazione, "Dal cielo alla terra: la via ebraica all'alimentazione", in programma il mercoledì 7 maggio - in mattinata nelle sale dell'Ufficio stampa Fiere Parma Cibus e il pomeriggio in città nella suggestiva sede del Palazzo del Governatore. Tra le tematiche più vive si parlera di industria, certificazione, religione, cucina e costume con il confronto tra diverse culture ed esperienze. Cibus costituirà inoltre l'occasione per dare seguito al percorso avviato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, su impulso del ministero dello Sviluppo economico e insieme alle sigle Halal Italia, Federalimentare, Federbio e Fiere di Parma, per promuovere una certificazione nazionale con l'obiettivo di diffondere e commercializzare i prodotti italiani di elevata qualità e originalità con il valore aggiunto della certificazione kasher. Un progetto sul quale forte è l'impegno del Consiglio dell'Unione e in particolare di Jacqueline Fellus, coordinatrice della Commissione UCEI Culto e Kasherut, attiva da molti mesi nella sensibilizzazione di partner istituzionali e addetti ai lavori. "Sono soddisfatta - spiega - perché stiamo ottenendo risultati sempre più significativi. Nelle aziende italiane cresce infatti la consapevolezza della strategicità di questo progetto e dei benefici che ne potrebbero derivare in termini di espansione dell'offerta in mercati stranieri sempre più attrattivi e in cui l'attenzione per i prodotti kasher è da tempo radicata". Ad aumentare la soddisfazione è inoltre il riconoscimento, arrivato dal ministero, per l'unità e la coesione manifestatasi all'interno dell'ebraismo italiano che, sottolinea Fellus, "sembra aver finalmente colto l'importanza di questa sfida".
Da segnalare infine la partecipazione del rabbino capo di Bologna Alberto Sermoneta a Vinitaly Verona (nell'immagine a sinistra), manifestazione che anche quest'anno ha confermato la sua leadership come principale luogo di incontro legato all'enologia con un aumento degli operatori del 6% e con un totale di 155mila presenze in quattro giorni di fiera. Nell'occasione il rav Sermoneta, accompagnato dal Consigliere Fellus, ha rivolto ai partecipanti un appello: "Aprire nuovi orizzonti è una sfida da non perdere".

(Pagine Ebraiche, 1 maggio 2014)


C'è del metodo, nel sottrarsi dei palestinesi ai negoziati

L'ambasciatore d'Israele all'Onu: cosa penseranno i contribuenti europei quando sapranno che i loro soldi finiscono nelle mani di Hamas?

"Quando penso ai negoziati tra Israele e palestinesi, vedo ripetersi da parte dei palestinesi uno schema assolutamente prevedibile: pretendere, tirarla per le lunghe e poi andarsene". Lo ha detto martedì sera l'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Ron Prosor, parlando al Consiglio di Sicurezza nel giorno in cui scadeva il periodo di nove mesi, stabilito con la mediazione americana, per quest'ultimo round di negoziati di pace.
I negoziati si erano di fatto interrotti già alla fine di marzo quando Israele, di fronte alla pretesa palestinese che rilasciasse anche dei terroristi arabo-israeliani senza espellerli (cioè tenendoseli in casa a piede libero), ha congelato la scarcerazione del quarto gruppo di terroristi detenuti....

(israele.net, 1 maggio 2014)


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